Basandosi sulla disponibilità di costituire una risorsa di sostegno per i propri connazionali da parte di famiglie d’immigrati, reclutate attraverso le proprie comunità di appartenenza o gruppi d
INTERVISTA MLC F.A.
DOMANDE A RISPOSTA MULTIPLA Quante volte torna nel Paese d’origine?
- Più di una volta al mese - Una volta al mese
- Meno di una volta al mese - Più di una volta all’anno - Una volta all’anno
- Meno di una volta all’anno - Mai
Pensa di ritornare a vivere nel Paese d’origine? - Si
- No - Forse - Non lo so
Come si trova nella società italiana con i suoi pari autoctoni? - Integrato
- Mi sento alla pari - Discriminato
120 - Non saprei rispondere
Quanto frequenta la sua comunità d’origine qua in Italia? - Spesso
- Qualche volta - Raramente - Mai
Quali ritiene siano i valori principali che sottendono alla mediazione culturale? - Promuovere l’integrazione degli stranieri;
- Promuovere il dialogo tra le diverse culture;
- Promuovere la partecipazione di cittadini stranieri nella vita pubblica; - Altro (indicare altro):
Intervistatrice: Allora mi può raccontare come è iniziata la sua esperienza come mediatrice culturale? E da quanto fa questo lavoro?
F.A.:Allora la mia esperienza è iniziata dal 2003, quando ho fatto il Master in “Mediazione Linguistica- Culturale”, allora da lì ho iniziato a fare la professione di mediatrice culturale.
Intervistatrice: Perché ha deciso di fare questo Master?
F.A.: Perché quando sono arrivata in Italia volevo continuare a studiare e visto che il riconoscimento della mia laurea non ero riuscita a fare, dovevo fare altre cose, allora ho trovato questa possibilità dopo laurea triennale, quindi sono riuscita a fare il Master.
Intervistatrice: In Marocco cosa avevi studiato?
F.A.: In Marocco ho studiato “Scienza e Tecnica dell’Acqua”, tutto quel che riguarda l’acqua, biologia, chimica, trattamento delle acque, ambiente, tutto.
Intervistatrice: Allora volevo chiederle se ha qualche ruolo di rappresentanza nella sua comunità d’origine qua in Italia? Cosa fa in particolare?
F.A.: Allora prima sono stato membro del Consiglio della Comunità Musulmana qua a Verona e ora sono responsabile dei giovani musulmani. Anche insegno la lingua araba per i bambini che non parlano l’arabo. Intervistatrice: L’altra domanda è se mi può raccontare dei casi, mi par di aver capito che te lavori di più con gli ospedali, ma lavori anche con i Servizi Sociali. Allora se mi può raccontare dei casi sociali, nel Servizio Sociale in cui sei stata maggiormente chiamata per fare la mediatrice e insomma se puoi raccontare un po’ che cosa hai fatto che ruolo hai svolto?
121 Intervistatrice: Se mi puoi raccontare un caso in cui l’assistente sociale ti ha chiamata per fare la mediatrice culturale diciamo e quindi insomma un po’ cosa hai fatto, cosa ti hanno chiamata a fare?
F.A.: Si, si, allora, questo è recente perché quelli di tanto tempo non ricordo più, questo è stato con i Servizi Sociali di Verona, c’era un caso un po’ complicato di una donna che è divorziata dal marito e ha una bambina, che proprio questa bambina era ancora affidata ai Servizi Sociali, quindi io sono andata per far comprendere tante cose di lei, della cultura.
Intervistatrice: Quindi sei andata a spiegare la cultura? F.A.: Si, si.
Intervistatrice: Quindi tu svolgi di più questa funzione di mediatrice culturale dove? In quale servizi? F.A.: In ospedale.
Intervistatrice: In che ruolo?
F.A.: Come interprete e qualche volta per mediare, ma di più come interprete. Intervistatrice: Invece nei Servizi Sociali di più, come …?
F.A.: Anche nei Servizi Sociali qualche volta mediare, qualche volta … dipende. Di solito interprete per chi non parla la lingua e in qualche caso per spiegare, mediare tra le due culture.
Intervistatrice: Allora cosa intende lei per mediazione culturale? Quando lei parla di mediazione culturale cosa pensa?
F.A.: Si, quello importante è che sta in mezzo a due culture, due mondi, fare dei ponti per questi mondi. Io ho vissuto la migrazione, quindi so come fare in qualche modo mediazione culturale si io qua in Italia per le donne del mio Paese, fra due mondi, due culture, due lingue.
