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Iva negli accordi transattivi, valutazione caso per caso Orientamenti non univoci nella prassi e nella giurisprudenza

In merito all'assoggettamento ad Iva delle somme risultanti da accordi transattivi, sia l'agenzia delle Entrate che la Cassazione si sono espresse più volte in maniera non univoca. L'Assonime, nella circolare n. 26/2021, ha chiarito che la rilevanza fiscale della transazione dev'essere valutata caso per caso prendendo a riferimento i principi unionali (ad esempio una prestazione di servizi per essere considerata tale ai fini Iva deve dar luogo ad un «consumo, nell'accezione del sistema comunitario dell'Iva»).

La risoluzione di controversie – afferenti rapporti giuridici di vario genere – insorte fra due parti, che si conclude con il pagamento di una somma di denaro porta con sé la

problematica circa la debenza dell’Iva.

Come vedremo, in alcune pronunce dell’Amministrazione finanziaria, tali somme vengono qualificate come il corrispettivo per una generica prestazione di servizi, da assoggettare all’imposta.

Il quadro normativo

Il dubbio sorge perché da un lato l’Iva si applica solo sulle cessioni di beni (e per l’acquisto intra-unionale dei beni) e sulle prestazioni di servizi, ma dall’altro la norma definisce:

cessione di beni il «trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario» (articolo 14, Direttiva 2006/112/Ce);

prestazione di servizi, per esclusione, ciò che non è una cessione di beni. Ad esempio, sono prestazioni di servizi le cessioni di beni immateriali (articolo 7,

Regolamento Ue 282/2011; articolo 25, lettera a) Direttiva 2006/112/Ce). La norma così dispone: «si considera ‘prestazione di servizi’ ogni operazione che non

costituisce una cessione di beni» (articolo 24, Direttiva 2006/112/Ce).

Tra le prestazioni di servizi è incluso «l'obbligo di non fare o di permettere un atto o una situazione» (articolo 25, lettera b) Direttiva 2006/112/Ce) o, per usare le parole della norma nazionale, nelle prestazioni di servizi sono incluse «le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d'opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia,

mediazione, deposito (n.d.a.: tipologie contrattuali elencate a titolo esemplificativo) e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere (es. assunzione di un obbligo di astenersi dal compiere una determinata attività economica o di permettere che altri svolga un’attività economica che non avrebbe diritto di svolgere) quale ne sia la fonte» (articolo 3, comma 1, Dpr 633/1972).

Poiché l’Iva è un’imposta che colpisce i consumi, secondo la giurisprudenza unionale, una prestazione di servizi – ancorché generica e non con contratti tipizzati – è assoggettata ad Iva se l’operazione risulti “consumabile”, ossia il consumatore identificato tragga un vantaggio corrispondente al prezzo pagato (il corrispettivo, appunto). Si citano, ad esempio, le sentenze della Corte di Giustizia Ue 18 dicembre 1995, causa C-384/95 e 29 febbraio 1996, causa C-215/94 con le quali la Corte ha affermato l’insussistenza di prestazioni di servizi negli obblighi assunti da imprese agricole nei confronti di strutture pubbliche aventi a oggetto l’impegno a limitare determinate produzioni, a fronte del pagamento di un’indennità. In questi casi, infatti, il soggetto che eroga l’indennità non acquista beni o servizi per il proprio uso, ma agisce nell’interesse generale.

D’altro canto, gli obblighi di vario genere previsti nelle transazioni (1) possono ricondursi a diversi ambiti del diritto privato – con effetti fiscali differenti – come dimostrano gli esempi che seguono.

Esempi

Caso n. 1

Il cedente/prestatore effettua l’operazione concordata ma non incassa il corrispettivo. Il cessionario/committente non ha pagato il corrispettivo in quanto lamenta la mancata o irregolare esecuzione dell’operazione.

