4. Interventi volontari
4.1 Intervento principale ed intervento adesivo autonomo
L’intervento principale e quello adesivo autonomo, o litisconsortile, rappresentano due distinte forme di intervento volontario che, per le situazioni legittimanti che ne costituiscono il substrato sostanziale, sono connotate da un’accentuata facoltatività, intesa nel senso che il mancato esperimento delle stesse non espone il terzo, che pur potrebbe avvalersene, ad alcuna efficacia riflessa del lodo pronunciato tra le parti originarie, né ad alcuna limitazione della libertà di azione sul piano giuridico. Costui, difatti, in ragione dell’inefficacia nei suoi confronti del lodo pronunciato inter alios, ben può esperire un’autonoma azione giudiziaria a sostegno delle proprie pretese, instaurando, così, un nuovo giudizio innanzi al giudice “togato”. Ciò non esclude, tuttavia, che l’efficacia del lodo tra le parti e la sua eventuale esecuzione, comporti il prodursi di conseguenze indirette in capo al terzo de quo, esponendolo a possibili pregiudizi di carattere pratico, aventi connotati differenti a seconda delle peculiarità delle situazioni di cui il terzo si afferma titolare. E’ proprio la
prevenzione di simili pregiudizi che rappresenta lo scopo comune delle forme di intervento in esame, mediante le quali il terzo può evitare il configurarsi di situazioni a lui pregiudizievoli, operando in un momento ancora anteriore al verificarsi delle stesse ed accedendo, così, al processo arbitrale inter alios prima dell’emanazione della pronuncia che potrebbe risultare pregiudizievole nei suoi confronti.
Sebbene l’ammissibilità di dette forme di intervento sia stata estesa anche in arbitrato, la relativa disciplina, tuttavia, non si sofferma sulle fattispecie sostanziali che ne costituiscono il fondamento legittimante. Aspetto, questo, di non poca rilevanza per comprenderne le peculiarità e gli aspetti distintivi. A tal fine occorre, difatti, rinviare al più generale art. 105 del codice di rito, che, nel disciplinare l’intervento volontario nel giudizio di cognizione di primo
grado, ne individua il principale fondamento della relativa
legittimazione nella connessione oggettiva, prevedendo al primo comma che «ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo».
Nella configurazione della norma così prospettata, risulta palese il riferimento: sia alla connessione per petitum, configurabile ogniqualvolta la situazione giuridica soggettiva fatta valere dall’interveniente abbia ad oggetto lo stesso bene della vita della posizione sostanziale sulla quale verte il giudizio; sia a quella per
causa petendi, che differentemente si sostanzia allorquando, tra la
sia identità di uno o più elementi della fattispecie costitutiva che ne rappresenta la fonte; sia, infine, a fortiori, all’ipotesi della più stringente connessione per titolo ed oggetto, che si sostanzia ove una pluralità di distinte posizioni giuridiche, facenti capo a soggetti diversi, presenti una comunanza, non solo per quanto attiene la fattispecie costitutiva, bensì anche in riferimento al bene della vita che ne costituisce l’oggetto. In tale ultimo caso, si tratta, in particolare, come evidenziato in precedenza, di situazioni soggettive discendenti da un medesimo rapporto giuridico plurisoggettivo che non dia luogo a litisconsorzio necessario ai sensi dell’art. 102 c.p.c., originando il fenomeno qualificato in dottrina come litisconsorzio unitario o quasi necessario.
Sono, appunto, queste le situazioni sostanziali dalle quali discende la legittimazione ad esperire le due forme di intervento ricollegate al primo comma dell’art. 105 c.p.c., cui si riferiscono le locuzioni di intervento principale e litisconsortile o adesivo autonomo.