Intervistatrice: Mi può spiegare come normalmente si configura il rapporto tra lei e un’assistente sociale? È un rapporto in cui l’assistente sociale chiama il mediatore quando è già iniziato il caso, oppure quando non capisce qualcosa, cioè quando vieni chiamata, vieni chiamata perché? Cioè quale il tuo rapporto con l’assistente sociale?
F.A.: Dipende dalle esigenze degli assistenti sociali, cosa vogliono loro. Intervistatrice: Prima con l’assistente sociale valuti il caso?
F.A.: Si, mi raccontano tutto tutto e vediamo cosa vogliono per studiare il caso e vedi sempre le esigenze degli operatori, assistenti sociali cosa vogliono.
Intervistatrice: Quindi poi decidete anche cosa fare?
F.A.: Si, sempre con la programmazione delle esigenze, cosa vogliono, cosa … . Quindi bisogna condividere il caso prima di iniziare con gli utenti.
Intervistatrice: Secondo lei come possono lavorare bene il mediatore culturale e l’assistente sociale? Cioè in modo in cui due professioni si incontrano per arrivare ad una soluzione migliore, e quindi secondo lei queste due professioni possono lavorare assieme oppure ci sono delle difficoltà?
122 F.A.: Allora possono lavorare insieme, quando mi danno le informazioni e io do le informazioni sulla mia cultura, allora quando scambiamo le informazioni allora lavoriamo bene, quando invece il mediatore non sa niente dell’utente allora …, non solo con i Servizi Sociali, ma anche con la scuola.
Intervistatrice: Che funzione ha svolto nel progetto “affido omoculturale”? Cioè cosa è stata chiamata a fare in questo progetto degli affidi, cosa ha fatto?
F.A.: Allora come mediatrice ma anche come referente della comunità, perché abbiamo fatto parecchi incontri.
Intervistatrice: Quindi ogni incontro cosa avete fatto? Proprio il lavoro dettagliato … F.A.: Sai che è da tanto che … .
Intervistatrice: Quando avete iniziato? Un po’ il periodo … .
F.A.: Abbiamo fatto proprio per sapere di questo affido tanti incontri con gli assistenti sociali, con il responsabile dei Servizi Minori del Comune di Verona, parlando in questo progetto proprio degli “affidi omoculturali”, per dare un sostegno ai bambini di diverse culture, per trovare famiglie connazionali, per raccogliere informazioni su come fare e dopo per ogni mediatrice abbiamo fatto il collegamento con la sua comunità.
Intervistatrice: Allora abbiamo iniziato a fare il lavoro con le comunità. Abbiamo fatto prima con i referenti delle comunità per fare gli incontri, hanno spiegato tutte le cose che riguardano anche le esigenze, le difficoltà, le cose cioè i vantaggi e svantaggi dell’affido, e poi vedere la disponibilità delle famiglie.
F.A.: Disponibili per fare l’affido e con queste famiglie abbiamo fatto. Intervistatrice: Come ha spiegato ai suoi connazionali questo progetto?
F.A.: No, no questo lo ha spiegato tutto il gruppo, con assistenti sociali e mediatrici culturali e con i referenti della comunità, e dopo abbiamo conosciuto. E dopo questo incontro abbiamo fatto le iscrizioni per le famiglie disponibili e poi abbiamo fatto l’incontro specificatamente con queste famiglie, e piano piano a parecchi di incontri prima nella comunità e poi nei luoghi dei Comuni per formare queste famiglie per l’affido omoculturale, per dare informazioni magari così per sapere dove va sto bambino e poi abbiamo trovato una famiglia per l’affido. Abbiamo iniziato con una famiglia araba ha preso una bambina italiana, ma comunque perché ancora non è arrivato un bambino arabo, ma comunque hanno iniziato con questo.
Intervistatrice: E quindi questa famiglia araba ha un bambino italiano? E come sta andando? F.A.: Ma il tipo di affido è un affido diurno, dopo scuola ….
Intervistatrice: Per ribadire questo dialogo tra famiglia italiana e araba, come è stato svolto? Anche tu sei intervenuta?
F.A.: Si, si, tramite sempre il gruppo affidi, la famiglia affidataria, il gruppo di origine e la mediatrice. Intervistatrice: Come hai fatto in questo la mediatrice?