All’insorgere della lite (o anche solo per prevenirla) le parti si accordano per una

riduzione del corrispettivo precedentemente concordato. L’accordo perfezionato tra le parti consente la riduzione della base imponibile (es. mediante l’emissione di una nota di variazione ai sensi dell’articolo 26, comma 3, Dpr 633/1972, qualora il

cedente/prestatore avesse già emesso la fattura).

Caso n. 2

La situazione è analoga a quella precedente, ma le parti convengono di risolvere il

contratto. Anche in questo caso l’accordo transattivo impatta sulla determinazione della base imponibile.

Caso n. 3

Due parti sono in lite (ovvero stanno per iniziarne una) per la quantificazione del

risarcimento di un danno provocato da una parte all’altra. L’accordo transattivo che fissa la somma da corrispondere – al fine di evitare/risolvere la lite – non sarà assoggettato ad imposta, in quanto verrebbe a qualificarsi quale mera cessione di denaro (operazione non rientrante nel campo di applicazione dell’Iva, ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera a), Dpr 633/1972).

Per individuare il corretto trattamento fiscale degli effetti derivanti dagli accordi transattivi occorre fare un’analisi caso per caso.

Si precisa che la mera qualificazione, nell’ambito dell’accordo transattivo, di una determinata somma quale risarcimento non esclude il suo assoggettamento ad Iva.

Ad esempio, con la sentenza 22 novembre 2018, in causa C-295/17 (riprendendo le

conclusioni già raggiunte nelle precedenti cause riunite C-250/14 e C-289/14, per il caso di pagamento di biglietti aerei non fruiti e non rimborsati), la Corte di Giustizia Ue ha ritenuto che i pagamenti contrattualmente previsti come penale contrattuale per l’inadempimento dovessero in realtà qualificarsi come corrispettivo del servizio. In tale pronuncia si legge che «è irrilevante ai fini dell’interpretazione delle disposizioni della direttiva Iva il fatto che tale importo costituisca, nel diritto nazionale, un diritto al risarcimento del danno di natura extracontrattuale o una penalità contrattuale, oppure che esso venga qualificato come risarcimento del danno, indennizzo o remunerazione. La valutazione se il pagamento di una remunerazione avvenga come corrispettivo di una prestazione di servizi è una questione di diritto dell’Unione, la quale dev’essere risolta indipendentemente dalla valutazione operata nel diritto nazionale».

Infatti, «alcune clausole contrattuali non riflettono la realtà economica delle prestazioni eseguite, sulla quale deve fondarsi l’applicazione del regime dell’Iva» (Corte di Giustizia Ue, sentenze 18 luglio 2007, in causa C 277/05; 20 febbraio 1997, in causa C-260/95; 28 giugno 2007, in causa C-73/06; 7 ottobre 2010, in cause C-53/09 e C-55/09; 20 giugno 2013, in causa C-653/11; 4 ottobre 2017, in causa C-164/16; 12 ottobre 2017, in causa C-404/16).

L’orientamento dell’agenzia delle entrate

Passiamo in rassegna taluni casi esaminati dall’agenzia delle Entrate. Come vedremo, in talune ipotesi le conclusioni cui giunge il documento di prassi non convince appieno.

Casi risolti dall'agenzia

Risposta Interpello 3 giugno 2019, n. 178

L’agenzia conferma che «al fine di stabilire il trattamento fiscale della transazione, è necessario effettuare una valutazione caso per caso al fine di individuare, mediante l’analisi degli elementi sottostanti la vicenda negoziale, la specifica volontà delle parti». Comunque, ai fini di tale valutazione si deve verificare se la transazione ha natura

«dichiarativa» o piuttosto «novativa»: mentre nella transazione dichiarativa il rapporto giuridico che ha dato origine all’accordo non viene sostituito da uno nuovo e diverso, in quella novativa le parti costituiscono una nuova obbligazione, la cui riconducibilità ai presupposti dell’Iva dev’essere oggetto di specifica valutazione.

