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KATHERINE A DECELLES, MICHAEL D PFARRER, KEN G SMITH, M SUSAN TAYLOR, AFTER THE FALL:

Trust repair: ricostruire la fiducia persa in seguito ad una crisi reputazionale

75 KATHERINE A DECELLES, MICHAEL D PFARRER, KEN G SMITH, M SUSAN TAYLOR, AFTER THE FALL:

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fiducia e il rapporto perso con i vari stakeholder a seguito di una trasgressione o, più in generale, di una crisi reputazionale; il modello permette anche di ridurre il tempo necessario per far sì che una compagnia esca da un periodo di crisi. Una serie di azioni, dalla spiegazione di quanto avvenuto all’adozione di cambiamenti sia interni che esterni, che aiuta sensibilmente un’azienda a riabilitare la propria immagine agli occhi dei diversi soggetti interessati.

Con la definizione di questo modello gli autori hanno voluto rispondere alla domanda: “Come può un’azienda riacquisire legittimità e recuperare la fiducia persa dei diversi gruppi di stakeholder a seguito di una trasgressione di dominio pubblico?”. Prima di andare, tuttavia, ad analizzarlo è opportuno fare delle premesse e spiegare tutto ciò che risulta necessario per una sua ottimale comprensione.

Anzitutto cosa intendono gli autori per “trasgressione”? Con questo termine si vogliono indicare sia tutti quei comportamenti di un’organizzazione che sono vietati e punibili da un diritto penale, civile o normativo, ma anche quelli non etici ritenuti immorali da norme sociali o generali di condotta. Azioni di questo tipo erodono la legittimità di un’azienda agli occhi degli stakeholder che finiscono per percepire l’organizzazione come poco affidabile; tutto ciò causerà un minor supporto da parte dei soggetti interessati e di conseguenza un accesso limitato alle risorse ed una maggiore probabilità di fallimento.

Da quanto detto risulta chiara la forte connessione tra la legittimità delle azioni di un’organizzazione e le percezioni che gli stakeholder hanno in merito a tali azioni; da qui discende l’importanza dei diversi soggetti interessati e, dunque, la necessità di definire le interazioni tra questi ultimi e le aziende. Nel cercare di recuperare la legittimità persa, infatti, le organizzazioni interagiscono con i diversi gruppi di stakeholder mettendo in atto dei piani di azione; in risposta a questi i soggetti interessati forniranno dei feedback in merito alla loro efficacia.

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1. “Elite and active”: questi soggetti facilitano le interazioni tra le aziende e le parti interessate e le discussioni tra i diversi gruppi di stakeholder; hanno il maggior peso possibile nell’influenzare le percezioni in merito alle azioni delle organizzazioni.

2. “Attentive and aware”: sono soggetti fortemente interessati all’operato delle aziende, ma non hanno il potere di condizionare le percezioni altrui come il gruppo precedente.

3. “Latent and inactive”: in questo gruppo rientrano gli stakeholder che sono disinteressati o disinformati in merito alle azioni compiute dalle organizzazioni.

È importante considerare il fatto che la composizione di questi gruppi non è statica, ma muta in base alla gravità della trasgressione o alla sensibilità piò o meno marcata di un determinato gruppo di soggetti. Ecco, quindi, che un insieme di stakeholder che per un’azienda rientra tra i “latent and inactive”, per un’altra potrebbe far parte degli “elite and active”.

Nel definire il presente modello gli autori hanno focalizzato l’attenzione sulle azioni che un’organizzazione può mettere in atto in particolari momenti, stage, al fine di rispondere a determinate domande poste, esplicitamente o meno, dagli stakeholder per cercare di recuperare la fiducia e la legittimità persa in seguito ad una trasgressione. Il modello si basa su quattro assunti di base: viene supposto innanzitutto che l'organizzazione che si prende a riferimento abbia commesso una trasgressione che sia di dominio pubblico. Come secondo assunto bisogna considerare il fatto che il modello non è perfettamente applicabile alle aziende con una cultura prettamente orientale, in quanto il framework è studiato sui comportamenti e sulle reazioni tipiche degli occidentali. Non sono rari i casi di aziende dell’est che, a seguito di una trasgressione, decidono di mantenere un assoluto silenzio a riguardo, indice, in tali culture, di calma e pieno controllo della situazione. Viceversa un comportamento del genere portato avanti da un’azienda occidentale non sarebbe ben visto in quanto sinonimo di poca trasparenza e correttezza.

