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Narratori italiani

Adrian N. Bravi, SUD 1982, pp. 188, € 14,

Notte-tempo, Roma 2008

Quando si entra nella lettura di Sud 1982, seconda prova dell'italo-argentino Adrian Bra-vi, riemerge dalla memoria letteraria il raccon-to Bompiani di Maratta che narra del reduce che torna dalla guerra con i suoi fantasmi e i suoi incubi notturni. Nel nuovo romanzo di Bravi la novità è data dall'ultima guerra argen-tina per il possesso delle Malvine-Falklands contro la Gran Bretagna della Lady di ferro. Una guerra combattuta da soldati argentini che sembravano ancora stare in piena secon-da guerra mondiale e secon-dagli inglesi, che inve-ce erano già tecnologicamente nel terzo mil-lennio guerraiolo. Alberto Adorno è il reduce da un conflitto - non conflitto che lo ha visto eroe in partenza e scartina nel ritorno. Al di là dei soliti temi che la guerra porta dentro di noi, l'esperimento narrativo di Bravi - oltre che l'in-teresse che suscita la neolingua italiana di un argentino trapiantato a Recanati - è in-teressante perché i piani narrativi del ri-cordo prebellico e postbellico vengono a livellarsi nella logica della guerra, che annulla nella sua dimensione assurda la dignità personale e cancella il tempo della vita. Il tempo sfalsato della guerra si coniuga poi con quella nostalgia da parte di Alberto Adorno reduce che leg-ge Plotino e si ubriaca di sera in taver-na. Che per fare il punto della situazio-ne partirà per l'Italia - in un viaggio di ri-torno al contrario rispetto ai suoi genito-ri emigranti - , ma che ormai non troverà più quello che più serve: una carezza e quell'amore che non c'è più e che non può più esserci.

VINCENZO AIELLO

gioco, per poi tentare un qualche riscatto, che sarà difficile, problematico, ma non privo di uno slancio possibile di speranza. Se il modello di riferimento inevitabile, inarrivabile -restano naturalmente Dostoevskij e il suo im-pianto narrativo, con la descrizione amara del degrado di una vita che si smarrisce irresisti-bilmente fino all'autodistruzione, la cifra stilisti-ca della narrazione che Guerrieri sceglie per il suo racconto ha l'impronta di un linguaggio asciutto, diretto, quasi la cronaca distaccata e oggettiva di un referto medico. E Pietro, infat-ti, l'uomo che racconta la storia della propria vita distrutta dal gioco, parla da un "Centro di terapia" nel quale sta conducendo l'ultimo, di-sperato, sforzo di ricostruzione; la lenta risali-ta nel tempo di quesrisali-ta amara autobiografia lo riporta alla sua originaria condizione di uomo senza qualità, dove l'incontro casuale con l'occasione del gioco apre voragini inimmagi-nate di emozioni e tentazioni; da questa sco-perta, Pietro muove verso un territorio inesplo-rato, nel quale incontra personaggi d'ogni possibile fantasia, che in quel mondo di spe-ranza e di sofferenza si agitano

inconsulta-Renzo Tomatis, L'OMBRA DEL DUBBIO, pp. 139, € 13,50, Sironi, Milano 2008

Quattro racconti. Una sorta di spy story tra multinazionali del fumo e dell'amianto, tra ricer-catori coraggiosi e corrotti, tra doppi giochi e contromosse per screditare o suffragare, tra ri-cerche oneste e compiacenti. Le vicende dei Balcani vissute attraverso le piccole invidie e gli interessi meschini di un manipolo di ricerca-tori immigrati. Il contrasto e le aspettative vis-sute da immigrati italiani poveri e privilegiati. Uno studente di medicina che ritrova in un'im-mersione meticolosa nella letteratura il senso della sua vita, e il bandolo della sua gravissima malattia. Quattro racconti ricchi di umanità, di sentimenti, di vicende umane esplorate con l'occhio curioso dell'autore. In questa raccolta, pubblicata postuma, emerge il cuore di Renzo Tomatis, la sua più peculiare caratteristica amata e invidiata da tutti coloro che l'hanno conosciuto e gli hanno camminato al fianco per periodi più o meno lunghi della sua esemplare vita di ricercatore. Dopo II laboratorio (1965) e Il fuoriuscito (2005), due romanzi autobiografici in cui Tomatis descrive le miserie e le rivalità degli ambienti universitari italiani, in questo li-bro dimostra ancora una volta la sua acuta os-servazione del genere umano con le sue de-bolezze, ma soprattutto con i suoi piccoli atti eroici che fanno di ogni vita un caso esempla-re. Anche in questi racconti le storie ruotano in-torno all'ambiente della ricerca, descrivendo personaggi emblematici con i quali mettere a nudo gli aspetti più meschini di concorrenza ed emulazione. Un altro schiaffo all'immagine del laboratorio come un mondo popolato da disin-teressati ricercatori che concorrono a risolvere i problemi dell'umanità.

