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JEAN JAURÈS, UNA COSCIENZA LACERATA: LA PACE, LA NAZIONE, LA GUERRA

1. «Le dernier jour de la paix en version Belle Époque»

Al Café du Croissant in rue Montmartre a Parigi, gli avventori possono ancora oggi scorgere una targa che ricorda l’attentato in cui la sera del 31 lu- glio 1914 morì Jean Jaurès1. Ricordando quel giorno, emblematicamente di- pinto come la fine del «mondo di ieri», il grande romanziere austriaco Ste- fan Zweig non esitava a porre sullo stesso piano la morte di Jaurès con le decisioni delle principali cancellerie europee: lo stesso giorno l’Austria aveva dichiarato guerra alla Serbia e la Russia aveva iniziato la mobilitazione ge- nerale innescando una reazione a catena che in pochi giorni avrebbe coinvolto tutta l’Europa in guerra con l’improvviso, e per molti versi imprevisto, scop- pio della Prima guerra mondiale

Vennero poi – scriveva Zweig – gli ultimi critici giorni del luglio, quando ogni ora recava una notizia contraddittoria, coi telegrammi di Guglielmo allo zar, quello dello zar a Guglielmo, la dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia, l’assas- sinio di Jaurès. Si capiva che la situazione si faceva grave. D’un tratto una ge- lida ventata di paura passò sulla spiaggia spopolandola; la gente fuggì in massa dagli alberghi dando l’assalto ai treni ed anche i più ottimisti cominciarono a pre- parare i bagagli2.

In cosa la morte di un leader politico francese poteva determinare al

1Sull’episodio dell’assassinio, le sue conseguenze e le sue interpretazioni si veda E. Pois-

son, L’assassinat de Jean Jaurès, in «Bulletin de la société d’études jaurèssiennes», n. 13, aprile-giugno 1964. Sull’episodio si veda anche H. Goldberg, The life of Jean Jaurès, Madi- son, Univ. of Wisconsin, 1968, pp. 463-464. Sull’assassinio di Jaurès nel contesto più generale della crisi di luglio M. Macmillan, 1914. Come la luce si spense sul mondo di ieri, Milano, Rizzoli, 2013.

pari della politica delle potenze del concerto europeo la sensazione della fine di un mondo?

Artefice della riunificazione del partito socialista francese nel primo No- vecento, fondatore del quotidiano «L’Humanité» e deputato alla Camera inin- terrottamente dall’inizio del secolo alla sua morte, Jean Jaurès era stato pro- babilmente tra i leader socialisti più autorevoli della Seconda Internazionale ed aveva dettato le linee di una rivisitazione sistematica dei principi, dei va- lori e della politica socialista europea cercando un compromesso tra la fedeltà all’internazionalismo di classe e il rispetto dei valori nazionali che si erano andati affermando ovunque in Europa nei lunghi decenni di pace tra la fine della guerra franco-tedesca (1871) e lo scoppio della Prima guerra mondiale. In questo contesto di riflessione ideale e di prassi politica si era andato raffor- zando l’impegno contro il pericolo di una guerra europea soprattutto dopo l’a- cuirsi delle tensioni internazionali determinato dalle crisi coloniali e dalle guerre balcaniche tra il 1912 ed il 1913 per culminare nella frenetica attività in fa- vore del mantenimento della pace durante la crisi di luglio del 1914.

Si trattava, però, di un’elaborazione teorica e di un impegno politico che venivano da lontano. Fin dagli anni di inizio secolo, Jaurès aveva a lungo la- vorato sul problema della pace europea elaborando, per i dilemmi del socia- lismo nascente, una risposta originale in cui né il criterio ideologico della so- lidarietà di classe, né quello della fedeltà alla nazione potevano dirsi decisivi. Ponendo la questione della guerra su un piano etico e morale decisamente in- solito per un leader politico dell’epoca, il punto essenziale della riflessione jaurèsiana diveniva il progresso umano che soltanto il mantenimento della pace tra le nazioni poteva assicurare. In questo senso, il proletariato, francese e non solo, di cui pure egli magnificava il ruolo nella storia, poteva essere consi- derato come una vera e propria force historique al servizio del diritto, della libertà e del progresso umano. Una lettura, dunque, molto scettica sulla vali- dità di quel nesso guerra/rivoluzione che invece persuadeva la classe più gio- vane ed emergente di leader socialisti. Ma anche un’interpretazione che, no- nostante quella apparente opposizione inconciliabile di internazionalismo e pa- triottismo racchiusa nel famoso motto socialista della «guerra alla guerra», aveva finito con l’esercitare una profonda influenza sulla politica dei partiti europei aderenti alla Seconda Internazionale3.

