Basandosi sulla disponibilità di costituire una risorsa di sostegno per i propri connazionali da parte di famiglie d’immigrati, reclutate attraverso le proprie comunità di appartenenza o gruppi d
INTERVISTA MLC S.J.
DOMANDE A RISPOSTA MULTIPLA Quante volte torna nel Paese d’origine?
- Più di una volta al mese - Una volta al mese
140 - Più di una volta all’anno
- Una volta all’anno
- Meno di una volta all’anno (ogni 2 anni) - Mai
Pensa di ritornare a vivere nel Paese d’origine? - Si
- No - Forse - Non lo so
Come si trova nella società italiana con i suoi pari autoctoni? - Integrato
- Mi sento alla pari - Discriminato
- Non saprei rispondere (non discriminata, ma nemmeno pienamente integrata) Quanto frequenta la sua comunità d’origine qua in Italia?
- Spesso - Qualche volta - Raramente - Mai
Quali ritiene siano i valori principali che sottendono alla mediazione culturale? - Promuovere l’integrazione degli stranieri;
- Promuovere il dialogo tra le diverse culture;
- Promuovere la partecipazione di cittadini stranieri nella vita pubblica; - Altro (indicare altro):
Intervistatrice: Mi può raccontare come è iniziata la sua esperienza come mediatrice culturale?
S.J: Allora è iniziata circa 9 anni fa. Lavoravo in via Germania con le ragazze che facevano il lavoro sulla strada, ragazze nigeriane, lavoravo con unità mobile, andavo con loro e cercavamo di convincere le ragazze
141 di andare a fare il test e usare il preservativo, quindi fare prevenzione. Dopo sono andata in maternità ho smesso di lavorare con loro. Ho lavorato con unità mobile circa due anni e dopo ho ricominciato la scuola. Intervistatrice: Che scuola ha fatto?
S.J: Ho fatto master con il prof. S. (si riferisce al master in mediazione linguistico- culturale a Verona). Intervistatrice: Ok, quindi svolge questa professione di mediatrice da quando?
S.J: Da nove anni.
Intervistatrice: Quindi, questa decisione di fare la mediatrice è iniziata dall’esperienza lavorando con l’unità di strada, o come è iniziata?
S.J: Si, ho iniziato con l’unità mobile, di strada, perché ho visto le ragazze… Quando sono venuta nel 2000 andavo in giro con mio marito e vedevo le nostre ragazze che lavoravano sulla strada, mi sentivo male e a volte piangevo, però insomma come possiamo aiutare queste ragazze. Allora ho incontrato la V.A., era l’unica mediatrice dalla Nigeria, quindi mi ha parlato di questo lavoro, perché nel mio paese ero laureata in Giurisprudenza e qua non sapevo che lavoro fare, e mi ha detto. E da lì ho iniziato come mediatrice.
Intervistatrice: Ha qualche ruolo di rappresentanza nella sua comunità o gruppo d’origine, in questo caso nigeriana qua in Italia?
S.J: No.
Intervistatrice: Mi può raccontare dei casi sociali in cui è stata maggiormente coinvolta, in cui è stata più chiamata per svolgere mediazione culturale, se se ne ricorda uno?
S.J: Sono tanti casi. Un caso che mi ricordo bene, era di un ragazzo nigeriano che aveva 12 anni, nato in Nigeria. Il papà era qua per prima, poi ha fatto venire tutta la famiglia. Poi c’era questo ragazzino che non voleva più mangiare cibo nigeriano, non voleva più vestire nigeriano, infatti i suoi genitori facevano fatica a vestirlo. Lui faceva tutto come italiano, non voleva più fare le cose come africano, allora i genitori lo hanno trovato problematico nel suo comportamento e lo picchiavano però lui andava a scuola e sentiva male, raccontava la sua storia, e l’hanno segnalato all’assistente sociale e mi hanno chiamato per capire come mai questo ragazzo si comporta così e anche i genitori come mai che picchiano questo ragazzo? Ho dovuto spiegare un po’ la nostra cultura che i ragazzi della sua età come si comportano, aiutano i genitori e il fatto che era venuto qua, anche se è nato qua ma non doveva dimenticare la sua cultura come africano, nigeriano. Intervistatrice: E nel lavoro con l’assistente sociale di solito come avete lavorato, nel senso vi chiamava l’assistente sociale e vi diceva già il problema oppure ..?
S.J: Ci chiamano e ci dicono il problema che hanno questi ragazzi, come possono risolvere questo problema. Non è che riusciamo a risolvere tutto, però raccontiamo la nostra cultura, come si fa lì e come stanno facendo e perché si comportano in questo modo.
Intervistatrice: In che servizi svolge di più mediazione culturale? S.J: La scuola, anche i servizi sociali.
