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Isaiah Berlin: filosofo e storico delle idee

ISAIAH BERLIN E LA STORIA DELLE IDEE

4.1. Isaiah Berlin: filosofo e storico delle idee

Nel 1988 Isaiah Berlin,190 ormai anziano e altrettanto celebre intel-

lettuale a livello internazionale, giunse nella città di Torino per ricevere il Premio Senatore Giovanni Agnelli e in quella occasione tenne un lungo discorso di ringraziamento successivamente pubblicato in italiano con il titolo Sulla ricerca dell’ideale.191

Potrebbe apparire quanto mai curioso la scelta di introdurre la figura e l’opera di Berlin in rapporto alla riflessione sul monismo iniziando da un evento che risale alla fine degli anni ‘80 e che certamente non rappresenta il momento più alto e memorabile della sua carriera, già all’epoca costellata

190 Isaiah Berlin nacque a Riga in una agiata famiglia di commercianti ebrei. Trasferitosi

poco più che bambino con i genitori in Inghilterra, compì i suoi studi universitari a Oxford, entrando a far parte – primo ebreo nella storia di quell’istituzione – del prestigioso All Souls College. Durante la Seconda guerra mondiale ebbe incarichi diplomatici sia in America, sia in Unione Sovietica che lo portarono ad entrare in contatto con insigni personalità del tempo quali Arthur Schlesinger, George Kennan, Anna Achmatova, per citarne alcuni. Nel 1958 divenne Chichele Professor di Teoria politica e sociale all’All Souls College e nel 1966 fu tra i fondatori del Wolfson College (Oxford). Storico delle idee, filosofo e diplomatico, Berlin fu tra i personaggi più in vista dell’ambiente intellettuale inglese del XX secolo. La biografia più nota e apprezzata su Berlin rimane quella scritta da Michael Ignattieff, della quale ci sia- mo avvalsi nella traduzione italiana: M. IGNATIEFF, Isaiah Berlin. Ironia e libertà, Roma, Carocci, 1998. Si vedano inoltre: I. BERLIN, In libertà. Conversazioni con R. Jahanbegloo, tr. it. Roma, Armando Editore, 2012 e S. LUKES, op. cit. I due ultimi libri citati consistono essenzialmente in lunghe interviste rilasciate da Berlin e quindi sono particolarmente inte- ressanti proprio perché permettono di ‘leggere’ la vita del pensatore inglese attraverso il suo sguardo più intimo e personale. Sulle frequentazioni di Berlin nel periodo americano si vedano le interessanti pagine di F. S. SAUNDERS, La guerra fredda culturale. La CIA e il mondo delle arti e delle lettere, Roma, Fazi editore, 2004, p. 37 ss. In generale, su Isaiah Berlin e la sua produzione intellettuale rimandiamo anche alla Isaiah Berlin Virtual Library, il cui catalogo e le cui iniziative relative allo studio e alla divulgazione dell’opera dello studioso inglese sono consultabili all’indirizzo web: http://berlin.wolf.ox.ac.uk/.

191 In questo caso ci siamo avvalsi direttamente della traduzione italiana del testo: I. BERLIN,

di ben più importanti riconoscimenti. Tuttavia, il discorso che egli lesse in quella occasione era un tentativo di affrontare alcuni dei temi che lo avevano maggiormente appassionato e quindi di illustrare il suo percorso intellettuale con il suo consueto (e molto criticato) gusto per le grandi sintesi concettuali.192

Dalle parole del pensatore inglese emergeva con forza il problema del pluralismo dei valori e dei fini e, insieme a ciò, la sua profonda diffidenza per quelle concezioni filosofiche, etiche, conoscitive e politiche che cer- cavano di ricondurre la complessità (e pluralità) della vita entro un unico, rigoroso schema esplicativo.193 Dopo aver evocato il suo ‘incontro’ con la

filosofia avvenuto a Oxford, Berlin ripercorreva la storia del pensiero fi- losofico soffermandosi in particolare sul razionalismo del ‘600 e del ‘700 che, a suo giudizio, si era caratterizzato per la fiducia di poter “stabilire un grande sistema armonioso tenuto insieme da nessi inscindibili e suscettibile di essere formulato in termini esatti”, applicando allo studio della realtà umana quel metodo scientifico che tanti risultati sorprendenti e rivoluzionari era riuscito a dare nell’indagine della natura.194

