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La ketamina (fig. 18) è un farmaco appartenente alla classe delle arilcicloesilammine. Deriva dalla Fenciclidina (PCP) ed è stata inserita dalla World Health Organization nella “Essential Drug List”, elenco di farmaci sicuri, efficaci e indispensabili ad un ospedale, grazie al proprio peculiare potere anestetico. Essa infatti induce meno depressione respiratoria rispetto ai classici anestetici; questo le conferisce una maggior maneggevolezza in casi in cui non si disponga di affidabili apparecchiature di ventilazione. Presenta inoltre, come vantaggio rispetto ai tradizionali anestetici, la via di somministrazione: può infatti essere assunta per via orale, intramuscolare ed endovenosa. Conferisce poi un’anestesia che non addormenta totalmente ma che implica un aumento delle secrezioni: è quindi auspicabile l’utilizzo in combinazione con atropina o altri farmaci in grado di bloccare la secrezione salivare, che potrebbe fare soffocare il paziente.

Trova ad oggi molto più uso in ambito veterinario piuttosto che umano; sull’uomo viene utilizzata in casi peculiari, a causa degli effetti indesiderati: ha come svantaggio il fatto di creare allucinazioni e stimolare l’attività onirica e per questo, laddove non sia inevitabile, non è un farmaco di prima scelta.

Risulta inoltre urotossica e in caso di uso cronico può portare alla manifestazione delle lesioni di Onley, danni neuronali indotti da antagonisti competitivi dei recettori NMDA

(seppur sia stato dimostrato che quando combinata a GABA-ergici

[benzodiazepine/barbiturici] (Auer et al., 1996) e anticolinergici [atropina], come spesso avviene in anestesia, queste lesioni sono prevenute).

Infine, da non sottovalutare, presenta un potenziale d’abuso abbastanza marcato, da cui il suo largo utilizzo come droga ricreativa.

Ultimamente sta trovando un impiego come antidepressivo, in casi di depressione grave e/o resistente alle classiche terapie.

Meccanismo farmacologico, effetti e applicazioni terapeutiche

Gli effetti anestetici/dissociativi sono da ricondurre al suo ruolo di antagonista non selettivo ad alta affinità dei recettori ionotropici NMDA del glutammato (il cui ligando esogeno principale è l’N-Metil-D-Aspartato), dove si lega al sito PCP.

Da uno studio condotto su modello murino (Zanos et al., 2016), si ipotizza che l’effetto antidepressivo sia invece dovuto in primis all’attivazione di un altro recettore del

42 glutammato, il recettore AMPA, ad opera di un suo metabolita, la idrossinorketamina, che nello studio ha mostrato i medesimi effetti antidepressivi senza gli effetti collaterali generalmente associati a un trattamento terapeutico con ketamina. La stimolazione del recettore AMPA porta ad un aumentato rilascio del BDNF (brain-derived neurotrophic factor = fattore neurotrofico cerebrale) e ad una stimolazione del mTOR (mammalian target of rapamycin) (Jourdi et al. 2009; Koike et al., 2011; Zhou et al. 2014): la proteina BDNF agisce su certi neuroni, supportandone la sopravvivenza e stimolando la crescita e la differenziazione di nuovi, nonché di nuove sinapsi (Acheson et al., 1995), mentre mTOR è una protein-chinasi che fosforila residui di serina e treonina e che regola l’inizio della traduzione delle proteine: è infatti abbondantemente espressa durante lo sviluppo dendritico che controlla la sintesi proteica (Duman et al., 2012). È comprovato come riduzioni dell’espressione di BDNF e mTOR siano coinvolte nella fisiopatologia della depressione (Bocchio-Chiavetto et al., 2010; Duman et al., 2016; Jernigan et al., 2011). È stato evidenziato, tramite il FST (Porsolt Forced Swimming Test), come NBQS, antagonista del recettore AMPA, blocchi gli effetti antidepressivi della ketamina (Botanas et al. 2017), così come anche dell’analogo metossietamina.

La ketamina può aumentare, a livello dell’ippocampo, l’espressione di geni correlati al glutammato e al trasporto della serotonina, e promuovere l’espressione del mRNA che codifica per alcune subunità di AMPA, come GLUa1 e GLUa2, per BDNF e per mTOR (Koike et al., 2011; Maeng et al., 2008; Zanos et al., 2016; Zhou et al., 2014).

Tutte queste osservazioni messe insieme non possono che far propendere per il fatto che gli effetti antidepressivi di queste arilcicloesilammine siano strettamente correlati con le interazioni che esse vengono ad avere con il sistema glutamminergico.