M A R C O BOBBIO

di doppia lettura, e il dottor Lorenzo Capas-so finisce per trovarsi proiettato nel ruolo di indagato proprio per quella sua singolare at-tività notturna (è chiamato a registrare con atto notarile perfino le prestazioni delle pro-stitute). La qualità di questo romanzo non sta tanto nello svolgimento della storia quan-to nella sperimentazione che Bassetti mette in atto, smontando con spregiudicatezza la letteratura di genere e usando una lingua dove i vernacolismi napoletani si fanno stru-mento d'un divertissèment non privo di am-bizioni alte. Il risultato è d'una lettura che non delude mai, anche se alcuni squilibri nei moduli espressivi non sempre appaiono ri-solti a dovere.

m e

disegni di Franco Matticchio

mente, trascinati da una corrente di desideri cui si abbandonano senza nemmeno darsene conto. Il racconto è uno spaccato di vita che non pretende ricerca alcuna d'una morale spendibile per il lettore, ma elargisce soltanto il ritratto della perdizione come destino possi-bile d'ogni esistenza comune. La scelta del linguaggio narrativo esprime una coerenza in-tima con il progetto, e ne giustifica la accura-ta anamnesi da laboratorio.

m e

Osvaldo Guerrieri, L'INSAZIABILE, pp.168, € 15,

Neri Pozza, Vicenza 2008

La storia ha un andamento classico: la len-ta, inarrestabile, distruttiva, discesa all'inferno di un uomo che si abbandona alla spirale del

Remo Bassetti, STANNO UCCIDENDO I NOTAI,

pp. 322, € 16, Cairo Editore, Milano 2008

Consumatore attento d'ogni progetto cul-turale, ma creatore egli stesso di svariati progetti culturali, Bassetti è davvero uomo di multiforme ingegno, capace di proiettarsi con spirito libero in avventure che muovono e spaziano dentro territori di ricerca privi di orizzonti dovuti. Ideatore e fondatore di quel-l'originale proposta editoriale - il mensile "Giudizio universale" - che non ha modello alcuno di riferimento nel panorama mediatico internazionale, saggista di alta qualità anali-tica (in questo numero recensiamo nel Se-gnali il suo interessante "Target"), giornalista e commentatore di talento, ora Bassetti si prova nel romanzo, e, naturalmente, non si accontenta della narrazione d'una storia più o meno poliziesca, ma sceglie un taglio stili-stico intrigante, che mette assieme il gusto del paradosso e il piacere dell'ironia, il gioco linguistico e la tessitura della trama, in un percorso dove radica gli strumenti espressi-vi e culturali ch'egli più ama, a cominciare dalla letteratura francese e da un autore a lui certamente molto caro com'è Pennac. Ele-mento essenziale per comprendere questo suo ultimo libro è però la professione che Bassetti pratica nella vita d'ogni giorno, il no-tariato. E dunque il singolare racconto di un notaio che presta ii proprio lavoro alla mala-vita e registra con burocratica perfezione in atti ufficiali i crimini che stanno per essere commessi - furti, violenze o quant'altro - di-venta un'esilarante incursione referenziale nella vita notturna d'una Torino stralunata, ambigua, malcelata ai propri vizi e alle pro-prie tentazioni. I notai vengono ammazzati uno dopo l'altro da un misterioso serial killer che lascia sul luogo del delitto indizi e tracce

Luciano Curreri, LE FARFALLE DI MADRID.

