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GRADI DI SICUREZZA DEL CARCERE: PROGETTO

5 INTERVISTE E CONFERENZE

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.1 MASSIMO PARISI

15 maggio 2018

Direttore della Casa di Reclusione Milano-Bollate

Nel nostro lavoro di tesi stiamo affrontando il tema della relazione tra strutture detentive e territorio, in particolare riguardo a questo carcere.1 L’obiettivo è

quello di integrare in modo biunivoco la città e il carcere. Abbiamo analizzato i riferimenti europei che hanno intrapreso scelte in questo senso. In un panorama povero di sperimentazioni, il caso più significativo che abbiamo riscontrato è stato quello della Casa di reclusione di Korneuburg, in Austria. In questo caso la struttura detentiva è integrata con il tribunale di Giustizia, al fine di cancellare la patina di impenetrabilità e cupezza di tutti gli edifici carcerari. Così come avviene nel carcere austriaco è possibile immaginare uno scenario possibile di interazione tra il sistema urbano e quello carcerario anche in un carcere come Milano-Bollate?

Noi abbiamo due situazioni in cui l’istituto è aperto totalmente al mondo esterno: il primo è il ristorante, in cui la gente prenota ed entra, e quindi un servizio alla città.

Ha grande valore e incide sulla cultura dell’esecuzione penale, perché il fatto che il cittadino normale, che non ha niente a che fare con il carcere, possa liberamente cenare senza procedure particolari, fa sì che non solo venga all’interno, ma che allo stesso tempo ragioni sul carcere.

Il secondo esempio, non meno trascurabile, è il nido aziendale, che nasce per i nostri dipendenti, ma che per una scelta anche strategica abbiamo aperto al territorio, in modo che le famiglie portino i loro bambini all’interno dell’istituto. Il nido è stato anche realizzato con i fondi del territorio (provincia, asl etc.) tanto che ci è sembrato opportuno restituire un servizio ai cittadini. Questo è un altro elemento di congiunzione, anche perché stiamo parlando di una situazione in cui ci potrebbe essere un pregiudizio. mezzo per abbattere il pregiudizio che

la comunità può avere nei confronti del carcere. Per completare il quadro del nido, dall’anno scorso portiamo anche i figli

delle detenute madri, che possono avere prole fino a tre anni. Quindi abbiamo i figli dei dipendenti, dei cittadini del territorio circostante e i figli delle detenute.

Questi sono due esempi di costante apertura. Non è l’apertura canonica, sporadica e occasionale, qua si tratta di un’apertura strutturale, di un servizio al territorio.

Credo quindi che un’integrazione sia fattibile nel momento in cui il carcere eroga servizi. Ora mi viene in mente anche un altro esempio, il vivaio all’interno dell’istituto, gestito dalla cooperativa Cascina Bollate, e è aperto al pubblico. Secondo me questa è una delle modalità attraverso cui si può affermare il fatto che questo sia un carcere diverso. Il rapporto con il territorio è importante perché incide sulla cultura del carcere. Il muro che normalmente crea il pregiudizio, la differenza e l’indifferenza, abbattuto con certe modalità, fa sì che la gente si crei un’opinione diversa. Io ritengo che la

cultura del carcere sia uno degli elementi principali di ostacolo all’inclusione sociale, perché l’opinione dominante è esclusiva, non inclusiva.

La prossima trasformazione dell’area “ex-expo” può influire positivamente sull’integrazione? Il carcere di Bollate ha o avrà voce in capitolo sul progetto in atto?

Innanzitutto siamo stati invitati ai tavoli di lavoro insieme al provveditorato, credo possa essere un’occasione, anche perché si è già sperimentato sull’apertura, ad esempio c’erano detenuti che lavoravano a Expo. Già solo il fatto che ci abbiano contattato è un buon segno. Si possono pensare risorse lavorative e di studio in rapporto alla grande area di trasformazione. Inoltre avendo l’università credo sarebbe molto più agevole un contatto. Riguardo ai rapporti che Bollate intraprenderà con il nuovo polo della Statale non è ancora stato pensato niente.

