LA PRIMORDIALE TENDENZA ESPANSIVA
3.1. Introduzione Le origini solidaristiche della tendenza espansiva 3.2 Il risarcimento del danno non patrimoniale tra la solidarietà restrittiva dell’art 2043 c.c quale filtro
all’ingiustizia e quella espansiva dell’art. 2 Cost. dei “diritti inviolabili”. 3.3. La solidarietà nel bilanciamento tra danneggiato danneggiante ai fini della determinazione del quantum risarcitorio ex art. 2043 c.c. 3.4. Il risarcimento del danno non patrimoniale in ambito contrattuale. 3.5. L’influenza dei Principi Unidroit, dei Principi del Diritto Europeo dei Contratti (PECL) e del Draft Common Frame of Reference (DCFR) sul risarcimento del danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale. 3.6. L’art. 2 Cost. e la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla lesione della proprietà privata in conseguenza al fenomeno delle “immissioni”. Un caso recente (Cassazione n. 20927/2015). La solidarietà come “contro-limite” alla CEDU. 3.7. L’influenza della
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CEDU nel catalogo dei diritti fondamentali ex art. 2 Cost. 3.8. L’illecito endo-familiare: il tradimento ingiusto lascia il posto a quello solidale. “Cornuto” ma non mazziato. 3.9. L’obbligo di soccorso difensivo ex art. 2 Cost., contrasto giurisprudenziale e prospettiva critica. 3.10. La causalità omissiva e la perdita di chance come estensione del risarcibile. Dal “ragionevole dubbio” al “più probabile che non” per arrivare alla chance.
3.1. Introduzione: Le origini solidaristiche della tendenza espansiva.
Abbiamo sin d’ora visto come l’intero sistema di quantificazione del danno, già caratterizzato da innumerevoli “filtri” abbia posto numerosi interrogativi circa il rispetto del principio di integrale riparazione del danno, il quale seppur non sia costituzionalizzato, è posto alla base del sistema risarcitorio. Rileggendo Rodotà, dal quale si è partiti in questa analisi, ben si coglie come l’origine della tendenza espansiva che ha caratterizzato il sistema della responsabilità civile sino ai tempi recenti, e sino alla nuova controtendenza contenitiva che si sta facendo largo non così timidamente, si colga rileggendo l’art. 2043 c.c. alla luce dell’art. 2 Cost.
Se come visto, l’ingiustizia del danno è “colorata” dalla solidarietà, talvolta è necessario scindere l’ingiustizia dalla solidarietà stessa, di modo tale che si possa distinguere tra il “danno ingiusto” ed il “danno solidalmente risarcibile”, il quale è un requisito per così dire ulteriore rispetto all’ingiustizia del danno. Può ben accadere infatti, che il danno sia ingiusto, ma non sia risarcibile. È ingiusto in quanto lede una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela, ma non è risarcibile in quanto nel bilanciamento tra la sfera del danneggiato e quella del danneggiante prevale quest’ultima, in nome ad esempio dell’utilità sociale che il soggetto ponendo in essere la condotta mirava a realizzare. Vi sono infatti attività lecite che l’ordinamento consente in nome dell’iniziativa economica privata, ex art. 41 Cost., nonché appunto dell’utilità sociale che esse realizzano, tuttavia dannose, ma che, seppur tali, non accordano alla vittima una tutela risarcitoria, bensì unicamente indennitaria, stante la risoluzione di questo bilanciamento a favore dell’iniziativa economica.
Quando però l’attenzione si sposta dal danneggiante al danneggiato, fenomeno che avviene con il passaggio dal Codice del 1865 di schietto impianto sanzionatorio, a quello attuale, di matrice prevalentemente riparatoria, l’art. 2 Cost. allarga lo spettro delle situazioni risarcibili. È infatti nel momento del danno ingiusto che si esplica il principio solidaristico, l’ingiustizia non è più riferita alla condotta del danneggiante,
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bensì al danno subito dal danneggiato, di talché si rende oggettiva la valutazione della violazione dell’art. 2043 c.c., integrata a prescindere dall’avere tenuto una condotta diligente: qualora seppure diligente cagioni un danno, questo va risarcito. Lo spostamento di attenzione dal carnefice alla vittima è uno degli aspetti in cui opera il principio solidaristico, ed anzi è proprio grazie ad esso che si attua, e permette di allargare la tutela risarcitoria anche innanzi a condotte diligenti, ma causative di un danno ingiusto.271
Ecco che “la considerazione primaria della posizione del danneggiato richiama immediatamente il ricordato principio di solidarietà, inteso come limite generale all’operare dei soggetti”.272 E, nell’affermare ciò, Rodotà sottolinea come la solidarietà non sia legata alla diligenza, cioè per essere solidali non è sufficiente essere diligenti, posto che così facendo si legherebbe l’ingiustizia alla condotta non già al danno. La diligenza serve unicamente a valutare se il comportamento è quello dovuto, e ancorché quel comportamento sia conforme, non è detto che non comporti un obbligo risarcitorio.273 Ecco l’emergere della forza espansiva della solidarietà nell’assetto della responsabilità ex art. 2043 c.c.
