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Capitolo 1 – CONFINI E TRAVERSATE Considerazioni introduttive

V. Itinerari

Le descrizioni dello spazio esibiscono le operazioni che permettono, in un luogo vincolante e non «proprio», di «triturarlo». Michel De Certeau, L'invenzione del quotidiano

La mappa in senso costitutivo come strategia, come strumento della governamentalità, produceva un'omogenizzazione del territorio ceutì che appiattiva il tempo e lo spazio dell'esperienza. Contro quest'oggettivizzazione ho raccolto delle “descrizioni dello spazio” seguendo le mie guide attraverso i luoghi che hanno voluto mostrarmi. Gli itinerari che i miei interlocutori disegnavano con i nostri spostamenti distorcevano lo spazio geometrizzato, piegandolo e increspandolo per mezzo di storie e concezioni puntuali:

[i racconti] s'insinuano nel quadro ricevuto nell'ordine imposto. Si ha così un rapporto fra le pratiche stesse dello spazio e l'ordine costituito. In superficie, quest'ordine si presenta ovunque picchettato ed eroso da ellissi, derive e fughe di senso: è un ordine-colabrodo. (De Certeau 2012: 164; corsivo mio)

Avendo registrato le principali interviste in itinere, ho ritenuto necessario restituire questo senso di movimento che mi ha portata alla scoperta di Ceuta, accondiscendendo a due ragioni metodologiche. La prima, in quanto sono venuta a conoscenza delle chiavi di lettura dei luoghi percorrendoli, ho avuto l'occasione di estrapolare dalla loro apparenza mediata quello che i luoghi 43

stessi dicevano ai miei accompagnatori. Questo mi ha dato l'opportunità di poter mettere l'accento sulla pratica dell'itinerario, del mapping contrapposto al mapmaking, della pratica rispetto alla rappresentazione, che situa e connota durante il percorso. Come nota Ingold, «we know as we go,

not before we go»74 (Ingold 2000: 239): il prodotto collaterale del percorso ha ricreato degli spazi

fortemente significanti e intrisi di indicatori di orientamento. Inoltre, il fatto che questi viaggi avessero ognuno una propria guida ha dato una sorta di coerenza ad ogni itinerario: il quadro era di volta in volta stimolato da un fine differente, ed è stato segnato dalle particolari inclinazioni di ogni accompagnatore.

La seconda ragione metodologica sta nel fatto che, all'interno di uno stesso itinerario, mi è stato possibile vedere come il mio accompagnatore cambiasse declinazioni del sé in base ai luoghi in cui ci trovavamo. A questo proposito, la suddivisione in gruppi di cui sopra, secondo la quale il senso di appartenenza è restituito dagli schemi percettivi e odologici, è ovviamente un'astrazione per permettere, in un primo momento, di capire quali sono i poli rispetto ai quali si posizionano gli abitanti di Ceuta. Nella realtà quotidiana, è fondamentale tenere presente che l'etnicità di ognuno è intrinsecamente relazionale e molto più fluida (Maher 1994: 31). Per cui era estremamente interessante notare come un'appartenenza che sembrava di primo acchito rigida e irremovibile ammorbidisse i propri pilastri in corrispondenza di determinati luoghi, si riconfermasse come inattaccabile in altri, e in altri ancora ristabilisse il sé in maniera contrastiva, gettando ulteriormente luce sui significati incastonati nello spazio.

I racconti e le descrizioni emerse lungo il percorso hanno segnato le connotazioni di ogni luogo, restituendo quella che era la condizione di possibilità della mappa: l'attraversamento dello spazio, la prescrizione di azioni, le storie che vi si conservavano e che orientavano i movimenti sulla base dell'incorporazione dei significati dei luoghi. Spolverando via la normatività delle mappe, gli

