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Mentre l’iperalbuminemia è quasi sempre dovuta a stati di disidratazione, piuttosto che ad un aumento della sintesi della proteina, l’ipoalbuminemia è generalmente causata da una ridotta sintesi (in certe malattie epatiche), da una maggiore perdita da parte dell’organismo (in casi di sindrome nefrotica e ustioni estese) o da stati di malnutrizione [15].

L’analbuminemia è una malattia ereditaria molto rara [14, 15], caratterizzata da una bassissima concentrazione di albumina nel plasma (si considera analbuminemico un paziente con una concentrazione di albumina inferiore a 1 g/L) trasmessa tramite un tratto autosomico recessivo. Curiosamente, in quasi la metà dei casi, i pazienti sono completamente asintomatici, mentre gli altri hanno solo sintomi clinici poco gravi (generalmente edema e iperlipidemia). Per spiegare questo fenomeno, l’aumento compensatorio dei livelli di altre proteine seriche non sembra sufficiente, per cui ci deve essere l’intervento di altri meccanismi tuttora poco chiari. [14, 15].

Infine, un’altra raro disturbo ereditario che coinvolge l’albumina è la bisalbuminemia, un’anomalia caratterizzata dalla presenza nel siero di una certa quota di albumina “normale”, detta albumina A (da non confondere con la forma isomerica A, aged, cfr. par. 1.3) e da una certa quota di una sua variante. Questa anomalia ha una prevalenza compresa tra 0,03-0,1% della popolazione generale (quindi è troppo bassa per usare il termine “polimorfismo” che sottintende una prevalenza superiore all’1%) [14]. Siccome solo un terzo degli amminoacidi dell’albumina sono ionizzati, circa la metà delle sostituzioni a singolo residuo non comporterebbero variazioni della carica netta della proteina, quindi queste varianti non sono rivelabili tramite elettroforesi [14]; chiaramente l’uso della spettrometria di massa può risolvere questo problema. Tra i mutanti identificati, solo uno ha mostrato un’alterazione funzionale: la variante con aumentata affinità per la tiroxina osservata nell’ipertiroxinemia disalbuminemica familiare (FDH). Al momento sono state individuate almeno un centinaio di varianti [14].

CAPITOLO 2

CROMATOGRAFIA DI

AFFINITÀ E

CROMATOGRAFIA DI AFFINITA’ E

BIOCROMATOGRAFIA

La cromatografia di affinità si distingue dagli altri tipi di cromatografia perché non sfrutta differenze nelle proprietà fisiche per la separazione delle molecole, ma si avvale dell’estrema specificità delle interazioni biologiche; da qesto ne deriva la sua particolare selettività.

Questa tecnica utilizza un ligando biologico come fase stazionaria. I ligandi capaci di interagire biochimicamente col ligando vengono ritenuti, mentre le altre sostanze vengono eluite dalla fase mobile. La tecnica è nata per la purificazione di enzimi, ma le applicazioni si sono rapidamente estese anche a nucleotidi, acidi nucleici, immunoglobuline, recettori di membrana e persino a cellule intere e frammenti cellulari. I ligandi ed i componenti che devono essere separati con questa tecnica di solito sono sia spazialmente che elettrostaticamente complementari l'uno all'altro. Il desorbimento dell'analita è realizzato, generalmente, tramite eluizione con una soluzione che contiene una sostanza che si lega al ligando con maggiore affinità dell'analita.

La biocromatografia è un particolare tipo di cromatografia di affinità, in cui la macromolecola biologica che conferisce selettività (detta ligando), viene immobilizzata sul supporto cromatografico in maniera tale da mantenerne inalterate le proprietà di legame mostrate nella forma nativa. In questa maniera la ritenzione dei soluti iniettati in colonna sarà correlata alla loro affinità per il ligando. La tecnica biocromatografica permette quindi di ottenere informazioni predittive sul legame delle molecole nell’interazione con le proteine [79-82].

L’interazione di piccoli soluti con le proteine è importante in molti processi biologici. Esempi includono l’azione di enzimi sui substrati, il legame degli ormoni con i loro recettori e il legame di farmaci ed altri composti con le proteine del siero.

La tecnica biocromatografica si è dimostrata particolarmente efficace quando applicata alla caratterizzazione dell’interazione tra i farmaci e le proteine del siero, in particolare l’HSA [6]. Più recentemente, questa tecnica è diventata

più raffinata ed inizia ad essere applicata anche allo studio delle interazioni farmaco-recettore [83, 84]

Il legame con le proteine del sangue è importante nel determinare il destino dei farmaci una volta che sono entrati in circolo. Queste interazioni possono influenzare la distribuzione, il metabolismo, la velocità di escrezione, e la tossicità dei farmaci. In aggiunta, la presenza di una competizione diretta o indiretta tra due farmaci o tra un farmaco ed un composto endogeno (per es. un acido grasso) per lo stesso sito di legame con le proteine plasmatiche, può essere l’origine di effetti indesiderati [5]. Per questo è importante avere una buona comprensione di come gli agenti farmaceutici si legano alle proteine del siero e di come queste interazioni siano influenzate da altre sostanze.

Il presupposto necessario per la corretta esecuzione di analisi biocromatografiche è che la proteina legata abbia un comportamento il più possibile simile a quello presentato all’interno dell’organismo. Per verificare che questa condizione sia soddisfatta, i parametri di legame misurati mediante HPALC dovrebbero essere confrontati con quelli ottenuti in soluzione, mediante metodi biochimici, anche se spesso questo confronto non è semplice, a causa delle diverse condizioni impiegate.

Il fatto che la proteina sia stabile e mantenga proprietà di legame costanti, permette di utilizzare una stessa colonna per numerosi esperimenti. Di conseguenza una piccola quantità di proteina risulta sufficiente per condurre molteplici studi e garantisce una buona precisione e riproducibiità di analisi, minimizzando eventuali variazioni dovute a fattori esterni. La possibilità di automatizzare la tecnica e di sfruttare il metodo HPLC, inoltre, conferisce al metodo rapidità e accuratezza, permettendo la rivelazione anche di piccole differenze nell’affinità di legame dei farmaci alla proteina [82].

L’analisi biocromatografica viene condotta tramite due diverse strategie (eluizione zonale e analisi frontale) che permettono di ottenere informazioni diverse. Entrambe vengono ampiamente impiegate per lo studio delle proteine del siero [82].

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