L’autore si chiede a questo punto se il principio di solidarietà, sia qualcosa di ulteriore rispetto al principio dell’alterum non laedere. In particolare, ciò che l’autore si chiede è se la violazione della norma in sé sia sufficiente ad integrare l’evento lesivo, ovvero se a tal fine sia necessaria anche la lesione di una specifica situazione soggettiva, ed egli conclude che “non è pensabile una violazione del principio di solidarietà disgiunta dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva a cui esso, nel caso specifico, si riferisce”.274
Sarebbe in altri termini proprio la lesione del principio di solidarietà accanto all’alterum non laedere a generare l’obbligo di risarcire. Ecco dunque che un danno ingiusto per essere risarcibile deve avere conculcato il principio solidaristico. Di qui la distinzione nell’incipit evidenziata tra il “danno ingiusto” ed il “danno risarcibile”. È
271 Osserva infatti
S.RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, 107 e ss., cit., “L’aver posto in diretta relazione danno e ingiustizia fa passare in primo piano il fatto obiettivo della lesione, dando così forma tecnica al ricordato spostamento di attenzione dall’agente alla vittima”. In ciò l’A. evidenzia una contraddizione, posto che lo spostamento del focus sul danno ha per così dire “oggettivizzato” la valutazione di responsabilità, epurata dalla condotta soggettivamente diligente, ma del pari non ha eliso l’elemento soggettivo del dolo e della colpa insito nell’art. 2043 c.c.
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S.RODOTÀ, Id., 109, ma anche SANTORO , PASSARELLI, Dottrine generali, cit., 77 e ss.; 273
S.RODOTÀ, Id., 111, secondo il quale, appunto, “[…] qualificar diligente (secondo le comuni regole) l’operare di un soggetto non è sufficiente ad evitare l’obbligo di risarcire il danno arrecato”.
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allora evidente che, come poc’anzi evidenziato nei primi capitoli, la solidarietà sembra porsi come “ulteriore filtro” alla tutela risarcitoria, ma a ben vedere, quella stessa solidarietà che si pone in taluni casi come “contenitiva” sembra in altre circostanze portare alla risarcibilità di situazioni giuridiche soggettive che altrimenti non potrebbero trovare ristoro. In altre parole, è vero che la solidarietà si pone come ulteriore filtro, ma è vero anche che la lesione della stessa permette di risarcire situazioni giuridiche che altrimenti non avrebbero trovato ristoro se si considerasse nei termini tradizionali, epurati dai connotati solidaristici, il danno ingiusto. Di qui la portata espansiva dell’art. 2 Cost.
Del resto, questa portata espansiva la si rinviene nelle Sezioni Unite 2008 San Martino, le quali permettono proprio all’art. 2 Cost. di integrare quel catalogo di diritti che se lesi, meritano tutela risarcitoria, allargando la stessa al di fuori dei confini della stretta tipicità dei diritti soggettivi assoluti che le era propria, e permettendo la risarcibilità dei c.d. “diritti inviolabili” costantemente enucleabili con il progresso della società. Del pari, questa tendenza contraddittoria della solidarietà, prima “restrittiva” e poi “espansiva” è bene evidenziata dalla previsione di uno strumento appunto contenitivo dato dalla c.d. clausola bagatellare, la quale posta a fianco dell’apertura ai diritti inviolabili, impone di tollerare i pregiudizi futili ed irrisori.
3.2. Il risarcimento del danno non patrimoniale tra la solidarietà restrittiva dell’art. 2043 c.c. quale filtro all’ingiustizia e quella espansiva dell’art. 2 Cost. dei “diritti inviolabili”.
Analizzata la struttura del danno patrimoniale, e la nozione di ingiustizia, permeata come evidenziato da una componente solidaristica, anche quella del danno non patrimoniale può ritenersi analoga. Anche per questo infatti l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria è dato dal danno conseguenza, anche se per vero non è sempre stato così, nel senso che si è sostenuto, ad un certo momento storico, che la tutela della salute per essere effettivamente tale, dovesse portare a considerare la sua lesione un danno in re ipsa, e dunque ammettere il risarcimento del danno in parola quale mero danno evento, senza necessità di considerare se ed in quali termini di possa configurare un danno conseguenza.