Inoltre, l’affinità di queste molecole per il trasportatore della serotonina, che bloccano, è corresponsabile di questo effetto antidepressivo: inibiscono infatti la ricaptazione del neurotrasmettitore (come i classici SSRI), con conseguente aumento delle concentrazioni di serotonina nel cervello (Fuchigami et al., 2015; Hondebrink et al., 2017, Roth et al., 2013). La ketamina ha mostrato una rapida comparsa e una lunga durata degli effetti; questo ha fatto sì che si sia iniziato ad utilizzarla in forma di infusione IV o come spray nasale, utilizzato in cliniche certificate sotto stretto controllo (esketamina ovvero l’enantiomero (S) della ketamina) come terapia antidepressiva, in casi di depressione grave e resistente ai farmaci. Le terapie antidepressive convenzionali richiedono tempi abbastanza lunghi prima della comparsa degli effetti; non è inoltre semplice selezionare subito il giusto farmaco per

43 il paziente, in quanto spesso la risposta ad una terapia con un farmaco di questa classe non dà gli effetti sperati, e individuare il farmaco/la combinazione di farmaci adeguata richiede tempo e vari tentativi, che possono durare anche vari mesi, senza giovamento alcuno. Inoltre, spesso, prima della comparsa degli effetti terapeutici, questi farmaci possono aggravare temporaneamente la condizione di sofferenza del paziente: in una malattia psicologicamente insidiosa e invalidante come la depressione tutti questi svantaggi possono essere controproducenti e a volte invalidanti la terapia, dato che il paziente, non traendone beneficio, l’abbandona.

METOSSIETAMINA

Metossietamina come NPS

Il 2-(3-metossifenil) -2-(etilammino)cicloesanone (3-MeO-2-Oxo-PCE), comunemente noto come metossietamina o MXE (fig. 18), è un derivato della ketamina appartenente, come essa, alla classe dei dissociativi.

In particolare, in posizione 2, il gruppo N-metilico della ketamina (fig.1) è stato sostituito ad un gruppo N-etilico (fig.2): ciò conduce ad un drastico aumento di potenza e di durata, nonché dell’affinità del dissociativo per i recettori μ-oppioidi.

In posizione 3’, sull’anello aromatico, è stato inserito un gruppo metossilico, rimuovendo l’atomo di cloro presente in posizione 2’ nella ketamina: questo porta ad una diminuzione del potere analgesico ed anestetico, ma molto probabilmente ad un notevole accrescimento dell’emivita.

Figura 18 Struttura chimica di ketamina e metossietamina a confronto

44 Si tratta di una molecola scoperta e sintetizzata da un chimico clandestino che era il primo diretto interessato a dover trarne beneficio. Egli soffriva della sindrome dell’arto fantasma, sviluppata in seguito ad un’amputazione; avendo nel tempo provato ogni genere di farmaco prescrittogli per trattare il problema, con scarsi risultati, si era poi reso conto che la ketamina che gli era stata somministrata in cliniche per il trattamento del dolore era l’unica sostanza a portargli un reale beneficio. Così progettò a tavolino quello che potesse essere, dal suo punto di vista, il dissociativo ideale, appunto la metossietamina.

Nel giro di poco tempo questa sostanza ha riscosso un successo enorme da parte del pubblico psiconautico, che l’ha portata in cima ai “menù” offerti da parecchi venditori, fino a quando non è stata vietata, scomparendo, e cedendo il posto ad altri suoi analoghi.

Oltre all’effetto dissociativo essa ha infatti mostrato un’attivazione dose-dipendente della neurotrasmissione dopaminergica nei circuiti mesolimbici di ricompensa, causa della possibile propensione all’abuso che ne scaturisce. La MXE aumenta il tasso di scarica dei neuroni dopaminergici che dall’area tegumentale ventrale proiettano al nucleus accumbens (Mutti et al., 2016), causando un aumento extracellulare di dopamina. È noto che gli effetti di gratificazione e di rinforzo delle droghe più abusate siano attribuibili alla loro capacità di stimolare la neurotrasmissione dopaminergica nei circuiti di gratificazione del cervello (Adinoff, 2004). Ciò ovviamente si traduce in un punto a sfavore nella sua valutazione in terapia.