3 Sulla questione generazionale della leadership socialista si veda, F. Canale Cama, Alla

prova del fuoco. Socialisti francesi ed italiani di fronte alla Prima guerra mondiale (1911- 1916), Napoli, Guida, 2007; interessanti sono anche le letture del pensiero jaurèsiano da parte

dei futuri leader comunisti, soprattutto di provenienza russa. Cfr., ad esempio, L. Trotsky, Jaurès, in «Bulletin Communiste», n. 47, 1923, pp. 845-849.

Estesa in ambito politico, infatti, questa visione aveva portato Jaurès – e con lui tutto il socialismo europeo – a confidare nella pace come sola con- dizione di civiltà e di virtuoso progresso ancora nel pieno della «crisi di lu- glio», quando l’ottimistica ma ferma convinzione di una soluzione diploma- tica della crisi, unita all’incrollabile certezza sulle attitudini pacifiche del go- verno francese, avevano spinto il leader socialista a farsi promotore anche sul piano politico di un’estrema speranza di pace.

Per questa instancabile attività Jaurès si era guadagnato l’appellativo di «apostolo della pace» come le più eminenti personalità del pacifismo europeo come Bertha von Suttner, ma anche grande fama di analista figurando tra quanti, come Ivan Bloch e Norman Angell, avevano da tempo ben chiari i ri- schi di una guerra moderna.

Ma la notorietà del personaggio, soprattutto al di fuori dei confini fran- cesi, la si deve alla tempestività della sua morte «le dernier jour de la paix en version Belle Époque»4. Questa singolare combinazione, infatti, legò in- scindibilmente la figura del leader alla questione della guerra e della pace in Europa molto più di quanto avessero potuto una vita di pensiero e un’attività politica incessantemente dedicate a risolvere armonicamente uno dei nodi cru- ciali del pensiero socialista sulla guerra: la scelta – in caso di conflitto – tra la nazione e la classe, tra internazionalismo e patriottismo, pacifismo e belli- cismo.

Nell’estate del 1914, la scomparsa di Jaurès costituì per l’opinione pub- blica francese e per l’intero mondo della sinistra antimilitarista europea, il sim- bolo di una catastrofe ormai imminente, la scomparsa di un mondo – quello democratico e liberale – e la simultanea, inarrestabile avanzata di un altro, quello violento e sanguinoso delle masse in guerra.

La notizia della morte di Jaurès, la stessa notte del 31 luglio, raggiunse i ministri francesi riuniti ancora una volta in seduta straordinaria per deci- dere eventualità, tempi e modalità di una mobilitazione francese. Proprio in virtù del grandissimo ascendente del pensiero jaurèsiano, la scelta non era così scontata perché doveva fare i conti con una nutrita opposizione aggre- gata intorno alla figura del grande tribuno. Morto Jaurès, fu una sorta di ras- segnazione mista ad un richiamo al senso del dovere priva di toni dramma- tici che condusse la società francese ad optare nel giro di pochissimi giorni per la scelta di un blocco compatto e trasversale in nome della difesa della patria, una union sacrée5 che niente e nessuno avrebbe potuto spezzare. Il 4

4L’efficace espressione è di Jean-Pierre Rioux, il più recente biografo di Jean Jaurès. Cfr.

J.-P. Rioux, Jean Jaurès, Paris, Perrin, 2005.

5Si tratta del fronte compatto interclassista e interpartitico favorevole alla guerra di difesa

agosto, lo stesso giorno delle esequie di Jaurès, lo scoppio del primo con- flitto mondiale travolgeva senza appello anche Francia.

2. La pace, la guerra e la nazione

La velocità con la quale l’opposizione socialista alla guerra dell’intera Eu- ropa fu spazzata via dopo la morte di Jaurès ha a lungo interrogato la sto- riografia e ha accreditato anche nel senso comune l’idea di una intrinseca de- bolezza del suo pensiero unita ad un’inefficacia dell’azione politica della Se- conda Internazionale6. Tuttavia, a ben guardare, Jaurès era stato voce e forse il più acuto interprete del clima culturale e politico di un’intera epoca.