La differenza tra danno patrimoniale e non patrimoniale non è pertanto strutturale, bensì nel c.d. filtro atto a selezionare il danno meritevole di tutela risarcitoria: se per l’art. 2043 c.c. esso è atipico, dato come visto, dalla clausola di ingiustizia, per l’art.
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2059 c.c. esso è segnato da un principio, almeno in origine, di stretta tipicità, costituito dalla riserva di legge: non è più quindi sufficiente un’ingiustizia generica, ossia la lesione di un interesse meritevole di tutela, piuttosto è necessario che espressamente si tuteli la risarcibilità di tale interesse non patrimoniale.275 Il sistema risarcitorio relativo al danno non patrimoniale si presenta dunque in un primo momento estremamente rigido, per poi divenire un sistema solo “tendenzialmente atipico”, sino ad arrivare alla necessità di limitare la proliferazione di danni bagatellari. Ruolo chiave nell’evoluzione avutasi al riguardo è appunto rappresentato dalla clausola di solidarietà, sancita all’art. 2 Cost.
Il primo campo di indagine circa l’impatto dell’art. 2 Cost. sul sistema della responsabilità civile non può che muovere dunque dall’analisi dell’evoluzione del risarcimento del danno non patrimoniale, ricordando che dalle storiche sentenze San Martino del 2008 esso è risarcibile sia conseguentemente ad un illecito aquiliano, sia in conseguenza ad un illecito derivante dall’inadempimento di un’obbligazione. È in relazione ad esso che la clausola solidaristica manifesta la sua primordiale tendenza espansiva nell’accordare il risarcimento per la lesione di qualsiasi diritto inviolabile, superando gli originari limiti posti dall’art. 2059 c.c. richiedenti una specifica disposizione di legge ovvero la sussistenza di un reato, ex art. 185 c.p.276
Invero, l’art. 2 Cost., è stato interpretato come norma immediatamente precettiva, legittimante il risarcimento in quanto anch’essa ritenuta “legge” atta a soddisfare la riserva posta dall’art. 2059 c.c. Di qui la considerazione dell’art. 2 come catalogo “aperto” entro il quale far confluire i nuovi diritti inviolabili che la realtà sociale, più rapida nei cambiamenti rispetto alla realtà giuridica, imponeva di considerare ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale. Successivamente però, si è avuta un’inversione di tendenza nel sistema: si sta progressivamente facendo largo l’idea che, proprio in virtù della clausola solidaristica, il danneggiato sia costretto a sopportare una parte del danno patito.
275 Ex plurimis, per comprendere il dibattito sul punto, ed in particolare la posizione iniziale della
giurisprudenza sulla spinosa questione della tipicità del danno non patrimoniale si veda Cass. sez. III, 15 luglio 2005 n. 15022, secondo la quale mentre il risarcimento del danno patrimoniale comporta, riguardo al solo danno ingiusto, la clausola generale e primaria dell’art. 2043 c.c. che ne sancisce expressis verbis l’atipicità, lo stesso principio non può essere trasposto nel danno non patrimoniale, poiché l’art. 2059 c.c. limita la risarcibilità ai soli casi previsti dalla legge.
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E. NAVARRETTA, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessità dei danni non
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Questa tendenza, se sta mostrando timidamente i primi apporti significativi nel campo della responsabilità aquiliana, si sta invece rivelando dirompente nell’ambito dei rapporti obbligatori, dove, sempre più spesso, in nome della solidarietà e della buona fede il danneggiato è chiamato a sopportare una parte di danno e, parallelamente il titolare del diritto a salvaguardare la sfera giuridica dei soggetti che con esso vengono in
contatto nell’esercizio di quello stesso diritto.
Per meglio comprendere l’evoluzione avutasi al riguardo è necessario muovere l’indagine dall’analisi dell’evoluzione del danno non patrimoniale per poi scandagliare le singole fattispecie in ambito aquiliano.
Il risarcimento del danno non patrimoniale è in origine ricondotto all’art. 2059 c.c. ed alla stringente riserva di legge che esso poneva. Poteva infatti dirsi risarcibile il danno non patrimoniale nei soli casi previsti dalla legge o in presenza di un reato, con la conseguenza che per avere ristoro in campo civile, si rendeva necessario dimostrare tutti gli elementi costitutivi del reato, e in particolare la prova penale della colpa.