itinerari hanno portato alla luce i nodi di svincolo delle pratiche quotidiane, i luoghi che «non hanno posizioni ma storie» (Ingold 2000: 219). Come primo tentativo di espressione di questi itinerari ho scelto di saldare sulla geografia fisica i “nodi” emersi nella performance pratica, in modo che la bidimensionalità della mappa potesse assumere le ulteriori dimensioni di pratiche e rappresentazioni, apportando “spessore” ai luoghi: letteralmente, conferendo loro maggiore densità, portandoli ad emergere all'interno dello spazio geografico. Ogni “nodo” sarà descritto e sviscerato in ogni tappa dei tre itinerari che costituiscono la sezione centrale del testo, in modo da poter coinvolgere il lettore all'interno della mappa e da appoggiare i suoi piedi sul concreto e accidentato terreno del campo. Per agevolare quest'immersione sono state utilizzate anche delle fotografie come parte integrante del testo. Seguendo ognuno dei tre percorsi, di volta in volta

verrà esumata parte della città secondo la percezione che ne avevano i miei accompagnatori75.

Itinerario I – Ceuta al di fuori di Ceuta

La mia prima guida è stata Tamara. Molto amica della mia coinquilina, non appena abbiamo avuto occasione di conoscerci si è dimostrata subito disponibile ad aiutarmi a conoscere la sua città. Abbiamo inaugurato i nostri incontri con un primo appuntamento a casa mia, nel quale abbiamo discusso di quello che avremmo fatto durante la settimana. In quell'occasione, Tamara aveva condensato la prospettiva che ci avrebbe inizialmente guidate osservando che «Ceuta

sembra un ago nella mappa»76. L'aver fatto propria l'illusione cartografica fino a tal punto era

segnale di ciò che avremmo incontrato lungo il nostro itinerario: quello che, sulla scorta di una efficace espressione del cronista della Città, ho chiamato “lo stretto che unisce”; ovvero, tutte le

75 Non escludo che vi possa essere un procedimento più efficace per poter andare ancora oltre la scissione tra

itinerario e rappresentazione; al momento, la riproduzione densa dello spazio che ho sempre imparato a conoscere attraverso un primo impatto cartografico, è quanto di più ardito riesca a concepire. Spero in futuro di poter scardinare ulteriormente le mie premesse ontologiche e di trovare un modo più innovativo di rendere questo scollamento e soprattutto, che questo modo possa essere capito dai chi condivide le medesime premesse.

76 Intervista a Tamara I.

estrinsecazioni che restituivano quell'immagine di Ceuta di cui i ceutì andavano fieri. Il primo luogo a bucare la mappa è stato il Parque Marítimo del Mediterráneo, dal quale Tamara ha iniziato a raccontare la sua città. Il Parque costituiva per i ceutì l'opera più riuscita dell'avvicinamento di Ceuta ad un ideale europeo, e mi sono spesso imbattuta nella sua presenza come primo e più importante elemento della città. Quel giorno coincideva con la festa di San Juan, per cui, con l'intento di vedere qualcosa di “tipico”, ci siamo recate sulle spiagge più esclusive, La Ribera e El Chorrillo. Il giorno successivo siamo partite alla volta del complesso di cime dell'Atlante al quale i ceutì si rivolgono come “Mujer Muerta”: la nostra meta in effetti non era la montagna in sé, ma un punto all'interno del territorio della Città Autonoma dal quale poterle ammirare. Per raggiungere Benzú, il quartiere che offriva la migliore prospettiva, abbiamo tagliato la città mentre Tamara portava alla mia attenzione dei luoghi mentre li attraversavamo, come l'Almadraba, un quartiere “musulmano”, e il monte “de la Tortuga”, dove sorgeva una struttura militare. Ci siamo poi recate presso le Mura Reali, un complesso che ospitava la principale sede dell'ufficio turistico, dove ho appreso le veste ufficiale della città e il tono della rivisitazione della sua identità difensiva. Il Castello del “Desnarigado” e las 500 escaleras sono stati due nodi emersi mentre percorrevamo la baia sud con la barca turistica. Tanto più in quest'ultima tappa, i mezzi di trasporto hanno coagulato il flusso dei percorsi in unità staccate, quasi annullando le derive: l'auto come veicolo privilegiato ha affievolito il processo di «appropriazione del sistema topografico» (De Certeau 2012: 151). L'ellisse dei luoghi insita della restituzione dell'“ordine-colabrodo” veniva esasperata dal percorrere gli spazi ad una velocità elevata, che spesso indirizzava già dalla partenza verso una meta precisa; inoltre, all'interno di un guscio dell'auto, l'essere espunti dal contesto fisico si aggiungeva alla concessione straordinaria dell'attraversare spazi che, in un itinerario di cammino,

non sarebbero stati minimamente presi in considerazione77.