È paradossale quello che dico: a volte noi non abbiamo la percezione di quello che succede attorno, perché siamo chiusi. Ad ogni modo se l’intorno si interfaccia con noi, siamo disponibili.

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.2 LUIGI PAGANO

10 maggio 2018

Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria

Lombardia

Il lavoro di ricerca che stiamo affrontando lavora sul tema della relazione tra carcere e territorio, in particolare riguardo al carcere di Bollate. A proposito di questo è importante il fatto che l’area in cui si colloca il carcere di Bollate è in trasformazione. Nel luogo in cui sorgeva expo, a pochi metri dal carcere, sorgerà una nuova area della città. potrebbe questo influire positivamente sull’integrazione?

I lavori potranno interessarci in maniera diretta perché potremo mandare detenuti a lavoro. Credo che il bando contenga delle clausole per cui sarebbero avvantaggiate le imprese che possono accogliere soggetti di fasce deboli. Se passasse questa idea un certo numero di detenuti potrebbe andarci a lavorare. Per quanto riguarda l’istituto di Bollate, su cui state lavorando, è tradizionalmente in linea con lo sviluppo orizzontale, anche prescritto dalla riforma del ’75,purtroppo per questa ragione ha bisogno di terreni enormi e quindi, al pari dei cimiteri si trova

lontano dal conglomerato urbano. Ora non c’è nemmeno un’idea di carcere, cioè dell’architettura carceraria. Se andaste a San Vittore, capireste che tipo di esecuzione penale si volesse in quel periodo: una struttura panottica, in cui il detenuto deve stare in cella. Però se andaste a

vedere i nuovi istituti, non riuscireste a parametrare la realizzazione pratica con le linee di tendenza che la riforma del ’75 impone. Non trovereste molti spazi a disposizione del detenuto. Trovereste tantissimi spazi enormi, corridoi enormi, insomma luoghi difficilmente utilizzabili.

È mai stato progettato in Italia un carcere che rispecchiasse la riforma del ’75?

No, nonostante l’edilizia penitenziaria abbia avuto un grosso boom, comprensivo delle carceri d’oro negli anni ’80, nessun carcere che rispecchiasse la riforma. Pensate

che erano anche gli anni del terrorismo e che le strutture si adeguarono alla necessità di maggiore sicurezza e quindi cemento armato, vetro blindato etc.…più isolamento piuttosto che partecipazione. C’è stato il tentativo di armonizzare gli istituti al contorno, ecco, questo sì.

In merito alla ri-funzionalizzazione urbana prevista per l’area ex expo, ci chiediamo se sia possibile integrare una funzione urbana con quella penitenziaria. Ad esempio il carcere di Korneuburg in Austria, che pone il Tribunale di Giustizia tra la città e la casa di reclusione. Inoltre, anche una tesi magistrale dell’Università di Harvard immagina la possibilità di integrare la facoltà di criminologia con la struttura carceraria. Per quanto riguarda l’Italia crede che una relazione di questo tipo sia utopistica?

Assolutamente non è utopistico. Basti pensare che le carceri di cent’anni fa erano così, erano prospicienti i tribunali, come ad esempio Poggioreale. Porto di mare2 la cittadella della giustizia era in

conformità con questa idea, eravamo vicini all’acquisizione dell’area e poi è tramontato tutto. Da un punto di vista pratico, relativo alla sicurezza, per noi sarebbe stata una possibilità positiva, perché ogni giorno bisogna trasferire moltissimi detenuti al Palazzo di Giustizia. Tutti i detenuti delle carceri milanesi devono essere portati al tribunale, salvo i detenuti di alta sicurezza, per cui c’è la video-conferenza. Il tribunale di Giustizia è il principale luogo della città che il detenuto deve poter raggiungere al di fuori del carcere. Altre occasioni possono essere quella dell’ospedale, ad esempio all’ospedale San Paolo esiste un reparto dedicato ai detenuti.

