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L’interpretazione e la fedeltà alle intenzioni («mai segrete») del compositore

MOLTO PIÚ CHE UN SEMPLICE DIRETTORE D’ORCHESTRA

7.3 L’interpretazione e la fedeltà alle intenzioni («mai segrete») del compositore

Uno degli aspetti che hanno reso celebre Toscanini è stato sicuramente il suo approccio ermeneutico, accompagnato dalla sua straordinaria memoria e dal suo atteggiamento particolare nei confronti degli orchestrali.

Come Mahler, anche Toscanini era conosciuto per il suo atteggiamento sanguigno e per il suo modo estremamente rigoroso, esigente e severo di condurre le prove. Ma, a differenza del collega austriaco, egli si considerava ed era considerato un interprete fedelissimo nei confronti del testo, profondamente rispettoso delle intenzioni iniziali degli autori. In un periodo storico in cui era assai diffusa la pratica di intervenire sulla partitura con tagli, modifiche, aggiunte e reinterpretazioni, Toscanini conosceva invece a memoria centinaia di spartiti originali ed era solito dirigere senza nemmeno il bisogno di avere di fronte a sé la pagina musicale. Affermava infatti: «Perché andare a cercare quello che non c’è sotto la pagina? Sulla pagina c’è già tutto, le intenzioni non sono mai segrete, ma sempre chiaramente espresse nella scrittura»10. O ancora: «Se qualche cosa non va è perché io non ho capito bene. Chi pensa che Mozart, Beethoven, Wagner, Verdi hanno sbagliato e sono da correggere è un imbecille. Bisogna studiare di più, ricominciare a studiare, capire

10 A. Toscanini, Salisburgo, citazione riportata in S. Bernabei, La lezione di

Arturo Toscanini, 2004,

meglio» 11 . Toscanini mostrava dunque un atteggiamento interpretativo fortemente ancorato a quel criterio che qualche pagina indietro abbiamo definito letterale, manifestando una fede pressoché assoluta nella scrittura. Per quanto a volte contestati, infatti, i suoi interventi ermeneutici erano limitati e nulla toglievano «all’integrità espressiva delle composizioni»12. Indipendentemente da alcune prese di posizione forti che hanno scatenato nei suoi confronti critiche feroci, egli non è mai stato bersaglio di accuse simili a quelle che invece hanno riguardato alcuni suoi illustri colleghi, incolpati di aver inteso in modo molto più ampio il concetto di interpretazione, venendo spesso rimproverati per essersi spinti oltre i limiti del proprio compito e aver realizzato vere e proprie creazioni. Egli, infatti, si permetteva di intervenire esclusivamente in riferimento agli ambiti tonali o alla strumentazione e «la vera fedeltà, grazie alla quale egli è ritenuto a ragione un eccelso riformatore, consisteva nella capacità di fare procedere compattamente l’esecuzione senza concessioni in merito alle fluttuazioni del tempo e ai colori non previsti dalla partitura»13.

Interpretare non vuol dire dunque adattare il testo alle proprie esigenze, rischiando di alterare, non solo la sostanza, ma anche la forma della creazione artistica. Per questo motivo, Toscanini si oppose fermamente anche alla prassi largamente diffusa nella rappresentazione delle opere italiane, che vedeva i cantanti spadroneggiare sul palco, cantando note diverse da quelle riportate sul pentagramma, «avvezzi a fare sfoggio di virtuosismo a detrimento dell’unità drammatica»14. Tale atteggiamento aveva conseguenze fortemente negative sulla resa dell’esecuzione, creando gravi incongruenze sintattiche e facendo perdere alla performance il senso di unità e compattezza che invece, secondo il Maestro, le avrebbe dovute caratterizzare. In un’epoca in cui il canto era considerato l’elemento trainante dell’esecuzione a cui tutti gli altri dovevano sottostare, egli lo considerava invece come una delle diverse voci dell’ensemble strumentale, tutte dotate di pari dignità, tutte da affrontare con la stessa serietà e da mettere ugualmente in risalto. Apprezzava infatti quelle opere di autori moderni, quali Boito ad esempio, in cui già la scrittura poneva il canto tra i vari protagonisti, ma senza attribuire a tale voce un ruolo di eccellenza.

11 Ibidem.

12 I. Cavallini Arturo Toscanini e la direzione di orchestra tra Ottocento e

Novecento, cit., pag. 30.