In tale impostazione, non sarebbe rilevante, ai fini

dell’applicabilità dell’Iva, la circostanza che l’accordo preveda l’obbligo di abbandonare o rinunciare alla lite, dato che tale obbligo costituisce un effetto, tipico e naturale, dell’accordo stesso (*)

transazione dichiarativa

non configurandosi un nuovo rapporto giuridico, il trattamento fiscale viene stabilito con

riferimento al rapporto giuridico che ha dato origine

alla transazione stessa

transazione novativa

le parti assumono una nuova o diversa obbligazione, la cui riconducibilità, o meno, all’ambito applicativo dell’Iva dev’essere oggetto di specifica valutazione

Risposta Interpello 20 settembre 2019, n. 387

La questione verte sul trattamento ai fini Iva della riduzione dell’ammontare del prezzo pattuito definita nell’ambito di un accordo transattivo. Anche in questa ipotesi l’agenzia dà rilevanza al rapporto originario sussistente tra le parti per valutare la causa, che giustifica le disposizioni patrimoniali concordate nell’accordo transattivo, e per determinare,

conseguentemente, il relativo regime fiscale ai fini Iva Risposta Interpello 3

marzo 2021, n. 145

Secondo l’agenzia, la circostanza che gli accordi transattivi stabiliscano l'impegno di una parte a rinunciare all'esercizio di ogni ulteriore pretesa nei confronti della controparte, a fronte della percezione delle somme dovute, consente di qualificare le stesse come il corrispettivo previsto per l'assunzione di un obbligo di non fare/permettere rilevante agli effetti dell'Iva: «In buona sostanza, il nesso di

sinallagmaticità funzionale rinvenibile dagli impegni

reciprocamente assunti conferma il carattere novativo degli accordi transattivi in esame, con conseguente rilevanza, agli effetti dell'Iva, delle somme corrisposte» da una parte all’altra parte

Risposta Interpello 16 marzo 2021, n. 179

Nel documento si afferma che «si ritiene integrato il requisito oggettivo per l'applicazione dell'Iva sussistendo il sinallagma tra la assunzione di un obbligo di non fare (che si sostanzia nella rinuncia alle liti) da parte dell'istante e l'erogazione di una somma di denaro … prevista a fronte dell’assunzione di tale obbligo». Nella specie, la somma era stata pattuita «a totale saldo, stralcio e definizione delle predette ragioni di controversia e al solo fine di porre fine alla lite e senza riconoscimento alcuno delle opposte ragioni»

Risposta Interpello 26 marzo 2021, n. 212

Il caso riguarda una controversa fra un appaltatore e la Regione risolta con un accordo che prevede la

corresponsione di una somma a favore dell’appaltatore. Si legge che «la circostanza che la somma in esame venga erogata a fronte della rinuncia da parte dell'ATI all'esercizio di ogni ulteriore pretesa nei confronti della Regione ... in relazione al contenzioso in corso, consente di qualificare la stessa come il corrispettivo previsto per l'assunzione di una obbligazione rilevante agli effetti dell'Iva. Al riguardo, infatti, si è dell'avviso che l'esplicita rinuncia da parte dell'ATI

appaltatrice alle riserve e alle domande di cui all'atto di citazione nonché della rinuncia a tutte le altre riserve

presentate dalla stessa configuri un'obbligazione che soddisfa il presupposto impositivo d’imposta»

Risposta Interpello 19 Il documento esamina un accordo per la definizione di una

maggio 2021, n. 356 controversia concernente un contratto di fornitura che riguardava, da un lato il corretto esercizio della rivalsa Iva operata sugli acconti, dall’altro la sospensione del contratto.

Anche in tale occasione, l’agenzia ha ritenuto che «la somma di XXX euro è corrisposta a fronte dell'impegno assunto da ALFA S.p.a., nell'ambito di un rapporto giuridico intercorrente con DELTA, di rinunciare all'esercizio di qualsiasi richiesta e/o pretesa nei confronti della società committente a seguito della risoluzione dei contratti di fornitura disposta ad opera di quest'ultima. Detta circostanza consente, quindi, di

qualificare la somma dovuta - il cui ammontare è

parametrato in base alle attività svolte e alla copertura dei costi sostenuti dalla società istante fino alla data di

sospensione dei contratti di fornitura -come il corrispettivo previsto per l'assunzione di un obbligo di non fare/permettere posto a carico della società istante, inquadrabile quest'ultimo tra i ‘servizi generici’», e quindi da assoggettare ad Iva.

