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Il rischio reputazionale e le strategie di “trust-repair”. Un framework di analisi.

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UNIVERSITA' DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

Tesi di Laurea

Il rischio reputazionale e le strategie di “trust-repair”.

Un framework di analisi

Candidato

Relatrice

Attilio Cardella Prof.ssa Alessandra Rigolini

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Indice

Introduzione _____________________________________ 1

1 - Il rischio aziendale e la reputazione ____________ 3

1.1 - Classificazione dei rischi ________________________________________ 6 1.1.2 - Classificazione dei rischi secondo il modello di ERM ________________ 9 1.1.3 - Classificazione dei rischi in base alla loro natura ____________________ 10

1.2 - La reputazione _______________________________________ 12

1.2.1 - Il valore finanziario della reputazione _____________________________ 16 1.2.2 - Il valore operativo della reputazione ______________________________ 16 1.2.3 - Il valore strategico della reputazione ______________________________ 20 1.2.4 - Chi è responsabile per la reputazione aziendale? ____________________ 21

1.3 - Il rischio reputazionale _________________________________ 23

1.3.1 - Il rischio reputazionale quale logica di organizzazione _______________ 24

1.4 - I fattori che possono determinare un danno alla reputazione ____ 29

2 - Reputational risk management ________________ 39

2.1 – ERM ______________________________________________ 39

2.1.1 - Gli attori dell’ERM ___________________________________________ 40 2.1.2 - Le componenti dell’ERM ______________________________________ 45

2.2 - La gestione del rischio di reputazione _____________________ 60

2.3 - Le diverse fasi della gestione del rischio di reputazione _______ 61

2.3.1 - La quantificazione del rischio di reputazione _______________________ 65

2.4 - L’importanza dei dipendenti nel “reputation management” _____ 75

3 - Trust repair: ricostruire la fiducia persa in seguito ad una

crisi reputazionale ____________________________ 78

(4)

3.2 Il modello di Nicole Gillespie e Graham Dietz _______________ 90

3.3 Un confronto tra i due modelli ____________________________ 95

3.4 Il caso Volkswagen, lo scandalo delle emissioni ______________ 95

3.4.1 Scoperta e risposta immediata (cosa è successo?) ____________________ 97 3.4.2 Spiegazioni e analisi delle cause della trasgressione

(come è potuto accadere?) __________________________________________ 99 3.4.3 La pena (come dovrebbe essere punita l’organizzazione?) _____________ 101 3.4.4 La riabilitazione (quali cambiamenti organizzativi sono stati fatti?) ______ 104

3.5 L’impatto dello scandalo sul gruppo Volkswagen AG __________ 106

Conclusioni ______________________________________ 110

Bibliografia e sitografia _____________________________ 115

Ringraziamenti

(5)

1

Introduzione

Il presente lavoro nasce con l’intento di studiare un tema relativamente recente, fonte di un progressivo aumento di interesse, e di preoccupazione, da parte delle aziende: il rischio reputazionale. La possibilità che un evento possa compromettere la reputazione di una compagnia e, in ultimo, i suoi risultati costituisce il motivo per il quale questa tipologia di rischio ha assunto oggi un ruolo centrale nei processi di risk management implementati dalle organizzazioni. La reputazione è, infatti, una risorsa strategica attraverso la quale le aziende possono ottenere dei vantaggi rispetto ai concorrenti e possono indirizzare le aspettative e le percezioni dei diversi stakeholder; un asset intangibile di difficile imitazione che permette di ottenere tutta una serie di benefici quali premium price per i prodotti, bassi costi del capitale e della manodopera, migliora la lealtà da parte dei dipendenti e così via. Data l’importanza di questa risorsa ci si è chiesti, dunque, se esista in letteratura un framework da seguire quando, a causa di una trasgressione, si è pericolosamente minata la reputazione di un’azienda; un modello che permetta di reintegrare la legittimità della compagnia agli occhi degli stakeholder.

Nel primo capitolo si è andato a definire il concetto di rischio e a delineare i suoi caratteri intrinsechi. Si è proceduto quindi all’individuazione delle numerose tipologie di rischio, con una particolare attenzione alla classificazione proposta dal modello di ERM. La parte centrale del capitolo vede come oggetto di studio la reputazione; si passa dal definirla a spiegarne la centralità in termini di supporto ai risultati, alla gestione operativa e alla strategia di un’azienda. Infine l’analisi è stata incentrata sul rischio reputazionale e sui fattori che possono contribuire a causare un danno alla reputazione.

Nel secondo capitolo abbiamo focalizzato la nostra attenzione sui processi di gestione dei rischi. Nel dettaglio la parte iniziale costituisce un focus sul modello di ERM, sugli attori coinvolti e sulle componenti del framework; la parte centrale e finale invece guardano in particolare al reputation risk management e alle modalità di misurazione di questo specifico rischio.

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2

Nel terzo capitolo, infine, si sono introdotti, analizzati e confrontati due modelli di “trust-repair”. Successivamente, nell’ottica in particolare del primo framework, si è studiato il caso della Volkaswagen AG; stage per stage, domanda dopo domanda, siamo andati a guardare le modalità e le azioni messe in atto dalla compagnia tedesca per cercare di contenere i danni derivanti dallo scandalo delle emissioni e per recuperare la fiducia persa degli stakeholder.

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3

Capitolo 1

Il rischio in azienda e la reputazione

Il rischio può essere definito come la combinazione delle probabilità di un evento e delle sue conseguenze1. Ogni tipo di iniziativa imprenditoriale implica potenzialmente eventi e conseguenze che rappresentano possibili benefici o minacce al successo2. È vero infatti che l’attività esercitata professionalmente

dall’imprenditore per la produzione e lo scambio di beni e servizi non può esplicarsi escludendo la nozione di rischio e questo è desumibile dalla stessa definizione di “imprenditore” come dettata dall’articolo 2082 del codice civile3.

Qualsiasi sia la tipologia di azienda quindi è indispensabile comprendere che l’aspettativa di reddito, sia un utile o una perdita, comporta in ogni caso l’assunzione di un rischio per l’imprenditore4.

In letteratura non vi è un totale accordo sul significato del termine “rischio”. Sembra infatti che ciascun soggetto che voglia definire questo concetto sia influenzato dallo specifico problema che intende risolvere e, di conseguenza, utilizzi la nozione di rischio che meglio si adatta ad esso. Partendo da ciò possiamo individuare quattro approcci nei quali è possibile far confluire le nozioni individuate in letteratura5: 1. L’approccio tradizionale-assicurativo; 2. L’approccio statistico-finanziario; 3. L’approccio manageriale; 4. L’approccio matematico. 1 Cfr. (ISO Guide 73:2009)

2FEDERATION OF EUROPEAN RISK MANGEMENT ASSOCIATIONS, Standard of Risk Management,

2003

3 Cfr. (www.brocardi.it)

4 M.A. Marinoni, Reddito di impresa, rischio e incertezza, 2008, pp.45

5 A. Floreani, Enterprise Risk Management – I rischi aziendali e il processo di risk management,

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4

Secondo il primo il rischio è inteso esclusivamente come una minaccia. Al concetto di rischio è attribuita quindi un’accezione negativa, causata dal fatto che inizialmente si guardava soltanto ai cosiddetti “rischi puri”, di cui si parlerà in seguito.

In linea col secondo approccio invece, quello statistico-finanziario, il rischio è inteso come aleatorietà statistica, ovvero come possibile scostamento di una variabile aleatoria rispetto alle aspettative. Qui il rischio è visto sia come una possibile minaccia che come una possibile opportunità.

Secondo l’approccio manageriale il rischio è inteso come scostamento rispetto agli obiettivi prefissati. Sono quindi eventi futuri e incerti che possono influenzare il raggiungimento degli obiettivi di un’istituzione. Come nel secondo approccio non è considerata la sola accezione negativa del termine.