Così come posto, l’art. 2059 c.c. rendeva difficile accordare il risarcimento ai danni di maggiore rilevanza, quale il danno alla salute, e imponendo, oltre all’osservanza della riserva di legge, una prova rigorosa della colpa, si poneva in contrasto con gli artt. 2, 3, 32, 24 e 113 della Carta Fondamentale. Di talché la salute non avrebbe potuto godere di un’effettiva ed incisiva tutela. Si è allora sollevata una questione di legittimità costituzionale, con la storica sentenza 184/1986. Le strade percorribili erano due: o si dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2059 c.c. mediante una sentenza additiva che statuisca il principio secondo cui il danno alla salute va risarcito sempre, oppure si finge che il danno alla salute sia un danno patrimoniale, ossia un danno al patrimonio della persona.
È proprio questa seconda via ad essere seguita. Per superare i limiti operativi dell’art. 2059 c.c. si è proceduti alla tecnica del “travaso”, al fine di poter eventizzare il danno alla salute, in modo tale da poterlo risarcire sempre, concependolo, ai sensi dell’art. 2043 c.c. come un danno evento. Per fare ciò è necessario concepire la salute come una posta attiva del patrimonio, che, se lesa, cagiona per ciò solo un danno conseguenza. In altre parole, si risarcirebbe la lesione della salute in sé, quale danno evento. Si concepisce la salute, al pari degli altri diritti fondamentali, come un elemento costitutivo della persona, ed il patrimonio viene inteso non solo in senso economico ma in senso stretto “personalistico”. Si inizia così a concepire una sorta di contrapposizione tra l’art. 2059 c.c. che risarcisce i danni non patrimoniali, e l’art. 2043 c.c. che risarcisce
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i soli danni patrimoniali, tra i quali rientra però anche il danno alla salute, così come poc’anzi intesa.
Invero, tale contrapposizione è errata: l’art. 2043 c.c. non è riferito al solo danno patrimoniale, ma anche a quello non patrimoniale. L’art. 2059 c.c. previsto per i danni non patrimoniali non sostituisce il 2043 c.c. ma si aggiunge ad esso, con la conseguenza che non è sufficiente la colpa, la causalità ed il filtro dell’ingiustizia, ma è necessario, in aggiunta, il filtro della tipicità – richiesto dall’art. 2059 c.c. – al fine di poter risarcire il danno non patrimoniale.
Ne deriva che l’ingiustizia che legittima il risarcimento è “rafforzata”, ossia legalmente qualificata. È così necessario distinguere i danni regolati solo dall’art. 2043 c.c. e quelli regolati anche dall’art. 2059 c.c., sub specie di danni non patrimoniali.
Dalla questione di legittimità costituzionale così sollevata ne deriva un superamento dei tradizionali limiti posti dall’art. 2059 c.c.: in primo luogo cade la tipicità. Non si richiedono più norme puntuali che prevedano il risarcimento del danno non patrimoniale ma, a partire dalle storiche sentenze gemelle della Cassazione n. 8827- 8828/2003, si evidenzia come per “legge” devono intendersi anche le norme costituzionali che, avendo carattere immediatamente precettivo, considerano taluni diritti fondamentali come inviolabili per il tramite dell’art. 2 Cost., come norma non meramente programmatica ma immediatamente precettiva.
Cade anche il secondo limite: la dimostrazione della sussistenza del reato e della colpa penale. Con la sentenza della Cassazione n. 10482/2004 si osserva come nei casi dove è necessario l’accertamento del reato perché manca il diritto fondamentale della persona, il reato non va accertato secondo le regole penali, ma data l’autonomia funzionale dell’illecito civile, è possibile accertare il reato con regole civili, servendosi delle presunzioni di colpa.277 Ecco dunque che la riserva di legge è stata relativizzata nel senso che è sufficiente la copertura costituzionale per osservarla, e sono state civilizzate le regole probatorie per l’accertamento del reato. Di conseguenza, sono venute meno quelle esigenze di ricondurre il danno alla salute all’art. 2043 c.c., oggi esso è infatti risarcibile ex art. 2059 c.c., secondo una lettura allargata della riserva di legge alle norme costituzionali.
Com’è noto, infatti, oggi la risarcibilità del danno non patrimoniale si muove in maglie ben definite, incentrata su una rilettura costituzionale orientata dell’art. 2059 c.c. che ammette il risarcimento non più solo in presenza di un fatto di reato, ex art. 185 c.p.,
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ma anche per violazione dell’art. 32 Cost., o per pregiudizi incidenti sui diritti inviolabili della persona umana, ex art. 2 Cost., in combinato disposto con l’art. 2059 c.c.