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Come terza ipotesi è importante che l’azienda in analisi sia disposta a prendere le misure necessarie per riacquisire e mantenere la legittimità. Infine si assume che una particolare lentezza delle aziende nel passare da uno stage ad un altro possa compromettere significativamente le chance di riabilitarsi agli occhi degli stakeholder; la velocità di azione, pertanto, gioca un ruolo di primissimo piano.

Figura 7. Model of Reintegration; Tratto da: KATHERINE A. DECELLES, MICHAEL D. PFARRER, KEN G. SMITH, M. SUSAN TAYLOR, AFTER THE FALL: REINTEGRATING THE CORRUPT ORGANIZATION, 2008, pp.735

➢ Stage 1: La scoperta

Il modello prende avvio dal momento in cui la trasgressione commessa dall’azienda diviene di dominio pubblico. Questa conoscenza può derivare da diverse fonti come un’indagine sull’organizzazione portata avanti da un’agenzia pubblica, un’inchiesta effettuata da media di diversa natura, o ancora grazie alla divulgazione del tutto volontaria dell’azienda di quanto accaduto.

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I primi momenti sono caratterizzati da un alto grado di incertezza riguardo alla trasgressione; solo successivamente, infatti, ulteriori informazioni, rese disponibili dalle indagini degli stakeholder e dalle dichiarazioni dell’azienda, rendono più chiaro il fatto. In definitiva questo primo step consiste nella raccolta delle informazioni da parte dei diversi gruppi interessati, cercando in questo modo di raggiungere la più completa comprensione possibile in merito all’evento. Come è possibile visionare nel modello, in questa fase la domanda chiave che gli attori che abbiamo definito “elite and active” si pongono per comprendere la natura della trasgressione è: “cosa è successo?”. Chiaramente le azioni che le aziende dovrebbero compiere in questo stage riguardano tutto ciò che è in loro potere per rispondere alla specifica domanda di cui si è detto sopra; per fare alcuni esempi:

✓ Divulgazione volontaria della trasgressione; ✓ Avviare delle indagini interne;

✓ Collaborare con piena trasparenza ed apertura con i soggetti interessati.

Degli studi empirici hanno dimostrato che le organizzazioni che presentano e denunciano il loro errore, nella maggior parte dei casi, subiscono delle ripercussioni alla reputazione ed alle performance inferiori rispetto a quelle che non ne fanno cenno76.

Ciò che è desumibile da quanto detto è, dunque, che maggiori saranno le azioni che le aziende attueranno per rispondere alla domanda, tanto più alta sarà la probabilità che questo primo passo del modello si concluda in maniera positiva; parallelamente a questo, uno sforzo deciso da parte delle organizzazioni permette anche di ridurre effettivamente i tempi de “la scoperta”.

➢ Stage 2: La spiegazione

76 Lee, F., Peterson, C., & Tiedens, L. Z. 2004. Mea culpa: Predicting stock prices from organizational

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Questa seconda fase comincia subito dopo la prima, quando i fatti relativi alla trasgressione sono noti e chiari. La domanda che gli stakeholder pongono a questo punto è: “perché è successo?”. È importante che le aziende forniscano delle spiegazioni appropriate, sincere e subitanee in merito all’evento; solo in questo modo la probabilità di riabilitazione aumenta. Inoltre dei chiarimenti adeguati possono costituire agli occhi dei diversi attori una prova per le buone intenzioni dell’azienda, possono attirare la simpatia dei soggetti e possono rappresentare un indice del fatto che l'organizzazione ha appreso dai suoi errori. In questo stage le azioni da compiere possono essere:

✓ Accettare la responsabilità di quanto accaduto; ✓ Riconoscere l’errore;

✓ Esprimere pentimento; ✓ Rivolgere delle scuse.

Più le spiegazioni dell’azienda saranno complete, chiare ed oneste, più rapidamente si passerà alla fase successiva.

➢ Stage 3: “Penance”

In questa terza fase gli stakeholder si aspettano che l’azienda subisca una pena equiparabile per intensità alla trasgressione commessa. Si passa dunque alla domanda: “come dovrebbe essere punita l’organizzazione?”. Le spiegazioni di quanto avvenuto, infatti, possono da sole non bastare agli stakeholder, che si aspettano un’effettiva ritorsione sull’azienda per quello che è successo. “Stakeholders view punishment as a necessary part of an organization’s path

to restoring its legitimacy and being reintegrated”

Le aziende che:

✓ Accetteranno una punizione;

✓ Riconosceranno che la punizione è equa; ✓ Faranno tutto questo senza opporre resistenze

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accresceranno di molto la probabilità di una rapida reintegrazione.