Infine secondo l’approccio matematico il rischio è definibile come una variabile aleatoria, insieme di realizzazioni quantitative alle quali sono associate delle probabilità di realizzazione.

In ambito aziendale si parla di rischio “in senso stretto” per indicare la possibilità di un danno economico derivante da eventi futuri di incerta manifestazione, che può avere come conseguenza uno scostamento negativo dagli obiettivi prestabiliti. In generale è comunque possibile rilevare quattro caratteri che accomunano tutti i rischi:

• Inevitabilità

A causa delle limitate capacità indagatrici dell’uomo e per il mutevole manifestarsi degli eventi futuri, i rischi risultano essere non inevitabili. È possibile grazie all’introduzione di efficaci sistemi di gestione del rischio ridurre la probabilità o l’impatto di un determinato evento, tuttavia i rischi non possono essere azzerati completamente e questo anche a causa dell’elevato costo che comporterebbe cercare di eliminarli del tutto.

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5

• Sistematicità

È possibile distinguere rischi generali e rischi particolari; i primi sono quelli che riguardano l’azienda nel suo complesso e che possono compromettere, ad esempio, il raggiungimento della mission stessa. I rischi particolari invece costituiscono una frammentazione di quelli generali e concernono i rischi operativi, finanziari, di compliance, ecc...

• Dinamicità

Questa caratteristica è legata alla mutevolezza dell’ambiente e delle condizioni di produzione interna. Proprio l’ambiente “esterno” offre alle aziende la possibilità di espansione e di sviluppo ed è anche causa di condizioni di rischio per le stesse. Le organizzazioni ricercano la migliore soluzione possibile nel rapporto “azienda-ambiente” e questa si ottiene da una efficace politica di gestione dei rischi di impresa: “rischi interni ed esterni”, per garantire così una adeguata combinazione tra le forze aziendali e quelle ambientali6. La dinamicità dei rischi dipende dunque principalmente

da fattori esterni come ad esempio cambiamenti nel mercato in cui l’azienda opera.

• Natura economica

È importante comprendere quale sia l’impatto economico dei rischi, anche al fine di individuare una misura omogenea che ci permetta di confrontare i diversi eventi. In generale possiamo affermare che ogni rischio determina una riduzione del capitale investito nella combinazione produttiva.

6 Cfr. (www.centrostudifinanza.it)

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1.1 Classificazione dei rischi

Esistono numerose classificazioni dei rischi: ➢ Rischi puri

Una prima distinzione è quella che separa i rischi in due grandi categorie in base al “segno” dell’impatto del rischio7.

Inizialmente il processo di risk management si focalizzava su quelli che vengono definiti “rischi puri”. Questi sono legati ad eventi che possono unicamente generare danni per l’azienda. Un tipico esempio di rischio puro è quello relativo ad eventi atmosferici che possono provocare ingenti danni ad un’azienda agricola. Ci si riferisce spesso quindi a fenomeni naturali, sociali o umani, come furti o frodi. Ma come ci si protegge dai suddetti rischi? Una possibilità riguarda il ricorso a contratti di tipo assicurativo.

Solitamente i rischi puri si caratterizzano per8:

✓ Una realizzazione improvvisa;

✓ Una manifestazione immediatamente osservabile;

✓ Effetti economici che si determinano in un breve lasso di tempo;

✓ La possibilità di ridurre le conseguenze dell’evento attraverso l’adozione di tempestive misure di contenimento o riduzione del danno.

➢ Rischi speculativi

I rischi speculativi sono legati ad eventi futuri incerti che possono generare sia risultati negativi che positivi. Questi sono definiti propriamente imprenditoriali e non assicurabili a causa del fatto che le aziende li affrontano quotidianamente, con una frequenza molto elevata. I rischi speculativi possono essere fronteggiati attraverso strumenti di copertura come i contratti derivati. Un esempio di rischio speculativo si ha quando si investe nel mercato azionario; può accadere infatti che

7 A. Nepi, Analisi e gestione dei rischi di progetto: metodologie e tecniche, 2001, pp. 13 8 Floreani, op. cit. pp.73

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7

si subiscano delle perdite, che il prezzo delle azioni rimanga invariato, o ancora che si ottengano dei guadagni9.

I rischi speculativi si caratterizzano per10:

✓ Una realizzazione progressiva nel tempo;

✓ Un’ osservabilità ritardata della sua manifestazione; ✓ Effetti economici che si determinano progressivamente;

✓ L’impossibilità di intervento per ridurre le conseguenze economiche negative degli eventi che si sono già realizzati.

➢ Rischi interni e rischi esterni

Un ulteriore classificazione riguarda l’origine dei fattori che determinano il rischio; si distingue quindi tra rischi interni (endogeni) e rischi esterni (esogeni). I primi sono generati da fattori inerenti i processi, il management, l’organizzazione. Hanno origine all’interno dell’azienda e possono essere influenzati, almeno in parte, dalle decisioni del management. Esempi possono riguardare i rischi connessi al corretto funzionamento del sistema informativo aziendale o alla sicurezza dei lavoratori.

I rischi esogeni invece traggono origine da fenomeni esterni sui quali l’azienda non ha potere. Un’organizzazione per esempio non può impedire in alcun modo il verificarsi di una catastrofe naturale. Riguardano in generale gli effetti derivanti dall’andamento del ciclo economico e, più in generale, da qualsiasi variabile

macroeconomica o dal mercato finanziario11. Pur essendo le fonti di rischio non

influenzabili, i rischi esterni possono comunque essere gestiti agendo principalmente al fine di influenzare le conseguenze economiche e patrimoniali.

➢ Rischi sistematici e rischi specifici

9 D’Arcy, Stephen P., and John C. Brogan. "Enterprise risk management." Journal of Risk Management of

Korea 12.1 (2001): 207-228, pp.5

10 Floreani, op. cit. pp.73 11 Floreani, op. cit. pp.63

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8

Quest’ulteriore classificazione si basa sulla possibilità che i fattori di rischio possano essere ridotti mediante una scelta di diversificazione12.

I rischi sistematici sono legati a variabili macroeconomiche o finanziarie che colpiscono, seppur in misura differente, tutte le aziende; ne sono tipici esempi la recessione, l’andamento dei tassi di interesse di mercato e l’inflazione. Questa tipologia di rischi è anche definita “non diversificabile” in quanto non è possibile gestire tali fattori di rischio attraverso strategie di diversificazione13.

Viceversa i rischi specifici (o diversificabili) sono legati alle caratteristiche delle singole aziende e dei settori in cui esse operano. Il termine diversificabile si riferisce al fatto che i rischi specifici possono essere eliminati attraverso il processo di diversificazione14. Un rischio si dirà quindi diversificabile se sarà possibile “attraverso la composizione con altri rischi non correlati ad esso, ridurre la rischiosità complessiva dell’azienda”15.

12 M. Giorgino, Risk Management, 2015 13 Cfr. (www.borsaitaliana.it)

14 Floreani, op. cit. pp.65 15 M. Giorgino, op. cit.

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1.1.2 Classificazione dei rischi secondo il modello ERM

In questo caso la suddivisione è effettuata in base all’obiettivo su cui impatta il fattore di rischio16.

➢ Rischi strategici

I rischi strategici sono quelli che possono determinare un peggioramento della qualità della strategia, come la riduzione della capacità competitiva dell’azienda, e possono derivare sia da fattori esterni che interni; viene compromessa la capacità dell’azienda di creare valore in una prospettiva di medio/lungo termine. I fattori di rischio esterni possono essere relativi a elementi macro ambientali come variabili politiche, demografiche, normative o sociali oppure possono essere legati al sistema competitivo in cui opera l’azienda; questo dipende sostanzialmente dalle cinque variabili competitive di Porter e quindi clienti, fornitori, entranti potenziali, concorrenti e prodotti sostitutivi. I fattori interni invece possono derivare dalla non conformità dei prodotti e del processo produttivo in generale.