13 Ivi, pag. 29. 14 Ibidem.

Tra i tanti episodi divenuti famosi in merito alla sua assoluta fedeltà al testo e alla sua straordinaria conoscenza delle partiture originali delle opere musicali, possiamo ricordare ciò che avvenne a Berlino nel 1929, durante la preparazione dell’Aida. Come raccontava, tra gli altri, la signora Anita Colombo, segretaria personale del direttore, alle prove assistettero alcuni direttori d’orchestra, incuriositi dall’enorme fama che già accompagnava la figura di Toscanini. Durante le prove essi presero appunti, poiché notarono nel suo lavoro alcuni dettagli che non avevano mai sottolineato o rimarcato prima. Confrontando lo spartito originale, però, dovettero convenire che «il Maestro non aveva né aggiunto né modificato nulla, aveva solo messo in giusta evidenza tutto quello che Verdi aveva scritto»15. A partire dalla sua grande fede nella completezza della scrittura, Toscanini si dimostrava comunque in linea con le tendenze ermeneutiche maggioritarie a lui coeve, sia musicali che giuridiche. Egli, infatti, riteneva fondamentale il momento interpretativo e quindi centrale il ruolo del direttore d’orchestra, che per svolgere adeguatamente il proprio compito doveva poter controllare ogni fase della preparazione delle performance. Allo stesso tempo, però, tale centralità doveva essere finalizzata esclusivamente alla realizzazione concreta di quanto riportato dall’autore nello spartito. Nella sua concezione l’interprete era quindi un intermediario di importanza fondamentale al fine di poter dare vita a ciò che il compositore aveva precedentemente e sapientemente creato16. Nel condurre il proprio lavoro, Toscanini si affidava quindi a un rigore e a una precisione inediti nello studio delle opere, che gli permetteva di porre in risalto tutti e soltanto gli elementi che i compositori avevano inserito nel testo. Riferendosi in particolare al suo rapporto con le opere di Beethoven, il celebre musicologo Heinrich Strobel disse infatti che «egli spazzava via con la sua immensa forza e con la fedeltà delle sue interpretazioni tutta quella falsa filosofia, tutte quelle false attribuzioni poetiche e letterarie. Come sempre anche di Beethoven eseguiva soltanto la musica» 17 . A testimoniare il generale apprezzamento per il suo assoluto rigore ed il grande successo della sua impostazione ermeneutica è opportuno ricordare l’esperienza del prestigiosissimo Festival di Bayeruth, in Baviera, esclusivamente dedicato alla rappresentazione delle opere del compositore tedesco

15 Intervista ad A. Colombo, riprodotta in Il tempo e la storia, Arturo Toscanini,

di P. Tiriticco, con la partecipazione di L. Villari, Rai Storia,

http://www.raistoria.rai.it/articoli/arturo-toscanini/24174/default.aspx.

16 Cfr. M. Capra-I. Cavallini (a cura di), Arturo Toscanini, il direttore e l’artista

mediatico, cit.; M. Labroca-V. Boccardi, Arte di Toscanini, Eri, Roma, 1966.

Richard Wagner. Toscanini fu chiamato a dirigere l’intero festival tra il 1930 e il 1931, con «il timore che il suo temperamento “latino” avrebbe potuto alterare la fisionomia delle rappresentazioni». In realtà, grazie al suo modus operandi, egli si dimostrò in grado di affrontare «il mondo della tradizione quasi religiosa» wagneriana, «senza tradire se stesso»18. Inoltre, egli fu il primo direttore non tedesco ad essere chiamato a svolgere un compito così prestigioso in Germania. Ad oggi questo dettaglio può sembrare insignificante, ma in realtà in quel periodo storico non lo era affatto. Con l’affermazione definitiva dell’importanza del ruolo del direttore d’orchestra, anche grazie alla riforma di Toscanini, si stava progressivamente e concretamente diffondendo una nuova tendenza. Al fine di poter ottenere ruoli particolarmente importanti, agli interpreti si iniziarono infatti a richiedere solo meriti artistici, indipendentemente dai loro legami con l’opera da eseguire, a prescindere dal fatto di averla composta o di aver collaborato direttamente con il compositore o ancora dall’appartenenza ad una determinata nazione e ad un determinato linguaggio. La qualità di interprete iniziò quindi ad acquistare una dignità e un’autonomia sempre maggiori, senza più essere considerata su un gradino necessariamente inferiore rispetto all’autorità del compositore. Frutto di questo cambiamento sarà anche il fatto che i direttori d’orchestra inizieranno a spostarsi per dirigere ensemble diversi in contesti particolarmente prestigiosi. Toscanini sarà infatti uno dei primi a viaggiare per motivi professionali in modo abituale, per rispondere alle numerose richieste lavorative provenienti da tutto il mondo, dalla Germania alla Palestina, fino all’America.