Nato a Castres nel 1859, Jean Jaurès si formò e divenne insegnante di fi- losofia proprio in concomitanza con il decennio (1885-1895) che vedeva in Francia l’affermarsi di una nuova collettività politica – gli intellettuali – com- posta da giornalisti, professionisti, borghesi, giovani impiegati, elementi di ceto piccolo borghese o operaio. Si trattava dei cosiddetti intellettuali liberi del po- polo – in una parola medi e piccoli borghesi e aristocrazia operaia – forma- tisi grazie all’universalizzazione della scuola primaria7.

Il Jaurès che muoveva i primi passi nel mondo accademico e nella poli- tica – eletto deputato alla Camera con i repubblicani nel 1885 – poteva dirsi ad un tempo parte ed interprete di questa collettività perché, come affermò il socialista Oskar Blum nel 1919, egli «veniva dall’altra sponda»8. Di estrazione

contro la Germania che raccolse consenso quasi unanime e sostenne lo sforzo bellico della Francia.

6Su questa drammatica congiuntura è condivisibile il giudizio di Panaccione che opportu-

namente nota come «il voto dei crediti di guerra da parte dei deputati socialisti tedeschi e fran- cesi nei rispettivi parlamenti è vissuto da molti esponenti del socialismo internazionale come un terremoto che fa venire meno un terreno che si credeva consolidato, come un’ondata che tutto travolge; le stesse manifestazioni di incredulità con cui viene accolta la notizia sono il segno di una resistenza ma anche del farsi strada di una consapevolezza che il quadro d’a- zione del movimento socialista è divenuto improvvisamente diverso». Cfr. A. Panaccione, Il

socialismo e le guerre. Politica e conflitti internazionali, in «Il Ponte», n. 3-4, 2004, pp. 1-3.

7Per una visione di insieme del fermento culturale francese di fine Ottocento e per un va-

lido affresco della società di quel momento si veda: J.-P. Rioux, J.-F. Sirinelli, Le temps des

masses. Le XXe siècle, in Histoire culturelle de la France, Paris, Le Seuil, 2005 (vol. IV), e

C. Prochasson, Les années électriques (1880-1910), Paris, La Découverte, 1991. Per una de- scrizione più generale delle società europee in questa congiuntura resta sempre suggestivo E. Hobsbawm, L’età dell’imperialismo, Roma-Bari, Laterza, 1999.

8La citazione si trova in F. Venturi, Jean Jaurès e gli altri storici della rivoluzione fran-

cese, Torino, Einaudi, p. 14. Benché fosse un tratto comune di tutta la generazione dei capi francesca canale cama

borghese, doveva agli studi all’École Normale una preparazione culturale da intellettuale illuminato grazie alla quale poteva vivere e comprendere a pieno queste nuove tendenze culturali destinate a manifestare tutta la loro forza po- litica soprattutto negli anni dell’affaire Dreyfus. Perché, come ben sottolinea Madeleine Rebérioux, esse erano protagoniste e non figlie di quella specifica circostanza9.

La coscienza della sua origine rappresentò per Jaurès sempre un punto fermo, qualcosa di irrinunciabile anche dopo la definitiva conversione politica al socialismo. Come osserva bene Franco Venturi, nell’incontro con il socia- lismo nei primi anni Novanta, Jaurès non sconfessava ma «ritrovava il nucleo delle sue preoccupazioni ideali, filosofiche, tutto quel mondo di sentimenti e di idee che erano stati la sua vita di giovane normalien e poi di professore ad Albi e a Tolosa stessa»10.

Si trattava, forse, del primo e più intimo tentativo di sintesi ideale del tri- buno francese: come egli stesso affermava, infatti, era arrivato al socialismo dalla democrazia senza aver abbandonato nulla del suo bagaglio sulla strada, senza, in altre parole, aver rinnegato il passato11.

Per queste ragioni, da socialista, non interruppe mai il dialogo con gli in- tellettuali e la borghesia in generale poiché poco credeva nell’istintiva sepa- razione del mondo operaio dalla società circostante, tipica invece della lotta di classe. Certamente, ad esempio, borghese era il pubblico di riferimento della sua attività giornalistica, soprattutto prima della fondazione del quotidiano so- cialista «L’Humanité». Come è eloquente anche il fatto che per tutta la vita egli abbia continuato a collaborare con la «Dépêche de Toulouse» e, signifi- cativamente, con la «Revue d’enseignement primarie», giornale ovviamente ri- volto alla classe degli insegnanti.

