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Il carcere da limite a soglia urbana. Un progetto per la casa di reclusione Milano-Bollate

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Academic year: 2021

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Il carcere da limite a soglia urbana

Un progetto per la Casa di Reclusione Milano-Bollate Politecnico di Milano

MILANO 1863

Facoltà di architettura, urbanistica e ingegneria delle costruzioni

Corso di Laurea magistrale in Progettazione Architettonica

Tesi di laurea magistrale di Beatrice Durante 863043 Enisa Selmanaj 862972 Paola Seminati 852201

Anno accademico 2017|2018

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ABSTRACT

The thesis focuses on the relationship between prison and urban context, particularly on the prison of Milano Bollate. The project process helped us on understanding the enormous complexity that the prison walls hide inside of them. To do this, our work embraced different fields of knowledge: the penal law, the administration, the history and last but not least, the society.

Nowadays the penitentiary system in Italy has reached an impasse, which is hard to solve. According to Antigone Association, 2017 would have been the year when the penitentiary condition should have changed. Unfortunately the prison’s reform of June 2017, which would have given a contribution on the prisoners standard of living, is not yet approved and the country remains in the condition of impasse. The overcrowding, the unemployment and the other unsolved problems related to the penitentiary, seem to be forgotten by the society. Nevertheless, as Dostoevskij

said-The degree of civilization in a society can be judged by entering its prisons, we as a society should raise awareness about the penitentiary.

Architecture can play an important role on the social awareness. It can help make it possibile to open a gap in the prison walls and in the world they contain inside of them. Therefore, Architecture can connect the penitentiary system with its context. According to this aim, our thesis work reflects on the relation between penitentiary and society.

Given the complexity of this topic and to have a better understanding of the penitentiary structure, we decided to start from a careful reading and interpretation of the European and the Italian case studies. We looked not only for models that had a functional organization and spaces inside the walls, but that also had a major connection with the city.

By analyzing the arguments that concern

both penitentiary and society, such as the affectivity and the meeting places, work and culture, the architectural project focuses on the space between, designing spaces that manage to enroll the connection between the two systems.

Our will is to open and make more accessible the so closed prison building. The strategic choice foresees the introduction of a system that takes shape in the boundary between the prison and the city. The project has two main functions: the cultural centre and the agora, the place where the meeting between family and prisons happens.

The cultural centre aims to connect the new system with the city, while the agora stands as a connection place between the penitentiary and the society. Both confine the prison’s front facade, looking out the big square that stands between our new system and the area in transformation. The rest of the building, which stands

on the south border of the prison, is composed by other functions such as the co working area, atelier, cinema/theater, kindergarten and a guesthouse.

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1 IL CARCERE : UN’ARCHITETTURA AL MARGINE 1.1 L’esclusione delle carceri

1.1.1 Le ragioni storiche della delocalizzazione 1.2 L’importanza della relazione con il territorio 2 GLI SPAZI DELL CARCERE

2.1 Uno sguardo alle carceri europee 2.1.1 Camere di pernotto

2.1.2 Spazi comuni e di lavoro 2.1.3 Sport

2.1.4 Spazi dell’affettività

2.1.5 Sedi amministrative e luoghi di controllo 2.2 Osservazioni sulle analisi

3 VERSO UNA RELAZIONE 3.1 Da limite a soglia

3.2 Progettare il margine

4 IL PROGETTO | Casa di Reclusione Milano Bollate 4.1 Il caso Milanese

4.2 Un contesto in trasformazione 4.2.1 L’area di progetto

4.2.2 La casa di Reclusione Milano Bollate 4.3 Nuova polarità urbana

4.4 Il progetto

5 INTERVISTE E CONFERENZE 5.1 Massimo Parisi

5.2 Luigi Pagano 5.3 Angela della Bella 5.4 Stefano Simonetta 5.4 Conferenza MIND

6 SCHEDE DI LAYOUT FUNZIONALE 6.1 Casa Circondariale Rebibbia

6.2 Storstrøm Prison

6.3 Casa di Reclusione Milano-Bollate 6.4 Koepel Prison

6.5 Halden Prison 6.6 Loeben Prison 6.7 Horsens State Prison 6.8 Mas d’Enric Penitentiary 6.9 Detention Centre Vordernberg 6.10 Casa Circondariale Firenze - Solliciano

7 CONCLUSIONI 8 BIBLIOGRAFIA

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Il limite non è il punto dove una cosa finisce, ma ciò a partire da cui una cosa inizia la sua essenza.

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INTRODUZIONE

Il lavoro della tesi pone l’attenzione sul legame tra il carcere e la città, in specifico per il caso della Casa di Reclusione Milano - Bollate. Il progetto, come strumento di conoscenza, ci ha permesso di indagare l’enorme complessità presente all’interno della cinta muraria, coinvolgendo differenti sfere del sapere: la sfera giuridica, la sfera amministrativa, la sfera storica e infine quella sociale. D’altronde l’istituzione carcere racchiude in sè una molteplicità di parti tese al funzionamento di questa città

nella città .1

Attualmente la situazione del sistema penitenziario italiano è in un momento di

stallo. Secondo l’Associazione Antigone2

il 2017 sarebbe dovuto essere l’anno di svolta ma l’esecutività del progetto di Riforma delle carceri del Giugno

20173, che avrebbe il merito di elevare lo

standard di vita del detenuto, non è stato ancora approvata e la delega scadrà il 3 Agosto. Il sovraffollamento, il basso tasso

di occupazione4 e altre problematiche

mura delle strutture detentive, cosicché, successivamente, consci dell’identità del “sistema carcere”, si potesse immaginare un dialogo di questa con il mondo al di fuori.

Per la realizzazione del progetto si sono mostrate rilevanti anche le interviste con alcuni dei rappresentanti dell’istituzione carceraria italiana e alcuni professori dell’Università Statale di Milano al fine di comprendere i meccanismi amministrativi e giuridici, solo in apparenza lontani dall’architettura.

inerenti all’universo intra-moenia appaiono come un affare lontano dagli interessi della società. Eppure - citando l’aforisma di Dostoevskij - “il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”, diviene chiara la necessità di una consapevolezza collettiva più estesa. La questione architettonica può rappresentare un trampolino di lancio verso una sensibilizzazione sociale, aprendo una breccia nelle mura carcerarie e nel mondo in esse contenuto. Il nostro lavoro si pone come punto di riflessione in questa corrispondenza tra carcere e società.

Il progetto architettonico, pertanto, delimita degli spazi di incontro tra le due parti prendendo in esame temi cari e affini ad entrambe come l’affettività, il lavoro e la cultura.

Prima di entrare nel merito della relazione tra carcere e società, si è scelto di iniziare con la conoscenza del sistema interno alle

1 Carmela De Lorenzo, direttrice Casa circondariale di Ravenna

2 Associazione non governativa che si occupa della tutela tutela dei diritti nel sistema penale

3 Riforma dell’ordinamento penitenziario in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83, 85, lettere a), b), c), d), e), f), h), i), l), m), o), e), s), t), e u) della Legge 23 giugno 2017, n. 103

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1

IL CARCERE: UN’ARCHITETTURA AL MARGINE

Il carcere che non vogliamo vedere è un luogo emblematico e fa paura perché sappiamo che oltrepassata quella soglia la vita si fa nuda.

Puro corpo ove comunicazione, eros, memoria, identità sono sospesi e negati.

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1

.1 L’ESCLUSIONE DELLE CARCERI

Il margine rimanda per difettoall’idea di

un centro, di un interno da cui si è esclusi ed emarginati.

Il carcere è l’architettura dell’esclusione per eccellenza: esso si costituisce internamente come un sistema di luoghi interclusi ed esternamente come un sistema di separazione rispetto al corpo urbano e territoriale e provoca un duplice isolamento, sia fisico che sociale perché allontana i detenuti dalla società civile e dalla comunità.

Tale esclusione rischia di non essere solo la condizione necessaria perché la pena si compia, ma anche un’aggravante della pena stessa. Si tratta di una separazione pericolosa e contraddittoria perché la pena, nella maggior parte dei casi, riguarda un periodo limitato teso all’integrazione sociale del recluso. La contraddizione risiede infatti nell’incoerenza tra l’obiettivo della detenzione, il reinserimento sociale, e il luogo della pena, ai margini dalla società.

