La principale delle finalità connaturate nell’istituto
dell’intervento è rintracciabile, come già evidenziato, nell’accordare un’adeguata tutela preventiva a quei soggetti che si trovino in posizione di terzietà rispetto ad un giudizio pendente inter alios, dal cui esito potrebbero subire degli effetti pregiudizievoli anche solamente di mero fatto. Alla luce di quanto detto, la condizione imprescindibile per l’impiego dello strumento processuale de quo risiede nella qualità di terzo rispetto al giudizio nell’ambito del quale si intende accedere. Di qui la necessità di chiarire chi debba intendersi per terzo. Operazione, questa, non facile soprattutto in un settore come quello arbitrale dove costante è l’oscillazione tra il piano del contratto e quello del processo. Sembrerebbe, dunque, opportuno partire dalla considerazione secondo la quale lo status di terzo è rintracciabile in capo a tutti coloro che non abbiano la qualità di parte nel giudizio arbitrale, non avendovi ab origine aderito né in proprio né tramite rappresentante. Al di là del carattere tautologico che potrebbe essere attribuito all’enunciazione, la stessa consente di evidenziare come il concetto di terzo di cui all’art. 816-quinquies c.p.c. non possa essere individuato autonomamente, ma debba essere ricavato ad
escludendum dall’interpretazione della nozione di parte del giudizio
arbitrale.
In riferimento al generale concetto di parte processuale molto si è discusso in seno alla dottrina processual-civilistica italiana, già sotto la vigenza del codice del 1865. Ad una concezione squisitamente
formale e processuale che ricollegava il concetto di parte a quello di domanda, considerando parte colui che domanda un’attuazione di
legge e colui di fronte al quale essa è domandata129, si contrapponeva
una più complessa ricostruzione della tematica, che distingueva la parte in senso sostanziale, in riferimento al soggetto del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, dalla parte in senso formale
corrispondente al soggetto del rapporto processuale130. Sulla base del
richiamato orientamento chiovendiano, dunque, il concetto di parte non coincide necessariamente con il titolare della situazione sostanziale che è oggetto della controversia. Differentemente accade nella prospettiva carneluttiana, che, invece, include nel concetto di parte processuale non solo colui che in nome proprio o altrui domanda un’attuazione della legge, ma anche il titolare del rapporto sostanziale sotteso al processo, laddove tra i richiamati soggetti non vi sia coincidenza.
Detta spaccatura esistente in seno alla dottrina processualistica italiana in ordine alla ricostruzione del concetto di parte ha, inevitabilmente, influenzato la redazione del vigente codice del 1942
che, come osservato dall’attuale dottrina131, presenta una nozione di
129
Così CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1923, p. 578 ss; ID.,
Istituzioni di diritto processuale civile, II, t. I, Napoli, 1934, p. 199; ID. La condanna alle spese giudiziali, Roma, 1935, p. 193. La concezione chiovendiana è fatta propria, fra gli altri, da
CALAMANDREI, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Padova, 1943, p. 188 ss; LIEBMAN,
Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 1973, p. 69 ss.
130
In tal senso CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, II, Padova, 1922, p. 206 ss.; ID., Sistema di diritto processuale civile, I, Padova, 1936, p. 361. Fra gli altri accolgono la concezione di parte tracciata da Carnelutti, JAEGER, Diritto processuale civile, Torino, 1944, p. 245 ss.; BARBERO, La legittimazione ad agire in confessoria e negatoria servitutis, Milano, 1950, p. 35 ss.
131
La prima ripartizione in tre gruppi delle norme che adoperano il termine parti, a seconda del significato da esse presupposto si rintraccia in GARBAGNATI, La sostituzione processuale, Milano, 1942, p. 244 ss. Detta tripartizione è stata, in seguito, accolta, tra gli altri, da:OLIVIERI,
parte non univoca, bensì polivalente, riferita, in antitesi all’organo
giurisdizionale: talvolta ai meri soggetti degli atti processuali132,
indipendentemente dalla circostanza che essi agiscano in nome proprio o altrui, o dal loro coincidere o meno con i titolari della situazione sostanziale oggetto del processo; talvolta, ai soggetti degli
effetti del processo133, titolari di diritti, oneri ed obblighi derivanti
esclusivamente dal processo indipendentemente dalla titolarità
effettiva o affermata della situazione sostanziale dedotta in giudizio; talvolta, infine, ai soggetti degli effetti della sentenza134, cui fa capo la situazione sostanziale sottesa al processo.