➢ Rischi operativi

I rischi operativi riguardano gli omonimi processi e possono comportare un peggioramento delle condizioni di efficacia, efficienza ed economicità dei processi stessi.

➢ Rischi di reporting

Questi attengono all’attività di reporting sia esterna che interna, quindi alla possibilità che le informazioni dirette ai soggetti variamente interessati siano inaccurate, intempestive, non aggiornate o caratterizzate da uno sfavorevole rapporto costi-benefici.

➢ Rischi di compliance

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Sono legati a quegli eventi che possono causare un danno economico a breve o a medio/lungo termine dovuto ad una deviazione (intenzionale e non) da norme di legge e regolamenti.

➢ Rischi reputazionali

Relativi a quei fattori che possono comportare un danno d’immagine per l’azienda che può portare a conseguenze negative in termini di risultati.

1.1.3 Classificazione in base alla natura del rischio

L’ultima classificazione che qui prendiamo in esame è quella che distingue i rischi in base alla loro natura.

➢ Rischi operativi

Il rischio operativo è spesso riferito alla variabilità del risultato della gestione caratteristica che potrebbe prodursi per effetto di diverse variabili17. Questa

variabilità può derivare sia da eventi esterni che interni all’azienda. In generale questa tipologia di rischi caratterizza i processi operativi di un’organizzazione, come produzione, vendita, approvvigionamento e gestione delle risorse umane, che quindi impattano principalmente su quelle attività che generano costi e ricavi; in definitiva sul reddito operativo.

Secondo l’autore Giorgio Donna tra i rischi operativi abbiamo: ➢ Rischiosità settoriale

Legata alle caratteristiche del sistema competitivo in cui opera l’azienda e alle dinamiche che lo riguardano. È possibile stimare una rischiosità operativa media delle aziende che operano in un particolare settore.

➢ Rischiosità strategica

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11

Legata al grado e al tipo di vantaggio competitivo perseguito e al tasso di crescita dell’azienda.

➢ Rischiosità strutturale

Legata al grado di flessibilità dell’azienda e alla sensibilità alle ragioni di scambio.

➢ Rischi finanziari

Questi sono quelli che impattano sulla gestione finanziaria di un’azienda e sono distinguibili in rischi finanziari intesi in senso stretto, legati alla possibilità che il reddito netto subisca una flessione a causa dell’indebitamento dell’azienda, e intesi in senso largo, relativi a possibili perdite di valore degli strumenti finanziari. Secondo gli International Accounting Standards (IAS) gli strumenti finanziari comprendono:

▪ Attività liquide;

▪ Crediti/debiti commerciali; ▪ Crediti/debiti finanziari; ▪ Azioni/obbligazioni/altri titoli.

I rischi finanziari sono a loro volta suddivisi in rischi di mercato, rischi di credito e rischi di liquidità.

➢ I primi sono quelli che l’azienda incontra nei rapporti che intraprende con i mercati finanziari e si concretizzano nella possibilità che i flussi finanziari futuri di uno strumento fluttuino in seguito a variazioni dei prezzi di mercato18. Tipicamente sono quelli di tasso di interesse, di

cambio e di prezzo.

• Il rischio di interesse si manifesta quando il valore di mercato di un investimento è sensibile a variazioni dei tassi d’interesse. Tali variazioni potrebbero quindi portare a delle perdite.

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12

• Il rischio di cambio fa riferimento alla possibilità che in seguito alla variazione del tasso di cambio si producano degli effetti diversi da quelli attesi; in particolare effetti di segno negativo che possono provocare dei danni.

• Il rischio di prezzo si ha quando il valore di mercato degli strumenti finanziari detenuti dall’azienda è sensibile all’andamento dei mercati azionari.

➢ Il rischio di credito19 è riferito alla possibilità che una delle parti di uno

strumento finanziario causi una perdita all’altra parte non adempiendo ad una obbligazione. Per gestire questo tipo di rischi si può ad esempio cercare di ampliare e diversificare il portafoglio clienti oppure si può ricorrere alle assicurazioni.

Il rischio di credito ha tre caratteristiche20:

1. Probability of default (PD): è la probabilità che la controparte si renda inadempiente all'obbligazione di restituire il capitale prestato e gli interessi su di esso maturati21;

2. Recovery rate: consiste nella parte di credito che un’azienda può recuperare nel caso di inadempimento contrattuale del debitore22;

3. Credit exposure: è la parte di credito che un’azienda perderebbe in caso di default del debitore.

➢ Infine il rischio di liquidità riguarda l’eventualità che un’azienda trovi difficoltà nel reperire le fonti di finanziamento necessarie; mancanza di liquidità utile per far fronte ai propri impegni.

1.2 La reputazione

Le aziende di ogni tipo vivono sotto una crescente pressione esercitata dai diversi tipi di stakeholder al fine di rispondere in maniera sempre più accurata e tempestiva

19 S. Vandemaele, op.cit., pp.3

20 S. De Bernardis, L'ENTERPRISE RISK MANAGEMENT: MODELLI E CASI PRATICI NELLE PMI, Teramo,

2015, pp.21

21 Cfr. (www.lexicon.ft.com) 22 Cfr. (www.lexicon.ft.com)

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alle loro richieste e alle loro esigenze. Allo stesso tempo gli shareholder chiedono dei ritorni sugli investimenti sempre più elevati. Queste forze opposte provocano dei conflitti all’interno delle organizzazioni circa il valore della reputazione23. Da

un lato infatti c’è chi crede che la costruzione, lo sviluppo e il mantenimento di una buona reputazione siano importanti per tutte le aziende, mentre dall’altro lato c’è chi considera la reputazione un plus non necessario, che può costituire solo una spesa non utile allo scopo ultimo delle aziende, ovvero aumentare i profitti e portare ricchezza agli investitori.

Per noi è innegabile che la reputazione possa considerarsi una vera e propria risorsa strategica, attraverso la quale le aziende possono ottenere dei vantaggi rispetto ai concorrenti e possono indirizzare le aspettative e le percezioni dei diversi stakeholder. Costituisce quindi un asset intangibile per le aziende e come tale rappresenta quasi una cartina tornasole delle azioni passate delle organizzazioni e descrive la loro capacità di creare valore per i soggetti interessati. La reputazione è il modo in cui gli stakeholder, ignari dei veri intenti delle organizzazioni, determinano se queste siano meritevoli della loro fiducia, e si basa sui comportamenti, sulle comunicazioni e sulle relazioni che le aziende instaurano. Semplicemente si potrebbe dire che la reputazione di una compagnia è costituita dalle opinioni e dai giudizi che i vari soggetti maturano su di essa. Chiaramente le organizzazioni sono interessate alle valutazioni fatte dai diversi portatori di interessi come i consumatori, gli investitori, le comunità, i partners ecc., poiché queste potrebbero non rispecchiare la realtà. Al fine di utilizzare quindi la reputazione in chiave strategica le aziende dovranno guardare all’esterno, a come la loro immagine viene percepita, ma questo non è un processo propriamente facile; a differenza delle altre tipologie di rischio, infatti, la gestione e la misurazione di tale asset risulta essere molto difficoltoso proprio a causa della sua elevata intangibilità.

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Secondo la definizione elaborata da Bennett e Kottasz, “la reputazione di un’organizzazione [o di una impresa] è la fusione di tutte le aspettative, percezioni ed opinioni sviluppate nel tempo da clienti, impiegati, fornitori, investitori e vasto pubblico in relazione alle qualità dell’organizzazione, alle caratteristiche e ai comportamenti, che derivano dalla personale esperienza, dal sentito dire o dall’osservazione delle passate azioni dell’organizzazione”. In base a tale definizione si possono trarre alcuni punti fondamentali24:

✓ Non esiste una sola percezione della reputazione: essa è diversa a seconda dei portatori di interesse che a questa ricollegano esigenze, interessi e parametri di giudizio;

✓ La reputazione è sensibilmente influenzata dalle esperienze dei soggetti sopra menzionati con l’impresa in veste di consumatori o utenti;

✓ La reputazione è il precipitato derivante dall’esercizio dell’attività protratto in un ragionevole lasso di tempo;

✓ La reputazione affonda le proprie radici nei comportamenti e nelle azioni realmente poste in essere dall’impresa.