In questo senso, per Berlin, si era mosso il filosofo illuminista Con- dorcet che, in base ai dettami del razionalismo illuminista, aveva affermato di poter “riorganizzare razionalmente la società” a partire da una chiara individuazione dei bisogni umani.195 La certezza di poter discernere il senso

e la direzione della storia sarebbe poi stata incarnata, sebbene in maniera differente, da Hegel e da Marx:

non esistevano verità atemporali: esisteva lo sviluppo storico, il mutamento continuo […]. La storia era un dramma in molti atti […] sia nel regno delle idee, sia nella realtà […]. Tuttavia, dopo rovesciamenti inevitabili, fallimenti, ricadute, ritorni alla barbarie, il sogno di Condorcet sarebbe divenuto realtà.196

Ciò che Berlin contestava apertamente a questo tipo di visione era il

192 Si veda a proposito S. VECA, Introduzione a I. BERLIN, Sulla ricerca dell’ideale, cit.,

pp. 29 ss.

193Ibidem. 194 Ivi, pp. 29-33. 195 Ivi, p. 33. 196 Ivi, p. 37.

suo carattere teleologico, l’idea che esistesse un fine ultimo capace di dare senso e significato al Tutto, alla vita, alla realtà nelle sue più sfaccettate de- clinazioni. Sin dagli anni ‘30, ossia sin dai suoi primi ‘passi’ nel mondo della storia delle idee, Berlin aveva preso una posizione ben precisa e critica verso questo tipo di concezioni, poiché in esse egli vedeva la pretesa e la ferma volontà di individuare una risposta unica, un senso unico alla complessità dell’esistenza; una tendenza monistica che egli considerava una sinistra e pericolosa minaccia alla libertà, in particolare alla libertà individuale, alla libertà di pensiero e alla libertà di scelta.197

È indubbio, come del resto è concorde nel ritenere la ricca e importante letteratura fiorita attorno all’opera del pensatore inglese,198 che la critica al

monismo abbia caratterizzato l’intero percorso intellettuale di Berlin ma è altrettanto vero che, in una prospettiva storica, essa svolse un ruolo primario e centrale nell’opera berliniana in un lasso di tempo preciso, compreso fra gli anni ‘40 e la fine degli anni ‘50, ed è proprio su questo periodo che ci soffermeremo nella nostra analisi. A partire infatti dagli anni ‘60 Berlin si sarebbe infatti sempre più concentrato sul problema del pluralismo.199

L’intellettuale inglese elaborò la sua riflessione sul monismo attraverso la storia delle idee, disciplina alla quale cominciò ad avvicinarsi, maturando un progressivo distacco dalla corrente del positivismo logico o empirismo

197 Ivi, pp. 33-37.

198 Tra i lavori fondamentali dedicati al pensiero di Berlin ricordiamo: B. BAUM – R. NI-

CHOLS (edited by), Isaiah Berlin and the Politics of Freedom:“Two Concepts of Freedom” 50 Years Later, New York and London, Roudledge, 2013; P. BHIKU, Isaiah Berlin, in ID., Contemporary Political Philosophy, Oxford, Martin Robertson, 1982; J.L. CHERNISS, A Mind and its Time: the Development of Berlin’s Political Thought, Oxford, Oxford University Press, 2013; G. CROWDER, Isaiah Berlin. Liberty and Pluralism, Cambridge, Polity Press, 2004; di quest’ultima opera ci siamo avvalsi della versione italiana in: ID., Isaiah Berlin, Bologna, Il Mulino, 2007; G. CROWDER – H. HARDY, (edited by), The One and the Many: Reading Isaiah Berlin, Amherst, New York, Prometheus Books, 2006; J. GRAY, Isaiah Berlin: An Interpretation of his Thought, Princeton, Princeton University Press, ristampa del 2013; C.J. GALIPEAU, Isaiah Berlin’s Liberalism, cit; R. HAUSHEER, Introduction to I. BERLIN, Against the Current: Essays in the History of Ideas, edited by H. Hardy, London, Hogarth Press, 1979; J. REED, The Continuing Challenge of Isaiah Berlin’s Political Thought, in “European Journal of Political Theory”, 8 (2009), pp. 253-262; A. WALICKI, Encounters with Isaiah Berlin: Story of an Intellectual Friendship, Wien, Peter Lang, 2011.