In particolare, l’intervento principale, anche detto ad
infringendum iura utriusque partis, è quello che si configura
allorquando il terzo agisca nei confronti di tutte le parti dell’originario giudizio, esperendo un diritto, relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel procedimento arbitrale in corso, ed avente i connotati dell’autonomia e dell’ incompatibilità rispetto alle pretese
fatte valere dalle parti già insediate in giudizio182. Le caratteristiche
182
Per una generale ricostruzione della tipologia di intervento in esame si rinvia a ARIETA, DE SANTIS, MONTESANO, Corso di base di diritto processuale civile, Padova, 2005, p. 636 ss.; BOVE, Lineamenti di diritto processuale civile, Torino, 2004, p. 265 ss.; CARPI, TARUFFO,
Dell’esercizio dell’azione - Sub art. 105, in Commentario breve al Codice di procedura civile,
Padova, 2006, p. 306; COSTA, voce Intervento, in Enc. Dir., Milano, p. 461; LIEBMAN,
peculiari della situazione giuridica fatta valere attraverso tale forma di intervento sono, dunque, rintracciabili: da un lato, nell’autonomia, da intendersi quale autonomia processuale discendente dalla libera scelta del titolare rispetto agli strumenti di tutela giurisdizionale accordati
dall’ordinamento giuridico183; dall’altro, nell’incompatibilità che si
configura ogniqualvolta l’esistenza di una situazione sostanziale
costituisca fatto impeditivo o estintivo di altra situazione184. Detta
forma di intervento si sostanzia, generalmente, in presenza di quella fattispecie connettiva fondata sull’identità di petitum185. Si versa, così,
Milano, 2009, p. 312 ss.; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2006, p. 354 ss.; MONTESANO, ARIETA, Diritto processuale civile, Padova, 2001, p. 636ss.; MONTELEONE,
Manuale di diritto processuale civile, Padova, 2007, p. 215 ss.; PROTO PISANI, Appunti sul litisconsorzio necessario e sugli interventi, in Riv. Dir. Proc., 1994, p. 361 ss.; Id., Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1996, p. 410 ss; Id. , Dell’esercizio dell’azione, in Commentario al Codice di procedura civile, Allorio (diretto da), Torino, 1973, p. 1145 ss.; SASSANI, Lineamenti del processo civile italiano, Milano, 2010, p. 317 ss; VERDE, Diritto processuale civile, Bologna, 2010, p. 221 ss.
183
BOVE, Lineamenti di diritto processuale civile, Torino, 2004, p. 265 ss., ove si evidenzia che la posizione del terzo è autonoma nella misura in cui egli, ove non intervenisse, non sarebbe soggetto all’efficacia della cosa giudicata.
184
Così ATTERITANO, Le impugnazioni, in RUBINO-SAMMARTANO, Arbitrato, Adr e
conciliazione, Bologna, 2009, p. 927, ove si evidenzia che proprio da detta incompatibilità,
fondamentale anche in riferimento all’opposizione di terzo , discende il pregiudizio che determina l’interesse ad intervenire del legittimato. Si parla, in proposito, di danno da esecuzione, intendendosi non l’esecuzione forzata, ma l’attuazione in generale del provvedimento, includendo quindi anche quella spontanea. In particolare, il pregiudizio per il terzo de quo, ove non intervenisse, nascerebbe dall’eventuale futura attuazione di un provvedimento inter alios che impone comportamenti incompatibili con quello che lui afferma essere un suo diritto. Similmente, LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 2009, p. 313.
185
La dottrina si è, inoltre, interrogata sulla possibilità che l’ intervento principale ed il rapporto di incompatibilità tra tutte le pretese oggetto del giudizio, che risulta essere la caratteristica fondante della richiamata forma di intervento, si possano configurare anche in presenza di una fattispecie connettiva diversa da quella che afferisce esclusivamente al petitum. Una risposta positiva in tal senso si rintraccia in MONTELEONE, voce Intervento in causa, in Nov. Dig. It., Torino, p. 347; Id, Manuale di diritto processuale civile, Padova, 2007, p. 215 ss. ove l’a. evidenzia che l’incompatibilità tra diritti e pretese, costituente fondamento della connessione tra cause che consente l’intervento principale, si profila anche quando non sussiste totale coincidenza di oggetto. Deve pertanto qualificarsi principale, secondo l’A., l’intervento del creditore in solido che, nella causa promossa da altro creditore contro il comune debitore per ottenere il pagamento dell’intero, proponga domanda per far valere in base al rapporto interno tra concreditori il proprio diritto ad una quota del credito. In questo caso, come evidenziato dall’A., il diritto e la pretesa del creditore interveniente, pur non avendo il medesimo oggetto della causa pendente tra le parti originarie, riguardando essi solo una quota, sono fondati sul medesimo titolo e sono incompatibili sia con la domanda del concreditore agente per l’intero credito, sia con la pretesa del debitore di nulla