Tale distanza tra teoria e prassi riduce l’efficacia di tutti quei programmi trattamentali e la possibilità di una detenzione positiva, e rischia di rendere il carcere An expensive way of making bad

people worse 1.

Le ragioni su cui si basa la separazione tra società e luogo della pena sono strettamente connesse ai temi della sicurezza, del controllo e del decoro. L’architetto Giovanni Michelucci, che per anni si concentrò sullo studio e la progettazione delle carceri e fu parte attiva nel relativo dibattito si confronta su questi temi e indaga le ragioni del rifiuto della città nei confronti dell’architettura del carcere:

non so se il carcere faccia più paura come oggetto o come concetto. Io lo rifiuto in tutte e due le forme, come risposta sbagliata persino ai “terrori” dell’opinione pubblica più sprovveduta che chiede ordine e tranquillità. Non ci potrà essere né ordine né tranquillità nei nuovi contenitori,

1 Houseofcommonjusticecomitee., Cutting crimes: the case for justice reinvestiment, 2009.

magari rivestiti in marmo, che cominciano a farsi notare nelle nostre periferie, come non ci sarà mai sicurezza sufficiente per chi ha perduto qualsiasi rapporto con il proprio territorio 2.

Ogni rapporto esiste in quanto ognuno degli elementi ha bisogno dell’altro per esistere o confrontare la propria identità. Forse per questo ritengo che l’attuale tendenza della città ad allontanare da sé i luoghi della pena non rappresenti un‘evoluzione in positivo della sua capacità di convivere con la devianza, quanto un tentativo di rimuovere dal proprio corpo tutti i problemi che ritiene deturpanti la sua immagine convenzionale. Una tendenza che peraltro è confermata dal modo in cui cerchiamo di allontanare da noi gli ospedali, perché non ci ricordino la malattia e la morte 3.

2 micHelucci G., L’architettura delle prigioni, Ministero di Giustizia di Grazie e Giustizia, Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria.

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1

.1.1 LE RAGIONI STORICHE DELLA DELOCALIZZAZIONE

E’ un rapporto antico quello tra le carceri e il loro contesto. Storicamente, al pari delle altre istituzioni cittadine, le carceri risiedevano all’interno del tessuto urbano consolidato.

Nell’Ottocento questa relazione, un tempo così viscerale, subì un cambiamento con l’espansione urbana e si assistette al trasferimento nelle periferie di numerose funzioni, scelta dettata anche dal recente sviluppo infrastrutturale:

Ovunque la struttura delle grandi città è sconvolta dalle ferrovie, strumento importante di industrializzazione: esse trasportano le materie prime e le distribuiscono nelle zone periferiche. I nuovi quartieri costretti ad accogliere ciò che è respinto dal centro urbano commerciale, ricevono le fabbriche, gli alloggi operai (in genere sovraffollati), i cimiteri, gli asili, le prigioni, i macelli (…) Municipi di quartiere, prigioni scuole, ospedali costruiti ex novo o ampliati e migliorati sotto un segno distintivo e

inequivocabile di questa stagione in cui le capitali europee vanno rapidamente riempendosi di dispositivi che le facciano

funzionare in modo più efficiente.4

Lo sviluppo urbano del XX secolo permise di ricucire le aree periferiche prodotte dall’espansione della città ottocentesca. I luoghi ai margini vennero re-integrati, permettendo loro di acquisire una nuova posizione strategica.

È con la seconda metà del Novecento che l’aumentare incontrollato e disordinato del tessuto periferico, produce la separazione tra il “sistema carcere” e quello della città. Le strutture carcerarie vengono collocate in zone residuali, senza identità e in territori di scarto. A fondamento di tale delocalizzazione vi è l’idea che gli spazi della detenzione non necessitino tanto quanto le altre funzioni urbane

4 CALABI D., Storia della città. L’età contemporanea, Marsilio, Venezia 2005. 5 Il carcere (Ndr)

6 MARIOTTI A., L’architettura penitenziaria oltre il muro Nuovi punti di contatto tra la casa di reclusione Due Palazzi e la città di Padova, Maggio lieditore, Milano 2013.

7 MARCETTI C., L’edilizia che non c’è, relazione al Seminario “Gli spazi della pena e l’architettura del carcere”, Giardino degli incontri di Sollicia no, Firenze, 13 giugno 2009

di un inserimento in un contesto.

Il fatto storico di averlo5 dislocato

all’esterno della città indica chiaramente che la pena è vissuta come distacco, come spostamento di persone: persone che

non devono essere viste.6

Ad aggravare l’isolamento furono anche le politiche dettate dall’emergenza sulla sicurezza, causate dal terrorismo degli anni di Piombo e dalla criminalità organizzata. Nonostante la nuova riforma penitenziaria del ‘75 sembrasse promettere una stagione rinnovata del sistema detentivo in grado di ridurre le logiche securitarie e contenitive, il bisogno di sicurezza aumentò le restrizioni e tutto il patrimonio edilizio penitenziario subì un trattamento

speciale di blindatura7 riducendo

considerevolmente la portata rinnovatrice della riforma e rendendoci eredi di una separazione tra carcere e città di difficile soluzione, descritta efficacemente dalle

parole di Lucia Castellano8 :

La modernità è un parallelepipedo di cemento armato lungo e alto. E’ una landa desolata. Se la riforma del ’75 e quelle successive volevano mandare un segnale di qualità della pena, chi ha progettato le carceri degli anni Ottanta non lo ha colto. Le vecchie prigioni, concepite secondo un’idea precisa di sicurezza, avevano nel panottico la loro migliore espressione. Quell’idea non è stata sostituita da nulla. Le prigioni moderne - architettonicamente insignificanti e prive di qualsiasi modello culturale di riferimento - si stagliano grigie in periferie grigie. Sono tutte uguali, indipendentemente da chi le abiti9.

8 direttrice di numerose case circondariali italiane: Casa Circondariale Genova Marassi(’91-’95), Casa Circondariale di Eboli, Vallo della Lucania e Sala Consilina (’95-‘02), Casa circondariale di Milano- Bollate (’02, ’11); attuale Direttrice Generale per l’Esecuzione Penale Esterna al Ministe ro della Giustizia.

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1

.2 L’IMPORTANZA DELLA RELAZIONE CON IL TERRITORIO

Nel 2017 il Ministro della Giustizia

Andrea Orlando10 decise di indire gli

Stati generali sull’esecuzione penale al fine di discutere attraverso diciotto “Tavoli tematici”, presieduti da operatori penitenziari, magistrati, avvocati, docenti, esperti, rappresentanti della cultura e dell’associazionismo civile, sull’annoso problema delle carceri italiane. il Primo “tavolo” di discussione fu Spazio della

pena: architettura e carcere, coordinato dall’architetto Luca Zevi. Si tratta di un riconoscimento importante da parte delle istituzioni e da parte delle altre discipline della centralità dell’architettura nella

risoluzione del “problema carceri” .11

Le conclusioni a cui giunse il dibattito in circa sei mesi di lavoro, furono strettamente

legate al tema della localizzazione, tutti i ragionamenti portano a dire che gli istituti in generale, e specialmente quelli destinati a ospitare forme alternative di detenzione devono essere in città, a contatto con la vita quotidiana delle persone libere, a contatto

contatto con la vita quotidiana delle persone libere, a contatto con il mondo del lavoro, dell’istruzione, con tutti quegli ambiti attraverso i quali il detenuto possa sentirsi ancora parte di una comunità civile.12

Dalla discussione degli Stati generali emerge l’idea che la reclusione non sia l’unica soluzione praticabile, ma venga scelta come ultima possibilità per risolvere il problema. L’esecuzione della pena deve poter considerare anche soluzioni alternative, che non prevedano un’esclusione così netta dei detenuti. Emerge quindi la volontà di rendere la pena più flessibile, con valutazioni in itinere sul percorso più adeguato per ciascun detenuto.

