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INTERVISTA AD ANGELO STANO Maddalena Maggiore

Nel documento Le tracce dell'arte nel fumetto italiano (pagine 124-128)

Angelo Stano

La tua predilezione per il linguaggio di Egon Schiele è ampiamente dichiarata: nel corso del tuo operato ti sei ispirato ad alcune opere particolari?

Non tanto ad alcune opere precise, quanto all’intero corpus della sua opera. Mi ricordo che, mentre frequentavo il liceo artistico, mio fratello aveva comprato l’Enciclopedia dell’Arte Moderna della Fabbri Editore: 24 volumi belli grossi… l’avevo a lungo sfogliata e, guardando le pagine legate a quel periodo storico, vi avevo trovato moltissime illustrazioni inerenti alla figura di Klimt; più in là, in parte, ve ne erano alcune anche di questo talentuosissimo allievo e pensai “caspita, questo qui mi piace moltissimo” … L’ho lasciato lì, a sedimentare nella memoria e, con l’arrivo degli anni ottanta, cominciarono a circolare alcune mostre sull’autore, soprattutto una a New York… la sua modernità veniva riscoperta in quel periodo… e da allora è stato amore.

In Storia di Nessuno è particolarmente evidente questa componente…

Sì, il Signor Nessuno è un omaggio al ritratto di Karl Zakovsek: aveva la faccia giusta per quel personaggio; però, in generale, è uno stile a corrispondermi, asciutto, duro, secco, mai compiacente, con una sintesi perfetta anche per il fumetto… Schiele non credo avrebbe voluto, ma se avesse fatto dei fumetti, li avrebbe fatti in una maniera egregia, proprio perché dai suoi disegni, dagli acquerelli, si capisce subito che aveva la capacità di individuare gli elementi cardine dell’immagine, della rappresentazione… Perché mi interessava più di altri? Perché io non amo il fumetto troppo concessivo al gusto estetico, all’elemento superficiale… invece Schiele usava un disegno che cercava sempre in profondità il carattere e l’anima dei personaggi che rappresentava: a me interessava questo, interessa questo, perché per la serie di Dylan Dog era fondamentale l’indagine dei personaggi, individuare le loro nevrosi, le malattie…

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In merito alla tua formazione, questa ti ha portato a produrre delle copie d’artista che hanno poi influenzato il tuo lavoro? Ci sono altri artisti importanti nel tuo immaginario?

Dunque, al liceo artistico spesso l’arte contemporanea era lasciata indietro per via delle tempistiche di esecuzione dei programmi, quindi tutto quello che so in quest’ambito è stato appreso attraverso mostre e letture private. Da ragazzo guardavo soprattutto strisce e vignette fumettistiche, così, attraverso Pratt, altro grande maestro per il mio lavoro, ho scoperto Toulouse-Lautrec, ... devi sapere che il fumetto, come linguaggio grafico, si è ispirato in parte a quelli che erano gli influssi dell’arte orientale, gli illustratori giapponesi ottocenteschi, con quella linea di contorno pulita, campiture piatte e, non a caso Lautrec, le guardava con attenzione; lo stesso vale per Beardsley in Inghilterra… i grandi pittori ed incisori di quel tempo hanno fatto loro questo tipo di rappresentazione, aggiungendoci quel tanto di cultura europea che bastava per renderla vicino a noi occidentali…

Da chi prendi ispirazione per i tuoi personaggi?

La sceneggiatura ti dà il punto di partenza: descrive come sono messi i personaggi, come si svolgono i dialoghi, qual è il contesto… da lì, per prima cosa, cerco di immaginarmi come dovrebbero muoversi nella storia, svolgendo il ruolo di interprete … il primo impulso te lo dà, per l’appunto, la sceneggiatura, poi, però, quando metti in scena, devi decidere come vestirli, cosa mettere negli ambienti… devi prendere un po’ qui e un po’ lì: significa documentarsi, prendere qualcosa dal reale e trasporlo. Non a caso, uno degli elementi importanti di questo mestiere è l’archivio: tutti i disegnatori hanno un archivio di fotografie, disegni a cui attingere qualora servano dei riferimenti precisi…