Non tutti i critici sono e furono però concordi nella considerazione di questo particolare. Non mancarono infatti né recensioni negative né dissertazioni ermeneutiche volte a dimostrare che l’atteggiamento di Toscanini fosse in realtà invasivo rispetto alle partiture che il direttore si accingeva a portare in scena.

Sono numerose infatti le fonti nelle quali si ritrovano testimonianze di interventi concreti sulle partiture, che avrebbero talvolta anche alterato l’opera nei suoi caratteri fondamentali. Un esempio ampiamente discusso riguarda il suo intervento sulla partitura dell’opera di Giacomo Puccini La Fanciulla del West. Su tali pagine sembrano ritrovarsi «modifiche annotate a mano da Toscanini, riguardanti il fraseggio, la dinamica, tempi, l’orchestrazione»19. Le

18 M. Labroca, citato in S. Bernabei, La lezione di Arturo Toscanini, cit.

19 G. Dotto, L'opera a quattro mani: modifiche in collaborazione nella Fanciulla del West in V. Bernardoni (a cura di), Puccini, Il Mulino, 1996, pag. 355 ss.

annotazioni sembrano essere molte e variegate, «dal leggero ritocco nell'articolazione al ripensamento globale, ancorché sporadico, della sonorità orchestrale. Benché la maggior parte degli interventi riguardi sottigliezze tecniche pertinenti all'esecuzione e all'interpretazione direttoriale, ve ne sono altri che implicano cambiamenti nell'orchestrazione, che possono persino sembrare di mano pesante nel “tessuto” sonoro complessivo della partitura»20. È opportuno ricordare, però, che all’interpretazione di quest’opera Toscanini non lavorò da solo, bensì in compagnia dello stesso Puccini. I due, inoltre, unirono le forze con l’obiettivo ben preciso di risolvere le problematiche tecniche legate alla struttura del teatro nel quale l’opera sarebbe stata presto eseguita. Il Metropolitan Opera House di New York, infatti, poneva alla realizzazione problemi inediti rispetto ai teatri italiani, avendo una capienza molto superiore ed uno spazio interno grande il doppio rispetto a quello della Scala di Milano. I “cambiamenti nell’orchestrazione” sarebbero quindi riconducibili alla necessità di risolvere specifici problemi dovuti alla struttura della sala e non all’arbitrio di Toscanini. Non solo, appare infatti rilevante anche il fatto che egli abbia lavorato a tali modifiche proprio insieme al compositore, confermando ulteriormente l’importanza da lui riconosciuta al rispetto dell’intenzione originaria dell’autore. Nonostante ciò e nonostante si sia più volte rimarcato il fatto che i suoi interventi fossero limitati e rivolti ad aspetti secondari rispetto all’integrità dell’opera, le opinioni al riguardo non sono unanimi ed alcuni sostengono fermamente che il suo atteggiamento di fedeltà assoluta al compositore fosse in realtà solo apparente, una sorta di facciata dietro alla quale si sarebbe nascosta la tendenza a intervenire in modo consistente.

Ma l’atteggiamento ermeneutico di Toscanini era solo uno degli aspetti presi di mira da parte della critica e della stampa. Nell’ambiente del «sottobosco del teatro» c’era infatti chi si scagliava contro la sua riforma del teatro e contro il nuovo ruolo di potere che, grazie al suo intervento, aveva assunto la figura del direttore d’orchestra. Tra i “prodotti” tipici di questo ambiente, particolarmente contrario a Toscanini fu il periodico «Il Corno», redatto da Pompeo Ferrari, «che usciva quando voleva scaricando su Toscanini insolenze inaudite»21. Su questo periodico vennero pubblicati, infatti, più articoli volti a stroncare la prima stagione di Toscanini alla Scala. In essi si leggeva, ad esempio: «Toscanini, dunque, non dovrebbe mai più salire lo scanno direttoriale del nostro

20 Ibidem.

21 G. Barigazzi, La Scala racconta. Nuova edizione riveduta e ampliata a cura

massimo teatro; invece nossignori»22, oppure «Toscanini il fortunato campagnolo portato dal cieco caso all’onore del trionfo, è l’assoluta rovina finanziaria ed artistica della Scala»23.