I luoghi che abbiamo visitato hanno fatto emergere per contrasto quelli che erano stati lasciati indietro, e di cui abbiamo avuto modo di parlare durante il nostro ultimo incontro: lo stretto con i suoi controlli portuali, i quartieri “musulmani” e una scuola teatro di uno scontro tra forze di polizia e immigranti erano le differenze che i ceutì avvertivano come imputate loro, ma di cui non si ritenevano affatto colpevoli e delle quali, anzi, si dichiaravano vittime. La prima suddivisione ha poi ceduto il passo alle esperienze che il suo barrio, il suo “quartiere”, ha potuto offrirle in quanto vera frontiera della città di Ceuta: unico ambito nel quale i confini potevano essere attraversati e si poteva assumere di volta in volta la veste dell'altro e, allo stesso tempo, in cui questo attraversamento rafforzava i rispettivi segni.

Itinerario II – Il centro

Questo attraversamento, invece, era assolutamente interdetto nel centro: all'interno dei suoi confini si concentravano gli sforzi della governamentalità, per cui lo spazio ricreato insisteva soprattutto sull'esaurirsi della sua influenza, presso il Puente del Cristo, prima che la città si impennasse verso i monti della zona frontaliera. L'aver vissuto in centro mi ha resa particolarmente sensibile alle sue dinamiche e, soprattutto, è da quel contesto di cui mi sono imbevuta e dal quale ne sono emersa come fieldnote. Per questo ho cercato di ricreare il contesto del centro non solo attraverso la descrizione visiva degli spazi, ma anche richiamando il panorama sonoro che caratterizzava quella sezione della città. Inoltre, le tappe degli itinerari attraverso le quali sono stata condotta non esaurivano la profonda conoscenza di quei luoghi che, abitandovi, ho assorbito. Per questo, il secondo capitolo è suddiviso in una prima parte, in cui discuto l'immediata esperienza come ricostruzione di uno spazio che ha irrimediabilmente influenzato la mia etnografia e come personale itinerario attraverso il quale ho dischiuso nell'insieme ciò che veniva acriticamente concettualizzato come “centro”. La seconda parte racconta l'itinerario attraversato 47

con Juanmi e Ángel: il primo, giornalista, mio vicino di casa, mi ha portata di volta in volta, sempre percorrendo la via principale, attraverso le Mura Reali, il Ponte del Cristo, la Plaza de Los Reyes e il

barrio la Estación; il secondo, che ho sempre incontrato nel suo ufficio della agenzia Procesa78, ha

integrato le impressioni restituitemi da Juanmi attraverso delle fotografie da lui scelte per illustrarmi quali fossero per lui i luoghi più importanti della città. Il centro era principalmente quell'ambiente in cui aveva luogo la concentrazione delle dinamiche, dove tutti incrociavano i

propri passi: «Aquí nos conocemos todos, y todo el mundo sabe de que pie cogea cada uno»79.

Questo cerchio magico che raccoglieva i rapporti dei ceutì era anche il luogo dove questi forgiavano la propria idea di “normalità”, dalla quale l'alterità veniva attentamente espunta.

L'elevata codificazione dei suoi spazi si contrapponeva alla diversità, ricreando un ordine che, accostato al disordine, appariva quanto di più desiderabile. Questo, tuttavia, non impediva alle tattiche di saldarsi sui luoghi propri delle strategie: il diverso significato che poteva assumere un unico fatto spaziale restituiva la complessità di una città che, per quanto volesse normalizzare il proprio aspetto e la propria essenza, veniva segnata dalla percezione dell'“altro”.