in una tipica ipotesi di connessione oggettiva in cui la posizione dell’intervenuto, derivante da un’autonoma fattispecie acquisitiva, risulta collegata per identità degli elementi oggettivi del petutim, o del diritto fatto valere, alla situazione giuridica sostanziale oggetto del giudizio già pendente inter alios. Si tratta, in particolar modo, di una connessione oggettiva per incompatibilità, in forza della quale l’intervenuto assume una posizione autonoma ed incompatibile rispetto a quella fatta valere da ciascuna delle altre parti. In tal caso la situazione di cui il terzo si afferma titolare e quelle fatte valere, sul medesimo bene, dalle parti originarie del giudizio apud arbitros, alla luce delle facoltà e dei poteri che ne rappresentano l’essenza, non possono che spettare, per diritto sostanziale, ad un unico soggetto. Cosicchè solamente una delle parti in giudizio potrà ottenere il riconoscimento della posizione affermata, sulla base dei criteri di prevalenza sostanziale che l’ordinamento giuridico stabilisce in base alle modalità di acquisto dei diritti. Emblematico è il caso in cui un
dovere per l’obbligazione dedotta in lite. Analogamente, COSTANTINO, voce Intervento nel
processo, in Enc. Giur., p. 2. L’A. contempla la concreta configurabilità sia del caso in cui il terzo
deduca in confronto di tutte le parti un diritto dipendente dal medesimo fatto costitutivo, sia di quello in cui l’intervenuto deduca sempre in confronto di tutte le parti originarie un diritto relativo al medesimo oggetto e discendente dal medesimo titolo da cui deriva la pretesa sostanziale che ha dato luogo all’instaurazione del giudizio. In particolare, l’a. ricollega alla prima fattispecie l’ipotesi del terzo danneggiato dal medesimo fatto dannoso che interviene per conseguire il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera patrimoniale, sia nei confronti del convenuto, danneggiante, sia nei confronti dell’attore, altro danneggiato, indicandolo quale corresponsabile. Alla seconda fattispecie l’A. riconduce, invece, l’ipotesi dell’intervento, nel giudizio di rilascio per necessità dell’immobile locato instaurato da un coerede, quale comproprietario, di altro coerede che deduca la sopravvenuta divisione, la proprietà esclusiva e la propria necessità. In senso contrario, PROTO PISANI, Dell’esercizio dell’azione, in Commentario al Codice di procedura
civile, Allorio (diretto da), Torino, 1973, p. 1145 ss. , secondo il quale l’ipotesi di intervento
principale derivante da connessione per titolo è destinata a restare del tutto astratta e priva di possibili riscontri concreti; VERDE, Diritto processuale civile, Bologna, 2010, p. 221, ove si sostiene che il tentativo di essere sintetico e nel tempo stesso completo, ha indotto il legislatore a fare menzione di un’ipotesi – quella del diritto fatto valere nei confronti di tutte le parti che dipenda dal titolo della causa originaria – che non è facile concretare in ipotesi specifiche e che, in realtà, non ha trovato applicazione nella pratica.
terzo, in pendenza di un giudizio di rivendica tra altri, intervenga affermandosi egli stesso proprietario del bene. E’ evidente, qui, come tutte le posizioni avanzate in giudizio risultino incompatibili tra loro non potendo coesistere in una medesima unità temporale. Risulta altrettanto evidente, inoltre, che da una simile forma di intervento discende inevitabilmente un ampliamento oltre che soggettivo anche oggettivo del giudizio nell’ambito del quale si esplica l’intervento stesso: alle situazioni giuridiche soggettive avanzate dalle parti si aggiunge, infatti, un autonomo diritto fatto valere in loro confronto dal terzo interveniente.