142 S.J: Per i bambini problematici che tante volte hanno problemi comportamentali, che non si comportano bene a scuola, non ascoltano le maestre, disturbano e vanno male a scuola, quindi ci chiamano per stare con loro in classe.
Intervistatrice: E nei servizi sociali perché principalmente?
S.J: Si, per la Nigeria quando hanno problemi, le nigeriane che hanno problemi economici come uno sfratto della casa, poi con il marito, bambini, appartamento... .
Intervistatrice: Se lei dovesse dare una definizione di mediazione culturale cosa direbbe?
S.J: Mediatrice o mediazione è un ponte, secondo me, fra utenti e operatore. Non so la parola, infatti siamo un ponte, aiutiamo, ad un certo punto, gli utenti e anche l’operatore per risolvere certi problemi.
Intervistatrice: Mi può spiegare di più insomma come funziona la procedura di come l’assistente sociale chiama il mediatore culturale, come si lavora insieme?
S.J: Fanno la richiesta alla cooperativa, al nostro coordinatore e ci chiamano, scrivono il nome, i casi, il problema che hanno e ci chiamano, andiamo prima volta e ci raccontano la storia, poi facciamo l’incontro con l’utente insieme all’operatore. L’operatore fa le domande, a volte facciamo mediazione linguistica, nel senso che alcuni che non capiscono la lingua italiana e facciamo l’interprete. E poi quando l’assistente sociale ha problemi con la cultura, se non riescono a capire certe cose sulla cultura, prima ci chiedono e spieghiamo un po’ la nostra cultura.
Intervistatrice: E di solito l’utente cioè come reagisce? Nel senso sempre reagisce bene a vedere una mediatrice culturale dello stesso Paese, oppure ci sono delle difficoltà?
S.J: Non sempre, ci sono delle difficoltà a volte. Ma alcuni quando siamo presenti si sentono a loro agio, sono più rilassati, sono più sicuri. Però per alcuni che non sono venuti per raccontare proprio la loro o che hanno qualcosa da nascondere, non si sentono a loro agio, dicono che non vogliono la mediazione, parlano la lingua e non hanno problemi con la lingua.
Intervistatrice: Secondo lei quando c’è un caso sociale voi lo valutate insieme all’assistente sociale, cioè ne parlate insieme dopo che l’utente va via, quindi riuscite a decidere cosa fare oppure no?
J.D: Si, se c’è qualcosa si … Di solito si, dopo che l’utente è andata via parliamo assieme con l’assistente sociale, se c’è qualcosa da chiarire nell’incontro che non è stato chiaro per l’assistente sociale e ci chiedono e noi spieghiamo.
Intervistatrice: Mi può dire che funzione ha svolto nel progetto affidi omoculturali, cioè cosa ha fatto in questo progetto degli affidi omoculturali?
S.J: Siamo riusciti a convincere alcune donne, famiglie nigeriane che vogliono i bambini nell’affido, perché secondo loro non va bene che i bambini africani nigeriani vanno dalle famiglie italiane, perché pensano troppo alla cultura. Quindi, siamo riusciti a far venire alcune famiglie a partecipare agli incontri e ai corsi dell’affido.
Intervistatrice: Avete trovato qualcuno? Qualcosa sta funzionando?
S.J: Ci sono delle famiglie che sono pronte, il loro nome è già inserito nell’elenco delle famiglie per accogliere i bambini per l’affido, però adesso non ci sono ancora i bambini per loro.
143 Intervistatrice: In questo progetto ci sono degli aspetti positivi e se ci sono mi dici quali e se ci sono delle cose da mettere apposto, da aggiustare e migliorarlo secondo te?
S.J: Non è una cosa che è da … Non è, non c’è ancora i bambini per queste famiglie, quindi non posso dire che c’è qualcosa da migliorare, finché non partiamo con questi bambini da dare in affido.
Intervistatrice: Invece secondo lei gli aspetti positivi quali possono essere?
S.J: Gli aspetti positivi sono le famiglie che sono pronte ad accogliere i bambini stranieri e bambini nella loro famiglia come gli italiani e sono pronti ad insegnare ai bambini la nostra cultura.
Intervistatrice: Secondo lei negli anni avvenire ci sarà sempre più bisogno del mediatore culturale per costruire una buona relazione d’aiuto con l’utente straniero o l’assistente sociale avrà, attraverso percorsi di formazione interculturali, strumenti adeguati per affrontare al meglio la relazione con l’altro?
S.J: Secondo me ci sarà sempre bisogno del mediatore culturale perché l’assistente sociale non credo che riescono a capire bene la cultura dei vari paesi, a parte come voi (si riferisce a giovani “nuovi italiani”, definiti “seconda generazione”) che state uscendo come stranieri, non dico stranieri, però di origine straniera. Quindi anche voi avete bisogno di imparare, a parte te il lavoro di assistente sociale anche la vostra cultura per essere pronta ad affrontare il problema culturale.