Alla luce delle diverse accezioni che il legislatore riferisce al concetto di parte, ai fini del riconoscimento della qualità di terzo rilevante per l’esperibilità dell’intervento, sembrerebbe doversi impiegare un’interpretazione formale dello stesso, involgente i
soggetti del rapporto giuridico processuale che deriva dalla
proposizione della domanda135.
Opposizione di terzo (Voce), in Dig. Disc. Priv., p. 106; PROTO PISANI, Parte nel processo (Voce), in Enc. Dir., Roma, p. 918 ss.; TOMMASEO, Parti (Voce), in Enc. Giur., p. 1.
132
Si è osservato, difatti, che esiste, in primo luogo, una serie di norme in cui il termine parti sta ad indicare, in antitesi rispetto all’organo giurisdizionale, i soggetti che agiscono o che sono chiamati a contraddire in un processo, nell’esercizio di poteri giuridici processuali. Cfr. GARBAGNATI,
La sostituzione processuale, Milano, 1942, p. 244 ss. La qualità di soggetto degli atti del processo,
tuttavia, non coincide necessariamente con la qualità di soggetto provvisto della legittimazione processuale, come esattamente osservato da MANDRIOLI, La rappresentanza nel processo civile, Torino, 1959, p. 120 ss., che inquadra il problema nel dibattito sulla distinzione tra “parte” e “giusta parte”, quest’ultima dotata del requisito della legittimazione ad agire.
133
Quest’accezione del termine parti coincide totalmente con la nozione chiovendiana del termine: soggetti degli effetti del processo sono i soggetti dai quali e di fronte ai quali è domandata un’attuazione della legge. In tale prospettiva , il concetto di parte include il rappresentato e non il rappresentante, il sostituto e non il sostituito processuale. In tal senso PROTO PISANI, Parte nel
processo (Voce), in Enc. Dir., Roma, p. 921.
134
Così GARBAGNATI, La sostituzione processuale, Milano, 1942, p. 247.
135
Così in riferimento all’opposizione di terzo OLIVIERI, Opposizione di terzo (Voce), in Dig.
Disc. Priv., p. 106. Sulla base di un’interpretazione formale, la qualità di parte del processo si
acquista per il semplice fatto di proporre la domanda o di essere convenuto, distinguendosi, così, dalla qualità di soggetto del rapporto giuridico controverso, la quale deriva da una situazione di diritto sostanziale che deve essere accertata in sede giudiziale. A titolo esemplificativo, si è
Quanto detto può essere esteso anche al settore arbitrale in considerazione della struttura processuale cui è stato via via accostato il relativo procedimento, soprattutto alla luce dei recenti interventi legislativi che lo hanno sempre più assimilato al processo innanzi
all’autorità giudiziaria136. Può, dunque, affermarsi che assume la
qualità di parte della procedura arbitrale colui che ne compia gli atti, a seguito della notifica della domanda d’arbitrato che instaura il giudizio, dando l’avvio alle successive posizioni giuridiche soggettive che caratterizzano la struttura del procedimento, al pari di quanto
avviene nel processo togato137 . Differentemente da quest’ultimo,
tuttavia, non è possibile rintracciare nel contesto arbitrale le classiche nozioni di attore e convenuto, in quanto, non potendosi parlare di costituzione in senso tecnico, tali qualifiche assumono un significato meramente descrittivo che consente di distinguere la posizione di chi agisce da quella di chi resiste, senza implicare un generale rinvio agli istituti propri ad esse collegati138.
osservato, a tal proposito, che la rivendicazione della proprietà di un bene non comporta l’acquisizione della titolarità dello stesso, che dovrà essere accertata in giudizio, ma comporta, pur sempre, l’acquisizione della qualità di parte dello stesso. In tal senso cfr. LUGO, Manuale di
diritto processuale civile, Milano, 2009, p. 106; VERDE, Profili del processo civile, I, 2002, p.
190.
136
Basti considerare, in proposito: l’estensione al giudizio arbitrale del principio del contraddittorio ai sensi degli artt. 816bis, 829 n. 9 c.p.c., la disponibilità di strumenti volti a garantire l’equidistanza dell’organo giudicante rispetto ai litiganti ed all’oggetto della lite di cui all’art. 815 c.p.c., la previsione di un modello di atto introduttivo che produce gli effetti propri della pendenza giudiziale ai sensi dell’art. 2652 c.c.
137
In tal senso IZZO, Le parti del procedimento arbitrale, in RUBINO-SAMMARTANO (diretta da),, Arbitrato, adr, conciliazione, Bologna, 2009, p. 322; BRIGUGLIO, FAZZALARI, MERENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, Milano, 1994, p. 116; ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rispetto ai terzi, Milano, 2004, p. 231.