Meccanismo farmacologico

Data la ben maggiore potenza della metossietamina rispetto alla ketamina, è stato visto come nei ratti, utilizzando test farmacologici utili a identificare effetti analgesici come il “Tail- Flick” e la “Hot Plate”, 5 mg/Kg siano sufficienti a ottenere una risposta antinocicettiva (Zanda et al., 2017). Questa è una dose piuttosto contenuta rispetto ai 25mg/Kg (per quanto riguarda il test “Hot Plate”) e soprattutto ai 50-160 mg/Kg (per quanto riguarda il test di “Tail-Flick”) necessari per causare la stessa risposta analgesica con la ketamina (Baumeister e Advokat, 1991; Shikanai et al., 2014), sia a dosi sub-anestetiche (Getova e Doncheva, 2011; Huang et al., 2005) che anestetiche (Baumeister e Advokat, 1991; Shikanai et al., 2014).

Oltretutto la metossietamina ha dimostrato di comportare un aumento della soglia di percezione del dolore nei topi in maniera maggiore rispetto alla ketamina, sia dal punto di

45 vista meccanico (Tail Pinch Test), che dal punto di vista termico (Tail Withdrawal Test) (Ossato et al., 2018). Queste osservazioni suggeriscono un potenziale uso della metossietamina come potente farmaco analgesico.

Si distingue poi per aver mostrato una certa affinità per i recettori σ1 e σ2, un tempo classificati come recettori oppioidi, ormai riclassificati come una famiglia recettoriale a sé stante, ma comunque implicati nell’azione antalgica. La ketamina infatti non ha, a differenza di metossietamina ed altri analoghi come il PCP e i suoi derivati, questa affinità recettoriale; nonostante questo tipo di agonismo contribuisca all’effetto anestetico, non ne è granché determinante, non essendo condiviso da tutti questi dissociativi (Roth et al., 2013).

In più, rispetto alla ketamina, la metossietamina ha un’apprezzabile affinità per il trasportatore della serotonina SERT (che contribuisce all’effetto antidepressivo), nonché per quello della dopamina DAT e, in misura minore, per quello della noradrenalina NET. Oltre a ciò aumenta la concentrazione di serotonina e dopamina nella corteccia prefrontale. Come accennato precedentemente, porta anche ad una stimolazione delle vie della gratificazione dopaminergiche, sia inibendo la ricaptazione del neurotrasmettitore, che stimolando i recettori D2. (Coppola e Mondola, 2012)

A livello dell’ippocampo, come già visto per la ketamina, può aumentare l’espressione di geni correlati al glutammato e al trasporto della serotonina, promuove l’espressione del mRNA codificante per le subunità del recettore AMPA GLUa1 e GLUa2, per BDNF, e per mTOR (Koike et al., 2011; Maeng et al., 2008; Zanos et al., 2016; Zhou et al., 2014), nonché per i recettori serotoninergici 5-HTR1A, 5-HTR2A e 5-HTR2C; anche questi fattori sono a favore dei suoi effetti antidepressivi.

Anche qui è stato evidenziato, come nel caso della ketamina, il blocco da parte di NBQS degli effetti antidepressivi AMPA-mediati.

Parte dell’azione antidepressiva della metossietamina viene inibita dalla ketanserina (Botanas et al., 2017), un antagonista del recettore 5-HT2A, mentre questo non avviene con la ketamina (Gigliucci et al., 2013); infatti, a basse dosi, la ketamina ha dimostrato di non avere impatto sull’azione serotoninergica cerebrale (El Iskandrani et al., 2015).

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Dosaggi ed effetti

La metossietamina è comunemente assunta per via orale, nasale o iniettiva, anche se sono state riportate aneddoticamente anche le vie di somministrazione rettale e sublinguale. Il dosaggio nell’uso voluttuario varia tra i 20 e i 100 mg, mentre quello terapeutico non è ancora stato individuato, in quanto non è ancora stato eseguito alcun trial clinico (Tab. 1). Quando la sostanza è assunta per via nasale, gli effetti possono comparire tardivamente, nel giro di 30-90 minuti, col rischio che il soggetto ripeta l’assunzione a breve distanza dalla prima. Questo a differenza della maggior parte delle sostanze ad uso voluttuario che, assunte per via nasale, manifestano un’insorgenza degli effetti piuttosto rapida. Per via intramuscolare, invece, compaiono in pochi minuti. La durata complessiva è variabile tra le cinque e le sette ore (Tab. 2).

L’effetto principale è quello dissociativo; esso si traduce in un senso di depersonalizzazione, introspezione distaccata dall’ego, derealizzazione. Il corpo manifesta sedazione, riduzione delle capacità motorie e percettive; tutto ciò crea una sensazione di distacco da sé stessi e dall’ambiente circostante.

La riduzione della percezione nocicettiva è abbastanza spiccata: questo è alla base dell’effetto anestetico.