F.A.: Abbiamo appena appena iniziato, io ho lavorato con la famiglia affidataria con il gruppo degli affidi, finché si è incontrata con la famiglia d’origine.
123 F.A.: Perché hanno trovato tanti punti facili, perché sono vicini, la scuola è vicina.
Intervistatrice: Invece famiglia araba affidataria di un bambino arabo, si è iniziato? F.A.: No, non ancora.
Intervistatrice: Vede dei punti di forza in questo progetto e se si quali, e dei punti di debolezza sempre in questo progetto e se si quali?
F.A.: Il punto di forza è questa cosa di evitare problemi che si creano tra bambini la cultura diversa quando vanno in una famiglia italiana o viceversa allora evitare questa difficoltà in cui si trovano i bambini.
Intervistatrice: E nell’organizzazione del lavoro? Del progetto affido omoculturale, ha trovato delle problematiche?
F.A.: No. Anche questi incontri, visite domiciliari con le famiglie sono tappa per tappa ben organizzate. Intervistatrice: Secondo lei, questo progetto ha qualcosa in più e se ha qualcosa in più, quali sono queste cose in più?
F.A.: Una festa organizzata con tutto il gruppo, che anche io ho partecipato anche se per poco tempo, per tutte le famiglie affidatarie con tutto il gruppo. Hanno fatto una festa, una giornata di festa tutti assieme: famiglie affidatarie, gruppi di affido, mediatrici culturali. Questa è la novità che ho … .
Intervistatrice: E proprio come mediatrice culturale lei si è sentita importante per questo lavoro che fa? E anche per il lavoro che fa se ha delle cose per sistemare questo progetto?
F.A.: Si, la mia funzione era importante perché per spiegare come è l’affido, le cose importanti che all’inizio avevano capito che era come adozione, si confondono tra affido e adozione, ma piano piano con gli incontri, con le spiegazioni, hanno capito che questo non è per sempre, anche altra cosa non è un lavoro, questo è un progetto e una cosa di fare del bene, anche tante famiglie sono contente di fare questa cosa, perché sono abituate nel nostro Paese a fare questo, di fare questo, quando la mamma non c’è o la nonna è malata.
Intervistatrice: C’è qualcosa che lei vorrebbe magari vorrebbe sistemare di questa cosa, questo progetto. C’è qualcosa che lei correggerebbe?
F.A.: Praticamente questa esperienza di questa bambina ancora non si è sviluppata vediamo come andrà. Intervistatrice: L’ultima domanda è : secondo lei negli anni avvenire ci sarà sempre più bisogno del mediatore culturale, oppure l’assistente sociale avrà tutte le conoscenze per parlare con l’utente straniero che ha davanti?
F.A.: Eh … Non è sempre che … Perché gli assistenti sociali anche se sono nati e cresciuti qui, non sanno niente della loro cultura. Sanno poco della cultura d’origine, allora sempre c’è bisogno del mediatore. Anche fra 20 anni ha bisogno di più perché cambiano le generazioni.
Intervistatrice: Te fai parte dell’associazione “Terra dei popoli”? Quindi cooperativa Azalea? F.A.: Si , si.
Intervistatrice: Te cosa hai pensato quando ti hanno spiegato questo progetto? F.A.: Ero molto entusiasta, sono disponibile per continuare.
124 INTERVISTA I.D.
DOMANDE A RISPOSTA MULTIPLA Quante volte torna nel Paese d’origine?
- Più di una volta al mese - Una volta al mese
- Meno di una volta al mese - Più di una volta all’anno - Una volta all’anno
- Meno di una volta all’anno - Mai
Pensa di ritornare a vivere nel Paese d’origine? - Si
- No - Forse - Non lo so
Come si trova nella società italiana con i suoi pari autoctoni? - Integrato
- Mi sento alla pari - Discriminato
- Non saprei rispondere
Quanto frequenta la sua comunità d’origine qua in Italia? - Spesso
- Qualche volta - Raramente - Mai
Quali ritiene siano i valori principali che sottendono alla mediazione culturale? - Promuovere l’integrazione degli stranieri;
125 - Promuovere il dialogo tra le diverse culture;
- Promuovere la partecipazione di cittadini stranieri nella vita pubblica; - Altro (indicare altro):
Intervistatrice: Mi può raccontare come è iniziata la sua esperienza come mediatrice culturale? E da quanto svolge questa professione?
