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Capitolo 4. Case study: esperienze e incontri di culture

4.4 Raccolta dati e informazioni

4.4.1 Intervista all’operatore dell’Ente autorizzato

I: intervistatrice

R: referente Ai.Bi. desk Cina, C. L.

I: Che cosa rappresenta l’adozione internazionale e quando l’adozione ha successo? R: Innanzitutto credo si debba parlare in generale di adozione, senza fare distinzioni, e

l’adozione secondo me è una chance in più, a maggior ragione per chi non ha potuto giocarsi la prima chance. E’ difficile dare una definizione senza usare parole già utilizzate, ma molto semplicemente l’adozione è dare la possibilità di una nuova vita. L’ho visto tutte le volte che sono entrata in un istituto, e non solo in istituti dove ci sono bambini piccoli ma anche in quelli con bambini già grandi. Anche un quattordicenne vorrebbe una famiglia perché, nonostante forse non l’abbia mai provato, sa che l’amore di quella famiglia sarebbe speciale. Sebbene negli istituti ci siano tate, zie, o “mamme sostitute” che vogliono bene ai bambini che accudiscono, non è la stessa cosa e loro forse inconsciamente lo sanno. L’adozione internazionale dovrebbe essere veramente l’ultima chance per un bambino residente nel proprio Paese di origine, e per fortuna in questi anni in tanti Paesi comincia ad essere davvero l’ultima soluzione, mentre sempre di più si sta sviluppando l’adozione nazionale, l’affido, la cultura dell’accoglienza. Anche in Cina l’adozione nazionale comincia a prendere piede, e inoltre, con la “fine” della legge sul figlio unico, molte più famiglie cinesi riescono a permettersi di avere un secondo o un terzo figlio. I cittadini cinesi sono anche diventati più comprensivi nei confronti dei problemi sanitari dei loro figli, che non devono essere visti come un motivo per abbandonarli alle cure di altre persone, ma bisogna capire che una piccola cardiopatia o la labiopalatoschisi sono problemi facilmente risolvibili con le cure adatte. La stessa cosa vale per la differenza tra femmine e maschi, è ancora molto sentita, ma per fortuna non più come lo era una volta, quando le bambine venivano abbandonate di default in Cina o venivano effettuati scambi tra famiglie contadine, pratica forse ancora usata nelle zone rurali.

L’adozione funziona quando “ci si adotta tutti”: non sono soltanto la mamma e il papà che adottano il bambino, ma è anche, anzi soprattutto il bambino che adotta i genitori. Quando c’è l’adozione da parte di tutti, anche dei fratelli, della famiglia allargata ecc., allora l’adozione ha successo.

I: Come si rapportano le coppie all’abbinamento con la Cina come Paese di destinazione? Cosa li spinge a dare o meno la disponibilità all’adozione in Cina?

R: L’associazione non fa scegliere alla coppia il Paese di provenienza del bambino, ovvero la coppia viene ascoltata, per capire quali sono le loro preferenze, i loro sogni, ma anche l’attitudine al conoscere una cultura, una lingua diverse può aiutare ad orientare la coppia verso un Paese piuttosto che un altro. Ovviamente poi i loro desideri si devono per forza intersecare con le disponibilità e le caratteristiche oggettive della coppia e, dall’altra parte, con le richieste del Paese. La Cina era, perché adesso le adozioni vanno molto più a rilento, un Paese che la coppia sceglie per l’età dei bambini: sono piccoli, hanno due anni o anche meno, quindi, ad esempio, una coppia che viene da una storia di infertilità, che magari deve ancora superare quel desiderio di neonato biologico che un giorno sarebbe arrivato, così lo può ancora sperimentare. Perciò preferiscono che il bambino abbia qualche piccolo problema o mancanza da risolvere, affrontare una serie di cure mediche che a volte non sono nemmeno così semplici, ma che sia piccolo, così hanno tutto il tempo davanti, non solo per sistemare i “tasselli mancanti del puzzle”, ma anche per viversi tutta la famiglia fin dall’inizio. Un altro motivo per cui la coppia potrebbe scegliere la Cina come Paese di provenienza è che tutto è molto ben organizzato, il procedimento non va quasi mai fuori dal sentiero previsto. Il viaggio dura tre settimane, che è poco rispetto ad altri Paesi come il Sud America che richiede almeno 45 giorni, e magari per molti è impegnativo stare via a lungo, anche per motivi di lavoro. Le uniche lamentele al loro ritorno, quando devono compilare il questionario, riguardano dettagli di poco conto come il cibo o cose del genere. Un ulteriore elemento da non sottovalutare è la presenza, quando ancora c’era il canale One-to-One, della pediatra italiana che si occupa delle visite mediche dei bambini.