L'AN-TIMONIO, I NARRATORI ITALIANI E LA GUERRA CI-VILE SPAGNOLA, pp. 338, €17, Bulzoni, Roma 2007

Questo volume di Luciano Curreri in-tende dar conto degli innumerevoli de-biti della nostra letteratura accumulati lungo i decenni nei confronti della guerra civile spagnola (1936-1939). Le metaforiche "farfalle di Madrid" della prima parte del titolo rinviano a un rac-conto sciasciano rispolverato per l'oc-casione: L'antimonio. Uno scrittore, rantisiciliano" Sciascia, che sfugge da tutte le parti e di cui Curreri tenta di mettere vanamente a fuoco la com-plessa, guizzante personalità. Ma è l'o-perazione nel suo insieme a lasciare perplesso il lettore. Si seguono con un occhio un po' distratto le spigolature su Hemingway e Malraux, i rilievi sull"'inumanità" silenziosa di Delfini e Vittorini, le pagine dedicate al Ta-bucchi di Sostiene Pereira. ì passaggi sulla "nuova politica della letteratura" di Chistian Salmon, fondatore di un virtuale parlamento di scrittori strasburghesi che, con la loro aspirazione a "diventare minoritari", mostra-no di voler reagire all'omologazione e alla standardizzazione imposte dalle triviali logi-che commerciali. Ma poi, soprattutto, questa prova di Curreri tira la volata alla conserva-zione e alla catalogaconserva-zione: la conservaconserva-zione di una codina e mummificata critica letteraria che sorvola o sfiora la carnalità dei testi e, non avendo più molto di nuovo da dire, ridice marmorizzata il già detto (salvo rilanciare ogni tanto con la scusa dell'intertestualità); la catalogazione, sovrabbondante e apparente-mente d'antan, cui la modernità penultima e postrema ci ha riabituato dopo la teoria dei minimalismi, dei decostruzionismi, dei de-strutturalismi. Poteva essere, quella ripercor-sa dall'autore, la storia con la esse maiusco-la, niente chiacchiere e tutta documenti, ed è invece una sequenza di piccole e grandi sto-rie maneggiate con una sgobbona ed esibi-zionistica volontà di strafare. Mentre si sot-tacciono relazioni materiche, fondate sulla puntualità dei riscontri tematici o testuali, si tessono pei altro verso orditi difettosi o insu-stanziali, si scialacqua in minuzie e citazioni estravaganti, si estraggono da! cilindro della prestidigitazione bibliografica e mnestica illu-sorie pietre di paragone. Gli elogi del margi-nale e del particolare, che fuor della provo-cazione di un Tabucchi o di un Magris non funzionano, nel suo caso finiscono alla lunga per infastidire; e il tentativo di fondazione di una sorta di ecoletteratura che si appelli al criterio dell"'urgenza inattuale" per denuncia-re la necessità di denuncia-recuperadenuncia-re tradizioni "qua-si perdute" o "qua"qua-si ine"qua-sistenti" può rappre-sentare alla lunga un comodo alibi per sfilar-si da più impegnative questioni. È vero: "sto-rici e critici letterari non dovrebbero parlare solo di quello che amano"; ed è senz'altro meglio cimentarsi nella lettura di un libro spiacevolmente utile anziché di uno piace-volmente inutile. Oggi, nondimeno, non ba-ratterei mai un libro bello con uno che sia sol-tanto utile. Abbiamo bisogno di rapinose vi-sioni e di incantatrici estasi.

, L'INDICE

^ • D E I L I B R I D E L M E S E H |

a

S o

CD

Léon-Paul Fargue, MUSIC-HALL, ili. di Lue-Albert Moreau, ed. orig. 1948, a cura di Marco Dotti, con uno scritto di Philippe Soupault, pp. 141, € 17,80, Medusa, Milano 2008

In un volumetto del 1913 Colette ha rac-contato L'Envers du music-hall: i minu-scoli camerini dove le ballerine si cambia-no tra nuvole di cipria, le scale su cui tra-scinano pesantissimi costumi di perline, la nìcchia umida ed

esposta a tutte le cor-renti d'aria della cas-siera. Léon-Paul Far-gue (1876-1947), poe-ta bohémien e instan-cabile chroniqueur, amico di Picasso e di Satie, fervido sosteni-tore di Joyce, conosci-tore senza rivali della Parigi popolare e not-turna, adotta invece in questa raccolta di arti-coli un punto di vista completamente diver-so: quello dello spetta-tore, o piuttosto

del-l'appassionato. Da quest'ottica ci invita a condividere la sua ammirazione per lo hu-mour essenziale del minuscolo comico Little Tich, per quello paradossale e fanta-sioso del clown musicale Grock, per la mi-mica di Mistinguett, vero concentrato di monelleria parigina, e per le sue "palpe-bre sospettose da giovane gatta". Al fa-scino dell'evocazione contribuiscono no-tevolmente le illustrazioni d'epoca di Lue-Albert Moreau, sorta di riscrittura anni quaranta della tradizione caricaturale ot-tocentesca. La postfazione del curatore offre un ritratto ricco di sfumature del Far-gue scrittore, in cui convivono "una diver-tita, arcana indole da apprenti sorcier e un modernissimo potere di riadattare le parole, di screziarne dolcemente il signifi-cato, di opacizzarne il senso fino al limite dell'ambiguità".