Ciò che è importante è essere sempre attendibili: quando tu rappresenti uno scenario deve essere credibile; se rappresenti una figura che si muove in un certo modo, quel modo deve poter essere interpretato correttamente dal lettore… ecco, la cosa principale per me è curare l’espressività dei personaggi che creo… quindi l’attendibilità e, poi, l’empatia, un elemento che mi ricollega ad Egon Schiele, soprattutto in fumetti come Dylan Dog, dove il malessere generale della società di oggi è uno dei temi cardine. Schiele era uno che indagava i suoi modelli: ricordiamoci che quella era anche l’epoca di Freud; usava il disegno come un bisturi, scavava dentro: è questo che mi ha impressionato molto. Nonostante la distanza temporale, egli viveva l’importanza dell’interiorità e, oggi, si sta

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cercando di tornare un po’ ad essa. Dylan richiedeva una tecnica particolare per poter penetrare l’anima del personaggio e Schiele era lì, con la sua poetica… Soprattutto nelle prime storie che ho disegnato c’era un aspetto drammatico molto forte, per cui i disegni si sono adeguati, con figure esasperate nella loro forma, campiture dove il nero la fa da padrone: anche qui, la tecnica del pittore austriaco si prestava particolarmente per i passaggi chiaroscurali, la cosiddetta “pennellata a secco”, cioè sulla carta un po’ ruvida o semiruvida, con della tempera, non troppo umida. Ovviamente, questo è solo un elemento, perché ciò che conta è lo stile di rappresentazione nel contorno, molto pulito, essenziale, efficace, che tende ad esprimere una forma il più possibile esasperata, gotica… Poi, in questa tavola, vedi alcuni elementi di Pratt, Dino Battaglia… Moebius mi ha influenzato meno, solo in una fase più giovanile, quando lavoravo per il Corrier Boy, una rivista del corriere della sera: lì si facevano storie brevi ed era il periodo in cui la sua tecnica e le sue linee spopolavano.

Io appartengo ad una generazione in cui le scuole del fumetto non c’erano, quindi l’unica bottega era guardare quelli che ti piacevano: io leggevo il Corriere dei piccoli, con Pratt, Battaglia, Toppi, Di Gennaro… tutti autori che mi facevano impazzire: mi sono copiato tutta l’Isola del Tesoro di Pratt! E mentre leggevo le loro storie, mi soffermavo anche sui libri di arte, dicevo: “ma qui c’è Toulouse Lautrec, Vincent Van Gogh, non esistono solo i fumetti: si può guardare a qualcos’altro!”.

Su che basi avviene la scelta del colore? Anch’essa subisce un’influenza di tipo storico- artistico?

La scelta del colore avviene in base a quello che è già suggerito sulla sceneggiatura, o nelle indicazioni per la copertina; in alcuni casi, è a discrezione del colorista. Certamente è un elemento espressivo come il disegno, quindi non va usato in senso didascalico, …

Che genere di storie preferisci rappresentare?

Mi interessa molto il tema dell’esistenzialismo, quindi le narrazioni tipo Storia di

Nessuno, sono i racconti che mi calzano a pennello, dove i personaggi mi danno

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Ti ritrovi nel personaggio di Dylan Dog?

Certamente c’è una parte di me nel suo personaggio, come in tutti quelli che rappresento, quel lato del mio carattere che rispecchia il suo: in Dylan ritrovo soprattutto un animo riflessivo, che ha problemi, come tutti del resto, e un’inevitabile gestualità; però è difficile che io possa immedesimarmi completamente… Probabilmente, se dovessi appartenere al mondo della vignetta, mi rivedrei in Corto Maltese… Comunque, per tornare a noi, direi che io sono tutti i personaggi che disegno e nessuno di questi.

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INTERVISTA A GIAMPIERO CASERTANO

Nel documento Le tracce dell'arte nel fumetto italiano (pagine 124-128)