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L’interpretazione di comunità

Nel documento La qualità in interpretazione (pagine 106-109)

1.1 La Qualità negli studi di interpretazione: sulle tracce dei pionieri

3.5.1 L’interpretazione di comunità

La modalità di interpretazione cui ci si riferisce a livello internazionale principalmente con l’espressione inglese community interpreting – che copre un’area di attività definita in termini generali anche public service interpreting e cultural interpreting (Riccardi 2003, Falbo 2013), merita una menzione a parte, essendo molto diversa rispetto a quella praticata in ambito di conferenze.

Pur concordando con Falbo (2013) riguardo il fatto che la traduzione letterale italiana, “interpretazione di comunità”, non rende giustizia alla tipologia di interpretazione in questione in quanto è come se si “opponesse ai bisogni comunicativi interlinguistici dell’individuo” (Falbo 2013: 21) e di conseguenza li ignorasse quasi negandoli, si tratta pur sempre di quella più diffusa in Italia e ad essa si farà ricorso nella presente tesi per farvi riferimento, alternandola a “interpretazione per i servizi pubblici”.

Tale denominazione rappresenta una modalità di interpretazione che, come sottolinea Riccardi (2003), “riguarda un servizio pubblico sociale fornito a minoranze etniche, rifugiati o immigrati” (Riccardi 2003: 107). Falbo (2013) specifica poi la limitazione del servizio, il quale viene effettuato “in singoli ambiti tra cui spiccano l’ambito giuridico (legal/courtroom interpreting) e quello medico (healthcare interpreting)” (Falbo 2013: 24).

È chiaro che gli standard di Qualità richiesti in ambito di interpretazione di comunità saranno diversi rispetto a quelli che ci si aspetterebbe nel servizio erogato nelle conferenze, giacchè diversi e peculiari sono i bisogni degli utenti che ne usufruiscono e gli agenti con cui l’interprete interagisce.

Le caratteristiche stesse di questa specifica modalità – la bidirezionalità, il carattere meno formale e più intimo degli incontri rispetto a quello dei congressi, la spontaneità degli scambi comunicativi - richiedono agli interpreti competenze che non si limitano all’ambito linguistico ma che appartengono anche, e soprattutto, alla sfera culturale:

L’interprete di trattativa […] gode di un margine d’intervento maggiore rispetto all’interprete di consecutiva o simultanea. […] Ne consegue quindi un forte coinvolgimento dell’interprete, al quale è richiesta la capacità di

immedesimarsi nella situazione comunicativa e nel modo di pensare degli interlocutori, cogliendone il linguaggio sia verbale sia non verbale, la mimica e i gesti.

(Riccardi 2003: 108)

Nell’ultimo decennio, forse più che in altre epoche storiche, abbiamo assistito in tutto il mondo a cambiamenti avvenuti ad un ritmo incalzante con il progresso delle nuove tecnologie, grandi spostamenti di equilibri di potere geopolitico e soprattutto eccezionali flussi migratori di intere popolazioni che, quotidianamente, lasciano il proprio paese d’origine per dirigersi verso nuove mete.

Così, paesi che mai prima d’ora erano stati meta di migranti lo sono diventati, mentre in quelli che tradizionalmente lo sono da sempre si è registrato un ulteriore incremento degli arrivi. Tutto ciò presuppone per gli stessi paesi recettori una sfida su vari livelli, tra cui quella relativa all’integrazione.

Un concetto, quello di integrazione, che nel tempo ha soppiantato quello di “assimiliazione culturale”, sinonimo di totale assorbimento di un gruppo di individui provenienti da una determinata realtà in una nuova, ad essi distante e poco familiare, comportando la perdita delle caratteristiche culturali tradizionali che rendevano tale gruppo distinguibile.

Viceversa, l’idea di integrazione richiama un reciproco sforzo tra immigrati e popolazione locale, in quello che può essere considerato come un processo dinamico bilaterale (Bishoff et al.2013).

Un processo che non può non prescindere dall’abbattimento delle barriere linguistiche, in cui la Qualità deve contraddistinguere il servizio prestato dagli interpreti di comunità, i quali con il proprio operato possono dare un prezioso contributo alla riuscita di politiche e programmi di accoglienza.

In molti casi gli interpreti stessi sono stati rifugiati o immigrati prima di esercitare la professione, parte di una minoranza, e come tale hanno dovuto adattarsi ad un nuovo stile di vita in un altro paese, imparare una lingua straniera e decifrare il funzionamento della società che li ha adottati. Così, complice un vissuto comune e gli anni di esperienza accumulati a contatto con utenti connazionali, si convertono in facilitatori della comunicazione interlinguistica e

inteculturale oltre che veri e propri modelli di integrazione per gli immigrati (Bishoff et al. 2013).

In fondo, integrazione è anche questo:

[…] integration is not just about language learning by immigrants […], but also about providing interpreting services; integration is not just about providing interpreting services but also about providing interpreters who are enablers (with their history, their relationships, their being in the middle); integration is not just about providing interpreters as people, but also about these people being role models for immigrants. […]

(Bishoff et al. 2013: 18)

Purtroppo, ancora in molti paesi l’interprete di comunità è soggetta ad un mancato riconoscimento legale del proprio status professionale che ha delle ripercussioni sia sulle condizioni in cui lavora, che sulla Qualità del servizio. Inoltre, all’interprete che esercita in ambito sociale capita sovente di dover concorrere con un’altra figura, ancora molto diffusa e che in certi casi fa le veci del professionista: quella dell’interprete ad hoc, ovvero non professionista.

Proprio come avveniva in passato quando coloro preposti all’abbattimento delle barriere linguistiche e culturali erano principalmente gli individui bilingui o i membri della famiglia, interpreti “naturali” (Falbo 2013: 21-22).

La verità è che il lavoro dell’interprete, a prescindere dal settore di riferimento, non si può improvvisare e richiede al contrario una profonda consapevolezza del proprio operato.

Nel caso dell’interpretazione per i servizi pubblici, “stare nel mezzo” – staying in the middle (Bishoff et al. 2013) - per il professionista non è mai facile, sia che egli abbia a che fare con pazienti e dottori, che con imputati e giudici o con utenti ed erogatori di un servizio, in quanto ciascuno avrà aspettative e disposizioni diametralmente opposte nei confronti di colui che permette la comunicazione.

Come verrà illustrato nei paragrafi a seguire, spesso ci si ritrova anche a dover gestire situazioni che pur non essendo dei conflitti rischiano di diventarlo, se non si hanno a disposizione, né si fa buon uso, degli “strumenti del mestiere”. C’è chi si mostra ostile nei riguardi dell’interprete, chi si sente minacciato dalla sua presenza, o ancora chi è diffidente e valuta la Qualità del suo lavoro nella misura in cui egli assume più le vesti di avvocato difensore che quelle di esperto linguistico e culturale, che gli sono proprie.

Nel documento La qualità in interpretazione (pagine 106-109)

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