Ci sono opinioni diverse in merito alle modalità con cui l’immagine di una compagnia può essere gestita e controllata. Supponendo che l'opinione pubblica e la percezione degli stakeholder siano i principali fattori alla base della reputazione, c'è naturalmente meno possibilità di gestire quest’ultima rispetto all'ipotesi per la quale la reputazione sia principalmente il risultato della performance aziendale nel suo core business25. Alcuni esperti tendono a focalizzare la “reputation

management” sul miglioramento delle prestazioni aziendali, per esempio generando interessanti rendimenti per gli azionisti e fornendo un ambiente stimolante e soddisfacente per i dipendenti della società. Più in particolare alcuni sostenitori di questa visione guardano alla catena del valore aziendale26 e cercano

24 http://www.theinnovationgroup.it, Rudi-Floreani, 2012, IL RISCHIO REPUTAZIONALE, pp.4

25 Kai-Uwe Schanz (2006), Reputation and Reputational Risk Management, The Geneva Papers, 31, pp.

377–381

26 Modello che permette di descrivere la struttura di una organizzazione come un insieme limitato di

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15

di trovare aree di ottimizzazione al fine di migliorare la reputazione agli occhi dei propri stakeholder. Per questa scuola di pensiero, dunque, la gestione dell’immagine si concentra su quelle parti interessate che interagiscono direttamente con l'azienda.

Ma perché è importante avere una buona reputazione? Come sopra detto la reputazione è una vera e propria risorsa strategica per le aziende e permette di prevenire eventuali minacce competitive. Una buona reputazione può costituire un vantaggio di difficile imitazione e suggerisce che i prodotti e i servizi offerti dall’azienda saranno di qualità superiore a quella dei competitor; inoltre può essere il principale driver di riferimento in merito alla responsabilità delle organizzazioni. In definitiva una reputazione positiva e consolidata permette di ottenere tutta una serie di benefici quali: premium price per i prodotti, bassi costi del capitale e della manodopera, migliora la lealtà da parte dei dipendenti, migliora il margine di decision making e costituisce una protezione in tempi di crisi27.

Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance. Secondo questo modello, un'organizzazione è vista come un insieme di 9 processi, di cui 5 primari e 4 di supporto.

27 Jan Bebbington, Carlos Larrinaga, Jose M. Moneva, (2008) "Corporate social reporting and reputation

risk management", Accounting, Auditing & Accountability Journal, Vol. 21 Issue: 3, pp.339 Buona reputazione Premium price Costi capitale e manodopera Lealtà dei dipendenti Decision making Protezione

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1.2.1 Il valore finanziario della reputazione28

È importante comprendere che la reputazione di un’azienda ha delle conseguenze in termini di risultati finanziari.

Nel 2004 Fombrun e Van Riel29 individuano tre ragioni che spiegano il rapporto

e il collegamento tra la reputazione di un’azienda e la sua performance. Innanzitutto spiegano che la reputazione può migliorare la performance operativa di un’azienda in quanto permette di abbassare il costo degli input principali e consente all’organizzazione di applicare un premium price per i suoi prodotti. In secondo luogo, in una situazione come quella sopra descritta, è favorita una percezione positiva da parte del mercato; questo incoraggerà la domanda delle sue azioni e di conseguenza l’aumento del suo valore. Infine un’ottima e consolidata reputazione proteggerà le aziende da minacce impreviste fungendo quasi da “riserva di buone azioni”.

Dagli studi di Fombrun e Van Riel si evince in definitiva che le compagnie con una buona reputazione ottengono nel medio periodo dei risultati migliori rispetto a quelle che hanno una cattiva immagine; quello nella reputazione è quindi da considerarsi un vero e proprio investimento finalizzato ad un miglioramento della performance più che un costo per l’azienda30.

1.2.2 Il valore operativo della reputazione31

Il valore operativo della reputazione aziendale è desumibile dall’analisi dei benefici che un’immagine positiva potrebbe portare ad una società. I vantaggi variano in base al gruppo di stakeholder che si prende in considerazione; in questo senso è interessante suddividere i “portatori di interessi” in quattro macro-categorie:

28 E.S. Schreiber, Essential knowledge reputation, 2008, pp.5

29 Fame and Fortune: How Successful Companies Build Winning Reputations 30 E.S. Schreiber, Essential knowledge reputation, 2008, pp.5

31 I. Šmaižiené, REVEALING THE VALUE OF CORPORATE REPUTATION

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17

➢ Clienti; ➢ Impiegati;

➢ Partner commerciali come fornitori e distributori; ➢ Investitori.

Per quanto riguarda i benefici che una buona reputazione apporta, in relazione con la prima categoria di stakeholder, abbiamo: maggiore forza attrattiva di nuovi clienti; riduzione dei dubbi e delle incertezze in merito alla qualità dei prodotti; diminuzione del rischio percepito all’acquisto di un prodotto/servizio; diventa un proxy della qualità dei prodotti; incoraggia una maggiore fedeltà da parte dei consumatori; aggiunge un certo valore psicologico ai prodotti/servizi; aiuta i clienti a scegliere tra prodotti che sono considerati simili.

Con riferimento agli impiegati, una buona reputazione permette di: attrarre i candidati migliori; ridurre le incertezze e le perplessità dei dipendenti in merito alla compagnia; incoraggia una maggiore lealtà; porta ad un aumento della soddisfazione dei dipendenti; aumenta la creatività; permette di trattenere i migliori.

Per quanto riguarda i partner: aumenta la forza contrattuale delle aziende; favorisce i rapporti con i migliori partners possibili; incrementa l’attrattività dell’azienda agli occhi di potenziali nuovi soci; rafforza i rapporti con i fornitori, i distributori e le altre parti interessate.

Infine una buona reputazione permette alle aziende di essere percepite come meno rischiose rispetto ad altre che hanno prestazioni finanziare equivalenti ma una peggiore immagine. Questo porta benefits quali l’incoraggiare nuovi investitori e aiutare a creare e rafforzare relazioni con questi ultimi.

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Figura 1. Benefits of strong positive reputation32

Inoltre, sempre da un punto di vista operativo, una buona reputazione può essere vista come33:

• Reputazione quale segnale di fiducia:

Molti studiosi della reputation management sottolineano la relazione tra la reputazione aziendale e la fiducia. L’immagine di un’azienda è considerata come un indicatore di affidabilità ed un driver per lo sviluppo della fiducia, quindi uno strumento per attrarre, creare e consolidare i rapporti con i soggetti interessati; questo perché una buona reputazione crea fiducia, ed è proprio questa che persuade le persone a credere in una compagnia.

32 I. Šmaižiené, REVEALING THE VALUE OF CORPORATE REPUTATION

FOR INCREASING COMPETITIVENESS, 2008, pp. 720

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• La reputazione quale meccanismo di valutazione del rischio:

Questa permette ai clienti, ai fornitori, ai partner commerciali e a tutti gli altri possibili soggetti interessati, di poter anticipare i futuri comportamenti di una compagnia e proprio in questo senso costituisce un importante strumento in mano agli stakeholder al fine di valutare i rischi che si possono celare dietro a decisioni di acquisto, di investimento, di stipula di un contratto ecc... • La reputazione come surrogato per le informazioni inadeguate:

Molti ricercatori sottolineano il valore della reputazione nell’ambito dell'asimmetria informativa. Spesso proprio sulla base della reputazione aziendale gli stakeholder prendono decisioni di diverso tipo e questo è dovuto alla mancanza di informazioni complete sulle società. L’immagine risulta essere quindi il meccanismo commerciale più importante per trasmettere informazioni, per esempio ai consumatori. Bisogna però precisare che la reputazione, quale trampolino che permette di superare i problemi legati alle asimmetrie informative, svolge un ruolo eccezionale in alcuni settori, mentre in altri risulta essere meno incisiva. Per esempio nel caso di un’asta online di tipo C2C la reputazione degli utenti svolge un ruolo estremamente importante a causa dell’anonimato insito in questo tipo di transazioni. Analogamente la reputazione sarà determinante nei casi di business o di e-banking. Estremizzando il concetto potremmo infine dire che una buona reputazione costituisce l’unica fonte di vantaggio competitivo in un’azienda fornitrice di servizi professionali; questo perché è difficile valutare la qualità dei suddetti servizi, anche dopo che sono stati adempiuti. I consumatori, dunque, sceglieranno tra una od un’altra azienda erogatrice di servizi professionali proprio in base alla loro reputazione.