199 Si veda J. CRACRAFT, Berlin for Historians, in “History and Theory. Studies in the Phi-

logico che era stata introdotta a Oxford dal filosofo A.J. Ayer.200 Nella città

oxoniense il giovane Berlin si misurò, per alcuni anni, con questioni allora particolarmente in voga tra i positivisti logici, ossia la “teoria della cono- scenza” e “la teoria del linguaggio”, condividendo con questi la medesima tendenza anti-metafisica. Una tendenza che, come avrebbe ricordato lo stes- so Berlin, si andava ad inserire in un ambiente intellettuale profondamente refrattario all’idealismo e a Hegel.201 Del resto, molti e molti anni più tardi,

in un altro profilo autobiografico fondamentale per comprendere la sua identità di storico delle idee e filosofo, ossia My Intellectual Path, Berlin avrebbe affermato con tono deciso di non aver mai creduto in nessuna verità metafisica.202 Tuttavia, diversamente dai suoi colleghi, come Stuart Hamp-

shire e A.J. Ayer, Berlin maturò l’idea, alla quale sarebbe rimasto sempre fedele, che “no abstract or analytical point exists out of all connection with historical thought, that every thought belongs, not just somewhere, but to someone, and this at home in a context which is not purely prescribed”.203

L’allontanamento dal positivismo logico non significò però il ripudio della filosofia tout court: Berlin era e rimase prima di tutto un filosofo, sebbene con un interesse e una attrazione indubbi per la dimensione stori- ca, per la “immaginazione storica”.204 La storia delle idee – disciplina nata

negli Stati Uniti tra gli anni ‘10 e ‘30, grazie soprattutto all’opera di Arthur Ocken Lovejoy205 – permetteva a Berlin – di coniugare queste due ‘anime’. 200 Il positivismo logico, rappresentato da filosofi come G.E. Moore, B. Russell e L. Wittgenstein

viene comunemente considerato la versione inglese del positivismo del Circolo di Vienna, la cui concezione venne introdotta nell’ambiente intellettuale di Oxford proprio da Ayer con il suo Language, Truth and Logic del 1936. C.P. BERTELS – E. PETERSMA, I Filosofi del Novecento, Roma, Armando Editore, 1995, pp. 71 ss. Si veda a proposito G. CROWDER, Isaiah Berlin, cit., pp. 41-42. Inoltre, AA.VV., Dizionario di filosofia: gli autori, i concetti, le opere, Milano, Rizzoli, 1994.

201 I. BERLIN, In libertà, cit., p. 48.

202 I. BERLIN, My Intellectual Path, in ID., The Power of Ideas, edited by H. Hardy, Princeton,

Princeton University Press, 2002, pp. 2 ss.

203 B. WILLIAMS, Introduction, to I. BERLIN, The Concept of Scientific History (1961),

cit., 1980, p. XII.

204Ibidem. Si veda a riguardo anche il commento di A. RYAN, Berlin and History, in G.

CROWDER – H. HARDY, op. cit., p. 159.

205Relativamente a Lovejoy e alla storia delle idee in ambito americano rimandiamo al Cap.

