• Non ci sono risultati.

Gli inibitori della proteasi HIV (IP) rappresentano la classe più potente tra i farmaci attualmente utilizzati nel trattamento dell infezione da HIV e comprendono una serie di composti peptidomimetici capaci di legare, ed inibire, in maniera selettiva, la proteasi virale. Tali sostanze sono state approvate dalla U.S. Food and Drug Administration (FDA) a partire dal 1995 e sono utilizzate nella HAART (Highly active anti-retroviral therapy) in associazione con antivirali che agiscono in altri step del ciclo di replicazione virale (in particolare con agli inibitori della trascrittasi inversa (ITI)) [119-121]

Il primo ad essere approvato è stato il Saquinavir (Fortovase®, Invirase®, fig. 4.1), seguito da Ritonavir (Norvir®, fig. 4.2) e Indinavir (Crixivan®) nel 1996, il Nelfinavir (Viracept®) nel 1997, l’Amprenavir (Agenerase®, fig. 4.3) nel 1999, l’associazione Lopinavir(fig. 4.4)/Ritonavir (Kaletra®) nel 2000, Atazanavir (Reyataz®, fig. 4.5) e Fosamprenavir (Lexiva®) nel 2003 [122].

Questi composti hanno avuto un grande impatto nella terapia farmacologica dell’HIV determinando un aumento della durata e della qualità della vita di pazienti sieropositivi e malati di AIDS [123].

L'inibizione della proteasi virale previene la divisione delle poliproteine gag-pol, da cui risultano particelle virali non infettive. La resistenza agli inibitori della proteasi insorge tramite mutazioni primarie e accessorie del genoma che codifica per la proteasi virale che causano, inoltre, resistenze crociate tra i farmaci di questa classe [124].

Gli inibitori della proteasi sono metabolizzati attraverso il citocromo P-450 e tutti i farmaci somministrati in aggiunta a essi devono essere valutati per possibili interazioni a livello metabolico.

Il vantaggio principale rispetto agli inibitori della trascrittasi inversa, utilizzati precedentemente nella terapia antivirale, è dato dalla loro azione ad un diverso stadio del ciclo di replicazione virale; perciò risultano attivi sia nelle infezioni acute, sia in quelle croniche. La loro attività, inibendo la biosintesi delle proteine strutturali e funzionali del virus, determina la formazione di virioni immaturi e non infettanti [125, 126].

N N N O H2N O O OH N H H N O H H H Fig. 4.1 Saquinavir. N N N N O N S S N O O O OH H H H Fig. 4.2 Ritonavir

O N N O OH S NH2 O O O H Fig. 4.3 Amprenavir N N N N O O O O OH H H H Fig. 4.4 Lopinavir CH3O N N N N N OCH3 O O O O OH N H H H H Fig. 4.5 Atazanavir

L'HIV-1 proteasi è una proteina codificata al 5’ del gene pol ed è espressa come parte della poliproteina gag-pol. È una proteasi costituita da due subunità simmetriche di 99 amminoacidi ciascuna. Il sito attivo si trova all’interfaccia tra le due subunità e contiene due residui di aspartato (un residuo per subunità), fondamentali per l’attività dell’enzima, che sporgono nel canale del sito catalitico [127].

Il sito attivo della proteina è coperto da due strutture a β-hairpin (flaps) flessibili che governano l’accessibilità del sito durante ciclo catalitico [127].

L'HIV proteasi svolge un ruolo essenziale nel ciclo vitale dell'HIV. Come molti altri virus l'HIV sintetizza molte delle proprie proteine sotto forma di un solo lungo filamento nel quale le proteine sono legate in sequenza una dopo l'altra. L'HIV proteasi ha il compito di tagliare questa lunga poliproteina nelle varie proteine mature. Questo passaggio ha dei tempi critici. La poliproteina intatta è necessaria nei primi momenti del ciclo vitale del virus, quando aiuta la formazione del virus immaturo. Poi la poliproteina deve essere tagliata in frammenti della giusta lunghezza per costruire il virus maturo capace di infettare una nuova cellula.

Le reazioni di taglio devono avvenire perfettamente a tempo per permettere al virus di costruirsi nel modo corretto, prima che la poliproteina sia distrutta. A causa della sua funzione delicata ed essenziale, l'HIV proteasi è un eccellente bersaglio per una terapia farmacologica. Gli inibitori, agendo da falsi substrati, impediscono il legame della poliproteina alla proteasi bloccandone la maturazione, per cui il virus non è più in grado di trasformarsi nella sua forma matura infettiva.

Sebbene le cellule umane contengano numerose proteasi, queste riconoscono una sequenza di taglio diversa, per cui la loro attività non è sostituibile a quella delle proteasi virali e non è inibita dai farmaci anti-HIV [128].

I farmaci peptidomimetici inibitori della proteasi HIV sono stati disegnati sulla base del dipeptide Phe-Pro, situato nelle posizioni 167-168 della poliproteina gag-pol [123]; Dal punto di vista chimico-farmaceutico, questi farmaci sono peptidomimetici analoghi dello stato di transizione, in cui il

legame peptidico che mima quello che viene scisso nel substrato naturale, è sostituito da un isostero dello stato di transizione non idrolizzabile [124]. Questi composti contengono tre o più centri chirali, che devono essere preservati per l’esplicazione dell’attività [129].

4.1.1 Farmacocinetica

Gli IP vengono generalmente somministrati per via orale, sotto forma di soluzione, capsule di gelatina rigida o molle; per questo la biodisponibilità è fortemente influenzata dall’assunzione di cibo e dall’ effetto di primo passaggio nel fegato. Generalmente la somministrazione di questi composti dopo un pasto abbondante ne aumenta la biodisponibilità [130].

La distribuzione avviene attraverso il circolo sanguigno, dove gli antivirali sono fortemente legati alle proteine plasmatiche α1-glicoproteina acida e sieroalbumina [129]; questa interazione influenza notevolmente la farmacocinetica in quanto riduce la quantità di farmaco libero nel sangue, pronto ad agire sui siti bersaglio.

Il metabolismo avviene nel fegato, ad opera dell’isoforma 34 del citocromo P450, mentre l’escrezione del farmaco inalterato e dei suoi metaboliti avviene attraverso l’urina e le feci. Gli antivirali sono sia substrati che inibitori del citocromo P450 e della glicoproteina P [131-134] entrambi coinvolti nella regolazione della biodisponibilità di numerosi xenobiotici. Ne consegue una possibile interferenza sulla farmacocinetica di altri farmaci, aumentandone l’emivita e determinando una prolungata esposizione dell’organismo ai loro effetti sia terapeutici che tossici [135].

Per far fronte alle difficoltà della scarsa biodisponibilità e della resistenza, che impongono la somministrazione di elevate dosi di farmaco giornaliere, si stanno sviluppando nuove formulazioni, che prevedono la combinazione di due o più farmaci inibitori della proteasi nella terapia anti-HIV [129].

Documenti correlati