Secondo questa concezione la presenza delle strutture carcerarie e delle misure alternative sul territorio permette un reinserimento sociale più efficace e veloce, mentre nelle sedi penitenziarie

delocalizzate il processo costitutivo di un

10 Ministero della Giustizia della Repubblica Italiana dal 22 febbraio 2014 al 1º giugno 2018 nei governi Renzi e Gentiloni. 11 www.giustizia.it, 2018

12 SANTANGELO M., In prigione Architettura e tempo della detenzione, LetteraVentidue, Siracusa, febbraio 2017

rapporto tra carcere e città è infinitamente più lento e complicato a causa della maggior lontananza dalla rete dei servizi, che possono operare per rendere il carcere meno separato, e dal tessuto associativo che opera per favorire i processi di ricucitura sociale e culturale. In questa situazione il carcere accentua il suo ruolo di luogo escludente e scansato. L’unica connessione territoriale ricercata per la cittadelle della pena è quella infrastrutturale, come la vicinanza a nodi stradali importanti: il carcere vicino all’autostrada.13

Una soluzione possibile del problema è da alcuni individuata nel “ritorno alla città” delle sedi penitenziarie. Tra i sostenitori di questa idea c’è l’architetto Guido Canella, le cui opinioni sono il risultato degli studi accademici intrapresi a partire dagli anni Sessanta, quando per iniziativa del maestro Ernesto N. Rogers, si trovò coinvolto

sul tema progettuale del carcere.14

In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2006, afferma:

Il futuro di un carcere, sempre più orientato alla semilibertà va ricercato in un sistema di luoghi deputati articolato e diramato nel corpo fisico della città, accessibile e integrabile in entrata e in uscita, da e verso quelle istituzioni (assistenza, istruzione, lavoro) in grado di consentire un autentico graduale reinserimento nella società seguito da più qualificate prestazioni di tutela, osservazione e custodia: ecco che allora, assai più dei recenti complessi penitenziari sorti isolati ai margini delle aree metropolitane, sarebbero ancora le sedi storiche, sorte nella prima espansione della città, attualmente in crisi di sovraffollamento, a garantire, una volta sottoposte a un criterio di radicale decongestione, proprio per la loro dislocazione divenuta ancora più strategica, quella necessaria permeabilità dalla società, nonché affidare alla memoria collettiva della cittadinanza un vissuto da non rinnegare.15

13 MARCETTI C., L’edilizia che non c’è, relazione al Seminario “Gli spazi della pena e l’architettura del carcere”, Giardino degli incontri di Sollicia no, Firenze, 13 giugno 2009.

14 BIAGI M. cura di, Carcere, città e architettura Progetti per il carcere di San Vittore 2004-2009, Maggiolieditore, Milano, 2012. 15 G. CANELLA, Corriere della Sera, 22 febbraio 2006.

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In linea con le considerazioni di Canella sull’ importanza del carcere in città, furono i sostenitori della conservazione di San Vittore nel centro di Milano, nel momento in cui si prospettò un possibile trasferimento del carcere. Il caso di San vittore è emblematico perché ha acceso

un dibattito lungo anni16 sulla relazione

tra carcere e città. Le posizioni in campo vedevano schierati da una parte i sostenitori della conservazione del manufatto e del carcere, e dall’altra quelli del trasferimento a favore di una nuova struttura in periferia, e della riconversione del manufatto storico a un’altra destinazione d’uso, più adeguata al centro città. I più estremisti sostenitori tra questi proponevano una radicale tabula rasa a vantaggio di operazioni immobiliari. Tra i primi si schierò l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia che spiegò così le ragioni della ferma opposizione al trasferimento:

abbiamo la tentazione di nascondere i problemi della società, rimuoverli. Un carcere in centro a Milano ricorda a tutti

che viviamo in un mondo complesso, in cui esistono la violenza, l’emarginazione e la povertà e che i problemi vanno affrontati e non rimossi.(…) Temo che i detenuti lontano dalla città perdano contatto con il mondo esterno, famiglie, avvocati, assistenti sociali e volontari che avrebbero difficoltà a raggiungere il carcere 17.

Dalla soluzione appena prospettata di ricucire il carcere e la città attraverso le sedi penitenziarie storiche, emerge spontaneo un grande interrogativo che riguarda la totalità del patrimonio penitenziario esistente, di cui fanno parte non solo le carceri nel tessuto urbano, ma anche le più recenti, perlopiù periferiche e caratterizzate da uno scarso valore architettonico. E’ necessario per affrontare la questione

una visione più ampia, non si tratta più di ragionare su un muro perimetrale e su ciò che esso contiene, bensì sulle tipologie dei luoghi e delle loro caratteristiche, sullo scambio tra dentro e fuori, sulla possibilità di relazione concreta con i contesti e le

16 Se ne parlava già ai tempi di Carlo Tognoli, sindaco di Milano alla fine degli Anni 70. È diventato un tormentone sotto il regno di Gabriele Albertini, fine Anni 90. Ci ha riprovato il ministro Roberto Castelli nel 2005. È tornato alla ribalta con il ministro della Giustizia Andrea Orlan do… (GIANNATTASIO M., Pisapia difende San Vittore: il carcere resti dentro la città, Corriere della Sera, 20 ottobre 2014)

17 GIANNATTASIO M., Pisapia difende San Vittore: il carcere resti dentro la città, Corriere della Sera, 20 ottobre 2014

di relazione concreta con i contesti e le comunità 18 . La mancanza di relazione va

affrontata in primis proprio nell’intorno del carcere, nelle aree residuali della città, costruendo un senso di urbanità, in modo che non solo i cittadini liberi, bensì anche quelli reclusi vi ci possano confrontare.

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2

GLI SPAZI DEL CARCERE

Il dialogo è sempre dialogo tra differenze e ordini comprensibili, anche se talvolta si presentano sotto la forma del mistero, che è compito cercare di capire con i nostri strumenti.

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.1 UNO SGUARDO ALLE CARCERI EUROPEE

Prima di entrare nel merito della relazione tra carcere e società, si è scelto, come primo passo dell’indagine uno sguardo più interno, intra-moenia. Questa scelta sebbene possa apparire in contraddizione con il fine ultimo della nostra ricerca, quello di pensare a un’integrazione possibile tra comunità reclusa e libera, prende le mosse da un’idea che Vittorio Gregotti espresse chiaramente durante i seminari tenuti all’Università IUAV di Venezia nel 2006, il cui contenuto è raccolto in Lezioni

Veneziane: (…)E’, comunque, io credo, l’esistenza di questo punto interno che permette di muovere utilmente verso il mondo e di aprirsi a esso e aggiungervi qualcosa: non si può dialogare con gli altri senza accedere criticamente alla propria identità1. Si è scelto, quindi, di iniziare con

la conoscenza del sistema interno alle mura delle strutture detentive, cosicché, successivamente, consci dell’identità del “sistema carcere”, si potesse immaginare un dialogo di questa con il mondo al di fuori.

Il carcere è un’architettura in cui coesistono complessità e “compressione”, è una

città ristretta2 , che, all’interno di un’area

fisicamente limitata, dovrebbe rispondere ai bisogni e alle aspirazioni umane. Al fine di studiare sistemi tanto complessi, il nostro sguardo si è rivolto a quelle carceri italiane ed europee, che, in un panorama complessivamente povero di sperimentazioni, cercano di rispondere efficacemente alla vita dei detenuti e che hanno prodotto sperimentazioni interessanti sulle forme e le tipologie carcerarie. Ci si è mossi nella consapevolezza che ogni carcere è un caso specifico, legato al Paese in cui si trova, alla propria storia e alle proprie scelte politiche e sociali, ciò nonostante il criterio adottato per la selezione si basa su un punto condiviso da tutte le carceri scelte: il tentativo più o meno riuscito di non fare del carcere un aggravante della pena, ma di permettere una vita dignitosa durante il periodo detentivo.

1 GREGOTTI V., Lezioni Veneziane, Skira, Milano, 2016. 2 DESII D., La città ristretta. Cura dei luoghi, più qualità?, Alinea, Firenze, 2011.