Per i detenuti che frequentano l’università invece la frequentazione ai corsi avviene in diversi modi: o godono di misure

1 Si riferisce al progetto di trasferire il carcere di San Vittore in un’area a sud di Milano all’interno di un nuovo quartiere, che costituirebbe una “cittadella della Giustizia”.

Gli Stati generali hanno lavorato in questo senso, sebbene è stato tradotto poco in prassi. Tanto è vero che a Nola è stato progettato un nuovo carcere che suscita già polemiche ancor prima di venire realizzato, proprio perché gli esperti del settore sostengono segua una logica vecchia. Già il fatto che sia un carcere mastodontico (per 2000 detenuti) non è in conformità né con le indicazioni fatte dalla riforma del ’75, né con quelle degli Stati generali. E questa è la prima realizzazione dopo gli Stati generali, e sono passati già due anni, quindi potete capire l’incoerenza tra teoria e prassi…

alternative che permettono di recarsi all’esterno, oppure in alcune carceri ci sono i poli universitari all’interno.

Infine, Come agire nei confronti della complessa realtà carceraria? E che ruolo affidare all’architettura nella risoluzione del “problema carcere”?

Il carcere è una linea di confine, che si fonda sul dolore, quello del reato e quello della vittima, quindi è difficile trovare un elemento stabilizzante.

Avremmo bisogno di riforme organiche, non settoriali. Volendo o nolendo se non risolvi il problema dello spazio, dove deve stare il detenuto, se non partiamo dal reparto detentivo dove si incontrano custodi e custoditi, la struttura carceraria rischia di implodere nel momento in cui nasce. Se non si parte da questo, tutto il resto sono elucubrazioni mentali.

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.3 ANGELA DELLA BELLA

9 maggio

Professore associato nell’Università degli Studi di Milano, dove insegna

diritto penale.

La nostra ricerca indaga la relazione tra strutture detentive e territorio, in particolare riguardo al caso Bollate. In riferimento a quest’ultimo ci sembra fondamentale valutare la trasformazione dell’area limitrofa, come opportunità di relazione del carcere con il suo intorno, soprattutto considerando il trasferimento dei poli scientifici dell’Università Statale di Milano. Quali potrebbero essere i punti d’incontro principali? Quali le modalità?

Riguardo alla vostra ricerca mi viene in mente un profilo che è quello di valorizzare la mano d’opera che c’è in carcere, perché uno dei problemi più gravi è la mancanza di lavoro. Se l’idea alla base è quella della pena rieducativa, che è la finalità che l’istituzione assegna alla pena, il fine è che il soggetto esca risocializzato, quindi meno incline a commettere il reato per cui è entrato. Lo strumento principe a tal fine è proprio il lavoro. Di lavoro in carcere ce n’è pochissimo e la possibilità di un cantiere così gioverebbe molto.3

Voi sapete che alcuni detenuti possono uscire per svolgere un’attività di lavoro , mentre altri non potendo lavorano dentro. Si dovrebbe pensare quindi a due forme, così da poter utilizzare sia la forza lavoro4 interna, sia quella per coloro che possono uscire.

Per quanto concerne i detenuti che studiano, quali sono gli spazi del carcere loro dedicati?

Bollate è un mondo a parte…a Bollate c’è la sezione di trattamento avanzato, dove ci sono i detenuti che lavorano e studiano a cui si cerca di dare celle individuali. Per le lezioni esistono spazi comuni, in particolare un stanza denominata “aula cinema” dotata di alcune sedie e di un proiettore.

3 Si riferisce al progetto “MIND”(Milano Innovation District) di Carlo Ratti associati e LAND per la trasformazione dell’area ex-expo. 4 Detenuti in Articolo 21 dell’Ordinamento penitenziario che consiste nella possibilità di uscire dal carcere per svolgere un’attività lavorativa, anche autonoma, oppure per frequentare un corso di formazione professionale.

Quali sono i rapporti attuali tra l’università e le sedi detentive? Esiste la possibilità di una relazione tra il nuovo polo scientifico universitario Unimi (che dovrebbe sorgere molto vicino al carcere di Bollate) e la Casa di reclusione?