I.D: Ho iniziato l’esperienza grazie ad un bando del Comune di Verona per diventare mediatore culturale, questo è successo alla fine nel 1999, ormai 14 anni fa. Il Comune aveva fatto questo bando, facendo una selezione sulla base dei titoli di studio e delle esperienze professionali, e ha costituito una graduatoria dei mediatori culturali. Nel tempo ci sono stati numerosi momenti di formazione: mentre in altre città i percorsi di formazione per mediatori culturali erano più strutturati e della durata più lunga, a Verona, sin dall’inizio, le formazioni erano più brevi, più specifiche su determinati temi e di conseguenza chi era interessato al lavoro di mediazione cercava di frequentare tutto quello che man mano nel tempo si proponeva nella città. Intervistatrice: Quindi da quanto più o meno svolge la professione?
I.D: Sono 14 anni.
Intervistatrice: Perché ha preso la decisione, cioè da dove è nata la decisione di partecipare a questo bando per mediatrici comunque… culturali? Perché? Che cosa è che magari…
I.D: Io sono di origine straniera, sono rumena. Ho vissuto quindi in prima persona l’esperienza della migrazione e della fatica di farsi capire degli altri e di capire gli altri. Arrivata in Italia inizialmente ho intrapreso il mio percorso di studi, mi sono diplomata e poi laureata. Finiti gli studi ho incominciato a lavorare con le persone immigrate, i miei connazionali mi chiedevano aiuto e quindi mi capitava spesso di andare in giro per varie istituzioni ad accompagnare le persone. Occupandomi degli altri e lavorando con le persone immigrate vedevo come molto spesso l’incomprensione è alla base dei conflitti tra gli autoctoni e gli immigrati: il fatto di non comprendersi, di non capirsi a vicenda, di interpretare in un modo sbagliato il comportamento dell’altra persona. Noi conosciamo noi stessi ed il nostro mondo culturale e, arrivati qui, nessuno ci insegna com’è il nuovo Paese. C’è bisogno di qualcuno che abbia questo ruolo di mediatore e che riesca a spiegare i significati delle cose, dei comportamenti, di un certo modo di fare a chi è qui e che quindi non li capisce, e questo per una migliore coesione, per una migliore integrazione delle persone e per una migliore vita comune per cittadini immigrati e cittadini italiani.
Così è nata la passione per questo lavoro: oltre a lavorare come mediatrice culturale lavoro anche all’interno di un ufficio per cittadini immigrati all’interno del sindacato Cisl di Verona.
Intervistatrice: Appunto volevo chiederle se ha qualche ruolo di rappresentanza nella sua comunità o gruppo d’origine qua in Italia?
I.D: Ho ricoperto diversi ruoli di rappresentanza delle persone immigrate. Lavorando con i cittadini immigrati mi è sempre capitato di recarmi presso gli uffici di varie istituzioni come ad esempio la questura, la prefettura ecc… e quindi porto in queste istituzioni le domande, i problemi dei cittadini immigrati. Quindi rappresento le persone immigrate presso queste istituzioni, rappresento le loro istanze.
Poi io appartengo alla comunità rumena, frequento la mia comunità, in modo particolare la comunità cattolica. Noi abbiamo momenti in cui ci incontriamo, momenti in cui si organizzano delle iniziative, in cui ci si vede per la Messa piuttosto che per altre occasioni.
126 Quando è stata istituita la Consulta Comunale per l’immigrazione del Comune di Verona ero stata scelta come vicepresidente con il compito di organizzare i lavori della Consulta degli immigrati. Sono stata inoltre presidente per due mandati dell’Associazione “Terra Dei Popoli”, un’associazione di mediatori linguistico culturali.
Intervistatrice: Allora adesso entriamo più nell’ambito del servizio sociale… E se mi può raccontare dei casi sociali o anche uno, quello che più le è rimasto impresso, che magari ha sentito, che magari ha seguito personalmente che l’hanno coinvolta di più come mediatrice culturale?