Ne è derivato un sistema risarcitorio binario: da un lato la responsabilità patrimoniale – atipica - ex art. 2043 c.c. che non postula alcun filtro se non l’ingiustizia del danno, dall’altro quella non patrimoniale – tipica - ex art. 2059 c.c. letto in combinato disposto con l’art. 32 Cost. per il danno alla salute, e con l’art. 2 Cost. per quel che concerne ulteriori pregiudizi non patrimoniali, diversi da quelli alla salute che, in entrambi questi ultimi casi, postula invece un doppio filtro: l’ingiustizia e la rilevanza costituzionale di tale ingiustizia, sub specie di lesione di un diritto inviolabile.278
Il filtro dell’inviolabilità del diritto leso è stato posto a fondamento della pretesa risarcitoria proprio per scongiurare la prassi invalsa di risarcire semplici disagi e fastidi (quali ad es. la rottura del tacco della sposa, o lo sconforto di un tifoso per non aver potuto vedere la partita di calcio per l’interruzione dell’energia elettrica) sull’assunto in base al quale il risarcimento del danno alla qualità dell’esistenza postulerebbe la rilevanza costituzionale non già del diritto leso bensì del pregiudizio sofferto. E, dal momento che tale pregiudizio incide sulla persona, esso andrebbe per ciò stesso risarcito.
Si è obiettato che il richiamo all’art. 2 Cost. ha portato il risarcimento del danno non patrimoniale nell’alveo dell’atipicità, essendo i diritti inviolabili un catalogo “aperto” suscettibile di costante enucleazione, col timore di concedere al giudice un’eccessiva discrezionalità nel valutare l’inviolabilità dei nuovi diritti emergenti. Invero la dottrina ha correttamente osservato che l’art. 2 Cost., non è una “clausola aperta” bensì un “contenitore” di tutti i diritti inviolabili già previsti e contenuti nella Carta Fondamentale. Pertanto, non sarebbe scalfita la tipicità del risarcimento del danno non patrimoniale sebbene sia incontestabile un’espansione dei danni risarcibili, tenuta a freno dalla c.d. “clausola bagatellare”.
Di qui in avanti, per ricondurre un diritto leso al crisma dell’inviolabilità si è iniziato a sostenere che la rilevanza costituzionale dovesse essere vagliata con
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Per tracciare una compiuta evoluzione sul punto si veda: P. ZIVIZ, Il danno non patrimoniale,
evoluzione del sistema risarcitorio, Milano, 2011. Si veda anche M.ASTONE, Danni non patrimoniali.
Art. 2059 c.c., in Commentario al Cod. Civ., Schlesinger, diretto da F.D.BUSNELLI, 123 e ss. Secondo l’A. le Sezioni Unite mostrerebbero un atteggiamento di apertura verso quei diritti inviolabili del nostro ordinamento che, ancorchè non scritti, rientrerebbero nella piena risarcibilità ex art. 2 Cost., senza indagare l’annoso dibattito tra i costituzionalisti circa la natura giuridica dell’art. 2 Cost. quale riassuntivo o integrativo dei diritti inviolabili contenuti nella Carta Fondamentale.
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riferimento al pregiudizio sofferto (in modo tale che incidendo sulla persona umana sia per ciò stesso risarcibile) anziché all’interesse leso. E così si è avuta la proliferazione di risarcimenti per disagi e semplici fastidi, incidenti su situazioni giuridiche soggettive di dubbia “inviolabilità”, seppur costituzionalmente tutelate.
Ne deriva la necessità dell’intervento delle Sezioni Unite 2008, le quali hanno posto un argine alla risarcibilità di tutti quei pregiudizi futili ed irrisori, costituenti semplici disagi, fastidi, disappunti e ansie. Il filtro alla risarcibilità è dato dalla gravità dell’offesa e dalla serietà del danno. Tale filtro postula un giudizio di bilanciamento tra i diversi diritti vantati dai consociati, talvolta incompatibili tra loro, condotto sulla base della solidarietà sociale, ex art. 2 Cost. che impone di tollerare disagi e fastidi ove questi derivano dall’esercizio di diritti altrettanto tutelati costituzionalmente. A trovare ristoro sono dunque i soli pregiudizi consistenti nella lesione dei diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Cost. La rilevanza costituzionale deve dunque attenere al diritto leso, non già al pregiudizio sofferto. Ecco dunque che la c.d. clausola bagatellare impone, per mezzo del principio di tolleranza, di accettare e sopportare l’invasione della propria sfera giuridica