Nella Oxford del primo dopoguerra la storia delle idee era una disciplina ai margini, alla quale Berlin aveva cominciato ad accostarsi attraverso il filosofo idealista R.G. Collingwood (1889-1943). Quest’ultimo era un intellettuale abbastanza isolato, refrattario alla collaborazione con scuole e gruppi accademici, e i suoi interessi spaziavano dalla filosofia alla storia fino alla archeologia.206 Egli era un convinto idealista e non a caso fu proprio

Collingwood a tradurre in inglese e far conoscere nel suo paese l’opera di Benedetto Croce.207 Proprio per le sue convinzioni e per la tenacia con cui in

vari scritti difese il punto di vista e la tradizione idealiste, Collingwood di- venne uno dei bersagli preferiti di Ayer, al quale però replicò, come avvenne nel suo Essay on Methaphysics del 1940, cercando di mettere in luce quelli che riteneva fossero i limiti e le contraddizioni del positivismo logico.208

È certo che Berlin frequentò le lezioni di filosofia della storia tenute da Collingwood durante il Trinity Term del 1931 e, secondo il principale bio- grafo di Berlin, Michael Ignatieff, fu proprio Collingwood a esercitare una notevole impressione sul giovane studente.209 Questa affermazione merita

di essere approfondita soprattutto perché, come abbiamo precedentemente osservato, Berlin era ben lontano (e lo sarebbe sempre stato) dal subire il ‘fascino’ della filosofia idealista. Attraverso Collingwood, Berlin conobbe la figura di Giambattista Vico che, insieme a Hamann e Herder, avrebbe poi rappresentato ai suoi occhi uno dei ‘campioni’ della prima reazione all’il- luminismo, ossia di quella corrente di pensiero che egli avrebbe definito Contro-illuminismo, e che avrebbe costituito uno dei punti di riferimento

206 Per una introduzione all’opera e al pensiero filosofico di Collingwood cfr: J. CONNELY –

P. JOHNSON–S. LEACH, R. G. Collingwood. A Research Companion, London, Bloomsbury, 2014. Inoltre, T.A. HARTIN, Collingwood’s Idea of History: the Development and Form of Historical Inquiry, Honor Thesis, Richmond University, Spring 1984, pp. 562.

207 Cfr. A. VIGORELLI, Lettere di Robin George Collingwood a Benedetto Croce (1912-1939),

“Rivista di Storia delle Filosofia”, 46 (1991), pp. 545-563.

208 M. DUBNOV, Isaiah Berlin, the Journey of a Jewish Liberal, New York, Palgrave Mac-

millan, 2012, p. 70.

209 M. IGNATIEFF, op. cit., p. 69. Dubnov ricorda però che Berlin ammise il suo ‘debito’ nei

confronti di Collingwood soltanto in occasione di un convegno che si tenne a Gerusalemme nel 1974. M. DUBNOV, op. cit., p. 72. Cfr. Y. Yavel, Philosophy and History in Action: Pa- pers Presented at the First Jerusalem Philosophical Encounter, December 1974, Jerusalem, Magnes Press, 1978.

essenziali nella sua riflessione sul concetto di pluralismo.210

Proprio da Collingwood, secondo Peter Skagestad, il giovane Berlin avrebbe appreso una speciale sensibilità per la ricerca storica come storia dei pensieri dell’uomo e quindi come “self-knowledge”, una visione che, a sua volta, sarebbe stata probabilmente ispirata a Collingwood dall’opera vichiana.211

Sebbene molte fossero le ragioni di distanza tra Collingwood, imbevuto di cultura idealista e incline anche ad un certo moralismo di tipo cristiano, e Berlin, quest’ultimo sviluppò nel tempo un gusto e un interesse per la di- mensione storica delle idee che molto probabilmente gli provennero proprio dallo schivo e riservato filosofo oxoniese. Come suggerisce M. Dubnov, la figura di Collingwood potrebbe quindi aver esercitato un ruolo non indif- ferente nel distacco di Berlin dalla filosofia analitica e nel suo successivo