Risposta Interpello 10 giugno 2021, n. 401

L’agenzia ha ritenuto soggetta ad Iva la somma dovuta sulla base di una transazione «a saldo, stralcio e tacitazione di qualsiasi pretesa sorta in dipendenza del contratto di appalto»; si legge che «a conferma della sussistenza del sinallagma, si osserva che il reciproco condizionamento delle prestazioni obbligatorie assunte dalle parti si ricava anche dalla menzionata clausola risolutiva espressa di cui

all'articolo...dell'accordo transattivo, che subordina l'efficacia delle rinunce previste in tale accordo all'effettivo incasso delle somme pattuite»

(*) La preclusione di tale azione è un semplice e ovvio effetto dell'accordo, ma non costituisce il suo oggetto. È evidente che se le parti si accordano su determinate questioni, vengono meno i motivi della controversia. Tale effetto naturale a volte è esplicitato nell'atto transattivo, spesso come clausola di stile, ma ciò non modifica il contenuto sostanziale dell'accordo che riguarda le questioni insorte fra i contraenti e risolte con l'accordo stesso. Quindi, benché l'articolo 3, Dpr 633/1972 annoveri fra le prestazioni di servizi le «obbligazioni di fare, non fare e di permettere», è necessario che l'operazione si sostanzi in un servizio «consumabile», circostanza che non potrebbe verificarsi laddove si sia in presenza di un impegno a non proseguire o iniziare una lite, atteso che «tale obbligo si caratterizza quale effetto tipico o naturale dell'accordo di composizione della controversia» (Risposta Interpello n. 178/2019). La preclusione

dell'azione contenziosa è un semplice effetto dell'accordo, ma non costituisce il suo oggetto.

Come rileva Assonime (circolare 9 settembre 2021, n. 26), le risposte fornite a partire dalla n. 387/2019 in avanti «tendono a ravvisare, sempre e comunque, l’esistenza di prestazioni di servizi imponibili in presenza di transazioni. In particolare, l’orientamento che si va formando tende a considerare in re ipsa gli obblighi assunti dalle parti in un contratto di transazione come delle prestazioni di servizi a favore delle controparti. La prestazione consisterebbe, di regola, nell’assunzione di un obbligo di fare o di non fare; più

precisamente nell’impegno a non proseguire azioni contenziose già iniziate per ottenere giudizialmente il riconoscimento di diritti che si ritengono violati o, comunque, a non iniziare tali azioni o a rinunciarvi. Il “fare” o il “non fare” consisterebbe, in altri termini, nell’accettazione delle concessioni della controparte».

La posizione della giurisprudenza nazionale

Neppure l’orientamento giurisprudenziale risulta essere univoco: si è passati da una

posizione – in linea con quella della Corte di Giustizia Ue (si veda infra) – secondo cui non si configurerebbe una prestazione di servizi in alcune fattispecie di assunzione di obblighi di non fare ad un opposto orientamento che, invece, ha ritenuto che siano configurabili come operazioni soggette a Iva le reciproche rinunce che due parti abbiano pattuito ai crediti che l’una vantava nei confronti dell’altra e nell’impegno a estinguere i giudizi pendenti.

