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CAPITOLO 7: APPROCCIO ANALITICO ALL’IDENTIFICAZIONE DI SPECIE

7.3 APPROCCIO BASATO SULL’ANALISI DEL DNA

7.3.2 Isolamento del DNA

Il primo passo per qualsiasi approccio analitico di tipo molecolare non può prescindere dall’isolamento e purificazione del DNA totale dalla matrice oggetto d’analisi.

L’ottenimento di un campione di DNA quali-quantitativamente utilizzabile è direttamente influenzato dalla metodica applicata e dalla presenza di potenziali inibitori co-purificati durante le fasi estrattive che possono costituire un ostacolo per le successive fasi analitiche, riducendo l’efficienza della reazione di PCR a vari livelli (Di Pinto et al., 2007). La selezione della metodica di estrazione sarà quindi strettamente legata alla tipologia e allo stato di conservazione della matrice iniziale. Tra i possibili contaminanti si possono annoverare componenti di derivazione cellulare, quali proteine istoniche e di membrana, RNA, enzimi nucleasici, residui organici, sali e sostanze residue dal protocollo estrattivo. I metodi di estrazione del DNA dovrebbero idealmente essere semplici, veloci, efficienti e riproducibili,

riducendo al minimo il rischio di contaminazione crociata. Alla luce di quanto detto, il metodo estrattivo ideale dovrebbe produrre un campione di DNA totale di purezza elevata e in buona quantità, essendo al contempo privo di rischi, economico e di rapida esecuzione, anche in assenza di una particolare formazione dell’operatore. Classicamente, le tecniche di estrazione del DNA possono essere suddivise in macro-categorie, in funzione del principio utilizzato per l’isolamento dell’acido nucleico dalla matrice tissutale:

- metodiche convenzionali: schematicamente suddivise in una prima fase di

frammentazione e lisi delle membrane cellulari per il rilascio degli acidi nucleici in soluzione acquosa, una seconda fase di denaturazione delle proteine e allontanamento dei residui proteici ed altri residui organici e sali e un’ultima fase di precipitazione del DNA (Onori, 2010).

- metodiche cromatografiche: dopo una prima fase di lisi tissutale, il DNA è raccolto

selettivamente dal campione

- metodiche alternative: utilizzo di biglie in campo magnetico

7.3.2.1 Metodiche convenzionali

A) Omogeneizzazione e lisi tissutale

La preparazione del campione e la fase di lisi tissutale costituiscono il primo elemento chiave di ogni protocollo estrattivo e devono essere condotti con la massima cura, valutando attentamente la qualità della matrice di partenza e i punti critici di ciascun passaggio (pesatura, omogeneizzazione e introduzione di soluzioni di lisi), al fine di minimizzare il rischio di cross-contaminazioni del campione in analisi con DNA eterologo (Verollet, 2008). In questa fase, il campione è posto ad incubare in una soluzione contenente alcuni sali in concentrazioni variabili, che esplicano un’azione tampone mantenendo il pH intorno a 8.0, e detergenti (SDS, Tween), che favoriscono la lisi delle membrane cellulari, essendo in grado di solubilizzare i lipidi e denaturare le proteine di membrana. Generalmente, si aggiungono alcune proteasi di origine fungina (proteinasi k), per la digestione delle proteine istoniche, e l’acido Etilendiaminotetraacetico (EDTA), un chelante degli ioni metallici divalenti tra cui il Mg2+ libero, un cofattore essenziale di attivazione delle DNAasi cellulari.

B) Denaturazione e allontanamento di proteine e altre molecole contaminanti

Al termine della fase di lisi, il campione conterrà acidi nucleici, detriti cellulari ed altri componenti organici rappresentati principalmente da proteine e residui lipidici disciolti, in miscela o in sospensione nella soluzione. Uno dei primi protocolli messi a punto per la purificazione e l’estrazione degli acidi nucleici prevede l’utilizzo di alcuni reagenti organici, fenolo (tamponato a pH 8), cloroformio e alcool isoamilico, utilizzati da soli e in miscela (25:24:1 e 24:1) in step successivi. Le molecole contenute nel campione si raccolgono in funzione della loro solubilità nella fase acquosa (acidi nucleici), nella fase organica (proteine, lipidi) o nello strato sottile che si forma all’interfaccia tra le due fasi, contenente per lo più proteine denaturate (Sambrook 1989). A partire dal protocollo inizialmente individuato da Sambrook et al., per l’estrazione organica di DNA da matrici di origine animale, sono state proposte alcune metodiche alternative per l’estrazione di acidi nucleici da tessuto di pesce apportando alcune modifiche, aggiungendo una fase di incubazione ad elevate concentrazioni di urea (Asahida et al., 1996) alla fase di lisi (Nishiguchi et al., 2002). Gli aspetti negativi associati all’estrazione organica, oltre alla tossicità dei reagenti utilizzati (fenolo e cloroformio), includono il fatto che il protocollo richiede trasferimenti multipli del campione prima della precipitazione finale del DNA, con un notevole allungamento tempi di esecuzione e l’impiego cospicuo di materiale consumabile. (Cattaneo et al., 2000; Rasmussen and Morrisey 2008).