• Reputazione come forza di supporto

Spesso la reputazione può essere considerata come un fattore a sostegno dell’intera gestione aziendale. Ad esempio può garantire maggiore efficienza

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nelle vendite e nelle pubblicità, supportare le attività di marketing, può contribuire ad aumentare il capitale sul mercato azionario e a portare maggiore stabilità e può essere decisiva nelle comunicazioni con la stampa. Inoltre il valore della reputazione quale fattore di supporto aumenta nei momenti di crisi; una reputazione positiva consolidata attenua gli effetti negativi di una crisi e concede alle aziende una seconda possibilità perché gli individui sono inclini a generalizzare le informazioni che ottengono. Pertanto, delle informazioni negative non creano immediatamente una reputazione negativa, ma vengono integrate a quelle precedenti e poi generalizzate.

1.2.3 Il valore strategico della reputazione34

La reputazione può avere un impatto cruciale sulle capacità delle aziende di competere sul mercato. Un’immagine positiva può infatti rafforzare il vantaggio competitivo o persino esserne fonte. Il suo valore strategico è ravvisabile nella capacità di influenzare le skill aziendali di attrarre creare e gestire risorse fisiche, finanziare e intellettuali per costruire vantaggi competitivi sostenibili e di difficile imitazione. La reputazione può essere considerata una valida chiave strategica nella ricerca di una leadership di costo o di differenziazione; ad esempio può portare ad una maggiore forza contrattuale che permette di effettuare acquisti a prezzi ridotti, in linea con la ricerca di un vantaggio basato sui costi, o ancora può essere un’arma strategica in una concorrenza basata sulla differenziazione in quanto indicatore di qualità e affidabilità di un’azienda.

Una buona reputazione facilita anche l’ingresso in nuovi mercati o l’avvio di nuove attività sulla base di un vero e proprio “trasferimento” della reputazione da un mercato ad un altro. In definitiva il valore dell’immagine aziendale assume valore strategico quando viene utilizzata come un vero e proprio strumento per competere con i rivali.

34 I. Šmaižiené, op. cit. pp. 722

(25)

21

La reputazione, inoltre, rappresenta uno strumento con cui misurare “la forza delle relazioni” interne ed esterne di un’impresa35:

Forza che deriva dalle esperienze dirette e mediate:

✓ Percezione dei prodotti immessi sul mercato e delle azioni dell’impresa; percezione che può sia essere diretta che indiretta poiché oggetto di resoconto o di passaparola all’interno del sistema di relazioni che ogni stakeholder può avere (parenti, amici, opinion leader, media).

Forza che si esercita nei sentimenti:

✓ Fiducia intesa come legittima aspettativa sulle qualità delle performance erogate, tale da ingenerare nel consumatore un significativo coinvolgimento emotivo che si traduce in simpatia o ammirazione.

Forza che si manifesta nella reiterazione di comportamenti di supporto: ✓ Fedeltà, cioè intenzione di rimanere legato all’azienda;

✓ Cooperazione, ovvero la manifestazione di volontà di collaborare, tutelare o difendere l’operato della dell’organizzazione.

1.2.4 Chi è responsabile per la reputazione aziendale?36

Leslie Gaines-Ross ha

effettuato per diversi anni delle ricerche per rispondere

ad una domanda ben

precisa: “chi detiene la

responsabilità della

reputazione aziendale in tutta la sua complessità e

35 http://www.theinnovationgroup.it, Rudi-Floreani, 2012, IL RISCHIO REPUTAZIONALE, pp.4 36 Leslie Gaines-Ross, Who Is Responsible for Corporate Reputation?, 2015,

http://insights.ethisphere.com

CEO

Clienti

Dipendenti

CCO

Figura 2. Responsabili della reputazione aziendale

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con tutte le relative conseguenze?”. In risposta al quesito sono state individuate quattro categorie di soggetti, ognuna più o meno responsabile della “corporate

reputation”.

1. Chief Executive Officer:

La reputazione del CEO di un’azienda è indissolubilmente legata con quella della compagnia e col suo valore. Gli studi condotti dall’autrice dell’articolo cui si fa riferimento hanno portato a stimare che la reputazione di un CEO contribuisce quasi per il 50% a quella complessiva di una compagnia, la quale rappresenta circa il 60% del valore di mercato di un’azienda. Il carattere di un amministratore delegato, la sua condotta etica, la credibilità, i dirigenti da lui scelti, svolgono un ruolo cardine nella reputazione di un’azienda. Proprio per quanto detto sopra, la maggior parte delle volte in cui la reputazione di una compagnia cade a picco l’AD è considerato il principale responsabile e, quindi, viene sostituito. Questo però non significa che un CEO abbia la totale influenza sulla reputazione di una azienda. Esistono infatti altri tre attori che possono incidere sulla corporate reputation: innanzitutto i clienti e i dipendenti della società, che possono rappresentare dei veri e propri attori indipendenti con proprie esigenze e richieste; il compito del CEO sarà proprio quello di cercare di rispondere a tali richieste. Infine c’è il Chief Commercial Officer, che svolge un ruolo di importanza critica nella formazione della reputazione, ma non è certamente il maggiore responsabile di quest’ultima.

2. Il cliente:

È chiaro che il consumatore deve costituire la linfa vitale di una compagnia, la sua ragione d’essere, ed è altrettanto chiaro che senza il cliente la reputazione aziendale perde di significato. I grossi cambiamenti causati dall’avvento di internet e dal fenomeno della globalizzazione hanno portato ad una situazione in cui i clienti non acquistano prodotti o servizi solo in base alla qualità o al prezzo, ma anche in base alla reputazione delle aziende;

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23

molto spesso l’etica di una compagnia è il primo parametro che si valuta nelle scelte di acquisto. Ecco che nel nostro contesto i consumatori oggi assumono un ruolo di responsabilità, in quanto posseggono il potere di boicottare, di distruggere la reputazione di un’azienda; un potere che grazie all’internet oggi è senza confini di tempo né di spazio.

3. Gli impiegati:

Come i consumatori, i dipendenti possono influenzare la reputazione dell’azienda per cui lavorano condividendo (spesso attraverso i social) informazioni, malesseri o disappunti sul luogo di lavoro, sulle condizioni, o ancora sui soggetti interni all’organizzazione.

4. Il CCO:

Il Chief Communications Officer è responsabile della costruzione e del mantenimento dei rapporti con i principali sostenitori di un’azienda; in quanto tale deve sempre considerare le richieste di questi ultimi, siano essi interni o esterni all’azienda, in quanto ignorandole si rischia di causare gravi danni alla reputazione.