Questa fase è caratterizzata sia dalla possibile presenza di punizioni “ufficiali” che “non ufficiali”. Le prime sono assegnate da organi demandati per legge a questo compito; le seconde provengono invece dai gruppi di soggetti interessati. Da questa differenza discende che se le punizioni ufficiali assegnate alle aziende sono considerate dagli stakeholder non sufficienti questi avranno la possibilità di punire in prima persona l’organizzazione al fine di rendere equo il trattamento.

➢ Stage 4: La riabilitazione

Una volta che è stata data agli stakeholder una risposta alla domanda “come dovrebbe essere punita l’azienda?”, ecco che sorge un nuovo, ed ultimo, quesito: “quali cambiamenti organizzativi sono stati effettuati?”.

In particolare secondo gli autori le aziende dovrebbero cercare di raggiungere la riabilitazione attraverso coerenti e legate azioni interne ed esterne.

L’obiettivo primario delle azioni interne deve essere quello di ricostruire i fallati aspetti tecnici, umani, infrastrutturali o sociali che hanno dato inizio alla trasgressione oggetto d’analisi. Tra tali azioni abbiamo:

✓ Cambiamenti nei codici di condotta;

✓ Cambiamenti nella struttura delle ricompense; ✓ Cambiamenti nel management;

✓ Cambiamenti nel board.

Queste sono tutte azioni che permettono di ridurre l’incertezza dei soggetti interessati in merito alla determinazione dell’azienda di non voler più commettere gli errori passati.

Le azioni esterne invece si focalizzano sul recupero dell’immagine: ✓ Donazioni e beneficenza;

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✓ Implementazione di misure di corporate social responsability.

È importante che l'organizzazione assicuri che le azioni che intraprendono internamente ed esternamente siano coerenti e, pertanto, ricerchino lo stesso messaggio di rinnovo, per tutti gli stakeholder. Eventuali discordanze e incoerenze tra le azioni possono falsare il messaggio di rinnovo e, di conseguenza, far perdere la fiducia degli stakeholder; questo costituirà un grosso ostacolo nella strada verso la riabilitazione. In definitiva possiamo affermare che “maggiore sarà la coerenza esistente tra le azioni riabilitative

interne ed esterne dell’organizzazione, maggiori saranno la velocità e la probabilità di riabilitazione”77.

Le aziende dovrebbero seguire il modello passo dopo passo, possibilmente senza svolgere azioni di stage diversi contemporaneamente. In questo caso, infatti, le parti interessate non avranno tutte le informazioni necessarie per decidere favorevolmente sull’adeguatezza delle azioni. Soddisfare le richieste degli stakeholder in una determinata fase sarà propedeutico per la valutazione della fase successiva; il processo di reintegrazione è dunque sequenziale. Solo, dunque, proseguendo con successo in ognuna delle 4 fasi l’organizzazione può sperare di riottenere legittimità.

Si possono individuare degli elementi che hanno il potenziale di influenzare in negativo il raggiungimento dello scopo ultimo del modello proposto: la riabilitazione. Tra questi elementi abbiamo: il peso della trasgressione; la composizione dei gruppi di stakeholder; il ripetere uno stesso errore.

➢ Il peso della trasgressione

Per quanto riguarda questo primo elemento, un’azienda avrà maggiori probabilità di successo nel processo di riabilitazione se non sarà la prima a compiere una determinata trasgressione. Accade infatti che si tenda a ricordare

77 Model of Reintegration; Tratto da: KATHERINE A. DECELLES, MICHAEL D. PFARRER, KEN G. SMITH, M.

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con maggiore facilità le organizzazioni che per prime hanno commesso particolari errori; per queste il recupero della legittimità sarà decisamente più complesso rispetto a quelle che seguiranno.

➢ La composizione dei gruppi di stakeholder

Le aziende hanno a che fare con delle parti interessate eterogenee tra di loro. Risulta chiaro, dunque, che quando le trasgressioni coinvolgono più gruppi di stakeholder rallentano le discussioni tra gli attori, ostacolando di fatto il flusso di feedback che dai soggetti interessati arriva all’azienda.

➢ Commettere uno stesso errore più volte

Le organizzazioni che risultano recidive sono soggette a punizioni, ufficiali e non ufficiali, ben più pesanti rispetto alle altre; inoltre vi sarà un crescente scetticismo da parte degli stakeholder che si sentiranno traditi un’altra volta. Tutto ciò avrà gravi ripercussioni sia sui rapporti tra l’azienda e le diverse parti interessate, sia sulla capacità dell’organizzazione di rimediare in maniera efficace e rapida alla trasgressione commessa, rendendo la riabilitazione un processo più complesso e delicato.