138
Così SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, Milano, 1988 p. 444. Coerentemente DELLA PIETRA,
Il Procedimento, in VERDE (a cura di), Diritto dell’arbitrato, Torino, 2005, p. 219, ove si
evidenzia l’impossibilità di impiegare in sede arbitrale le nozioni di attore e convenuto intese in senso proprio, in considerazione della inconcepibile applicazione nel giudizio arbitrale delle norme processuali che dette posizione postulano. L’a. si riferisce in particolare agli artt. 290 e 291 c.p.c., la cui inapplicabilità in arbitrato discende dalla mancanza di una vera e propria attività di costituzione delle parti, che esclude, conseguentemente, la configurabilità nel procedimento de quo
La valida acquisizione della qualità di parte del giudizio arbitrale, presuppone, tuttavia, la relativa legittimazione. Questa individua la propria fonte nell’accordo compromissorio, sia esso compromesso o clausola compromissoria, la cui stipulazione implica il sorgere in capo agli stipulanti di una sorta di diritto di azione arbitrale (in senso atecnico), strumentale all’accertamento innanzi al collegio arbitrale del rapporto sostanziale oggetto dell’accordo medesimo. Da ciò discende che la nozione di parte del giudizio, sebbene abbia una propria autonoma individualità, risulta, in ogni caso, connessa alla nozione di parte intesa in termini sostanziali, conseguente all’adesione all’accordo compromissorio: sebbene si tratti di due concetti distinti è pur sempre l’adesione all’accordo, e la conseguente acquisizione della qualità di parte dello stesso, il fattore legittimante per la valida acquisizione della qualità di parte del giudizio, o meglio, l’elemento dal quale trae origine la legittimazione
a partecipare al procedimento arbitrale139. Si tratta, evidentemente, di
un corollario tratto dal fondamento negoziale dell’arbitrato stesso, la
cui instaurazione deve essere necessariamente preceduta da
un’espressa scelta in suo favore, a discapito della giustizia statuale,
manifestata dai soggetti interessati mediante l’accordo
compromissorio, appunto.
di una contumacia in senso proprio. In tal senso, anche, IZZO, Le parti nel procedimento arbitrale, in AA.VV., Arbitrato, ADR, Conciliazione, Rubino-Sammartano (diretta da), Bologna, 2009, p. 322.
139
Così, FAZZALARI, voce Arbitrato – Teoria generale e di diritto processuale civile, in
Dig.Disc. Priv., I, Torino, 1987, p. 399 ss., secondo cui la legittimazione ad agire nel processo
arbitrale va riconosciuta solo ai soggetti cui il compromesso la elargisce. In senso conforme, TARZIA, L’intervento dei terzi nell’arbitrato societario, in Riv. Dir. Proc., 2004, p.351. Contra MURONI, La pendenza del giudizio arbitrale, Torino, 2008, p. 151, ove l’A. afferma la non consequenzialità tra l’acquisizione della qualità di parte della convenzione arbitrale e la legittimazione ad agire in arbitrato.
Risulta chiaro, dunque, come la tematica dell’ambito soggettivo dell’accordo compromissorio, nel tracciare il massimo perimetro
soggettivo del giudizio arbitrale140, sia inscindibilmente connessa alla
problematica concernente l’individuazione del novero dei terzi legittimati, in quanto tali, alla fruizione della tutela preventiva contemplata all’art. 816-quinquies c.p.c..
La qualità di parte dell’accordo compromissorio involge l’insieme dei soggetti che abbiano partecipato alla manifestazione della volontà negoziale, sia nella forma del compromesso che della clausola compromissoria. A tal proposito, la dottrina civilistica distingue tra la parte in senso formale, in riferimento all’autore del contratto, ossia a colui che emette le dichiarazioni contrattuali costitutive, e la parte in senso sostanziale, intendendo come tale il titolare del rapporto contrattuale cui è direttamente imputato l’insieme degli effetti giuridici del contratto141. Dette nozioni, che si riferiscono ai due profili del contratto, quale atto e quale rapporto, generalmente coincidono in capo al medesimo soggetto. Il legislatore, tuttavia, contempla delle fattispecie normative in cui ciò non accade. La richiamata distinzione, difatti, si appalesa in tutta la sua importanza specialmente nell’ipotesi della rappresentanza diretta, che, in deroga alla concentrazione in capo ad un unico soggetto della qualità di parte formale e sostanziale, realizza una scissione tra chi manifesta la volontà negoziale ed il destinatario degli effetti di suddetta
manifestazione. Qui, il rappresentante, in virtù della procura
140
PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, Padova, 2000, p. 547.