Itinerario III – La frontera

Con l'ultimo itinerario ho potuto conoscere la linea di confine e assieme la frontiera di Ceuta: Juanma, che abitava di fronte al vallo, mi ha condotta attraverso i luoghi che per i ceutì rappresentavano la marginalizzazione della differenza. Il passaggio frontaliero del Tarajal e i magazzini all'ingrosso sono stati i primi a venire alla nostra attenzione: il contrabbando alimentato

78 Società per lo sviluppo della Città Autonoma di Ceuta, creata nel 1987, «allo stesso tempo organo incaricato della

gestione delle iniziative cofinanziate dai Fondi Strutturali Comunitari, ha come obiettivo facilitare, stimolare, canalizzare e avviare progetti e iniziative di natura imprenditoriale»; si veda sitografia.

79 «Qui ci conosciamo tutti, il paese è piccolo e la gente mormora»; intervista a Juanmi, 23 luglio 2014. L'espressione

castigliana viene tradotta letteralmente con “tutti sanno qual'è il piede zoppo degli altri”, inteso come «conoscere a fondo il vizio o il difetto morale del quale soffrono» (Real Academia Española; si veda sitografia); Juanmi intendeva qui sottolineare come, essendo Ceuta una piccola città, è molto facile che viga quello che Hume chiama “monitoring of all by all”, il “monitoraggio di tutti da parte di tutti” (Hardin 2007: 111; 116; 135).

da questi ultimi, come qualsiasi altro corpo segnato dall'alterità, passavano attraverso quella ferita che permetteva a Ceuta di comunicare con il paese accanto. Inizialmente, Juanma mi aveva detto che i magazzini erano frequentati solamente dai marocchini; tuttavia, più tardi e in altro contesto, ha ammesso che lui, conoscendo i proprietari e intrattenendo con loro buoni rapporti, poteva comprare al dettaglio a basso prezzo. La simbiosi con una realtà diversa rispetto a quella che avevo conosciuto nel centro mi è stata chiarita una volta giunti finalmente a casa sua: i luoghi che mi ha mostrato comprendevano entrambi i versanti della valle separata dalla linea di confine, e la sua borgata andava di pari passo con le case della cabila di fronte. Questa relazione sussisteva

nonostante il vallo: la sua realtà ingombrante ed immediata strideva contro quella ricreata dagli

abitanti del centro, dai ceutì che esercitavano una «precettistica del male minore» (Giglioli 2014: 11) dettata dalla percezione interposta dai media. Il nostro itinerario si è concluso tra le strade di El Príncipe: quest'ultima tappa è stata obbligatoria in quanto, tornando verso il centro, abbiamo

dovuto evitare la cosiddetta carretera nueva80, «porque cada vez que me ven con la furgoneta allí

me ponen multa»81. Punta di diamante della collezione di quartieri “musulmani” della città, il

Príncipe era quanto di più lontano fosse assunto dai ceutì sulla linea del loro senso di appartenenza. La costruzione discorsiva del Príncipe si inseriva nel panorama ceutì secondo i dettami della settorializzazione dello spazio che ricalcava i confini etnici: la parcellizzazione del territorio in quartieri musulmani e non, non era che un'astrazione piuttosto grossolana che rispecchiava la suddivisione degli abitanti della città su base religiosa, quando in realtà il peso della presenza allogena veniva considerato sulla base della vicinanza al Marocco. Al contrario, in compagnia di Juanma, la conoscenza del luogo al di là della sua rappresentazione discorsiva mi ha dischiuso la sua realtà concreta: se prima, presso casa sua, aveva azzardato a definirsi un “moruno”

80 «Strada nuova», così era chiamata la strada che dal centro costeggiava la baia sud fino a raggiungere il passaggio

frontaliero del Tarajal. Fino a non molto tempo fa, raggiungere il Marocco si doveva attraversare la collina del Morro, «poi scendere lungo la Avenida de los Reyes Católicos, e poi al Tarajal»; intervista a José Maria.

81 «Perché ogni volta che mi vedono lì con il furgoncino mi mettono la multa»; intervista a Juanma I.

perché ne condivideva la passione per i saloni82, lì, in quello che era comunque pensato come

spazio della diversità, aveva iniziato nuovamente a parlare di “noi” e “loro”. Ma in quest'affermazione della diversità non c'era traccia di quell'inflessione denigratoria prodotta dal centro: la conoscenza aveva fatto germogliare il seme dell'empatia.

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