Il fallimento organizzativo, conseguente ad una trasgressione comporta enormi costi per un’azienda, i suoi stakeholder e la società in generale. Questo modello si propone proprio come supporto per la riconquista della legittimità e della fiducia persa, per tutte quelle aziende che hanno subito un danno alla reputazione successivo ad un comportamento moralmente non etico o illegale. Sono individuate, pertanto, le possibili azioni che le aziende devono compiere, distinte per stage, affinché si possa ricucire il rapporto tra l’organizzazione e l’insieme dei diversi gruppi di stakeholder che si sentono traditi in maniera più o meno grave.

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3.2 Il modello di Nicole Gillespie e Graham Dietz78

Gillespie e Dietz nel 2009 hanno proposto un modello per la riparazione della fiducia persa a seguito di un “organization-level failure”, ovvero un incidente, o una serie di incidenti, che minacciano la legittimità dell'organizzazione e minano le percezioni riguardo la fiducia che l’azienda meriterebbe.

In particolare l’attenzione degli autori si focalizza sul rapporto di lavoro tra impiegati e datori. Il presupposto che sta alla base del modello consiste nel fatto che generalmente tali rapporti sono caratterizzati, nelle loro fasi iniziali, da alti livelli di fiducia reciproca. Ci si chiede allora cosa possa succedere in caso di fallimento a livello organizzativo causato da incidenti strettamente legati al datore di lavoro (frodi, inganni, incompetenza, fatali accadimenti, licenziamenti massicci). La perdita di fiducia conseguente a questi possibili incidenti può portare ad atti di ritorsione o ostruzione, ad una totale rottura dei rapporti sia interni che esterni, e così via. La fiducia persa può però essere recuperata, ma è possibile farlo solo tramite azioni rapide, oculate, e che non si concentrino solo sui rapporti esterni, come troppo spesso accade nelle realtà organizzative; ecco quindi che sapere come agire in casi di “organization-level failure” diviene una competenza critica nella gestione aziendale.

Gillespie e Dietz definiscono il fallimento a livello organizzativo come: “a single

major incident, or cumulative series of incidents, resulting from the action (or inaction) of organizational agents that threatens the legitimacy of the organization and has the potential to harm the well-being of one or more of the organization’s stakeholders79”. Azioni o inazioni, dunque, che compromettono la legittimità

dell’organizzazione e minano il benessere dei diversi gruppi di soggetti interessati. Sono così individuate tre condizioni necessarie affinché si verifichi questo tipo di fallimento: Innanzitutto il peso dell’errore deve essere tale da minacciare effettivamente la legittimità della compagnia; in secondo luogo bisogna tenere in

78 NICOLE GILLESPIE e GRAHAM DIETZ, TRUST REPAIR AFTER AN ORGANIZATIONLEVEL FAILURE, 2009 79 NICOLE GILLESPIE e GRAHAM DIETZ, TRUST REPAIR AFTER AN ORGANIZATIONLEVEL FAILURE, 2009

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considerazione il fatto che il danno effettivo derivante dal fallimento può anche ricadere su altri tipi di stakeholder che non siano i dipendenti, ma di riflesso questi ultimi si sentiranno delusi dal proprio datore ed in colpa per quanto accaduto; in ultimo è importante che l’errore sia conseguenza di azioni negligenti (o inazioni) compiute da agenti interni all’organizzazione.

Anche in questo caso il modello proposto consta di quattro stage; l’obiettivo è quello di recuperare la fiducia persa in seguito ad un fallimento organizzativo.

Figura 8. Modello di Trust Repair. Tratto da: NICOLE GILLESPIE e GRAHAM DIETZ, TRUST REPAIR AFTER AN ORGANIZATIONLEVEL FAILURE, 2009, pp. 137

➢ Stage 1: Risposta immediata

Precisione e trasparenza, tempestività e credibilità. Sono questi i caratteri che la risposta di un’azienda deve avere. La comunicazione iniziale, rivolta a tutti i soggetti interessati, è un momento critico nel processo di recupero della fiducia. L’organizzazione dovrà dunque evitare di negare o omettere l’errore; piuttosto dovrà agire in prima persona per investigare su quanto accaduto e dovrà avanzare delle ricerche per prevenire l’eventualità che il fallimento possa ripetersi. I leader senior dell’azienda avranno il compito di riconoscere il danno effettuato e di esprimere un profondo rammarico per le possibili conseguenze.