La coppia riceve la scheda medica cinese del bambino, ma anche il parere di una dottoressa italiana che vive lì da anni e che, nonostante non abbia a disposizione tutti gli strumenti per poter visitare il bambino come qui in Italia, rappresenta una grande sicurezza per le famiglie.

I: Come vengono gestite le relazioni con la parte cinese durante le tappe adottive che si svolgono in Cina?

R: Ai.Bi. si avvale della presenza di operatori dell’Ente in loco, ovvero volontari espatriati che curano i contatti con la parte cinese e fanno da intermediari tra le famiglie e gli altri soggetti coinvolti nella procedura adottiva per tutte le attività previste. Oltre alla pediatra italiana, ci sono il rappresentante di Ai.Bi. nel Paese straniero e altri collaboratori locali, come la responsabile del progetto One-to-One, che oggi è la rappresentante Ayi (阿姨), figura fondamentale in Cina perché è cinese e per quanto gli altri parlino bene la lingua, per gli occidentali è comunque difficile rapportarsi con il personale degli istituti, le autorità e altri attori istituzionali.

I: Quali sono e come funzionano i principali canali per l’abbinamento in Cina?

R: Fino a poco tempo fa era ancora attivo il progetto One-to-One, attraverso il quale Ai.Bi. ha stabilito una partnership con l’Istituto del Benessere Sociale della città di Xi’an, che permette all’Ente di collaborare direttamente all’interno della struttura d’accoglienza, creando così un canale privilegiato con l’Istituto. Si tratta in breve di una Casa di accoglienza che si prende cura di minori disabili grazie a personale esperto. Il progetto però è stato chiuso e ora il CCCWA comunica con tutte le agenzie estere accreditate attraverso un portale: ogni agenzia ha accesso al portale in cui vede i bambini adottabili, carica i dossier delle coppie da spedire, i documenti post-adozione, tutti i tipi di comunicazione con l’Autorità centrale avvengono tramite questo strumento. Il CCCWA da sempre aggiorna mensilmente il portale con nuovi casi di bambini, alcuni più facilmente adottabili di altri. Prima dei One-to-One l’abbinamento avveniva di notte, io le chiamavo “notti gialle”, perché il portale veniva aggiornato alle otto del mattino orario cinese. Poi per fortuna sono arrivati i progetti

One-to-One col canale privilegiato, che però sono stati da poco aboliti in tutto il mondo e quindi si ritorna ad usare il portale. E’ anche vero che, se l’associazione ha sempre lavorato bene con un determinato istituto attraverso il progetto One-to-One, i rapporti non vengono troncati dall’oggi al domani, comunque si mantiene un rapporto privilegiato. Perciò l’Istituto di Xi’An, dall’entrata in vigore del nuovo metodo (1 gennaio 2018), ha continuato ad usare il canale privilegiato perché molte procedure e abbinamenti iniziati prima erano ancora in corso e legati al One-to-One. Ma d’ora in poi sta all’Istituto segnalare all’associazione quei bimbi non facilissimi da adottare, ma per i quali noi possiamo trovare una famiglia. Se si trova una famiglia per l’abbinamento con questi bambini, il CCCWA non è contraria ad inserire le loro schede nella lista individuale dell’associazione. Nel portale infatti c’è una lista pubblica visibile a tutti, e una lista individuale per ogni agenzia, all’interno della quale sono segnalati dei bambini che solo quell’agenzia può vedere, per un certo periodo di tempo.