3 Stati generali avvenuti nel 2017, indetti dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando al fine di discutere attraverso diciotto “Tavoli tematici”, presieduti da operatori penitenziari, magistrati, avvocati, docenti, esperti, rappresentanti della cultura e dell’associazionismo civile, sull’annoso problema delle carceri italiane. Il Primo “tavolo” di discussione fu Spazio della pena: architettura e carcere, coordinato dall’architetto Luca Zevi.

1 Rebibbia Casa di Reclusione 2 Storstrøm Prison

3 Milano-Bollate Casa di Reclusione 4 Koepel Prison

5 Halden Prison 6 Loeben Prison 7 Horsens State Prison 8 Mas d’Enric Penitentiary 9 Detention Centre Vordernberg 10 Carcere di Firenze Solliciano

4 SANTANGELO M., In prigione Architettura e tempo della detenzione, LetteraVentidue, Siracusa, febbraio 2017. Alcune di queste sono state visitate

nell’ambito della ricerca degli Stati

gene-rali sull’esecuzione penale3 al fine di

va-lutare le condizioni e trarre riferimenti per il miglioramento delle carceri italiane.

Ap-pare evidente l’importanza della progetta-zione architettonica dei complessi detenti-vi, del ruolo che questa può e deve avere particolarmente in considerazione della necessità di ridurre il più possibile la carce-razione come “punizione”4 .

I dieci casi studio selezionati sono stati classificati per temi, relativi alle principali

funzioni di cui sono costituiti (pernotta-mento, aree comuni, lavoro, affettività e amministrazione). Le ragioni di questa scelta risiedono nel fatto che le carceri essendo luoghi di reclusione, devono avere un’autonomia e un’autosufficien-za maggiore di qualsiasi altra istituzione cittadina e quindi racchiudere al loro in-terno funzioni, che normalmente, in un contesto libero, si trovano in aree molto più estese.

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.1.1 CAMERE DI PERNOTTO

Dal confronto delle carceri considerate emerge un impianto delle camere detentive molto uniforme e regolare, costituite da un lungo corridoio di collegamento che conduce alle singole unità. In relazione all’estensione della struttura penitenziaria questo schema viene reiterato un certo numero di volte, ripetizione dettata anche dalla differenziazione dei detenuti per reato o per genere. Le camere di pernottamento risultano interrotte dalla presenza di guardiole e di aree comuni a disposizione dei detenuti del reparto. Ogni reparto gode quindi di servizi e di un cortile riservati. Rispetto al perimetro murario la posizione delle camere di pernottamento è dislocata rispetto all’entrata e in posizione centrale relativamente al perimetro murario, cosicché i detenuti possano raggiungere il più facilmente possibile ogni area trattamentale e che il personale addetto al controllo durante gli spostamenti sia di numero ridotto.

Per quanto concerne i luoghi di pernottamento dei detenuti, il patrimonio penitenziario italiano versa in una

condizione difficile. Recentemente,

nel 2013, la Corte Europea dei diritti Umani (CEDU) ha condannato l’Italia per il trattamento degradante dei

reclusi delle carceri italiane5. Nel 2009 lo

spazio calcolato per ciascun individuo corrispondeva a meno di 3 metri quadrati

in cella6 . Il Comitato italiano aveva fissato

in 7 metri quadrati lo spazio minimo che deve essere a disposizione, con almeno 2 metri quadrati tra le pareti e 2,5 metri

quadrati tra il pavimento e il soffitto7.

Inoltre, la maggior parte degli esempi presi in considerazione riserva ai detenuti celle singole, che permetterebbero loro un proprio spazio privato quotidiano, cosa che accade molto di rado in Italia. Il tema della privacy è un tema sensibile nel carcere, Paradossalmente il carcere inibisce

la possibilità, nella quasi totalità dei casi ed in ogni momento del giorno e della notte, di stare da soli. Allo stesso tempo la

-condizione solitaria può essere pericolosa per i casi di autolesionismo. Tuttavia la cella dovrebbe essere singola. Questo non implica che la persona dovrebbe essere abbandonata alla sua solitudine8.

Molto spesso nelle carceri italiane la privazione di uno spazio privato e il continuo controllo da parte delle guardie penitenziarie corrono parallelamente al tema dell’infantilizzazione dei reclusi. E’ assente l’idea di responsabilizzare i detenuti, Le celle dovrebbero essere a

“libero accesso” e il detenuto dovrebbe aver la chiave e dunque gestire lui stesso apertura e chiusura. (...) Nell’ottica di un carcere responsabilizzante, non è chi è responsabile della detenzione a essere il supervisore della dimensione privata e a doversi recare nella cella per controllare lo stato delle cose come se la persona ristretta sia un bambino. La persona deve avere la chiave e assumersi la responsabilità del suo luogo, accollandosi pro e contro di tutto quello che di giusto o sbagliato si troverà

di tutto quello che di giusto o sbagliato si troverà nella sua stanza in occasione dei necessari controlli9 .

5 La Sentenza Torregiani ha condannato nel 2013 l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea che stabilisce il di

vieto di tortura, pene e trattamenti inumani e degradanti. 6 Cfr. Ufficio Studi Dap, documento Capienza istituti penitenziari, recepimento nell’ordinamento interno delle indicazioni CEDU e CPT, 17 aprile 2015.

7 Nuovo regolamento penitenziario del 30 giugno 2000 della Repubblica italiana, basato sulle indicazioni internazionali ed in particolare sulle “Regole minime per il trattamento dei detenuti” adottate dall’Onu e sugli indirizzi della “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.

8 PALMA M., Due modelli a confronto: il carcere responsabilizzante e il carcere paternalista,in:. Anastasia S., Corleone F., Zevi L., a cura

di, il corpo e lo spazio della pena, Ediesse, Roma, 2011. 9 Op. cit.

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REBIBBIA FALSTER BOLLATE HALDEN KOEPEL LOEBEN HORSENS MAS D’ENRIC VORDERNBERG

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.1.2 SPAZI COMUNI E DI LAVORO

Emerge dall’analisi funzionale sulle dieci carceri prese in considerazione l’esistenza di una gerarchia degli spazi comuni. La maggior parte dei complessi detentivi, infatti, presenta aree comuni per i singoli reparti dedicate alla quotidianità di ogni detenuto e spazi di maggiori dimensioni per la totalità dei reclusi, utilizzati in occasioni particolari. Le strutture detentive più all’avanguardia in Europa condividono il principio secondo cui la giornata del recluso si svolga per la maggior parte del tempo all’esterno delle camere. Il peso degli spazi collettivi, quindi pubblici, rispetto a quelli privati anche all’interno dei blocchi residenziali si è totalmente invertito rispetto al passato. E’ criterio

organizzativo ormai consolidato nel nostro sistema penitenziario, che ovviamente si ispira alle raccomandazioni europee, che il tempo minimo da trascorrere fuori dalle camere detentive sia pari ad 8 ore giornaliere appunto, salva l’esistenza di particolari esigenze di sicurezza che comportino necessarie restrizioni10.

Questa idea risulta di particolare efficacia soprattutto se la vita detentiva fuori dalla cella sia organizzata e occupata in attività ricreative e di lavoro. La possibilità e la capacità di ciascun recluso di organizzare il proprio tempo libero è ritenuta da Mauro

Palma11 , il perno della responsabilizzazione

del detenuto. A proposito Palma prende ad esempio il modello di un carcere danese, in cui al detenuto non viene dato nulla all’ingresso Sta a lui organizzarsi sulle cose

da comprare, cucinare sul come e quando. Per esempio il detenuto ha a disposizione una certa quota di denaro guadagnata lavorando, spetta a lui decidere se vuole spendere tutti i suoi averi in una volta sola e poi non mangiare per tre giorni o cambiare strategia.(…) In carcere è fondamentale l’elemento dell’auto-organizzazione: bisogna rendersi conto che il carcere è un luogo per persone adulte12.

Tra le ore della vita detentiva fuori dalle camere di pernottamento sono previste anche le aree di lavoro. Nei casi

10 BURDESE C., Mutamenti architettonici dopo l’adozione delle recenti modalità di esecuzione della pena e della custo

dia cautelare, Torino, 30 Novembre 2015 11 Il professor Mauro Palma è il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, nominato nel 2016 dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando.