I.D: Difficile raccontare un caso particolare, sono tante le storie che ho seguito nel tempo. All’inizio ho lavorato all’Ufficio Stranieri del Comune di Verona, l’ufficio che per primo aveva incominciato ad utilizzare i mediatori in ambito sociale. Erano tantissimi gli immigrati che accedevano a questo ufficio per le problematiche più svariate: potevano essere famiglie con bambini piccoli che si trovavano in grandi difficoltà economiche, potevano essere donne in gravidanza che magari venivano lasciate dal compagno e non avevano un posto dove andare, potevano essere casi di minori stranieri non accompagnati e così via. Ho lavorato per tanti anni all’interno di quest’ufficio e ho accompagnato numerose situazioni difficili e delicate. L’esperienza invece con il settore sociale, area minori e tutela, è più recente: sono circa tre anni che abbiamo iniziato. Ora si ha la presenza dei mediatori anche in altri servizi dove prima non c’erano: nei CST (Centri Sociali Territoriali), nel progetto affido familiare omoculturale, nei casi complessi in carico ai servizi comunali.
Intervistatrice: Ma più che altro per cosa viene chiamata, nel senso dall’assistente sociale di turno, cosa le richiedono? Le richiedono più una traduzione linguistica, una comprensione culturale della rete della persona? Cioè qual è la domanda che alla fine porta l’assistente sociale principalmente?
I.D: I primi anni era più un problema di traduzione perché magari le assistenti sociali non riuscivano a comprendere le persone, gli immigrati non riuscivano a spiegarsi molto bene. Quindi la prima domanda era di tipo linguistico. Nel tempo invece la domanda è diventata più un bisogno di comprensione, è diventata una domanda di chiarimento di quello che sono i vissuti delle persone, delle problematiche che portano. Il mediatore è diventato uno strumento e un sostegno per l’assistente sociale: egli ha di più in mente la mappa di quello che c’è sul territorio, della propria comunità a livello locale e di quali strumenti si possono attivare. Quindi diciamo che c’è un po’ di tutto nelle domande degli assistenti sociali: a volte c’è una questione linguistica ma poi arriva dell’altro. Non sempre si individua una “questione linguistica”, la lingua rumena ad esempio è una lingua neolatina, quindi ha la stessa radice linguistica della lingua italiana. Quindi non è difficile per un cittadino rumeno imparare l’italiano. Noi rumeni parliamo l’italiano abbastanza presto. Invece quello che è il vissuto delle persone, quelli che sono i problemi legati alla migrazione e al vivere qua e là, quello che è il modo di affrontare i problemi, quello sì a volte gli assistenti sociali hanno bisogno di un aiuto per comprenderlo.
Intervistatrice: In che servizi svolge più la professione di mediatrice culturale? Cioè intervistando ho visto che molte lavorano in ospedale, altre più con i servizi sociali, altre di più con la scuola…
I.D: Lavoro in ambito socio sanitario e in ambito scolastico. Oltre che con i servizi sociali del Comune lavoro presso un consultorio familiare dell’Ulss 20. All’interno di questo consultorio familiare affianco operatori del sociale e del sanitario. Opero poi all’interno di diversi progetti nella scuola.
Intervistatrice: Allora cosa intende lei per mediazione culturale? Se dovesse dare una definizione…
I.D: Non vorrei dare definizioni, gli studiosi ne hanno date tantissime. Per me essere un mediatore culturale significa avere le competenze per mettere in comunicazione mondi culturali diversi, tradurre questi mondi e
127 trovare il modo per farli comunicare tra di loro, dialogare, fare in modo che possano coesistere conoscendosi e rispettandosi. Questo è un lavoro importante e necessario vista la società attuale: mentre una volta forse ci si spostava di meno, quindi gli autoctoni non erano abituati a vedere volti diversi, usi e costumi di altre genti, adesso non è più così. I migranti decidono di stabilirsi qui, quindi decidono di avere figli che crescono qui. Tali giovani crescono appartenendo a due mondi culturali: quelli dei genitori e quello nel quale sono nati e crescono. Riuscire a mediare vuol dire permettere a questi ragazzi, con un certo agio, di costruire serenamente la loro identità: se non fai delle mediazioni si arriva a delle rotture o a dei conflitti. Se noi prendiamo in considerazione gli adolescenti che magari sono venuti qui da piccoli oppure sono venuti qui ad una certa età, tanti di loro vivono la difficoltà: a quale mondo appartengo? A questo in cui sto vivendo o a quello dei miei genitori? Oppure quali sono i comportamenti che devo tenere, quelli secondo la mia cultura o quelli secondo la cultura che c’è qui? Ci vuole un lungo lavoro di mediazione altrimenti questi ragazzi possono prendere strade diverse e provare disappunto/disprezzo della cultura dei propri genitori: Ah ma