141
Cfr. BIANCA, Diritto civile, III, Milano, 2000, p. 53; SANTORO PASSARELLI, Dottrine
conferita, agisce in nome e per conto del rappresentato, talchè la spendita del nome altrui (cd. contemplatio domini), attraverso cui è reso palese al terzo contraente l’agire per conto del rappresentato, implica il verificarsi degli effetti del negozio direttamente ed
unicamente nella sfera giuridica di quest’ultimo142. Per tale motivo,
nel concetto di parte contrattuale va ricompreso necessariamente anche il rappresentato, che, pur non essendo l’autore materiale dell’atto, partecipa ad ogni modo alla manifestazione negoziale, in forza della spendita del nome, subendo gli effetti diretti della stessa. In tal caso la disgiunzione tra legittimazione a compromettere, da un lato, e legittimazione a ricevere gli effetti dell’accordo compromissorio, dall’altro, non esclude la riconducibilità di entrambe le posizioni ad un concetto complessivo di parte del negozio che ne comprenda sia il profilo di atto, cui si riferisce la nozione di parte in senso formale, sia il profilo di rapporto, cui inerisce la nozione di parte in senso sostanziale143.
Diversa è la conclusione alla quale si perviene allorquando, nonostante la spendita del nome nella stipulazione dell’accordo compromissorio, manchi il previo conferimento del potere rappresentativo, che costituisce un elemento imprescindibile della
142
La richiamata forma di rappresentanza si distingue dalla cd. rappresentanza indiretta, in cui il rappresentante agisce per conto, ma non per nome del rappresentato. In tale fattispecie, dunque, manca la spendita del nome altrui che costituisce, invece, l’elemento chiave della rappresentanza diretta, esprimendo la capacità distintiva di quest’ultima rispetto alle altre ipotesi.
143
Si evidenzia, piuttosto, come la spendita del nome, riconducendo l’atto al soggetto che vi appare estraneo, finisce per svuotare di contenuto il ruolo del rappresentante. Così ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rituale rispetto ai terzi, Milano, 2004, p. 160. L’A., in particolare, osserva come il concetto di parte cui l’art. 1372 c.c. contrappone il concetto di terzo sembrerebbe involgere la nozione di centro di interesse o di parte soggettivamente complessa, in riferimento al rapporto che intercorre fra la parte dell’atto e l’oggetto del contratto. In tale prospettiva, il concetto di parte risulta difficilmente riconducibile al rappresentante, al quale, pur compiendo l’atto, non è in alcun modo imputabile la realtà sostanziale sottesa all’atto medesimo.
fattispecie legittimante. Quest’ipotesi riferita alla fase processuale aveva indotto taluni interpreti a sostenere la non estraneità del rappresentato al giudizio, attribuendo a questi lo status di contumace involontario, in virtù della spendita del nome effettuata dal falsus
procurator 144. Una simile soluzione non può essere accolta nella fattispecie de qua, ove la falsa rappresentanza si manifesta in uno stadio antecedente a quello processuale, ossia nella fase di stipulazione dell’accordo compromissorio: la questione deve essere,
perciò, esaminata sotto un profilo sostanziale, tenendo in
considerazione la disciplina civilistica della falsa rappresentanza nel contratto, che va interpretata nel senso di un’assoluta inefficacia del
negozio nei confronti del rappresentato145. Pertanto, l’insussistenza
della volontà compromissoria in capo a quest’ultimo e la conseguente insussistenza della legittimazione a compromettere in capo al presunto rappresentante non consentono alla spendita del nome di assumere quel valore costitutivo che, negli altri casi, permette di considerare il rappresentato quale parte dell’accordo arbitrale e del relativo procedimento. In detta peculiare fattispecie, dunque, non si verifica alcuno sdoppiamento tra le nozioni di parte formale e parte sostanziale, che convergono entrambe in capo al falsus procurator. Questi, unitamente all’altro contraente ed al terzo rappresentato, non subirà alcuno degli effetti discendenti dal contratto, la cui generale inefficacia discenderebbe, secondo la ricostruzione che gli interpeti
144
Così SASSANI, L’opposizione di terzo al lodo arbitrale, in Riv. Arb. , 2/1995, p. 202.