B2) Metodica salting out

La metodica salting out prevede l’utilizzo di soluzioni ad elevata concentrazione salina per determinare la precipitazione delle proteine compresenti nel campione lisato. La metodica si basa sulla solubilità delle proteine in soluzione direttamente dipendente dalla polarità del solvente, dalla sua forza ionica, dal suo pH e dalla temperatura del sistema. Le proteine sono scarsamente solubili in acqua pura. In soluzioni a bassa concentrazione salina la loro solubilità aumenta all’aumentare della forza ionica per effetto dell’interazione e il mascheramento dei gruppi ionici delle proteine ad opera degli ioni salini e la diminuzione delle forze d’attrazione tra le proteine (effetto salting in) (Voet et al., 2001). Ad elevate concentrazioni ioniche, la solubilità delle proteine tende invece a diminuire bruscamente per effetto della competizione di legame che si istaura per il solvente, portando all’aggregazione ed alla precipitazione delle molecole proteiche (effetto salting out ) (Miller, 1988). A differenza dell’estrazione con solventi organici, la metodica non prevede alcun rischio per l’operatore e permette una riduzione dei costi relativi al materiale di consumo.

C) Precipitazione e concentrazione del DNA totale

La precipitazione con alcooli è il metodo più comunemente utilizzato per l’isolamento del DNA. In presenza di un sale monovalente, la precipitazione si realizza per aggiunta di una percentuale di alcool etilico o isopropanolo. Le soluzioni saline maggiormente utilizzate sono l’acetato di Sodio a pH 5.2 (a una concentrazione molare finale di 0.3), il cloruro di sodio o di potassio (a una concentrazione finale pari a 0.2M) e l’ammonio acetato (2-2,5M). Per l’induzione della precipitazione sono necessari da 2 a 2,5 volumi di alcool etilico rispetto al volume del campione e 2/3 volume di isopropanolo. La miscelazione delle fasi e la successiva centrifugazione a temperatura controllata determinano la formazione di un pellet di DNA generalmente ben visibile, omogeneo e compatto sul fondo della provetta. La fase di precipitazione è seguita da uno o più lavaggi con etanolo al 70% per la rimozione dei sali residui (Sun, 2009).

7.3.2.2 Tecniche Cromatografiche Cromatografia a scambio anionico

Lo scambiatore di ioni è costituito da una matrice, che può essere una resina sintetica, una cellulosa o un destrano, la quale porta legati covalentemente dei gruppi in grado di ionizzarsi. Il principio si basa sull’interazione delle molecole di DNA cariche negativamente con particelle silicee caricate positivamente (Esser et al., 2006). In presenza di elevate concentrazioni di sali caotropici (idrocloruro e isotiocianato di guanidina) e a pH controllato (pH 6.5-7.5), le molecole di DNA interagiscono con matrice silicea attraverso la creazione di ponti idrogeno relativamente stabili, mentre tutte le altre molecole fluiscono dalla colonna (Melzak et al., 1996; Berensmeier, 2006). L’eluizione degli acidi nucleici si ottiene quindi variando la forza ionica e il pH del sistema attraverso l’utilizzo di soluzioni tampone o acqua distillata.

Cromatografia per affinità

Le molecole di interesse sono separate in funzione della loro affinità per un gruppo chimico o una macromolecola immobilizzata sulla matrice inerte della colonna. Il principio di legame si basa sull’interazione specifica dell’acido nucleico con la molecola adsorbita su una matrice inerte e l’eluizione, anche in questo caso, avverrà variando le condizioni di pH del sistema (Tan & Yiap 2009).

7.3.2.3 Kit di ultima generazione: biglie magnetiche

Alcuni metodi commerciali utilizzano particelle magnetiche che agiscono come fase solida di legame per l’acido nucleico in particolari condizioni e non necessitano quindi di alcun passaggio di centrifugazione e filtrazione. Infatti, dopo una fase iniziale di lisi, il campione è mescolato con una soluzione ad elevata concentrazione di sali caotropici, tamponata a pH basico e contenente le biglie magnetiche (ricoperte con particelle silicee). Alla miscela è applicato un campo magnetico così da ottenere la separazione delle biglie leganti l’acido nucleico dalla soluzione contenente tutti gli altri residui cellulari che possono essere allontanati direttamente per aspirazione. Le biglie sono sottoposte a una serie di lavaggi con tamponi contenenti una percentuale variabile di alcool etilico al fine di allontanare ulteriori contaminanti e sali residui. Il DNA è quindi eluito dalle biglie utilizzando tamponi a pH basico o acqua deionizzata microfiltrata sterile (Sun, 2004; Tan & Yiap 2009).

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