Orientamenti della Corte di Cassazione

Sentenza 23 giugno 2014, n. 18764

La Corte ha riconosciuto, in relazione ad obblighi assunti in sede di transazione, che «la pattuizione di un impegno negativo è ritenuta non imponibile perché l'applicazione dell'imposta in queste ipotesi normalmente si discosta dal paradigma di quella che è concepita come un'imposta generale sul consumo e dal meccanismo del suo funzionamento concreto. Non è sufficiente, secondo i giudici europei, l'assunzione di un'obbligazione dietro corrispettivo, ma è necessario che l'obbligazione comporti un consumo». Quindi è stata sostenuta l’estraneità alla sfera dell’Iva delle obbligazioni assunte nel contesto di un negozio di transazione con il quale le parti si erano impegnate a rinunciare ai contenziosi pendenti su talune obbligazioni di contenuto risarcitorio (*)

Sentenza 31 luglio 2018, n. 20233

La prestazione di servizi è un'operazione soggetta a Iva anche quando la stessa si risolve in un semplice non fare o in un permettere e purché si collochi all'interno di un rapporto

sinallagmatico. Si legge: «(...) tutto ciò che ha ad oggetto un fare o un non fare o un permettere costituisce operazione imponibile ai sensi dell’art. 3 d.p.r. n. 633 cit. (Cass. sez. trib. n. 6607 del 2013; Cass. sez. trib. n. 215 del 2002)»; ed inoltre: «(...) la prestazione di servizi - pure in prospettiva unionale - è

un’operazione soggetta a Iva anche quando la stessa si risolve in un semplice non fare o come nel nostro caso in un permettere e purché si collochi all’interno di un rapporto sinallagmatico (Corte giust. n. 263 del 2016; Corte giust. n. 174 del 2002)», precisando infine che «la prestazione di servizi viene connotata dalle rammentate fonti proprio come alternativa a quella sulla cessione di beni gravante sul consumo e - quindi - prescinde da quest’ultimo»

Sentenza 1° ottobre 2018, n. 23668

La rinuncia al credito e l’impegno a estinguere la lite configurerebbero, ad avviso della Corte, «obbligazioni

rispettivamente, di non fare e di fare e che trovano corrispettivo nella rinuncia e nell’impegno corrispondenti assunti dalla

controparte»

Sentenza 27 ottobre 2020, n. 23515

Va ritenuta non imponibile ai fini Iva la somma riconosciuta nell’ambito di un accordo transattivo, a titolo risarcitorio omnicomprensivo, a fronte della rinuncia della conduttrice all’indennità di avviamento che le sarebbe spettata in misura doppia. Risulta evidente che in tale sentenza la Corte di

Cassazione non ha applicato il rigido ed automatico schema di ricondurre, tout court, la somma scaturente dalla transazione nell’alveo dell’imposta sul valore aggiunto, ma ha concluso per la non imponibilità ai fini Iva della somma sulla base di una puntuale ricostruzione della volontà delle parti espressa tanto dal rapporto contrattuale sottostante all’accordo di transazione quanto dalla vicenda processuale (**)

(*) La vicenda che ha originato la sentenza riguarda due società che avevano definito con un'apposita transazione un vasto contenzioso su clausole, adempimenti e danni relativi ad un rapporto commerciale; l'importo corrisposto da una delle parti all'altra era stato considerato soggetto ad Iva. Curiosamente, in questa vicenda l'agenzia delle

Entrate aveva contestato la detrazione dell'Iva da parte del soggetto erogante la somma,

in quanto l'Amministrazione finanziaria aveva attribuito alle somme pagate natura risarcitoria e, pertanto, escluse dal campo di applicazione dell'Iva. Ed infatti la Corte di Cassazione ha escluso la sussistenza di una prestazione di servizi, e quindi escluso la detraibilità dell'Iva da parte del soggetto pagante, in quanto «sono escluse dal campo di applicazione dell'Iva… le obbligazioni assunte nel contesto di un negozio di transazione, laddove esse siano circoscritte alla rinuncia ai contenziosi pendenti. Ciò accade, in particolare, quando le pretese estinte per transazione sono, come nella specie, relative ad obbligazioni, quali quelle di contenuto risarcitorio, che non hanno per oggetto prestazioni di servizi o cessioni di beni imponibili Iva. Sicché, non spetta la detrazione dell'imposta erroneamente fatturata dal destinatario del presunto servizio».