Così come configurato, l’intervento principale appare quale rimedio facoltativo essenzialmente strumentale, oltre che all’esigenza di economia processuale, anche, e soprattutto, al fine di garantire una situazione di certezza nelle relazioni sociali, in ordine alla titolarità di
una determinata situazione giuridica186, e di prevenire il formarsi di
giudicati praticamente contraddittori, aventi ad oggetto il medesimo
186
Detta esigenza ed il pregiudizio discendente dalla frustrazione della stessa risulta evidente nella concreta ipotesi in cui tre soggetti diversi, denominati Tizio , Caio e Sempronio, si assumano titolari del medesimo bene. Ove, al fine di accertare il reale proprietario del bene, tra i primi due penda un giudizio, al quale il terzo non aderisca, quest’ultimo, seppure mantenga la possibilità di esperire autonoma azione giudiziaria a difesa del proprio diritto, risultando estraneo all’efficacia diretta del provvedimento pronunciato inter alios, potrebbe ugualmente subire da detto provvedimento un concreto pregiudizio discendente dal consolidamento della proprietà del bene in capo ad un delle due parti del giudizio originario, rispetto alla quale , ad esempio, Sempronio potrebbe ritenere meno agevole l’eventuale recupero del bene nel caso in cui, in un ulteriore giudizio, gli venisse riconosciuta la proprietà dello stesso. Trattasi del cd. danno da esecuzione, non necessariamente inteso come danno derivante da esecuzione forzata in senso proprio, potendo ugualmente discendere da un’esecuzione spontanea del provvedimento conclusivo del giudizio. In particolare, il pregiudizio per il terzo de quo, ove non intervenisse, nascerebbe dall’eventuale futura attuazione di un provvedimento inter alios che impone comportamenti incompatibili con quello che lui afferma essere un suo diritto. In argomento si vedano, LUISO, Opposizione di
terzo, in Enc. Giur., p. 14; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2004, p. 549;
OLIVIERI, Opposizione di terzo, in Dig. Dis. Priv., p. 104; SANTAGADA, Sulla legittimazione
degli arbitri a proporre opposizione di terzo avverso la sentenza di annullamento del lodo tardivo,
diritto. In particolare, la configurabilità di detto ultimo pregiudizio discende dal fatto che il terzo titolare della situazione oggettivamente connessa per incompatibilità a quella che costituisce oggetto di giudizio inter alios mantiene, pur sempre, come evidenziato, la possibilità di dar vita ad un autonomo processo innanzi al giudice togato. Pregiudizi, quelli poc’anzi considerati, che, potendo generare una situazione di incertezza nei traffici giuridici, vengono percepiti dal legislatore in tutta la loro gravità, a tal punto da reputare necessario, in aggiunta al rimedio preventivo dell’intervento, un rimedio successivo esperibile avverso il lodo pronunciato tra le parti originarie. Si tratta, ai sensi dell’art. 831 c.p.c., dell’opposizione di terzo, attraverso cui costui può impedire il pregiudizio pratico che potrebbe subire da una pronuncia emessa a seguito di un giudizio al quale non abbia preso parte, senza dover agire, come pure potrebbe, con azione autonoma, bensì contestandone il fondamento nel lodo che ne costituisce la fonte.
A differenza dell’intervento principale, avente ad oggetto, come evidenziato, una pretesa sostanziale fatta valere in confronto di tutte le parti originarie, l’intervento adesivo autonomo o litisconsortile è, invece, ravvisabile nell’ipotesi in cui il terzo faccia valere il suo diritto
solamente in confronto di alcune delle parti in causa187. Qui, il diritto
dedotto in giudizio dall’interveniente pur essendo autonomo e,
187
In argomento si veda ARIETA, DE SANTIS, MONTESANO, Corso di base di diritto
processuale civile, Padova, 2005, p. 636 ss.; BOVE, Lineamenti di diritto processuale civile,
Torino, 2004, p. 265 ss.; COSTA, voce Intervento, in Enc. Dir., Milano, p. 461 ss.; LIEBMAN,
Manuale di diritto processuale civile, Milano, 2007, p. 104 ss.; LUISO, Diritto processuale civile,
Milano, 2009, p. 315 ss.; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2006, p. 354 ss.; MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, Padova, 2007, p. 215 ss.; MONTESANO, ARIETA, Diritto processuale civile, Padova, 2001, p. 636ss.; PROTO PISANI, Appunti sul
litisconsorzio necessario e sugli interventi, in Riv. Dir. Proc., 1994, p. 361 ss.; SASSANI, Lineamenti del processo civile italiano, Milano, 2010, p. 317 ss.; VERDE, Diritto processuale civile, Bologna, 2010, p. 221
dunque, indipendente, sotto il profilo processuale, rispetto a quello oggetto del giudizio, non presenta il requisito dell’ incompatibilità, come nel caso di intervento principale, qualificandosi, piuttosto, come “adesivo” in quanto spiegato solamente nei confronti di alcune delle parti originarie, in posizione parallela rispetto alle altre. Il fondamento sostanziale dal quale discende la legittimazione all’esperimento di detta forma di intervento è rintracciabile in una molteplicità di
fattispecie connettive188. La tipologia di intervento in esame può
derivare, innanzitutto, dal configurarsi di una situazione di connessione per identità di titolo, laddove il diritto fatto valere dell’interveniente derivi dallo stesso fatto costitutivo su cui si fonda la domanda originaria. Detta specie di connessione per la conformazione che le è propria pone, generalmente, l’interveniente in confronto solamente di alcune delle parti già presenti in giudizio, collocandolo in posizione parallela rispetto alle altre, con le quali ha coincidenza di interessi. Ne costituisce un esempio concreto, tra le altre, l’ipotesi in cui il terzo che interviene faccia valere il suo diritto al risarcimento dei danni basato sullo stesso fatto illecito su cui si fonda la domanda originaria proposta da altro danneggiato, o anche l’ipotesi del creditore che intervenga nello stesso processo ex art. 2901 c.c. già instaurato da altro creditore. Risulta evidente come nelle richiamate ipotesi il diritto fatto valere in giudizio dal terzo è un diritto autonomo e compatibile con quello oggetto del processo originario, cui si affianca in posizione di parità, non essendo legato a quest’ultimo da alcun rapporto di pregiudizialità-dipendenza in senso tecnico.