MARIOLINA BERTINI

Faiza Guène, AHLÈME, QUASI FRANCESE, ed. orig. 2006, trad. dal francese di Luigi Maria Sponzilli, pp. 128, € 14, Mondadori, Milano 2008

Ahlème, giovane banlieusarde grinto-sa, impegnata in una strenua lotta per sopravvivere dignitosamente nella diffici-le realtà parigina dell'immigrazione, ha lasciato l'Algeria a undici anni, il fratellino Foued in braccio, per raggiungere il

pa-dre a Ivry. A ventiquattro anni, "nel pae-se del freddo e del disprezzo" (appellati-vo impietoso che la ragazza attribuisce al suo paese d'adozione da cui tuttavia non riesce a staccarsi), Ahlème è quello che potrebbe definirsi un "perfetto esem-pio di integrazione", "quasi francese" se non fosse per l'agognato pezzetto di car-ta azzurra mancante che decide inesora-bilmente il corso di tante esistenze pre-carie. E la precarietà, condizione drammati-ca del nostro tempo, si presenta se possibile in maniera ancora più accentuata in questa giovane donna, co-stretta da una serie di fatalità (l'omicidio del-la madre e del-la madel-lattia del padre) a farsi ca-pofamiglia e madre di Foued, abbagliato dai denaro facile. In un mondo spietato sol-tanto l'amore dà modo di sognare e, infatti, Ahlème, abbandonan-do per una volta il suo scetticismo, si la-scia andare in un'irragionevole quanto fugace storia d'amore con un giovane clandestino di nome Tonislav, di cui non sa assolutamente nulla e che scompare poco dopo essere apparso. Lettura pia-cevole (il merito spetta in parte all'effica-cia della traduzione che ben rende il re-gistro colloquiale del testo) e di grande attualità, questo romanzo pare avere più un valore di testimonianza che un gran pregio letterario. Il suo interesse parreb-be dunque coincidere con il suo limite: il forte desiderio, l'urgenza forse, di rac-contare la contemporaneità e i suoi pro-blemi attraverso la storia di una giovane immigrata di banlieue, luogo divenuto simbolo di un malessere e del fallimento di un certo modello di integrazione. Al li-bro di Guène non mancano tuttavia pagi-ne riuscite, come quelle dedicate al Café des Histoires, dove Ahlème si inventa un'identità di scrittrice e ci racconta, un po' sulla scia di Calvino, trame di rac-conti da scrivere.

LUIGIA PATTANO

Irene Némirovsky, I CANI E I LUPI, ed. orig. 1940, trad. dal francese di Marina Di Leo, pp. 234, € 18,50, Adelphi, Milano 2008

Nella premessa alla prima edizione di questo romanzo, Némirovsky dichiarava

di voler descrivere la razza ebraica "con i suoi pregi e i suoi difetti". E difatti i "ca-ni" e i "lupi" sono qui gli ebrei stessi, se-parati dagli altri ma soprattutto sese-parati fra loro dal crinale della status economi-co, sociale e culturale, come da quelle stesse linee di confine che disegnano la topografia della cittadina ucraina dove prende avvio la storia di Ada, Ben e Harry: la città bassa, abitata dagli ebrei più poveri, e quella delle colline, dove convivono israeliti ricchi e alta borghesia polacca e russa. Attraverso ie vicende dei tre protagonisti, appartenenti alla stessa famiglia ma non allo stesso ceto, la scrittrice tratteggia le sfumature diver-se dell'esdiver-sere ebreo, di cui l'amore svela la natura profonda. L'amore di Ada, nata nel quartiere degli "infrequentabili", per il benestante cugino Harry: amore che ap-pare dapprima come un colpo di fulmine infantile, ma che nell'esilio parigino rive-lerà la costanza e la profondità dei sogni alimentati dal dolore e dalla solitudine. L'amore di Ben, anch'egli figlio della "città bassa", per la cugina Ada: amore che sembra innestarsi

con tenerezza su affet-ti d'infanzia, ma che metterà a nudo la na-tura possessiva, inso-lente e servile dei gio-vane. L'amore tardivo, infine, di Harry per Ada: amore che ha decantato il misto di orrore, ripulsa e attra-zione del bambino ric-co per i parenti giunti dal mondo dei "lupi". Rispetto alle differen-ze interne alla comu-nità israelita, i pregiu-dizi razziali degli

euro-pei sono relegati in secondo piano, men-tre affiora in filigrana la coscienza che l'arte sola possa circoscrivere una zona al di là dei ceti e delle razze: quella in cui si situa Ada, che nella pittura ha trovato lo spazio per esprimere la meraviglia del suo essere spettatrice del mondo e della vita.