145
L’imputazione degli effetti del negozio direttamente in capo al rappresentato discende dal potere di rappresentanza dello stipulante. Ove tale potere non sussista il negozio rimane come tale estraneo alla sfera giuridica del rappresentato, così BIANCA, Diritto civile, III, Milano, 2000, p. 108
offrono del contratto concluso da falsus procurator146, dal fatto che il
rappresentante non abbia agito in nome proprio bensì in nome
altrui147. Resta, comunque, salva, come contemplato dalla generale
disciplina dei contratti, la possibilità di ratifica dell’accordo
compromissorio stipulato dal falsus procurator148, in forza della quale
il rappresentato conferisce efficacia a suddetto negozio, accettandone gli effetti nella propria sfera giuridica e sanando, in tal modo, l’originario difetto di legittimazione del rappresentante.
Da quanto detto si discosta, naturalmente, il caso in cui la falsa rappresentanza si manifesti esclusivamente nella fase del processo
arbitrale, laddove il rappresentato sia stato, invece, valido
compromittente. Qui, la volontà di devolvere la controversia in arbitri è stata manifestata regolarmente, pertanto il difetto di legittimazione non attiene alla stipulazione dell’accordo, bensì all’instaurazione del giudizio. Talchè il falso rappresentato, in detta fattispecie, sarà parte dell’accordo pur risultando terzo rispetto al giudizio arbitrale, a meno che non si voglia accogliere quella soluzione prospettata da alcuni interpreti, secondo la quale, come evidenziato in precedenza, la spendita del nome escluderebbe l’estraneità del falso rappresentato al
146
Cfr. BIANCA, Diritto civile, III, Milano, 2000, p. 108, ove si evidenzia che nella fattispecie esaminata il negozio è inefficace sia nei confronti del rappresentante, in quanto si tratta di un atto compiuto nel nome del rappresentato, sia nei riguardi del terzo contraente, nei cui confronti non si producono né effetti reali né obbligatori, poiché detti effetti presuppongono l’operatività del contratto nei confronti del rappresentato.
147
Il rischio della falsa rappresentanza ricade, dunque, sul terzo, in quanto il presunto rappresentato non può sottostare, come già etto, agli effetti giuridici di un negozio cui è estraneo. La dottrina prevalente sostiene, a tal proposito, il configurarsi di un obbligo risarcitorio in capo al
falsus procurator nei confronti del contraente per i danni che questi ha sofferto per avere confidato
senza sua colpa nell’efficacia dell’atto. In tal senso BIANCA, Diritto civile, III, Milano, 2000, p. 108, in part. 115.
148
REDENTI, voce Compromesso, in Nov. Dig.It., Torino, 1959, p. 796, che esclude la possibilità di ratifica a seguito dell’emanazione del lodo da parte del collegio arbitrale.
giudizio, rispetto al quale questi avrebbe, comunque, la qualità di
parte in veste di contumace involontario149.
Alle medesime conclusioni si perviene anche nella diversa ipotesi della cd. rappresentanza indiretta, in cui il rappresentante agisce per conto, ma non per nome del rappresentato. In tale fattispecie, la mancata spendita del nome altrui, comportando il realizzarsi degli effetti del negozio nella sfera giuridica del rappresentante, rende necessario il compimento di un’ulteriore attività a seguito della quale tali effetti possano riversarsi definitivamente in capo al rappresentato. In questo caso, dunque, non si verifica alcuno sdoppiamento tra parte formale e parte sostanziale, in ragione del fatto che il rappresentato non assume la veste di parte dell’accordo compromissorio, né nell’uno, né nell’altro senso, risultando estraneo allo stesso ed alla relativa fase funzionale150.
Quanto detto consente di individuare, in linee generali, l’ambito soggettivo dell’accordo compromissorio, i cui confini non sono, tuttavia, immutabili, potendo subire nel tempo delle variazioni di carattere estensivo. La conferma di tale assunto è rintracciabile nella cd. apertura del contratto di cui all’art. 1332 c.c. Il contratto aperto, così come tradizionalmente inteso, è, infatti, una fattispecie negoziale già perfezionata dai contraenti originari, che contempla, mediante la clausola di adesione, la possibilità di un successivo ingresso di altri soggetti nel rapporto contrattuale, acquistandone la qualità di parti, senza che sia, in tale sede, necessaria la reiterazione del consenso dei
149
SASSANI, L’opposizione di terzo al lodo arbitrale, in Riv. Arb. , 2/1995, p. 202.
150
In riferimento a detta fattispecie acquista rilievo la diversa tematica concernente l’efficacia della convenzione arbitrale rispetto a soggetti estranei alla stessa. Per un’approfondita analisi sulla questione si veda : ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rituale rispetto ai