12 PALMA M., Due modelli a confronto: il carcere responsabilizzante e il carcere paternalista,in:. Anastasia S., Corleone F., Zevi L., a cura di, il corpo e lo spazio della pena, Ediesse, Roma, 2011.

in analisi il lavoro detentivo si svolge perlopiù all’interno di padiglioni appositi, attrezzati per lavori specifici. L’istituzione

penitenziaria sia in Italia sia all’estero ha privilegiato lavori fortemente specializzati, quali officine meccaniche, falegnamerie, cucine. Ciò fa si che nella maggior parte degli istituti vengano individuati luoghi specifici, spesso padiglioni, in cui sono inseriti i luoghi di lavoro.13

L’art. 20 dell’ordinamento penitenziario definisce il lavoro negli istituti come non afflittivo e remunerato, l’organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per

agevolarne il reinserimento sociale14.

13 SANTANGELO M., In prigione Architettura e tempo della detenzione, LetteraVentidue, Siracusa, febbraio 2017. 14 Legge 26 luglio 1975. www.giustizia.it, 2018.

(16)

30 31 REBIBBIA FALSTER BOLLATE HALDEN KOEPEL LOEBEN MAS D’ENRIC HORSENS VORDERNBERG

(17)

2

.1.3 SPORT

Così come per le aree ricreative comuni, anche per quanto riguarda i campi sportivi e le palestre molte delle carceri analizzate presentano aree minori a servizio dei singoli reparti e campi sportivi di maggiori dimensioni condivise da tutti i carcerati. Questi spazi possono essere sia all’aperto specialmente se si tratta di campi sportivi di grandi dimensioni, sia al chiuso in particolare nelle carceri del Nord Europa e per quanto riguarda le piccole palestre riservate ai reparti.

Tra le sedi detentive che seguono questo schema è possibile osservare il caso del carcere spagnolo di Mas d’Enric, le carceri italiane di Rebibbia e Bollate, il carcere danese Storstrom a Falster e quello di Vordenberg in Austria.

L’ausilio dello sport come attività ricreativa è molto praticato nelle carceri spagnole, Paese in cui la costruzione di circa metà delle strutture detentive in meno di un ventennio ha permesso di delineare linee guida univoche ed efficaci che vedono

nello sport, uno dei fulcri del reinserimento

sociale15 . L’attività sportiva permette,

infatti, non solo la possibilità di contrastare una vita reclusa spesso sedentaria, ma anche di favorire la relazione tra i detenuti, aumentando la costruzione di una comunità intra moenia.

15 Le carceri spagnole sono settanta (…). Trenta istituti appartengono alla cosiddetta terza generazione, ovvero sono stati costruiti negli ultimi dodici anni.

MARIOTTI A., L’architettura penitenziaria oltre il muro Nuovi punti di contatto tra la casa di reclusione Due Palazzi e la città di Padova, Maggio lieditore, Milano 2013.

(18)

34 35 REBIBBIA FALSTER BOLLATE HALDEN KOEPEL LOEBEN HORSENS MAS D’ENRIC VORDERNBERG

(19)

2

.1.4 SPAZI DELL’AFFETTIVITA’

l’affettività è uno dei temi più complessi da trattare all’interno dei luoghi detentivi perché richiede una distensione del sistema di controllo per concedere al detenuto un contatto con la realtà esterna. I luoghi dei colloqui costituiscono il ponte che mantiene vivi i rapporti tra i reclusi e la comunità in cui hanno vissuto prima della pena.

Nelle carceri analizzate il luogo destinato agli incontri familiari si trova in una posizione strategica: tra i luoghi più interni della reclusione e la città. Come afferma Mauro

Palma16 a tal proposito Gli spazi inter-cinta

(tra il muro e gli spazi veri e propri della detenzione) possono facilmente essere dedicati principalmente a questo spazio di relazione17. La totalità dei casi studio

analizzati collocano gli spazi dell’affettività appena dopo la zona di controllo, vicino al perimetro murario ed alcune carceri presentano un’area verde all’aperto dove poter incontrare gli amici e i parenti in visita. Un’attenzione particolare nella

progettazione e gestione di questi spazi è riservata alla differenziazione degli spazi d’incontro. Questi devono rispondere ad esigenze differenti a seconda del tipo di detenuto e del visitatore e devono quindi essere flessibili e permettere diverse modalità d’incontro, specialmente se il parente in visita è un bambino.

Il patrimonio penitenziario attuale raramente risponde in modo adeguato agli incontri tra detenuti e familiari in visita. il tema dell’incontro è importante e delicato allo stesso tempo. Entrano in gioco dei sentimenti che difficilmente

possono essere contenuti negli stanzoni attualmente adibiti all’incontro, sovraffollati di gente di ogni tipo18. Anche nel carcere

fiorentino di Sollicciano, prima della realizzazione del “Giardino degli incontri”, raro progetto positivo di spazio affettivo in carcere, presentava una sede riservata ai colloqui costituita da stanze con divisori in muratura e in alcuni casi anche con vetro di separazione. Il cambiamento avvenne

16 Il professor Mauro Palma è stato nominato nel 2016 dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando a ricoprire il ruolo di Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale,. 17 PALMA M., I temi. Uno sguardo mirato, Roma, 3 aprile 2011.

18 Op. cit

solo nel 1985, anno in cui un gruppo di detenuti, appartenenti all’area della detenzione politica, propose all’architetto Giovanni Michelucci di coordinare il progetto del “Giardino degli incontri” che autonomamente stavano già

elaborando19.

Da questa esperienza di progettazione partecipata, che l’architetto accolse con entusiasmo, ne derivò un intervento straordinario rispetto ai consueti spazi di relazione. La portata innovatrice consistette in particolare nel suo essere aperto alla

città dentro il recinto del carcere murario20

, e quindi di assumere chiaramente il ruolo di ponte fra cittadini liberi e reclusi.

19 MARIOTTI A., L’architettura penitenziaria oltre il muro Nuovi punti di contatto tra la casa di reclusione Due Palazzi e la cit

tà di Padova, Maggiolieditore, Milano 2013.

20 Op. cit

(20)

REBIBBIA FALSTER BOLLATE KOEPEL HALDEN LOEBEN SOLLICIANO

(21)

2

.1.5 SEDI AMMINISTRATIVE E LUOGHI DI CONTROLLO

I primi edifici verso l’ingresso ospitano, in tutte le carceri analizzate, la sede amministrativa e il primo grande punto di vigilanza che permette di controllare l’accesso. Più internamente, in modo più distribuito su tutto lo spazio detentivo sono presenti altri posti di guardia in entrata e uscita di specifiche funzioni.

Per quanto riguarda lo schema generale dell’impianto architettonico di un carcere, è assodato che ogni qualvolta esso segua una linea radiale o a palo telegrafico, il suo requisito principale è riferito alla sorveglianza ed alla sicurezza.

Ciò implica il fatto che più l’impianto si basa sul perfezionamento delle brevi distanze tra le sue differenti parti e più la forma del blocco cellulare è identificabile come la parte principale dell’istituzione, più quest’ultima risponde alle esigenze di sicurezza; cosa che comporta sovente ulteriori sviluppi del trattamento in ragione della carenza dei locali adeguati.

Al contrario, ogni qualvolta l’impianto prende una forma più complessa (per esempio si sviluppa intorno una parte centrale o uno spazio centrale aperto) ciò rappresenta una ricerca più avanzata di qualità dell’ambiente architettonico per i detenuti e le loro relazioni umane 21.

Dal passo scritto dall’architetto Cesare

Burdese22 si evince quanto una buona

qualità della vita detentiva sia in contrasto con una reclusione, caratterizzata da continui controlli. In questo senso lavora la nuova concezione di sorveglianza, cosiddetta “dinamica”. Si tratta di togliere

una serie di tortuosità legate alla vecchia idea di carcere. La necessità del detenuto di non sentirsi controllato coincide con la necessità del sistema carcerario di rendere responsabile la persona nei confronti suoi e di quella speciale comunità di cui fa parte23.