BARBARA PIQUÉ

Karine Tuil, QUANDO ERO DIVERTENTE, ed. orig. 2005, trad. dal francese di Emanuela Pet-tinelli, pp. 249, € 13, Voland, Roma 2008

fìécit de mémoire privo di qualsiasi pretesa umoristica (come tiene a preci-sare fin dai principio la voce narrante

che dispensa consigli di lettura a quan-ti cercano invece un libro divertente), il romanzo di Karine Tuil si innesta in un fi-lone letterario celebre e serio pur con modi e tono decisamente burleschi. Giovane comico francese un tempo ap-prezzatissimo, Jérémy Sandre è, a soli trentaquattro anni, alla fine della propria carriera. Sicuro di sé e del proprio suc-cesso, l'umorista aveva deciso di rincor-rere il sogno americano e la consacra-zione internazionale esportando la pro-pria comicità oltreoceano. Ma lo scena-rio politico mondiale caratterizzato dal-l'ossessione terroristica, lo scoppio del-la guerra in Iraq e il conseguente au-mento di tensione nei rapporti tra Fran-cia e Stati Uniti si sono frapposti alle am-bizioni personali del nostro personag-gio, che si dice "prima vittima del boi-cottaggio americano verso i prodotti francesi". A New York, Jerry Sanders (nome d'arte adottato per il nuovo pub-blico) deve fare i conti con quelli che definisce problemi di traduzione (in so-stanza, un diverso senso dello humour)

e un crescente clima _ francofobo. Al

falli-mento artistico, segue tutta una serie di in-successi sul piano af-fettivo, familiare, eco-nomico e sociale che lo costringono, dopo due anni, a battere in ritirata in Francia. A Parigi Sandre è ormai dimenticato dal pub-blico e ignorato, quando non sbeffeg-giato, dalla stampa, mentre i vecchi amici e colleghi godono di grande prestigio. Fi-gura inetta che punta ormai a vivacchia-re, l'ex comico finisce per accettare quella forma di sfruttamento chiamata con termine inglese ghostwriting, fino al momento in cui si verifica la tragedia, controparte inevitabile del comico. L'o-micidio, nel caso in questione. Storia di un susseguirsi di cadute e confessione di un assassino, il romanzo di Tuil è an-che satira di certe tendenze estreme ed estremiste del nostro tempo, come l'e-sasperazione dei conflitti e la facile ten-tazione di rifugiarsi nel vittimismo. Un in-teressante esempio di scrittura parodica che p e c c a forse solo in quel che si rim-provera continuamente il protagonista: la perdita, talvolta, di leggerezza e co-micità.

(L.P.)

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Aleksandar Gatalica, S E C O L O . C E N T O E UNA STORIA DI

UN SECOLO, ed. orig. 1999, trad. dal serbo di Silvio Fer-rari e Aleksandra Dzankic, prefaz. di Predrag Matvejevic, pp. 415, € 19,50, Diabasis, Reggio Emilia 2008

Una storia per ogni anno del Novecento che fu: non per prolungarlo, ma per concludere in bellezza, con una

vo-mitata gigante di sardine, con un ultimo omicidio a con-densare la violenza di cent'anni che hanno mutato il pae-saggio del pianeta mondo. La grande storia vivisezionata in racconti brevi, ogni volta poche pagine, ma densissime di fatti e personaggi: i destini dei singoli che ballano la lo-ro danza sul Titanio, le date e i luoghi a far da palinsesto. Questo libro può essere letto un anno alla volta o tutto d'un fiato, dipende dal lettore. C'è la sorpresa di vicende storiche trasfigurate, c'è la scoperta di personaggi noti che hanno "murato nelle loro fondamenta i mesti esiti finali di tanti sconosciuti", c'è la descrizione di continenti e am-bienti: dalla Vienna di Freud all'Europa in precario

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