1.3 Il rischio di reputazione

Abbiamo definito i rischi reputazionali come quelli legati alla possibilità che si verifichi un danno di immagine per una azienda. In realtà possiamo affermare che questi non esistano in quanto tali, ma sono dei rischi “derivati”, poiché sorgono come conseguenza del manifestarsi di altre tipologie di rischio, come quello di compliance, di reporting o operativo. A causa di questa loro natura derivata, i rischi reputazionali non sono stati considerati come una categoria a sé stante; ad esempio nel modello di ERM (Enterprise Risk Management) vengono solamente citati, e questo avviene anche all’interno del Basilea 2. Possiamo dunque affermare che manca una chiara e univoca definizione del rischio di reputazione, così come non esiste un accordo comune su come misurare la suddetta tipologia di rischio e

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24

proprio a causa di queste mancanze spesso le aziende si trovano in difficoltà nel gestirlo37.

In generale il rischio reputazionale può essere descritto come38:

✓ Un rischio di primaria importanza, potendo determinare l’espulsione dell'impresa dall’arena competitiva (delegittimazione da parte degli stakeholder, consumatori o clienti);

✓ Un rischio di secondo ordine, nelle fattispecie nelle quali si manifesta come outcome di preliminari eventi sfavorevoli riconducibili a rischi appartenenti ad altre categorie (rischio operativo, legale, di compliance o strategico); ✓ Un rischio non (completamente) controllabile, poiché il suo insorgere è

intimamente connesso a fattori esterni ed indipendenti rispetto all’operato dell'impresa (andamento del mercato in generale, crisi reputazionale di settore etc.).

1.3.1 Il rischio reputazionale quale logica di organizzazione39

Quello della reputazione è un tema che è stato lungamente trattato nell’ambito degli studi organizzativi, dell’analisi economica e della filosofia morale. Gli attori sociali ed economici si affidano a proxy della qualità per ottenere garanzie circa la probabile evoluzione futura di persone, prodotti e organizzazioni. Come la fiducia, la reputazione è un concetto relazionale complesso, output delle percezioni degli attori sociali. Queste possono coincidere con la realtà o viceversa non esserne allineate, tuttavia costituiscono dei fatti sociali che generano azioni e reazioni. Fin dalla metà degli anni '90 la “reputation management” è al centro di numerose monografie ed ha assunto così tanta rilevanza che la rivista Corporate Reputation Review fornisce dei foci dedicati, in aggiunta alle riviste di management, che

37 Robert G. Eccles, Scott C. Newquist, and Roland Schatz Reputation and Its Risks, 2007, pp.2 38 http://www.theinnovationgroup.it, Rudi-Floreani, 2012, IL RISCHIO REPUTAZIONALE, pp.3

39 Michael Power, Tobias Scheytt, Kim Soin and Kerstin Sahlin, Reputational Risk as a Logic of Organizing

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25

illustrano la situazione presente e cercano di prevedere i modi in cui le organizzazioni si rapportano a questo prezioso asset che è la reputazione.

Lo studio di Fombrun e Shanley del 1990 sulle strategie adottate dalle aziende identifica l’immagine come una risorsa strategica critica e, proprio per questo, rappresenta una sfida sia per coloro che dovranno gestirla sia per chi si occupa del suo studio.

Il disastro di Bhopal40 e la fuoriuscita di greggio dalla Exxon Valdez41 misero in

evidenza, in modi molto diversi, problemi di potere e di negligenza aziendale; le società coinvolte subirono notevoli danni reputazionali, nonché ingenti perdite finanziarie. Solo successivamente, con il caso di Shell (1995), ci si rese conto dell’importanza di considerare le questioni di responsabilità sociale nelle scelte organizzative. Quanto accaduto è ben noto: dopo lunghe valutazioni, la multinazionale olandese operante nel settore petrolifero, nell’energia e nella petrolchimica, decise di smantellare l’ormai obsoleta Brent Spar42 al largo delle

coste scozzesi, ritenendo che una demolizione a terra sarebbe stata molto più costosa e tecnicamente più complessa. L’errore che commise la compagnia fu quello di subordinare la questione sociale ad una scelta di tipo puramente tecnico; ne conseguirono forti proteste, guidate da Greenpeace, boicottaggi dei prodotti Shell e dei punti vendita e, di riflesso, perdite finanziare e pubblicità negativa. In risposta a questa esperienza l'azienda ha intrapreso un programma di riorganizzazione interna e, da quel momento in poi, il tema del rischio

40 Il 3 dicembre 1984 nella città indiana di Bhopal vi fu una fuoriuscita di 40 tonnellate di isocianato di

metile (MIC) dallo stabilimento della Union Carbide India Limited (UCIL), consociata della multinazionale statunitense Union Carbide specializzata nella produzione di fitofarmaci; la nube formatasi uccise in poco tempo 2.259 persone e ne avvelenò decine di migliaia.

41 Il 23 marzo del 1989 la petroliera lasciò il terminal di Valdez in direzione sud, attraversando lo stretto

di Prince William carica di petrolio. Per una serie di equivoci nella linea di comando vi fu un cambio di rotta effettuato troppo lentamente e la nave urtò contro una scogliera, disperdendo nell'ambiente circa 42.000 m³ di greggio e inquinando 1.900 km di coste. Migliaia di animali perirono a causa della

fuoriuscita, la stima fu di 250.000 uccelli marini, 2.800 lontre, 300 foche, 250 aquile di mare testabianca, 22 orche e miliardi di uova di salmone e aringa. I danni ambientali che ne conseguirono costrinsero il governo degli Stati Uniti a rivedere i requisiti di sicurezza delle petroliere e ad assegnare i costi delle operazioni di pulizia della costa alle compagnie petrolifere.

42 a Brent Spar, o Brent E, era una piattaforma di stoccaggio galleggiante di tipo spar operata dalla Royal

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26

reputazionale ha cominciato ad assumere un ruolo più esplicito nell’area del risk management. L'evento Shell ha dato origine all'idea che gli stakeholder costituiscano fonti di rischio da gestire. Gli studiosi hanno analizzato la crescita dell’importanza della responsabilità sociale delle organizzazioni e i più recenti testi sulla reputazione assumono come imperativo la comunicazione con questi gruppi. Oggi le organizzazioni operano in ambienti istituzionali in cui è richiesta maggiore trasparenza dai media, dagli organi di regolamentazione, dai gruppi di attivisti e così via; per questo ci si aspetta che le aziende investano più tempo e più risorse nel soddisfare i diversi gruppi di soggetti che hanno la capacità di amplificare o attenuare i problemi legati all’immagine.

Il termine «rischio reputativo» è entrato in modo pervasivo nella letteratura e nella pratica solo in tempi relativamente recenti. Non esiste probabilmente alcuna origine dell'uso del termine, ma una fonte importante è il dibattito sul rischio operativo del Basilea 2. La normativa bancaria ha escluso il rischio di reputazione della definizione formale del "rischio operativo", ma, in tal modo, ha contribuito a istituzionalizzare la categoria e la sua sempre più evidente rilevanza all'interno di organizzazioni di ogni tipo; questa deve essere considerata complementare a tutti gli altri principali rischi quali i rischi operativi, strategici e finanziari.

Per avere una maggiore comprensione di ciò che è il “reputation risk” possiamo rifarci alla letteratura e alle tante definizioni che sono state date. Secondo una prima, il rischio reputazionale è da considerarsi come la possibilità o il pericolo di perdere la propria reputazione e questa perdita avrà effetti sulla competitività, sul posizionamento nel mercato, sulla fiducia e sulla fedeltà degli stakeholder, e

sulle relazioni con i media43. L’Enterprise Risk Management Academy44 elenca

una serie di definizioni:

• “Il rischio di reputazione è l'impatto attuale e prospettico sugli utili e sul

capitale derivanti dall'opinione pubblica negativa. Ciò influisce sulla

43 P. Aula, Social media, reputation risk and ambient publicity management, 2010 44 A. ALIJOYO, Reputation Risk Series, 2009, www.erm-academy.org

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capacità dell'organizzazione di stabilire nuovi rapporti o servizi o continuare a servire le relazioni esistenti. Questo rischio può esporre l'organizzazione a contenziosi, perdite finanziaria o a declino della propria base di clienti. L'esposizione al rischio di reputazione è presente in tutta l'organizzazione e include la responsabilità di esercitare cautela nell'affrontare i propri clienti e la comunità”.