La vigilanza dinamica è fondamentale soprattutto durante il tempo fuori dalle camere detentive, di almeno otto ore giornaliere, salvo l’esistenza di particolari esigenze di sicurezza che comportino necessarie restrizioni.

21 BURDESE C., Mutamenti architettonici dopo l’adozione delle recenti modalità di esecuzione della pena e della custo

dia cautelare, Torino, 30 Novembre 2015. 22 Dal 1986 Cesare Burdese è impegnato sui temi dell’edilizia penitenziaria, promuovendo numerose iniziative di carattere culturale sul tema del rapporto città/carcere e assolvendo ad incarichi professionali per conto del Ministero della Giustizia. E’ membro della Commissione per elaborare proposte di interventi in materia penitenziaria, costituita presso l’Ufficio di Gabinetto del Ministro della Giustizia in data 13 giugno 2013.

23 Report ricerca FARB, Lo spazio di relazione nel carcere, Settembre 2017

(22)

42 43 REBIBBIA FALSTER BOLLATE KOEPEL HALDEN LOEBEN SOLLICIANO VORDERNBERG

(23)

AFFETTIVITA’ AMMINISTRAZIONE

luoghi minori, riservati ai singoli reparti e in spazi di maggiore dimensione per la to-talità dei detenuti. Infine i luoghi di lavoro sono collocati nella maggior parte dei casi in una struttura autonoma, generalmente a padiglione, connessa ai reparti attraverso spazi distributivi. tificate, condividono logi-che distributive comuni.

Ad ogni modo, tutti i casi-studio rifuggo-no la semplificazione e tendorifuggo-no alla com-plessità e alla diversificazione degli spazi, al fine di non scadere in spazi ripetitivi e

banali che aumentano la percezione di monotonia della vita detentiva. Queste osservazioni rivelano che ciò che è valido per l’architettura moderna in generale è altrettanto vero per l’architettura peniten-ziaria: la ricerca per rispondere alla com-plessità dei bisogni sociali ed individuali della vita di oggi, rende ancora più com-plessa l’organizzazione delle costruzioni di cui lo spazio ed il volume possono es-sere raramente ridotti in schemi semplici ed elementari25.

25 BURDESE C., Mutamenti architettonici dopo l’adozione delle recenti modalità di esecuzione della pena e della custodia cautelare, Torino, 30 Novembre 2015.

2

.2 OSSERVAZIONI SULLE ANALISI

DETENZIONE SERVIZI SPORT

Dalle analisi condotte sulle dieci carceri si evince la presenza di una pratica consoli-data nella gestione degli spazi intra moe-nia, dettata sia dal bisogno di controllo sia dalla volontà di fare delle strutture deten-tive un luogo che risponda nel modo più completo ed efficace possibile ai bisogni dei cittadini privi di libertà. Si è osservato come lo spazio interno al perimetro mu-rario venga letto dai progettisti al pari di un terreno di fondazione di una città. Le carceri, infatti, proprio come delle città for-tificate, condividono logiche distributive comuni.

L’impianto condiviso mostra la scelta di porre gli edifici destinati all’ammini-strazione e al controllo sul margine del recinto, a cui è generalmente collegata una struttura autonoma dedicata agli

in-contri, situata negli spazi inter cinta24 e

spesso prospicente un giardino. Il cuore della struttura penitenziaria è riservato ai luoghi, nei quali si svolge la quoti-dianità dei reclusi: le camere di pernot-tamento, gli spazi ricreativi e sportivi. Quest’ultimi sono pensati secondo una logica spaziale gerarchica, articolata in 24 spazi tra il muro e gli spazi veri e propri della detenzione.

(24)

3

VERSO UNA RELAZIONE

E’ necessario operare minuziosamente nei tessuti intermedi, lavorare tra gli elementi disgregati, consolidare il connettivo che troppo spesso è piattaforma informe su cui le architetture-oggetto poggiano, potenziare le relazioni seppur deboli che sussistono o crearne di nuove (reali o virtuali), tessere una trama di tensioni costruttive in grado di mettere in dialogo i frammenti, senza negarne il carattere autonomo e costitutivamente instabile degli spazi in transizione. Temi e risposte diversificati devono intersecarsi, declinandosi in punti precisi e alle scale diverse, senza perdere di vista una strategia unitaria, abbastanza forte da permettersi il lusso dell’elasticità.

(25)

3

.1 DA LIMITE A SOGLIA

Ragionare sull’architettura del carcere, soprattutto se considerata in relazione all’intorno, rimanda al concetto di limite e su di esso bisogna quindi interrogarsi. Nella progettazione della città contemporanea assistiamo a una continua definizione e a un continuo ribaltamento di limiti: profondi cambiamenti metropolitani in cui le delimitazioni geografiche, sociali e funzionali cambiano configurazione, ora indebolendosi, ora rafforzandosi.

Il limite rimanda innanzitutto al concetto di spazio: il termine deriva infatti dal latino limes, che indica una linea tracciata trasversalmente attraverso una qualsiasi superficie e soprattutto attraverso il terreno, con la precisa funzione di escludere e circoscrivere. E’ riconducibile, poi, ad un secondo termine latino, limen, che significa soglia, figura liminare, spazio della transizione e luogo di discrimine. Il limite non

è il punto dove una cosa finisce ma da dove

partire, da dove una cosa inizia la propria

essenza1 : rappresenta l’intervallo conteso

tra fronti opposti e coincide con entrambi non corrispondendo nel contempo a

nessuno di essi.

Nel saggio Figure architettoniche: soglia2

, Sergio Crotti definisce la soglia come un contorno della forma tra sfondo e figura, ma anche tra soggetto e insieme degli oggetti costituenti il mondo fisico, arrivando a ricoprire varie nozioni anche sul versante dell’architettura e del disegno urbano. La soglia rappresenta il limite concettuale dell’ingresso e dell’uscita, è la linea di contatto dell’incidere umano. Nei molteplici atti dell’edificare la soglia si mostra fragile, incerta, ogni volta variabile e nel momento in cui diviene il solco tracciato nel suolo, il segno posto sul terreno, determina punti, linee e superfici che insieme congiungono e dividono così da delimitare il luogo. La soglia non è qualcosa di stabile, ma è anzi un elemento dinamico e variabile. Essa si pone entro due situazioni ed in quanto tale, è equivalente ad uno spazio di passaggio e allo stesso tempo di demarcazione e differenziazione.

1 HEIDEGGER M., Corpo e spazio, ed it. Il Melangolo, Genova 2000. 2 CROTTI S., Figure architettoniche: soglia, Unicopli, Milano,2000.

(26)

3

.2 PROGETTARE IL MARGINE

Le carceri di ultima generazione3 in

Italia si trovano in un territorio distante dal conglomerato urbano, spesso inserite in aree periferiche, caratterizzate

dagli scarti che la città dappertutto4 ha

generato: sprawl, industria e le grandi reti infrastrutturali. I complessi penitenziari, non solo sono architetture al margine di per sé, ma sono anche immerse in contesti e-marginati: in questo senso i luoghi della pena risultano doppiamente isolati.

La città stessa ci mostra le sue ferite, tra le frange dei tessuti meno compatti, scenari degradati per residenti che non possono scegliere, “vuoti svuotati” dove i punti di riferimento sono assenti, le permanenze deboli, la vivibilità poco sostenibile.5

E’ necessario pertanto interrogarsi sugli spazi residui per leggere il territorio intorno alle carceri, individuarne le criticità e comprenderne i valori potenziali. E’

urgente allora un cambio di direzione, una riqualificazione degli spazi della vita non

più e non tanto nei luoghi consolidati della storia, ma in quelli dispersi, fragili e privi d’identità del contemporaneo. Più che mai si rende necessario l’approfondimento dei materiali e degli strumenti del progetto urbano là dove massimo è il disorientamento, ai bordi delle periferie urbane, dentro i vuoti irrisolti e gli spazi scartati del post-industriale, nelle sedi frammentate della città dispersa, carenti da più punti di vista.6

È necessaria un’operazione di ricucitura, basata sull’individuazione di possibili tensioni generative di urbanità: ricercare quindi, all’interno di ogni territorio e delle sue specificità, un nesso per intessere legami tra parti residuali. Si direzionano

tutti gli sforzi ed i saperi per costituire, a partire da questi residui, dapprima vuoti, spazi dell’assenza, dispersi e scartati, le sedi rigenerative della città e del paesaggio: il Residuo diviene Sedime Fertile grazie al progetto, restituendo all’uomo spazi per la collettività, luoghi vivibili di qualità e densi

3 Dalla seconda metà del Novecento in poi. 4 De MATTEIS G., La città dappertutto, in AA.VV., Geometria e Natura, Atti del Convegno Nazionale ANCSA, Bergamo 2007.