(**) Si ricorda che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l'indennità per la perdita di avviamento commerciale non rileva ai fini Iva (Corte di Cassazione 27 ottobre 2020, n. 23515; Corte di Cassazione 12 novembre 2019, n. 29180; Ctr Toscana 28 febbraio 2016, n. 1889/25/16; Ctp di Treviso 11 novembre 2014, n. 776/2/14; Corte di Cassazione 29 maggio 2012, n. 8559; Corte di Cassazione 2 aprile 2009, n. 7992; Corte di Cassazione 27 marzo 2009, n. 7528; Corte di Cassazione 11 luglio 2006, n. 15721;

Corte di Cassazione 7 giugno 2006, n. 13345; Corte di Cassazione 31 maggio 2005, n.

11596; Corte di Cassazione 6 maggio 2003, n. 6876; Corte di Cassazione 26 maggio 1999, n. 5098; Corte di Cassazione 9 giugno 1995, n. 6548; Corte di Cassazione 9 maggio 1994, n. 4487). Se, dunque, non è assoggettata ad Iva tale indennità, neppure rileva ai fini della medesima imposta la somma erogata per risolvere la lite circa la spettanza di detta indennità.

Assonime, nella citata circolare 26, richiama una recente pronuncia (ordinanza 15 luglio 2021, n. 20316) che, ancorché riferita alle imposte sui redditi, enuncia un principio di carattere generale valevole anche in relazione alla rilevanza ai fini dell’Iva delle somme riconosciute in sede di transazione.

Nello specifico, la Corte ha negato che le somme erogate a fronte di una transazione possano essere ricondotte comunque all’assunzione di obblighi di fare o non fare di cui all’articolo 67, comma 1, lettera l), Dpr 917/1986 (3). Ciò in quanto «occorre guardare alla ragion d’essere ed alla natura dei diritti dedotti in transazione per fondare su quelli (e non su questa) il regime fiscale appropriato»; inoltre, «guardare agli obblighi di fare, non fare o tollerare come categoria autonoma e generale della transazione, significa accordare a quell’istituto una funzione novativa anche sotto il profilo fiscale, con la conseguenza che ogni operazione – più o meno fiscalmente onerosa ovvero di tassazione incerta – può essere oggetto di transazione su di una lite minacciata, al solo fine di far ricadere quanto corrisposto nella categoria generale e sussidiaria degli obblighi di fare, non fare o

tollerare».

La Corte di Giustizia Ue

Secondo i Giudici europei, non sempre un’obbligazione (di fare, non fare, o permettere) dietro pagamento di un corrispettivo integra un’operazione imponibile ai fini dell’Iva: in particolare, l’imposta non è applicabile se non si realizza alcun consumo di beni o di servizi (4). In altre parole, non sono le somme ad essere assoggettate ad Iva, ma le operazioni (di cessione di beni e di prestazione di servizi (5)). Semmai le somme possono servire a

quantificarne la base imponibile. Quindi non ci si può concentrare sulla dazione di denaro, ma sulla natura dell’operazione oggetto di scambio (rapporto sinallagmatico).

Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue, un’operazione può considerarsi onerosa solo qualora sia individuabile una controprestazione. A tal fine non è quindi sufficiente il pagamento ma anche che tale pagamento sia correlato ad una prestazione economicamente valutabile, ancorché non necessariamente dipendente da un contratto a prestazioni corrispettive (Corte di Giustizia Ue, sentenze 27 marzo 2014, in causa C-151/13, punto 36; 12 maggio 2016, in causa C-520/14, punto 26; 3 marzo 1994, in causa C-16/93,

Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue, un’operazione può considerarsi onerosa solo qualora sia individuabile una controprestazione. A tal fine non è quindi sufficiente il pagamento ma anche che tale pagamento sia correlato ad una prestazione economicamente valutabile, ancorché non necessariamente dipendente da un contratto a prestazioni corrispettive (Corte di Giustizia Ue, sentenze 27 marzo 2014, in causa C-151/13, punto 36; 12 maggio 2016, in causa C-520/14, punto 26; 3 marzo 1994, in causa C-16/93,

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