• “Il rischio di reputazione è l'impatto delle pressioni di terzi e l'influenza

sull'ambiente in cui un'azienda opera. Questi sono i limiti imposti dall'esterno alla capacità di un'organizzazione di operare in una particolare giurisdizione o ambiente regolamentare”.

• “Il rischio di reputazione è il rischio che un problema di reputazione latente

diventi un problema di reputazione reale”.

• “Il rischio di reputazione è il rischio che la pubblicità negativa in relazione

alle pratiche commerciali di un'organizzazione comporti una perdita di entrate o contenziosi”.

• “Il rischio di reputazione può essere definito come il rischio corrente o

prospettico per i guadagni derivanti dalla percezione avversa dell'immagine della società da parte di clienti, controparti, azionisti o regolatori”.

Il rischio di reputazione quindi potrebbe essere collegato ad una perdita in termini di utili e capitale (rischio finanziario), a pressioni da e sull’ambiente competitivo (rischio di mercato), a una mancata trasparenza (rischio legale), a un’incapacità di affrontare in tempo dei potenziali conflitti (rischio operativo). In generale possiamo affermare che il rischio di reputazione è qualsiasi rischio che può danneggiare la stima di un’organizzazione agli occhi di terzi.

Il rischio di reputazione può portare non solo a potenziali perdite, ma anche a possibili opportunità di profitto. Questo perché si tratta di un rischio speculativo e non di tipo puro. La sua gestione può essere quindi vista come una vera e propria opportunità. Rafforzare la reputazione di un’azienda può avere un grosso impatto positivo sulla competizione con i concorrenti, ed è possibile farlo seguendo strade

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28

che generino rispetto e fiducia nei propri confronti, affidabilità e credibilità. Oggi assistiamo ad una crescente importanza della dimensione della reputazione; le aziende pongono spesso e volentieri al centro delle loro “mission” il perseguimento di obiettivi in grado di consolidare la loro immagine e di farle apparire agli occhi della società come responsabili. Vi sono compagnie che si schierano in prima linea nella lotta al riscaldamento globale, altre contribuiscono allo sviluppo del terzo mondo, altre ancora fanno del loro rispetto per il mondo animale o in generale per l’ambiente delle caratteristiche distintive rispetto ai competitors.

È interessante guardare a due indagini effettuate dalla multinazionale britannica Aon, uno dei principali operatori a livello mondiale nell'offerta di servizi di consulenza nei settori del risk management. La prima45 è stata fatta nel 2007 ed è

stata sottoposta a 320 organizzazioni situate in 29 paesi differenti. Da questa emerse che il rischio più temuto era proprio quello di danno alla reputazione e che la maggior parte degli intervistati si erano dichiarati non pronti ad affrontarlo. In merito a questo il direttore generale di Aon Global Risk Consulting, Ruth Joplin, sostenne che fosse molto preoccupante la poca preparazione segnalata per questa tipologia di rischio: “Executives now see reputation as a major source of

competitive advantage. […] While intangible, reputation is one of the most important corporate assets and one of the hardest to protect. […] The lack of preparedness reported for this and other key risks is both surprising and somewhat worrying.”

Dalla seconda indagine46, condotta intervistando 551 aziende in 40 paesi del mondo, erano emersi dei risultati leggermente differenti rispetto a quella precedente. Al primo posto dei dieci rischi più temuti si era piazzato quello relativo al rallentamento economico, mentre il danno alla reputazione era sceso al sesto posto; tuttavia Aon aveva rimarcato il fatto che “l’importanza di questa minaccia non è affatto diminuita. I rischi alla reputazione incidono sulla percezione pubblica

45 http://aon.mediaroom.com, 2007 46 http://aon.mediaroom.com, 2009

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della qualità, integrità e obiettivi di un’azienda, influenzano le decisioni di un partner o cliente nel creare rapporti di business con una società e potrebbero colpire le decisioni del Governo o del legislatore.” In generale comunque la maggior parte delle aziende aveva migliorato la propria preparazione ai rischi rispetto al 2007.

Oggi, osservando l’indagine del 201747 ci accorgiamo che la situazione è rimasta

simile a quelle del 2009, ma in alcuni settori il danno alla reputazione risulta essere ancora il rischio che desta maggiori preoccupazioni; tra questi: “banks”, “beverages”, “food Processing and Distribution”, “non profits” e “telecommunications and broadcasting”.

Per quanto detto in merito al rischio reputazionale possiamo concludere dicendo che si tratta di un rischio legato ad eventi che possono avere come output del loro accadimento effetti positivi o negativi sulla percezione dell’immagine di un’organizzazione, con tutto quello che ne consegue. Non rappresenta una categoria di rischi autonoma, ma deriva dal manifestarsi di altri. La difficoltà di farne una categoria autonoma non nasce dalla minore rilevanza di questa rispetto alle altre tipologie di rischio, ma dai problemi legati alla sua misurazione. Un danno di tipo reputazionale può, in prima analisi, misurarsi in termini monetari in quanto può per esempio comportare una riduzione del reddito a causa della perdita di clienti, o ancora può impattare sul valore di mercato aziendale; può consistere soltanto in una sanzione pecuniaria derivante da una deviazione, intenzionale o no, da norme di legge e regolamenti. Tuttavia è difficile valutare le conseguenze che un danno alla reputazione può comportare complessivamente, in quanto può avere dei riflessi nel lungo periodo che non è possibile quantificare in termini monetari.

1.4 I fattori che possono determinare un danno alla reputazione

Come abbiamo detto precedentemente quella dei rischi reputazionali non rappresenta una categoria autonoma e indipendente, ma è riconducibile ad altre tipologie di rischio quali quello strategico, operativo, di reporting o di compliance;

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fattori legati ad eventi che possono portare ad uno sgretolamento dell’immagine di un’azienda. Già questi, quindi, costituiscono delle possibili determinanti causali di un danno alla reputazione. In letteratura però si riscontrano altri elementi che certamente possono avere un impatto negativo su quello che rappresenta un’organizzazione agli occhi di soggetti interni ed esterni.

Anzitutto facciamo riferimento all’articolo scritto nel 2007 da Robert G. Eccles, Scott C. Newquist, e Roland Schatz “Reputation and Its Risks”48. Gli autori

sottolineano l’importanza che nei nostri tempi ha il tema della reputazione per poi individuare tre elementi specifici che espongono le aziende ad un possibile danno; infine suggeriscono dei modi per gestire proprio questi fattori. “Executives know

the importance of their companies’reputations. Firms with strong positive reputations attract better people. They are perceived as providing more value, which often allows them to charge a premium. Their customers are more loyal and buy broader ranges of products and services. Because the market believes that such companies will deliver sustained earnings and future growth, they have higher price-earnings multiples and market values and lower costs of capital. Moreover, in an economy where 70% to 80% of market value comes from hard-to-assess intangible assets such as brand equity, intellectual capital, and goodwill, organizations are especially vulnerable to anything that damages their reputations.”