Esiste una convenzione della Università Statale con Bollate. Un’altra cosa interessante tra i rapporti tra carcere e università è il processo in corso di istituzione di una conferenza dei poli universitari in carcere, il PUP.5 L’idea è che tutte le università che hanno un polo universitario penitenziario si mettano insieme per costituire un organismo che abbia più voce, che formalmente è istituito dalla Conferenza dei Rettori delle Università italiane. È un’esigenza che i vari docenti, che si occupano dei rapporti tra carcere e università, hanno sentito, da un lato per diffondere l’idea e dall’altro per avere più voce. Le varie università si stanno muovendo creando dei poli universitari e creando un coordinamento a livello

nazionale, a maggior ragione non si può ignorare che a pochi metri dal carcere di Bollate stia per sorgere un nuovo polo universitario dell’università statale, e poi proprio vicino a un carcere, come quello di Bollate, che ha già una certa presenza sul territorio.

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.4 STEFANO SIMONETTA

31 maggio 2018

Professore Associato di Storia della Filosofia Medievale presso il Diparti- mento di Filosofia dell’università degli

Studi di Milano .

* Purtroppo non è stato possibile trascrivere precisamente questa intervista, quindi la conversazione è riportata in modo discorsivo.

Si è deciso di contattare anche il Professore universitario Stefano Simonetta che annualmente offre la possibilità agli studenti e ai carcerati di partecipare a workshop all’interno delle strutture penitenziarie di Milano- Bollate, di Opera e dell’istituto penale per minorenni Cesare Beccaria. Stefano Simonetta è inoltre uno dei promotori del trasferimento dei poli scientifici Unimi in area “ex- expo” e le ragioni del suo sostegno al trasferimento risiedono soprattutto nel creare un contesto di relazione alla Casa di reclusione di Milano-Bollate. Egli immagina la relazione università-carcere all’interno di una sede apposita, un luogo filtro che permetta l’incontro. Un altro perno dello scambio tra interno e esterno è individuato dal Professor Simonetta nel lavoro penitenziario, che ricopre un ruolo fondamentale non solo per i detenuti, ma potrebbe diventare anche un servizio alla città. Addirittura si potrebbe ipotizzare uno scambio delle competenze apprese in carcere dai detenuti nei confronti

della popolazione esterna. Magari anche questo scambio potrebbe avere una sede specifica, basata sulla flessibilità degli spazi così da potersi adattare a diversi usi e anche alle necessità che un territorio in trasformazione richiede.

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.5 CONFERENZA MIND

3 maggio 2018

Carlo Ratti Associati

Andreas Kipar | LAND

Alla Conferenza al Politecnico di Milano, il 3 maggio 2018, tenuta dai progettisti Carlo Ratti e Andras Kipar (LAND), è stato presentato il masterplan della grande area di trasformazione ex-expo. Secondo il progetto nel grande lotto sorgerà MIND, “Milano Innovation district”, un’area polifunzionale che individua la propria vocazione principe nel polo tecno- scientifico di ricerca, “Human technopole”. Con nostro rammarico, durante la conferenza non è stata citata la vicina presenza del carcere e il masterplan si presenta come un’area enorme, ma molto chiusa al suo interno, che non consente un grande contatto con l’esterno. Indubbiamente il lotto, fortemente delimitato dalla rete infrastrutturale, non permette grandi relazioni con il tessuto urbano consolidato, motivo per cui riteniamo che almeno all’interno del lotto stesso possa esistere una connessione. Inoltre una realtà all’avanguardia come MIND, così come viene descritta da

investitori e progettisti, potrebbe riuscire a dare un impulso positivo alla realtà carceraria.

Il dialogo tra il carcere e il nuovo parco tecnologico tuttavia va considerato ex-ante, cosicché il progetto includa sia dal punto di vista architettonico che urbanistico un rapporto con la preesistenza carceraria. Una connessione tra i due sistemi soltanto ex-post rischierebbe infatti di commettere nuovamente l’errore di creare una cesura tra teoria e prassi, problema piuttosto frequente nella storia delle carceri italiane e non solo.

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