210 P. SKAGESTAD, Collingwood and Berlin: a Comparison, “Journal of the History of

Ideas”, 66 (2005), pp. 99-112. La nostra ricerca si concentra su un periodo ben definito della produzione intellettuale di Berlin, ossia gli anni ‘50, quindi non prenderemo in considerazione gli scritti da lui dedicati al Contro-illuminismo. Ci pare tuttavia importante chiarire breve- mente il significato di questo termine. Nel 1973, Berlin pubblicò sul prestigioso Dictionary of the History of Ideas di Philip P. Wiener (New York, Charles Scribner and Sons) il lemma Counter-Enlightenment. Con tale espressione Berlin indicava una vera e propria reazione alla temperie dell’illuminismo: se quest’ultima, a suo giudizio, si era caratterizzata per il primato del diritto naturale, della Ragione, ritenuta comune a tutti gli uomini, per la critica feroce alle istituzioni, incluse quelle religiose, il Contro-illuminismo parlava di istinto, rifiutava l’idea che esistessero leggi uniformi, comprensibili razionalmente, sottese alla realtà umana e sociale e ribaltava totalmente la prospettiva cosmopolita valorizzando, invece, il carattere nazionale. È stato fatto notare che il modo in cui Berlin delineava il Contro-illuminismo, quale corrente di pensiero e movimento culturale, sembrava ampiamente recuperare alcuni dei tratti salienti generalmente attribuiti al Romanticismo. Del resto, alcune delle figure cardine del Contro- illuminismo, alle quali Berlin si richiamava, ossia Hamann, Herder, Schelling, possono essere ricondotte al periodo romantico. Il personaggio che invece sembrava avere una collocazione alquanto particolare nell’alveo del Contro-illuminismo era quella di Giambattista Vico sia perché italiano, sia perché apparteneva ad un momento storico molto antecedente al Romanticismo. H. CHISIK, Historical Dictionary of the Enlightenment. Historical Dictionaries of Ancient Civilizations and Historical Eras, no. 16, Lanham, Maryland, Toronto, Oxford, The Scarecrow Press, 2005, pp. 127-128. Sulla storia del lemma Counter-Enlightenment prima di Berlin, si veda ad esempio R. WOLKER, Isaiah Berlin’s Enlightenment and Counter Enlightenment. Remarks as public Lecture delivered by the Department of History and Jewish Studies Program at the Central European University, Budapest, 2000, disponibile all’indirizzo web: http://web. ceu.hu/jewishstudies/pdf/02_wokler.pdf, pp. 1-9. Il saggio The Counter-Enlightenment fu successivamente pubblicato da Berlin come opera autonoma nella raccolta intitolata Against The Current. Essays in the History of Ideas, cit.

avvicinamento alla storia delle idee.212

Un primo, decisivo passo in tal senso avvenne nel 1933 quando l’e- ditore H. P. Fisher propose a Berlin di scrivere uno studio monografico su Karl Marx che fosse chiaro, efficace e che potesse essere letto anche dal grande pubblico. Il lavoro di ricerca che avrebbe svolto per la biografia di Marx gli avrebbe offerto gran parte del “materiale” sul quale egli avrebbe ragionato nei decenni successivi.213

Il risultato fu una analisi che non solo illustra alcune delle componenti essenziali dello stile argomentativo e di scrittura di Berlin storico delle idee ma che contiene anche una serie di riflessioni, suggestioni, elementi dai quali egli avrebbe tratto ispirazione per elaborare il suo concetto di monismo e la sua critica ad esso. Bisognerà però aspettare gli anni ‘50 e i primi anni ‘60 per leggere alcuni tentativi di riflessione sistematica da parte di Berlin su che cosa significasse, per lui, occuparsi di storia, nello specifico di storia delle idee, ossia il suo saggio sulla Historical Inevitability, The Sense of Reality che, in origine, costituiva la base della lezione su Realism and History che Berlin tenne presso lo Smith College (U.S.A) nel 1953 e The Concept of