A.i.B.i ha firmato un One-to-One anche con un istituto di Guangzhou circa quattro anni fa, con il quale però non si è conclusa nessuna adozione. Era difficoltoso perché i rappresentati dell’Istituto, ma anche i direttori stessi della Provincia, parlavano solo il dialetto locale. Ma non era questo l’unico motivo per cui non ci sono stati buono risultati. Ad esempio, loro non hanno mai mandato liste o segnalazioni, e gli istituti erano in condizioni pessime, con dei bambini in situazioni gravissime, ai quali molto spesso, in casi come questo, è negata la possibilità di essere adottati. I genitori italiani hanno un certo profilo: le coppie arrivano all’adozione internazionale con il solo e unico desiderio di diventare famiglia o di allargarla. Diversamente invece accade in America, dove ci sono tantissime famiglie che scelgono l’adozione per una questione quasi religiosa, che adottano bambini con problemi gravissimi. Si tratta soprattutto di gruppi di cristiani evangelici che hanno una comunità allargata, con qualcuno che li aiuta economicamente, logisticamente, in tutti i modi, per dare la possibilità a questi bambini di migliorare le loro condizioni di vita. Per questo aprire quel tipo di canale anche in istituti come quello di Guangzhou può dare la possibilità anche a quei bambini di trovare una famiglia, anche se dalla nostra esperienza è emerso che loro in primis non si sono resi collaborativi.

I: Come si rapportano le coppie ai requisiti previsti dal regolamento cinese per l’adozione internazionale?

R: Inizialmente era un pò più complicato perché i requisiti erano molto restrittivi. Adesso, col fatto che hanno allargato le maglie, sono pochi gli aspiranti all’adozione che non riescono ad inserirsi in questi requisiti. Anche la situazione dei bambini è cambiata. Una volta, quando i requisiti erano più rigidi, le autorità correggevano il “tiro” per i bambini più bisognosi o con situazioni più gravi, quindi se c’era una famiglia che non rispettava perfettamente i requisiti, ma che si rendeva disponibile a tale adozione, quelle mancanze venivano un pò messe da parte. Adesso il profilo dei bambini sta cambiando e la situazione riguardo ai requisiti sta diventando sempre di più com’era per i bimbi “speciali”, non c’è più tutta questa enfasi sulle caratteristiche delle coppie e anche i requisiti sono diventati meno rigidi per favorire le adozioni, se le normative penalizzano i bambini delle “liste speciali”.

I: Nella prima fase di avvicinamento all’adozione e precedente all’abbinamento con il Paese di origine, le coppie hanno preconcetti o pregiudizi riguardo la Cina o la cultura orientale in generale? Se ce ne sono, come cambiano poi le opinioni durante il percorso adottivo?

R: No, non capita spesso. Forse a volte può succedere che i genitori pensino di dover crescere il loro figlio trasmettendogli la propria cultura e lasciando indietro quella delle sue origini cinesi, ma sono casi rari. Si consiglia sempre alle famiglie di mantenere il contatto con le radici del bambino e di farle diventare parte della famiglia.

I: La parte cinese invece ha qualche opinione in particolare sulle famiglie adottive italiane?

R: No, nessuna in particolare.

I: Quali sono le principali difficoltà che incontrate con le istituzioni cinesi con cui vi relazionate? L’ambiente, gli operatori sociali e giuridici in Cina, come influenzano il percorso di adozione?

R: La difficoltà maggiore è quella della comunicazione trasparente, nel senso che i cinesi, per loro cultura, non sono mai quelli che dicono di no. Ad esempio, una risposta affermativa ad una domanda a volte può avere un “no” come sottotitolo, e questo può dare problemi. Oppure sono poco predisposti ad ascoltare consigli, tendono ad imporre i loro metodi a cui noi dobbiamo adeguarci, perché loro hanno il coltello dalla parte del manico. Ma in realtà non ci sono mai state grandi problematiche, abbiamo sempre intessuto rapporti anche amicali con la parte cinese. I: Come si svolgono i contatti con i servizi che accompagnano la coppia al rientro in

Italia e le relazioni post-adozione con la Cina?

