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Italiani e barbari

Nel documento Le guerre d’Italia in ottava rima (pagine 171-177)

2. ELEMENTI METANARRATIVI NEI POEMI BELLICI

2.4 Italiani e barbari

Come si è già detto in precedenza, la presenza di truppe straniere in Italia era tutt’altro che inusuale, dato che la maggior parte degli stati regionali faceva affidamento su truppe mercenarie, reclutate soprattutto nella Confederazione Elvetica, in Germania e, almeno per quanto riguarda Venezia, nei paesi balcanici. A queste compagnie si aggiungevano le condotte straniere (cioè provenienti da altri stati d’Italia), i cui comandanti provenivano dall’aristocrazia militare italiana. La presenza straniera in Italia, sebbene necessaria nel contesto militare degli stati regionali, era già da tempo percepita come una minaccia per le autonomie della penisola: non sorprende quindi che già prima della discesa di Carlo VIII un esercito straniero fosse descritto alla stregua del terribile turco:

Io non potrei contare la crudeltade che li sciughuizeri fecion in Voltolina, la quale è valle di gran nobiltade di magne terre degne e peregrina, e gente menon via in quantitade che mai turchi né gente saraina tanto non fecion contro de christiani quanto che fecion contro da taliani.

La guerra dei tedeschi contro i veneziani (T 3; GOR II, 3.1, 7 – p. 42)

L’arrivo dell’esercito francese segna però l’inizio di un periodo nel quale i governi europei si contendono la sovranità e l’influenza sui territori italiani, mettendo così in crisi l’autonomia degli stati regionali; nei poemi che descrivono le guerre d’Italia non si tratta più della semplice connotazione negativa di un nemico straniero, ma dell’espressione di un sentimento sempre più diffuso, la coscienza che è necessario unirsi per cacciare l’invasore e salvaguardare l’autonomia degli stati italiani. Il tema della “libertà d’Italia” è assai diffuso nelle opere letterarie del periodo: in alcuni dei poemi bellici esaminati, questo ideale si traduce in digressioni, lamenti ed esortazioni, che si inseriscono nello spazio metanarrativo della tradizione epico-cavalleresca, adattando le sue forme al contenuto storico. È importante tenere conto del contesto nel quale i singoli poemi sono composti e pubblicati, sia dal punto di vista geografico, che da quello sociale: non sempre, infatti, lo straniero è considerato nemico della libertà d’Italia, specialmente quando milita nella parte favorita dal poeta. Quasi sempre gli eserciti che dal 1494 entrano nella penisola sono favoriti nel loro ingresso, se non addirittura sostenuti militarmente, da potenze

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italiane; non sarebbe quindi corretto interpretare le incitazioni poetiche alla lotta contro questi “barbari” come l’espressione di un patriottismo diffuso e omogeneo. Detto questo, si può notare che molti poeti concordano nell’attribuire le vittorie straniere in Italia alla mancanza di coesione tra gli stati e alle discordie che dividono e rendono deboli le signorie italiane:

Sì come s’è veduto con effecto, de Italia finalmente si puol dire morte, division, sette, dispecto, incendi, forze, inganni, oro e rapine, le invidie l’ambitioni e ‘l mal concepto e l’odio, la superbia e ‘l troppo ardire ha fatto rinovar più Crassi e Mida tal che più el padre del figliol non fida.

E tanto hanno operato vecchi sdegni e per volersi ciascun vendicare per torre stati e per far perder regni et chi per voler patrie dominare, mandati messi, littere e chi segni

et chi i monti in persona hebbe a passare a far nostre discordie esser palese, tanto che Carlo questa impresa prese.”

La venuta del Re Carlo con la rotta del Taro (T 9; GOR II, 4.8, 7-8 – p. 115)

Queste contese, animate dalle ambizioni territoriali e dall’avidità delle potenze italiane, sono la causa dei mali presenti; da numerose esortazioni, perlopiù collocate nei congedi, emerge la consapevolezza che l’Italia, un tempo padrona del mondo, ora è preda delle potenze straniere:

Però vi prego signori Taliani ch’adoperiate l’ingegno e ‘l cervello che se pensate l’antichi romani non tenne inanti l’occhi mai capello per vostro fallo gode i tramontani e voi, signori, ve ne andate a restello per la discordia vostra sì proterva Italia era patrona, è fatta serva.