5 ARIOLI A., Paesaggi in transizione: da vuoto informe a sedime fertile. Il progetto dello spazio residuale per la riqualificazione dei contesti di

margine, tesi di dottorato, Politecnico di Milano, 2012, relatore SPAGNOLO R. 6 Op. cit.

(27)

Il secondo esempio riguarda un altro carcere austriaco progettato da Architekturwerkstatt din a4 e Dieter Mathoi Architekten di Innsbruck. In questo caso l’edificio diventa esso stesso cinta muraria senza il bisogno di apporre ulteriori divisioni, evitando così l’immagine tradizionale del carcere come “matrioska” di recinti. Oltre alla progettazione dell’edificio non è da sottovalutare la scelta di affidare il progetto dello spazio aperto e della piazza antistante l’ingresso allo studio dei paesaggisti Auboeck+Kàràsz. Seppur di ridotte dimensioni, i progetti austriaci costituiscono un importante riferimento progettuale, ma purtroppo non sufficiente a elaborare un paradigma architettonico con cui interfacciarsi per un progetto sulla relazione tra carcere e città. In un panorama povero di sperimentazioni e privo di un’idea di architettura carceraria capace di tradurre la teoria in prassi, risulta interessante il parallelo tra tipologia penitenziaria e conventuale sostenuto da

conventuale sostenuto da Luigi Vessella, nel manuale “Open prison architecture”:

The building system of Charterhouses combines different typologies of spaces with progressive degrees of isolation from the external world. (…)The charterhouse model, from the point of view of the functional organisation, is the one that better combines the needs of individual with collective life. 11

L’architettura penitenziaria così come quella monastica si confronta sul tema complesso della chiusura e dell’esclusione. Il convento dà risposte tipologiche che possono insegnare all’architettura carceraria la gestione graduale della chiusura e dell’apertura, senza una cesura netta tra comunità libera e reclusa.

Charterhouses present three elementary compositional units. The nuclei of the heremits, the cenobites and the lay brothers, each organized around its own cloister and distributed according to the

11 VESSELLA L., Open prison architecture. Design criteria for a new prison typology, Wittpress, Southampton, 2017.

di significati.

Operare sperimentalmente sullo spazio residuale presuppone una conoscenza specifica: si tenta di mettere a punto uno strumento capace di individuare e dare riconoscibilità alle aree sfrangiate, vuote, di scarto appunto, dove l’architetto è sempre più spesso chiamato ad operare. La cifra più significativa del residuale, insieme alla prevalente libertà dall’occupazione del suo suolo, è tuttavia la grave carenza di riconoscibilità.7

La riconoscibilità di un luogo ne presuppone la conoscenza e quindi il conferire a quello spazio un senso. Il primo passo da compiere per togliere dall’esclusione gli spazi detentivi è di conferire loro un significato, un ruolo sociale. Come afferma il direttore del carcere di Bollate Massimo Parisi che

un’integrazione è fattibile nel momento in cui il carcere eroga servizi.8Tra carcere e

città deve esistere un rapporto biunivoco, un do ut des costante, e non ridurre quindi

il dialogo a mere forme di volontariato. Proprio su questo tema Giovanni Michelucci afferma: Ogni rapporto esiste in

quanto ognuno degli elementi ha bisogno dell’altro per esistere o confrontare la propria identità .9

Il progetto urbano e architettonico

potrebbe contribuire efficacemente

in questa direzione. Come è già stato sperimentato in Austria, si potrebbe pensare a un rapporto urbano più aperto e diretto tra il sistema detentivo e quello urbano. Ne sono un esempio le carceri di Loeben e di Korneuburg. Il primo caso, progettato dallo studio Hoensinn Architektur di Graz, consiste in un edificio

complesso, formato da due parti, una ospita il tribunale e l’altra il carcere maschile di media sicurezza, ma l’idea di considerarlo una entità ha consentito ai progettisti di offrire alla città una facciata più aperta, una sorta di scrigno trasparente a servizio della cittadinanza, per cancellare la patina di impenetrabilità e cupezza di tutti gli edifici carcerari.10

7 Op. cit. 8 Affermazione rilasciata durante il colloquio del 15 maggio 2018, (Vedi sotto capitolo 5.1 della tesi).

9 MICHELUCCI G., L’architettura delle prigioni, Ministero di Giustizia di Grazie e Giustizia, Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria. 10 SANTANGELO M., In prigione Architettura e tempo della detenzione, LetteraVentidue, Siracusa, febbraio 2017.

(28)

Monastero di Santa Maria de la Tourette

Le Corbusier

Anno | 1956

Monastero di Chiaravalle

Anno | 1135 d.C. Monastero di CadouinAnno | 1154 Monastero di BatalhaAnno | 1385 Convento domenicano a Media

Louis Kahn

Anno | 1965

Monastero Novy Dvur

John Pawson

Anno | 2004

APERTO SEMI APERTO CHIUSO

diagramma | livello di apertura GRADI DI CHIUSURA

La tipologia architettonica del convento

to the idea of a progressive detachment from the external world which increasingly protects the isolation of the monks .12 Perno della relazione tra monastero e territorio è la chiesa, aperta a tutti i credenti, sia laici sia religiosi. Il luogo di culto principale diviene nel monastero uno spazio pubblico a tutti gli affetti e si presenta come la facciata dell’intero complesso monastico. È l’elemento che dà riconoscibilità ed identità a un luogo meno accessibile, più chiuso, come la parte più interna del convento. Ecco che la tipologia del convento ci suggerisce almeno due elementi utili alla progettazione del carcere: il primo è la presenza in un complesso che nella sua unitarietà presenta diversi gradi di isolamento, inversamente proporzionali alla vicinanza con la città; la seconda consiste nella necessità di frapporre tra i due sistemi uno spazio

pubblico che consenta, attraverso funzioni strategiche, il contatto tra il territorio e il luogo della reclusione.

12 GIUSTI M.A., in “Progettando edifici. Considerazioni sul progetto di architettura come arte della tecnica”, Forma Edizioni, Poggibonsi, 2012.

Carcere di Korneburg e Carcere di Loeben

(29)

4

ILPROGETTO

CASA DI RECLUSIONE MILANO-BOLLATE

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4

.1 IL CASO MILANESE

La città di Milano dispone di tre istituti penitenziari diversi sia per l’area in cui sorgono, sia per il periodo storico a cui risalgono. Il primo carcere per data di costruzione è San Vittore (costruito nella seconda metà del XIX secolo), seguito da Opera (1987) e da Bollate, la cui costruzione è terminata nell’inverno del 2000. Sebbene tutti e tre si trovino a Milano, il contesto urbano di ciascuno delle case di reclusione milanese si distingue profondamente da quello dell’altra. Basti pensare a San Vittore e Opera: la prima integrata in un tessuto compatto fortemente storicizzato, mentre la seconda in un contesto rurale a sud della città. Anche il caso di Bollate presenta un contesto molto diverso da quello delle altre due carceri: si trova, infatti, in un area periferica, fortemente antropizzata e caratterizzata dalla rete infrastrutturale a servizio della città.

Oltre a questo, sebbene ogni struttura sia diversa dall’altra, restano degli elementi critici ricorrenti, e che segnano il pensiero negativo del carcere: si trovano nei materiali, nelle misure, nelle dimensioni delle celle, anzi nelle “camere”.