Del resto, una fortunata circostanza epocale attirava l’interesse della col- lettività intellettuale di fine Ottocento verso gli esiti sociali provocati dall’ir- ruzione delle masse nella politica e per questo la avvicinava alle vicende del movimento operaio. Questa condizione consentiva a Jaurès di non essere una

della socialdemocrazia, che da Guesde a Kautsky passando per Turati e Labriola avevano ori- gini piccolo-borghesi, in Jaurès la coscienza della provenienza giocò un ruolo maggiore che per gli altri, soprattutto sul piano ideale quando più volte nel corso della sua lunga attività po- litica, si trovò a dover dirimere la questione preliminare del rapporto tra democrazia e socia- lismo.

9Cf. M. Rebérioux, G. Candar (éds.), Jaurès et les intellectuels, Paris, Atelier, 1994. 10F. Venturi, op. cit., p. 45.

11 J. Jaurès, Discours parlementaires, Paris, Édouard Cornérly et Cie, 1904. Nell’introdu-

zione a questo volume si trovano forse le più belle pagine autobiografiche che incrociano l’at- tività politica con motivazioni biografiche e un originale percorso culturale ed intellettuale.

voce eccessivamente isolata proprio nel momento in cui si andava rafforzando in lui l’idea che nella sintesi delle spinte intellettuali e della forza del prole- tariato fosse possibile cogliere il reale e più originale potenziale del miglio- ramento della società.

Alla formazione di questa visione contribuì molto il simultaneo risveglio socialista della metà degli anni Novanta che convinse Jaurès, e la classe in- tellettuale nel suo complesso, dell’imminenza di un radicale cambiamento della società. «La rivoluzione – affermava all’inizio del nuovo secolo – non è l’or- ganizzazione autoritaria e dittatoriale di una società: è la rimessa in libertà del movimento umano. Il potere umano non deve avere altra funzione che la guar- dia di questa libertà»12.

L’ottimismo dilagante nei primi anni Novanta e la confortante condizione di pace che da anni rassicurava l’Europa intera rappresentavano un buon ter- reno di ricezione per questo pensiero a-conflittuale. La crescita vertiginosa dei movimenti di massa, il rafforzamento delle classi operaie espresso nelle grandi mobilitazioni così sapientemente messo a profitto dalla Seconda Internazio- nale per lanciare la sua iniziativa internazionale – si pensi solo, ad esempio, all’introduzione della festa del Primo Maggio – lasciavano presagire un mo- mento di accelerazione storica in direzione di radicali cambiamenti. Inoltre, il moltiplicarsi delle occasioni pubbliche in cui il proletariato mostrava la sua forza politica (elezioni, manifestazioni, agitazioni, comizi, scioperi generali) sembravano dimostrare come tutto questo fosse politicamente possibile.

In questo entusiasmante contesto politico e sociale, i primi elementi ere- tici del pensiero jaurèsiano trovarono una collocazione rispetto al movimento socialista che si andava affermando. Innanzitutto, c’era l’idea di un proleta- riato nella nazione e non contro la nazione: Jaurès considerava la forza del proletariato come motore della storia non solo nel momento attuale e non solo con l’obiettivo di operare un rovesciamento di classe, ma piuttosto come una costante ravvisabile, ad esempio, già ai tempi della Rivoluzione francese, e, dunque, fondatrice della nazione moderna allo stesso titolo della borghesia.

Si trattava di uno dei principi-cardine attorno ai quali ruotava la costru- zione della sua più imponente opera di interpretazione storica, l’Histoire so-

cialiste de la Révolution française. Scritta negli anni tra il 1900 ed il 1908,

essa interpretava la frattura epocale della rivoluzione come lo sbocco di un processo di maturazione nato da un’immensa vitalità sociale che vedeva pro- tagonisti, oltre alla classe borghese, in maniera diversa ma partecipativa, an- che i ceti popolari13.

12F. Venturi, op. cit., p. 28.