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Tutte queste azioni comproveranno l’impegno della compagnia di voler rimediare a quanto fatto, l’interesse per le parti interessate, e lo sforzo fatto per evitare che quanto avvenuto possa ripetersi.

Attraverso l’indagine diagnostica sarà possibile correggere le cause del fallimento, che continuano a rappresentare una minaccia per gli stakeholder. L’azienda dovrà attivare interventi rapidi, per ripristinare al più presto la sua reputazione, soprattutto mirati alla leadership, alla gestione, alla struttura, alle politiche e ai processi; tutti elementi suscettibili di veloci cambiamenti. Si potranno, per esempio, sospendere le persone implicate direttamente nel fallimento organizzativo, ritirare delle merci, bloccare delle operazioni di produzione. Un’eventuale inazione da parte dell’azienda sarà dannosa per la sua reputazione, in quanto denoterà incompetenza, cattive intenzioni e valori etici e morali discutibili.

“A timely initial communication acknowledging the occurrence of the failure,

expressing sincere regret for the (potential) consequences, and announcing a full investigation and commitment to prevent future reoccurrences will positively impact employees’ perceptions of the organization’s trustworthiness […] Timely, initial interventions that prevent or constrain a reoccurrence of the failure will positively impact employees’ perceived organizational trustworthiness.80

➢ Stage 2: Diagnosi

L’obiettivo in questa fase è di identificare sistematicamente ciò che ha contribuito al fallimento e quali sono le azioni che l’azienda deve compiere per evitare simili incidenti in futuro. In questo caso saranno importanti l’accuratezza, la trasparenza e la tempestività.

80 : NICOLE GILLESPIE e GRAHAM DIETZ, TRUST REPAIR AFTER AN ORGANIZATIONLEVEL FAILURE, 2009,

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Quando la diagnosi avrà un’alta accuratezza, accompagnata dalla trasparenza delle informazioni rilevate, influirà positivamente sulla percezione che gli stakeholder hanno del grado di affidabilità dell’azienda presa a riferimento. Viceversa gli effetti di un’indagine imprecisa, o secretata e nascosta ai soggetti interessati, saranno deleteri e contribuiranno a erodere ancora di più la reputazione, già fortemente danneggiata, dell’organizzazione.

Per quanto riguarda i tempi in cui effettuare l’indagine diagnostica c’è da dire che è importante attivarsi in tempi brevi e svolgerla tempestivamente; questo comunica agli stakeholder la buona fede nella compagnia nel voler rimediare all’incidente. L’indagine però è bene che non sia precipitosa, in quanto questo potrebbe causare errori nel suo svolgimento che potrebbero a maggior ragione compromettere la percezione che i diversi attori hanno riguardo la fiducia che l’azienda merita.

“The timeliness of the diagnosis has a curvilinear relationship with employees’

perceived organizational trustworthiness. A premature or too slow diagnosis will be associated with low trustworthiness, whereas a timely diagnosis will be associated with high trustworthiness.81”

➢ Stage 3: Interventi di riforma

Le informazioni diagnostiche rilevate durante il precedente stage forniscono le basi per elaborare e progettare interventi di riforma per la “trust repair”.

Nel caso in cui la diagnosi abbia rilevato un’effettiva responsabilità organizzativa, le scuse e le offerte di riparazione alle parti interessate possono contribuire efficacemente al recupero della fiducia. Le aziende che si sanno assumere le proprie responsabilità danno certamente un messaggio di integrità e di preoccupazione per gli interessi dei soggetti colpiti.

81 NICOLE GILLESPIE e GRAHAM DIETZ, TRUST REPAIR AFTER AN ORGANIZATIONLEVEL FAILURE, 2009,

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“Following the diagnosis of an organizational failure, an apology with internal

attribution will be more effective than no apology or an apology with external attribution, and offers of reparations to affected stakeholders will be more effective than no offers of reparations in restoring employees’ perceived organizational trustworthiness.82

➢ Stage 4: Le valutazioni

In quest’ultima fase verranno fatte delle considerazioni in merito all’efficacia degli interventi sopra descritti, con lo scopo di andare ad identificare eventuali aree che risultano ancora suscettibili di problemi ed incidenti per evitare il ripetersi, in futuro, di analoghe violazioni.

Questo stage non è, chiaramente, necessario per il recupero della fiducia; questo si può ottenere, infatti, avanzando in maniera coerente e corretta

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