Quello che emerge in modo oggettivo nelle strutture detentive sono i materiali: La presenza ossessiva dell ferro e cemento, questo di sicuro le accomuna e istituisce una simbologia negativa del carcere come luogo di cessazione, privazione, di afflizione.1

(31)

4

.2 UN CONTESTO IN TRASFORMAZIONE

Il contesto in cui si colloca la Casa di reclu-sione Milano-Bollate è caratterizzato da un tessuto periferico, composto da residenze suburbane, industrie e spazi residuali. In particolare, il lotto è delimitato dalle gran-di reti infrastrutturali gran-di collegamento tra la città di Milano e i territori a Nord Ovest. Nel caso dei collegamenti che attorniano il lotto in cui sorge Bollate, si può afferma-re senza troppi indugi che ciò che

nell’in-sieme unisce nelle singole realtà divide2.

Esiste infatti una forte cesura tra il tessuto urbano e questa parte di città, rendendo la Casa di reclusione un’isola nell’isola. Le grandi trasformazioni urbane, avvenute specialmente negli ultimi anni non hanno contribuito a invertire questa tendenza: al contrario i nuovi insediamenti si sono sem-pre insediati come realtà chiuse e auto-nome. Si può, infatti leggere questa parte di città come una costellazione di recinti: il cimitero maggiore, Rho-fiera, la Casa di

2 Crotti S., Reti, reticoli, reticolati, in ZANNI F. (a cura di), Architettura Progetto Reti, Clup, Milano 2002

Reclusione Milano- Bollate, Expo 2015 e l’ospedale Sacco.

Tra i grandi progetti che il lotto ha ospita-to vi è Expo 2015, evenospita-to che, una volta concluso, ha posto l’amministrazione di-nanzi al problema della ri-funzionalizza-zione urbana. Dopo anni si è giunti alla definizione di un masterplan, progettato da Carlo Ratti e Andras Kipar (LAND). Se-condo il progetto all’interno dei confini di Expo 2015 sorgerà MIND, “Milano In-novation district”, un’area polifunzionale che individua la propria vocazione prin-cipe nel polo tecno-scientifico di ricerca, “Human technopole”, che ha sede nel Padiglione Italia di Expo 2015. Il progetto prevede, oltre alla destinazione d’uso re-sidenziale e commerciale, anche il trasfe-rimento dei poli scientifici dell’università degli Studi di Milano e la costruzione di un nuovo padiglione dell’ospedale Gale-azzi. In conformità con la sua vocazione alla polifunzionalità, il progetto si presenta come autonomo e autosufficiente, avulso dal contesto urbano milanese. Proprio per questo, la possibilità di un’interazione con l’intorno e con il carcere risulta difficile e

distante dalle finalità progettuali. Il dialo-go tra il carcere e il nuovo parco tecnolo-gico tuttavia va considerato ex-ante, co-sicché il progetto includa sia dal punto di vista architettonico che urbanistico un rapporto con la preesistenza carceraria. Una connessione tra i due sistemi sol-tanto ex-post rischierebbe infatti di com-mettere nuovamente l’errore di creare una cesura tra teoria e prassi, problema piuttosto frequente nella storia delle car-ceri italiane e non solo.

La qualità di Bollate è merito di una buo-na amministrazione e di ubuo-na propensio-ne al dialogo della città di Milano, non è indubbiamente dovuta ai suoi spazi e alla sua architettura, che, invece, impedi-scono l’integrazione, il senso di comu-nità e l’apertura. Proprio in un carcere di questo tipo si potrebbero condurre spe-rimentazioni che riguardino gli spazi del-la detenzione, così da poter immaginare una nuova idea di spazio carcerario che rispecchi tutto ciò che di positivo la Co-stituzione e gli Ordinamenti penitenziari impongono.

(32)

STATO DI FATTO

4

.2.1 L’AREA DI PROGETTO

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(36)
(37)

4

.2.2 LA CASA DI RECLUSIONE MILANO-BOLLATE

Costruito al margine Nord Ovest della città nel 2000 su un progetto risalente agli anni ’80, la casa di reclusione Milano-Bollate presenta una struttura “a palo telegrafico”, vale a dire un lungo corridoio di distribuzione centrale che collega blocchi autonomi. Si compone di otto reparti, l’ultimo risalente al 2009. Tutti presentano aree comuni al piano terra, mentre le camere di pernotto si distribuiscono in quattro piani di altezza. Nel corso degli anni l’amministrazione di Bollate si è distinta per la qualità e la quantità delle attività trattamentali e per il suo continuo dialogo con la città. Il carcere di Bollate trova nell’erogazione di servizi il suo contatto principe con l’intorno. Ne sono un chiaro esempio il vivaio aperto al pubblico, il nido aziendale, di cui possono usufruire i figli dei dipendenti, delle detenute madri e dei comuni cittadini, e, infine, il ristorante “In Galera”, situato nello spazio

inter-cinta e liberamente aperto al pubblico . Oltre a queste attività ve ne sono molte altre, legate soprattutto alla musica, al

teatro e allo sport. Il carcere di Bollate è riuscito ad attivare un circolo virtuoso, che lo pone in una posizione di confronto continuo, sempre più aperto alla sperimentazione e all’apertura.

La buona pratica del carcere è stata anche confermata anche per quanto riguarda la “finalità rieducativa” della pena dal notevole calo della recidiva nei soggetti che vi hanno scontato il periodo di detenzione. PIENI E VUOTI INFO CARCERE Nazione : Italia Anno : 2000 N.Detenuti : 1242

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LAYOUT FUNZIONALE LAYOUT SPAZIO APERTO

Spazio aperto verde Spazio aperto pavimentato Spazi di passeggio | sport Orti

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stato di fatto

Progetto Mind + UniMi

in area ex-Expo Centro culturalein area ex-Expo

Progetto Mind + UniMi + Centro culturale in area ex-Expo

RETE DI RELAZIONI Tra enti promotori di cultura

museo centro culturale università polo urbano

CENTRI CULTURALI In aree periferiche di Milano

mare culturaleurbano

Pirelli HangarBicocca

fondazione prada

centri culturali poli urbani tessuto urbano

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INCLUSIONE | ESCLUSIONE

Monastero di Santa Maria de la Tourette

Le Corbusier

Anno | 1956

Monastero di Chiaravalle

Anno | 1135 d.C. Monastero di CadouinAnno | 1154 Monastero di BatalhaAnno | 1385 Convento domenicano a Media

Louis Kahn

Anno | 1965

Monastero Novy Dvur

John Pawson

Anno | 2004

APERTO SEMI APERTO CHIUSO

diagramma | livello di apertura

Carcere di Bollate

Secondo l’idea espressa da Luigi Vessella in Open prison architecture. Design crite-ria for a new prison typology, la tipologia conventuale può suggerire all’architettura carceraria delle indicazioni utili alla pro-gettazione e alla ricerca di un paradigma tipologico. L’architettura penitenziaria così come quella monastica hanno in comune il tema della chiusura e dell’esclusione. Una lettura della distribuzione planime-trica dei complessi monastici fornisce utili suggerimenti alla gestione dello spazio del carcere: in primis la necessità di diversi gradi di isolamento e di sicurezza, inversa-mente proporzionali alla vicinanza con la città; in secondo luogo la presenza di un spazio-filtro, da frapporre tra i luoghi più interni del complesso e l’esterno.

Per il convento questo luogo è rappre-sentato dalla chiesa, che assume a tutti gli affetti il ruolo di spazio pubblico, frui-bile sia dai laici sia dai religiosi.

Secondo questa idea si è pensato di porre uno spazio pubblico sul margi-ne dell’istituto penitenziario, in modo che costituisse un luogo filtro tra i due sistemi. La scelta funzionale è ricaduta sul centro culturale, per la sua capacità attrattiva nei confronti di una città come Milano e nei confronti dell’hinterland milanese. La nostra scelta è stata soste-nuta dalla recente tendenza del tessuto periferico della Città di costellarsi di spa-zi culturali, come ad esempio Hangar Bicocca a Nord Est, Fondazione Prada a Sud e Mare culturale urbano a Ovest.

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