13Sulla difficile interpretazione di quest’opera monumentale resta fino ad ora insuperato lo

Nonostante le inevitabili oscillazioni, il risultato di questa comune fonda- zione della nazione doveva produrre una società coesa, dove lo sviluppo e il progresso si ponevano come condizione essenziale della pace, sia sociale che militare. Sebbene, dunque, una simile idea non appartenesse tradizionalmente alla riflessione della sinistra ottocentesca, anche in questa circostanza il crearsi di condizioni generali favorevoli, incoraggiò l’assimilazione più o meno co- sciente delle idee del giovane deputato francese. È del 1902, lo stesso anno della creazione del partito socialista francese, il primo importante articolo di Jaurès sul tema del proletariato e della pace14. Un testo però che costituisce soltanto il momento culminante di un processo di maturazione che aveva vi- sto coinvolta gran parte di quella ormai vasta area della società europea rap- presentata dai nascenti partiti socialisti.

In un crescendo di diffuso interesse e di gesti simbolici, infatti, la dedi- zione alla causa dell’antimilitarismo e della pace divenne uno dei tratti di- stintivi della socialdemocrazia europea. A livello internazionale, fin dal Con- gresso di Parigi del 1893, la Seconda Internazionale favorì l’assimilazione non solo teorica di questa nuova identità del socialismo europeo attraverso l’e- quazione quasi assiomatica socialismo/pace e si impegnò costantemente in azioni politiche organizzate nella direzione di legare il proletariato alla causa antimilitarista15.

Sul piano nazionale, invece, una certa pace sociale era favorita dal fatto che, proprio come presagiva Jaurès, il risveglio culturale delle masse coin- volgeva in maniera partecipativa e conciliante gli intellettuali ed il governo all’interno delle principali nazioni europee attraverso, ad esempio, tentativi di cooptazione dei socialisti nel governo e la raccolta di istanze sociali delle classi proletarie come l’allargamento del suffragio.

Come se non bastasse, la straordinaria fase di espansione capitalistica che aveva fatto seguito alla Grande Depressione, infatti, aveva deluso le aspetta- tive di quanti avevano predetto la crisi definitiva del capitalismo e il conse- guente instaurarsi di un nuovo ordine sociale. Questo aveva portato i sociali- sti alla convinzione che non fosse più possibile ripensare tutto e che non con- studio di F. Venturi, op. cit., In lingua francese si segnalano: V. Lecoulant, Jaurès, historien

de la Révolution française, Montreuil, Musée de l’histoire vivante, 1993, e il più recente C.

Patrard, M. Vovelle (éds.), Héritages de la Révolution française à la lumière de Jaurès, Aix- en-Provence, Publication de l’Université de Provence, 2002.

14Si tratta del noto Le prolétariat et la paix, in «La Petite République», gennaio, 1902. 15Si vedano a questo proposito le considerazioni di L. Rapone e G. Oliva su guerra e pace,

in A. Agosti, Enciclopedia della sinistra europea nel XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 2000, p. 848 e ss. Sullo slittamento semantico del lemma «pace» nella congiuntura di inizio Nove- cento, si veda F. Canale Cama, op. cit., p. 18 e ss.

venisse più esasperare nel movimento l’attesa messianica della rivoluzione. Aveva inizio quella fase riformista in cui dappertutto in Europa le dirigenze dei partiti nazionali accrebbero il loro interesse per la strada della concilia- zione mirante a rafforzare la posizione della classe operaia all’interno dei qua- dri politici nazionali.

La piena maturità del percorso politico ed ideale di Jaurès, dunque, avve- niva in una società che non era più alle soglie di una rivoluzione sociale. Una condizione che, unita a quella pace militare e sociale così largamente diffusa, che gli permise di rispondere alla classica domanda del «che fare?» in forme più complesse e nuancées rispetto a quelle consentite ai russi e a Lenin.

Solo in questo contesto, Jaurès poteva diventare uno degli interpreti più ascoltati del pensiero sulla guerra in tempo di pace; soltanto in questa con- giuntura poteva prodursi e persuadere quel tentativo estremo di sintesi tra i più fondanti valori del socialismo e della democrazia: nazione, classe, libertà, progresso, popolo, guerra e pace.

Fu il 1905 l’anno che, per più di un verso, rappresentò il punto di svolta della maturazione degli elementi fondamentali del pensiero e dell’indirizzo de- finitivo della sua azione politica. Elementi indissolubilmente legati in Jaurès non solo perché, come ebbe a dire Jules Guesde, pieno di ammirazione per

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