• Differenza fra realtà e reputazione

Gestire efficacemente il rischio reputazionale significa prendere atto che l’immagine è una questione di percezione. La reputazione complessiva di un’azienda è funzione della percezione che le diverse parti interessate, come investitori, consumatori, fornitori, lavoratori ecc., hanno di alcuni elementi specifici quali la qualità del prodotto, il servizio al cliente, il capitale intellettuale, o ancora la politica in merito alle questioni ambientali e sociali. È chiaro che se tutti questi fattori risponderanno in maniera

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coerente alle richieste dei diversi stakeholder, l’azienda potrà probabilmente vantare una buona reputazione. È importante però che l’immagine di un’organizzazione rispecchi la realtà dei fatti; in caso contrario si andrà incontro ad un grosso rischio in quanto, probabilmente, prima o poi la realtà sarà rivelata e la reputazione ne risentirà pesantemente. Gli autori dell’articolo cui si fa riferimento riportano degli esempi esplicativi di quanto detto sinora: il gigante americano Beyond Petroleum, operante nel settore energetico, a cavallo tra il 90 e il 2000 investì ingenti risorse in campagne pubblicitarie che lo ritraevano come una società responsabile e attenta all’ambiente, e portò avanti iniziative volte a rafforzare la loro presenza nel campo delle energie alternative. Successivamente però due disastri hanno colpito l’azienda e la sua reputazione, che ha cominciato a sgretolarsi; questi eventi hanno di fatto ridotto e colmato il gap tra l’immagine e la realtà. Nel 2005 un grosso incendio si propagò in una raffineria in Texas, seguito da un’esplosione; nell’incidente morirono quindici persone e tante altre rimasero ferite. Circa un anno dopo, nel 2006, ci furono delle perdite di petrolio da un tubo corroso in Alaska che costrinsero l’azienda a sospendere l’attività. La compagnia cercò di allontanare qualsiasi tipo di responsabilità per quanto accaduto, ma delle indagini federali portarono alla luce le vere cause, cioè una manutenzione inadeguata, un importante taglio dei costi e attività di ispezione svolte in maniera superficiale. Tutto ciò ha avuto un tremendo impatto negativo sulla reputazione della BP.

Per colmare questo gap si possono seguire due strade alternative: o si migliora la capacità di soddisfare le aspettative create, oppure queste ultime devono essere abbassate fino a rispecchiare quella che è la realtà. In merito all’importanza e all’attenzione che le aziende dovrebbero porre su questo tema gli autori sottolineano che “the reason executives should bother–

through redoubled efforts to improve reporting and communications–is that their fiduciary obligation to close such reputation-reality gaps is as great

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as their obligation to improve real performance. Both things drive value creation for shareholders.”

• Cambiamenti nelle credenze e nell’ambiente esterno

Le mutevoli aspettative degli stakeholder rappresentano un altro fattore di rischio; quando l’ambiente esterno cambia, e con esso gli interessi dei diversi soggetti interessati, e le aziende non si allineano repentinamente a tali trasformazioni aumenta il divario tra reputazione e realtà e di conseguenza cresce il rischio. Quando per esempio la società britannica operante nel settore farmaceutico GlaxoSmithKline promosse lo sviluppo di farmaci antiretrovirali per combattere l’AIDS tramite ingenti investimenti destinati alla ricerca, la sua reputazione ne giovò molto e gli azionisti ne rimasero compiaciuti. Questi ultimi inoltre restarono dalla parte della GSK quando decise di guidare un gruppo di aziende farmaceutiche al fine di incriminare il governo sudafricano, che nel 1997 aveva approvato una legge che autorizzava l’importazione di versioni generiche (e meno costose) dei farmaci antivirali coperti da brevetto GSK. Tuttavia nel 2001 gli stessi shareholder che pochi anni prima avevano appoggiato le azioni della GSK in Sudafrica cambiarono totalmente idea, in risposta ad alcune intense campagne portate avanti da delle ONG che fecero apparire GSK e le altre compagnie come avare e immorali. Dopo questo duro colpo alla reputazione il colosso britannico decise di concedere ad una società sudafricana una licenza gratuita per la produzione di versioni generiche del suo farmaco, ma ormai l’immagine della azienda era fortemente compromessa. Una modifica del comportamento o delle politiche di una società leader di un settore può far sì che le aspettative degli stakeholder mutino e questo può mettere in pericolo la reputazione di quelle aziende che restano ancorate a vecchi standard di comportamento; ne è stato un esempio l’iniziativa lanciata nel 2005 da General Electric “ecoimagination”, con la quale si impegnò a raddoppiare gli investimenti in ricerca e sviluppo di tecnologie più “pulite”, a ridurre le proprie emissioni di gas serra e a incentivare la vendita di quei prodotti e servizi che avrebbero impattato positivamente sull’ambiente.

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Chiaramente tutto ciò ha spinto l’asticella delle aspettative degli stakeholder molto in alto e di riflesso ha pregiudicato la reputazione di tutte quelle aziende operanti nel settore che non hanno seguito la strada delineata dalla General Electric.

• Debole coordinamento interno

Un'altra importante fonte di rischio reputazionale è il cattivo coordinamento delle decisioni prese da diverse unità e funzioni aziendali. Se un gruppo crea aspettative che un altro gruppo non riesce a soddisfare, vi possono essere delle conseguenze negative che impattano sulla reputazione dell’azienda. Un esempio classico è il reparto marketing di una società di software che lancia una grande campagna pubblicitaria per un nuovo prodotto comunicando la data di uscita prima che gli sviluppatori abbiano identificato ed eliminato tutti i bug; l'azienda sarà costretta a scegliere tra la vendita di un prodotto non ancora del tutto completo e la sua introduzione nel mercato ad una data successiva a quella comunicata. Un cattivo coordinamento interno interferisce anche con la capacità di un'azienda di identificare le credenze e le aspettative mutevoli delle diverse parti interessate; in quasi tutte le organizzazioni ben gestite, i singoli gruppi funzionali cercano attivamente di comprendere e gestire le loro attese: “Investor Relations (with varying degrees of input from the CFO and the CEO)

attempts to ascertain and influence the expectations of analysts and investors; Marketing surveys customers; Advertising buys ads that shape expectations; HR surveys employees; Corporate Communications monitors the media and conveys the company’s messages; Corporate Social Responsibility engages with NGOs; and Corporate Affairs monitors new and pending laws and regulations.” Queste sono tutte attività importanti per gestire il rischio

reputazionale. Spesso però accade nelle aziende che le unità citate precedentemente non coordinano le loro azioni, e non condividono le informazioni raccolte, e questo avviene perché il CEO non assegna la responsabilità di questi compiti ad uno specifico soggetto. Quando nel 2005 fu chiesto dall'Economist Intelligence Unit a 269 dirigenti chi nelle loro aziende

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fosse il responsabile per la gestione del rischio di reputazione, l'84% rispose "l'amministratore delegato". Ciò significa che nessuno controlla veramente il processo di coordinamento. Sì, l'amministratore delegato è la persona che fondamentalmente è responsabile di questo tipo di rischio in quanto in ultima analisi è responsabile di tutto. Ma il fatto è che non ha effettivamente il tempo di gestire il processo di coordinamento di tutte le attività che possono influenzare il rischio di reputazione.

• Media

Un altro fattore che può contribuire a danneggiare l’immagine delle società sono i media. Un evento che coinvolge una compagnia come un incidente ambientale o una violazione di un codice di condotta può attirare l’attenzione dei media e in poco tempo la notizia sarà divulgata in tutto il mondo; i canali di informazione amplificano la risonanza di un fatto, valicando i confini territoriali e impattando gravosamente sulla reputazione. Ne consegue che le organizzazioni devono prestare molta attenzione ai rapporti che hanno con i media e non devono sottovalutare il potere che questi possono avere. Negli ultimi anni l’avvento di Internet e dei cosiddetti “social media” ha cambiato radicalmente lo scenario e quindi il modo in cui le aziende si devono rapportare a questi nuovi sistemi, che non sostituiscono quelli tradizionali ma li integrano

e completano49. È importante comprendere come il social web contribuisce ad

accrescere o danneggiare la reputazione di un’azienda. I web media consentono un aumento dei flussi di informazione "gratuiti" non filtrati da scrittori professionali. La trasparenza e la responsabilità sono necessari per operare in modo efficace in un ambiente in cui le persone svolgono un ruolo attivo nello scambio di informazioni on-line, sono apertamente scettiche e altamente esigenti. La velocità con cui questi cambiamenti influiscono direttamente sulla comunicazione di marketing è impressionante e richiede una ridefinizione delle regole per la gestione della reputazione. Il modo in cui una società è percepita

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