R: L’associazione continua a seguire la famiglia per analizzare l’andamento del primo inserimento del minore nella nuova realtà e per la stesura delle relazioni post- adozione richieste dall’autorità cinese. Le relazioni post-adozione, accompagnate da foto di famiglia e altra documentazione, si protraggono per cinque anni: la prima è richiesta dopo sei mesi, la seconda dopo un anno e le restanti una volta all’anno. Ma anche sotto questo aspetto non sono così fiscali. Basti pensare ad esempio a Paesi come la Russia, che se non ricevono le relazioni post-adozione con assoluta precisione e puntualità entro le scadenze prefissate, l’ente rischia l’accreditamento sul Paese, in Cina questo non avviene.

I: L’incontro con la cultura diversa: rispetto a questa realtà socio-culturale, ci sono degli aspetti che maggiormente influenzano il percorso adottivo? (es. l’aspetto linguistico, barriere culturali ecc.)

R: La maggior parte delle famiglie, quando vanno in Cina per l’incontro con il loro futuro figlio, ovviamente non imparano la lingua, ma comunque si tratta quasi sempre di bambini piccoli, per i quali quindi non sussistono barriere culturali. Nel caso di adozioni di bambini grandi, invece, la parte del leone la fanno prevalentemente i bambini stessi, perché hanno uno spirito di sopravvivenza tale che li aiuta ad imparare l’italiano in pochissimo tempo, già dopo la prima settimana in provincia,

quando arrivano a Pechino e cominciano a convivere con i loro futuri genitori, sanno parlare qualche parolina, e al rientro in Italia sono loro che si adeguano alla cultura italiana. Va anche detto che la maggior parte delle famiglie ci tiene che i loro figli mantengano le loro radici cinesi facendole diventare al tempo stesso parte di tutta la famiglia, fanno diventare familiare quella realtà diversa di cui è portatore il bambino adottato. La famiglia è italiana, ma anche un pò cinese.

I: Quali sono gli aspetti fondamentali che gli operatori dell’ente devono valutare per aiutare le coppie nel processo di integrazione del bambino adottato? Che tipo di strumenti possono essere offerti nell’ambiente di accoglienza del bambino?

R: Una cosa che l’associazione dice spesso alle coppie è innanzitutto quella di non eliminare il nome cinese, perché il nome è l’unico pezzettino delle loro origini che si portano dietro. E’ anche vero che, rispetto a tanti altri Paesi, la Cina è la prima ad “adeguarsi” alla cultura occidentale, ad esempio, quando i cinesi vengono in Italia si danno un nome italiano, perché sanno che i loro nomi in Occidente sono difficili da pronunciare. Quindi si consiglia alle famiglie di mantenere il nome cinese del bambino e, se vogliono, di aggiungere il nome italiano. Per il resto, avendo la maggior parte dei bambini due anni di età, l’integrazione nel nuovo ambiente non è così complicata. Ci sono ovviamente i problemi di integrazione che ormai notiamo tutti i giorni vivendo in una società che sta diventando sempre più multiculturale e multietnica. Pertanto i bambini adottati cinesi avranno gli stessi problemi di integrazione che possono avere tutti i bambini “diversi” (nel senso buono del termine), non solo perché cinesi ma perché hanno la labiopalatoschisi e hanno difficoltà nel parlare, come potrebbe essere lo stesso per un bambino italiano con lo stesso tipo di problema. Inoltre, dipende anche dalla realtà in cui vive la famiglia di accoglienza, se l’ambiente che lo circonda è quello di una grande città come può essere Milano, che è già molto internazionale, o se invece sono piccole realtà di Paese, insomma ci sono molti fattori in gioco. Infine, secondo me, il tutto sta nel modo in cui i genitori affrontano la questione: se vivono l’adozione con quella “leggerezza”, che non è superficialità, che gli fa vivere tutto con normalità, allora di riflesso qualsiasi cosa viene vissuta anche

dal bambino con questa leggerezza, che al tempo stesso si trasmette agli altri intorno a lui. Questo dovrebbe essere l’obiettivo di tutti.