Scientific History del 1961.214

Tuttavia, anche il suo Karl Marx. His Life and Environment, pubblicato nel 1939, è in buona parte esemplificativo di una certa sensibilità, di una certa lettura del pensiero e delle idee (filosofiche e politiche) che avrebbero trovato piena espressione nelle opere successive. Non vorremmo tanto sof- fermarci sui limiti e le mancanze dello scritto giovanile di Berlin, sui quali la letteratura si è già pronunciata, bensì sul modo in cui l’autore, prendendo le distanze dal positivismo logico di Ayer, si ‘impossessava’ del pensiero politico e della figura di Marx cercando anzitutto di dare ad entrambi spessore storico, collocandoli in un particolare contesto storico, culturale e intellettuale. Nel libro sul filosofo di Treviri è possibile già intravvedere il percorso intellettuale che Berlin avrebbe intrapreso, ossia il suo modo di declinare la storia delle idee. Marx veniva calato nella realtà del suo tempo

212 Cfr. M. DUBNOV, op. cit., pp. 72-76.

213 D. KELLY, The Political Thought of Isaiah Berlin, “The British Journal of Politics and

International Relations”, 4 (2002), pp. 29 ss. Cfr. M. IGNATIEFF, op. cit., pp. 30 ss.

214 Questi sono, secondo J. CRACRAFT, op. cit., p. 292, i tre saggi che meglio sintetizzano

e ampio spazio veniva dato da Berlin anche al dato biografico, al rapporto di Marx con il padre, a quello con le sue radici ebraiche e alla sua personalità. Altrettanto rilevante diventava l’analisi del periodo trascorso dal teorico del materialismo storico a Parigi, alle sue frequentazioni, alle letture che aveva fatto, al ruolo da lui svolto nell’Internazionale Socialista.215

L’opera di contestualizzazione che Berlin si era proposto di realizzare con il suo studio su Marx non si limitava però alla rivalutazione del dato storico, concreto, biografico, essa voleva mostrare come il pensiero poli- tico e filosofico di Marx potesse essere pienamente compreso se posto in rapporto alla tradizione intellettuale a lui precedente. Nel fare questo Berlin sceglieva la via – che sarebbe poi diventata una componente essenziale e tipica di tutta la sua opera – delle grandi sintesi concettuali: egli poneva innanzitutto a confronto l’eredità razionalista inaugurata dall’illuminismo con il “German Historicism” emerso quale reazione al Secolo dei Lumi, per poi concentrarsi sull’opera di Hegel, alla luce della quale, a suo giudizio, il pensiero di Marx diventava pienamente comprensibile.216

Berlin esaminava il concetto hegeliano di “History”, di “Spirit”, di “laws of History”, di “historical development”, di “necessity of conflicts”, per poi argomentare quanto profondo fosse il debito intellettuale di Marx nei confronti del “metaphysical historicism” di Hegel.217 L’analisi del pen-

siero hegeliano diventava così funzionale a comprendere la concezione materialistica della storia che, secondo Berlin, riproponeva a suo stesso fondamento “the central Hegelian conception […] although it is transposed into semi-empirical terms”.218

Berlin sottolineava l’apporto rivoluzionario e innovativo dell’opera di Marx, sempre nell’ottica del confronto intellettuale tra quest’ultimo e una pluralità di voci e di eredità culturali precedentemente ricordate. Egli riteneva così che fosse fondamentale portare alla luce la vicinanza tra la con- cezione filosofica di Marx e quella di Hegel che, a suo giudizio, consisteva

215 I. BERLIN, Karl Marx. His Life and Environment, 4th Edition, with a Foreword by A.

Ryan, Oxford, Oxford University Press, 1978.

216 Ivi, pp. 49-60. 217 Ivi, pp. 31-41. 218 Ivi, p. 91.

in due aspetti di primaria importanza: la elaborazione da parte di entrambi di un “cosmic scheme” capace di spiegare (e nel caso di Marx anche di cambiare) la realtà e, legato strettamente a questo aspetto, la comune con- vinzione che il processo storico seguisse una direzione precisa, che esistesse una “historical necessity”. All’opera di Marx, secondo Berlin, era quindi sottesa l’idea (hegeliana) che la “rationality [is the] entailing knowledge of the laws of necessity” e la cui conoscenza rendeva gli uomini “free”.219