Perosino della Rotonda – Il fatto d’arme di Ravenna (T 25; GOR II, 12.7, 59 – p. 494)

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Più non voglio la rotta seguitare per non dare a nemici alcuna laude però che lor non l’hebeno acquistare ma fu d’Italia la dolente fraude beato è quel che pò l’altro ingannare ciascun del mal d’altrui ne ride e gaude miseri ciechi, pien d’ogni ignoranza spargete il sangue e il tesor ne va in Franza

Francesco Maria Sacchino da Modigliana – Spavento d’Italia (T 17; GOR II, 10.9, 30 – p. 361)

La connotazione negativa associata alla volontà di sottomettere l’Italia è innanzitutto riferita ai francesi, a partire da re Carlo VIII, come si evince dalle esortazioni presenti nei poemi che narrano la campagna del 1494-95:

Su hormai su tutti a l’arme a l’arme! a l’arme a l’arme e più non indusiati non indusiati più che il tempo parme el tempo parme su tutti armati armati dico a cavallo con l’arme con l’arme ciascuno aparechiati corendo contra al re de Galia che cerca subiugar tuta la Italia.

La lega contro i francesi (T 5; GOR II, 4.2, 22 – p. 70)

Però ti prego, sacrata regina, dolce figliola che hora te disponi de dar aiuto a tanta disciplina qual mi vol dar el re degli capponi e sottometter ogni mia domina

La rotta di Parma

(T 7; GOR II, 4.5, 7, 1-5 – p. 85)

La spregevole ambizione di assoggettare gli stati italiani non è però imputabile unicamente ai francesi: essa torna spesso, seppure in modo storicamente inesatto, quando truppe italiane si oppongono ad eserciti stranieri, a prescindere dalla loro nazionalità. Un altro caso è quello degli svizzeri, che ne La venuta del Cristianissimo Re in Italia, attaccano a tradimento con l’intenzione di sottomettere tutta la penisola, mentre sono i francesi, questa volta, a liberare l’Italia dal pericolo:

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Ma spesse fiate questo si intraviene: chi altrui cerca ingannar resta ingannato, chi iniustamente altrui vuol ferire

d’altrui poi sì se trova impiagato, chi col veneno sì vuole guarire si trova dal veneno infermato. Sguiceri con tradimenti e battaglia credean signorizar tutta l’Italia.

La venuta del Cristianissimo Re in Italia (T 30; GOR II, 14.6, 1 – p. 545)

La facilità con cui si designa ora questa, ora quella potenza come “nemica d’Italia” è rispecchiata anche dall’elasticità editoriale con la quale un poema che si riferisce ad un determinato evento storico può essere riciclato in seguito, adattandone il contenuto alla situazione contingente: si è già visto il caso della rielaborazione de La vera nuova di

Brescia, che Paolo Danza riprende nel suo poema filoveneziano; per quanto riguarda il

tema degli stranieri in Italia, un caso significativo è costituito dal Lamento di Roma, nel quale la Città Eterna parla in prima persona, rievocando le glorie passate e deplorando la situazione dell’Italia intera.

Auditori, so che m’avete intesa, vedete Italia bella ove si trova, ogni dì rovinata, ogni dì offesa, in povertà ogni anno si ritrova.

Ma chi ce offende lascierà presto l’impresa et sarà forza che perda la prova

e Italia serà franca in breve spatio, vendicherassi da chi ha havuto stratio.

Lamento di Roma

(T 4; GOR II, 4.1, 56 – p. 63)

Il Lamento di Roma si riferisce all’arrivo di Carlo VIII nel 1495, che sembrava comportare un vero e proprio cataclisma, tanto nell’assetto politico della penisola, quanto nel mondo religioso. Il nemico che “ce offende” e che “sarà forza che perda la prova” è quindi il re francese: effettivamente la sua campagna militare in Italia non sortì i risultati sperati; il poema, tuttavia, non viene accantonato con la memoria dell’impresa di Carlo VIII, ma, secondo una prassi editoriale quanto mai diffusa, è riciclato per gran parte ne

La presa e lamento di Roma che, più di trent’anni dopo, racconta le terribili vicende del

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L’esortazione riportata dal Lamento di Roma corrisponde perfettamente all’ottava 44 del testo rielaborato: le stesse parole usate per descrivere il nemico francese sono ora tranquillamente riferite alle truppe imperiali.

Si può affermare che la connotazione negativa dello straniero europeo, inteso come invasore da combattere, non è automatica nei poemi che descrivono le guerre d’Italia: le esortazioni e le digressioni morali che evidenziano la preoccupazione e la necessità di salvaguardare la libertà d’Italia sono adeguate sia nel contenuto, sia dal punto di vista formale alle vicende storiche narrate e alla parzialità del poema stesso. Ciò non significa, tuttavia, che i poeti fossero insensibili alla minaccia dell’invasione di soldati stranieri e alla brutalità delle nuove tattiche militari che questi introducono nella penisola. Nel capitolo che segue saranno esaminati alcuni aspetti che evidenziano, da una parte, la ricettività dei poemi bellici nei confronti delle innovazioni militari introdotte durante i conflitti italiani, dall’altra, la coscienza degli orrori causati da questo modo nuovo e barbaro di fare la guerra.

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