Per quanto riguarda invece l’integrazione nel contesto più specifico della scuola, laddove ci siano altri bambini di origine cinese in classe, se appartenenti a famiglie cinesi espatriate in Italia rimane comunque un certo distacco, mentre se sono anch’essi adottati da famiglie italiane, capita spesso che si creino legami forti fra di loro. Questo può capitare da una parte perché le comunità cinesi in sé e per sé non sono molto aperte e difficilmente riescono ad integrarsi completamente nella comunità italiana. Dall’altra, il bambino cinese adottato non è più solo cinese, ormai si sente italiano, la lingua ad esempio già non gli appartiene più, trovandosi in una famiglia tutta italiana. Magari all’inizio ci può essere il fattore della curiosità nei confronti degli altri bambini cinesi, data dalle somiglianze somatiche. Bisogna anche dire che le famiglie adottive hanno una sorta di bisogno di fare gruppo fra di loro e creare legami tra i loro figli adottati, avendo vissuto il percorso adottivo insieme e condiviso le stesse esperienze, il viaggio in Cina e tutto il resto. Si instaurano inevitabilmente rapporti di amicizia tra famiglie quando si condivide l’esperienza più importante della propria vita. L’adozione ovviamente porta con sé alcune problematiche che non ci sono nella maternità biologica. Ma questo comunque, dal mio punto di vista, non dovrebbe diventare uno strumento per dare la “colpa” all’adozione per i vari problemi di integrazione o altri tipi di difficoltà che anche i figli naturali potrebbero benissimo avere. L’adozione non può essere la scusa per giustificare tutto, soprattuto quando si parla di adozioni di bambini molto piccoli, che quando arrivano ad essere grandi ormai dell’adozione non c’è quasi più traccia, se non quel vuoto iniziale che manca, ma quello è un vuoto incolmabile. Lo si può accompagnare, cercare di curare, ma non si può colmare e lega tutti i figli adottivi, ad eccezione forse solamente dei bambini che non sono stati abbandonati ma sono rimasti orfani, trauma che nessuno può portare via dal bambino. I genitori hanno il compito di aiutarli a conviverci nella consapevolezza certamente che quel “pezzo” non tornerà mai indietro.

I: Con quali modalità si aiutano le coppie a prepararsi all’arrivo di un bambino con bisogni speciali (special needs), o di un bambino grande (considerato anch’esso uno special need)? Come si approcciano i genitori a questo aspetto?

R: In questi casi la preparazione delle coppie è un pò più articolata. La prima regola fondamentale è conoscere: innanzitutto gli aspiranti genitori adottivi devono conoscere le patologie che il loro futuro figlio può avere, perché già conoscendole possono capire se rendersi disponibili o meno a questo tipo di impegno (le disponibilità devono essere il più reali possibile, e non ampliate solo per accorciare i tempi). E’ necessario quindi che le coppie frequentino corsi sui bisogni sanitari, parlino e si confrontino con pediatri che se ne intendano di adozione, aspetto importantissimo perché determinate patologie di un bambino che è nato in Italia sono diverse dalle stesse patologie di cui è portatore un bambino adottato (anche semplicemente la labiopalatoschisi, che è una delle patologie più frequenti, in Italia viene operata in tempi minimi, mentre in Cina non è cosi, per mancanza di risorse, mezzi ecc., pertanto porta con sé delle difficoltà in più e si deve essere preparati a questo). Ma possono capitare casi in cui la situazione è ribaltata, cioè la coppia si prepara alla patologia ma arriva al punto di aspettare con preoccupazione solo di scoprire quale sarà la patologia da cui è affetto il bambino, e non più il bambino stesso, spostando tutta l’attenzione sul problema sanitario e togliendo centralità al figlio che stanno per avere. Tant’è vero che, prima si usava una specie di check-list con l’elenco delle patologie, che la coppia doveva compilare (lo fanno anche altri enti e il tribunale stesso). Tuttavia, constatato che i questionari fossero inutili al fine di verificare le reali disponibilità dei genitori perché tornavano indietro vuoti, un giorno

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