188
Per una simile ricostruzione dell’intervento in esame si rinvia in particolare a PROTO PISANI,
L’assenza di un simile rapporto e la conseguente autonomia del diritto esperito mediante l’intervento in analisi implicano, anche in tal caso, un allargamento oggettivo, oltre che soggettivo, del giudizio arbitrale nel quale si esplica l’intervento stesso.
Alla luce delle peculiarità che ne costituiscono l’essenza, l’intervento adesivo autonomo nella fattispecie de qua si configura, dunque, quale rimedio facoltativo previsto dal legislatore sia in funzione di esigenze di economia processuale, così da accertare una stessa realtà fattuale causalmente ricollegata ad una pluralità di situazioni sostanziali in un'unica sede giudiziale, sia al fine di prevenire il formarsi di un’eventuale difformità tra precedenti giurisprudenziali, dovuta alla possibilità di esperire autonoma azione giudiziale che l’ordinamento accorda al terzo de quo, in alternativa alla proposizione dell’intervento. Si tratta, in realtà, di un pregiudizio, quest’ultimo, connotato da una lieve gravità soprattutto se collocato in un sistema di civil law, nel quale rientra il nostro ordinamento giuridico, ove il valore dei precedenti giurisprudenziali non ha alcun rilievo formale, differentemente da quanto accade negli ordinamenti di common law. Una conferma a quanto sostenuto si rintraccia anche nel fatto che l’ordinamento esclude la configurabilità in capo ai terzi in esame della legittimazione a proporre opposizione di terzo ordinaria o revocatoria ai sensi dell’art. 404 c.p.c., accordando a questi ultimi il solo rimedio preventivo dell’intervento.
Oltre alle fattispecie di connessione per titolo, l’intervento adesivo autonomo ben può trarre linfa vitale, anche, dalle situazioni di
connessione per petitum con relazione di compatibilità189. Come evidenziato nel paragrafo di apertura del presente capitolo, difatti, la connessione per oggetto, potendo configurarsi nella duplice variante della connessione per incompatibilità e per compatibilità, può dar luogo al già visto intervento principale nel primo caso ed all’intervento adesivo autonomo nel secondo. Qui l’autonomo diritto avanzato dal terzo intervenuto, da un lato, e la situazione originariamente fatta valere innanzi al collegio arbitrale, dall’altro, per il loro contenuto tipico di facoltà e poteri, possono senz’altro coesistere nella medesima unità temporale, senza escludersi reciprocamente, non generando, così, nel simultaneus processus derivante dalla proposizione dell’intervento, alcun contrasto tra i relativi presunti titolari. Un eloquente esempio della fattispecie presa in esame è rintracciabile nell’ipotesi di intervento di un conduttore nel giudizio instaurato da altro conduttore nei confronti del proprietario dell’intero edificio e locatore delle diverse unità immobiliari, per la
riparazione delle parti comuni dell’edificio190: si tratta, con tutta
evidenza, di situazioni giuridiche soggettive che, nel derivare da un’autonoma fattispecie acquisitiva, pur presentando una connessione per oggetto, risultano, secondo il diritto sostanziale, assolutamente compatibili tra loro. Anche in tal caso, come nelle ipotesi di intervento volontario analizzate in precedenza, l’ingresso del terzo nel giudizio arbitrale pendente inter alios estende inevitabilmente la potestas
iudicandi del collegio arbitrale ad una nuova situazione giuridica
189
Così BOVE, Lineamenti di diritto processuale civile, Torino, 2004, p. 267.
190
Cfr. COSTANTINO, voce Intervento nel processo, in Enc. Giur., p. 2, che riconduce, a titolo