Si hanno poi un effetto ansiolitico, che compare da subito nell’utilizzatore, e un effetto antidepressivo, che, similmente a quanto accade con la ketamina, si manifesta in un secondo momento, dopo gli effetti principali.

A dosaggi molto alti, ma pur sempre sub-anestetici, sono stati riportati episodi definiti NDE (Near Death Experiences), in cui i soggetti che ne hanno parlato hanno descritto una serie di sensazioni ed esperienze comuni, che comprendevano: abbandono del proprio corpo, con la possibilità di vedersi in terza persona (autoscopia); incontri con altri “esseri”, talvolta identificati come divinità, spiriti o alieni; visioni di “tunnel”, in fondo ai quali si percepisce una “luce”; riaffioramento di ricordi anche molto lontani, spesso legati all’infanzia.

Questo fenomeno prende il nome di “M-hole”, dato che comunemente ci si riferisce allo stesso quadro di effetti, indotto dalla Ketamina, come “K-hole”.

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Tabella 1 Dosaggi della MXE in funzione della via di somministrazione

SUBLINGUALE NASALE ORALE

Soglia 5-10 mg 5-10 mg 10-15 mg

Basso 10-20 mg 10-20 mg 15-25 mg

Medio 40-60 mg 20-35 mg 25-35 mg

Forte 60-75 mg 35-60 mg 40-65 mg

“M-hole” 75-100 mg 70+ mg 75+ mg

Tabella 2 Comparsa degli effetti della MXE e loro durata, in funzione della via di somministrazione

SUBLINGUALE NASALE INTRAMUSCOLARE

Inizio 10-20 minuti 10-20 minuti 2-10 minuti

Salita 15-30 minuti 15-30 minuti 10-20 minuti

Plateau 60-120 minuti 60-120 minuti 40-90 minuti

Discesa 60-120 minuti 60-120 minuti 30-120 minuti

Durata totale 3-5 ore 2.5-4 ore 2-3 ore

Postumi 2-48 ore 2-48 ore 2-48 ore

Tossicità

I sintomi di tossicità acuta riportati per la metossietamina sono: nausea, vomito persistente, diarrea, bradicardia e/o aritmia, perdita di conoscenza, difficoltà respiratorie, crisi epilettiche, disorientamento, depressione post-uso, ritardo mentale, ansia, catatonia, aggressività, allucinazioni, paranoia, psicosi (WHO, 2015). Oltre a questi, possono presentarsi agitazione, tachicardia, ipertensione, atassia, nistagmo, che non si manifestano nell’intossicazione acuta da ketamina (ACMD, 2012). Tuttavia, queste osservazioni non possono essere attribuite univocamente alla metossietamina, poiché sono state fatte su soggetti che avevano assunto, in concomitanza, anche altre sostanze, come amfetamine, catinoni, cocaina, alcol, cannabis e cannabinoidi sintetici, benzodiazepine, antipsicotici. Un recente studio sui topi ha mostrato che la MXE in dosaggi di 30mg/kg induce alterazioni cardiorespiratorie. In particolare, ridurrebbe l’attività cardiaca basale e la frequenza respiratoria, in modo più duraturo rispetto alla ketamina.

Abbassa anche i livelli periferici di saturazione di ossigeno.

Infine, aumenterebbe la pressione sistolica e diastolica per circa un’ora dall’assunzione, in modo similare a quanto fatto da ketamina e fenciclidina (Ossato et al., 2018).

La tossicità cronica si esplica prevalentemente come urotossicità.

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“Bladder- friendly”

Nonostante la convinzione che l’aumentata potenza, facendo richiedere dosaggi inferiori a quelli della ketamina, sia soluzione ai possibili effetti urotossici, dal momento che viene a esserci un minore accumulo di metaboliti urotossici, l’uso cronico di questa sostanza porta ai medesimi effetti tossici del tratto urinario (Morris et al., 2011). Lo studio è stato svolto però su soggetti che almeno una volta nella vita avessero utilizzato ketamina (Lawn et al., 2016): non essendoci dato sapere quante volte, resta difficile tracciare un confine netto tra le responsabilità della ketamina e quella della metossietamina; per comprovare la questione bisognerà quindi aspettare che venga effettuato uno studio analogo su pazienti che non abbiano mai usato questa classe di sostanze.

A supporto di questa tesi è stato effettuato un altro studio, su topi, ai quali è stata somministrata, in cronico, per tre mesi, metossietamina ad alte dosi: il risultato è stato danni significativi al tratto urinario dell’animale: dapprima infiammazione vescicale, poi fibrosi e tossicità renale a livello sia tubulare che glomerulare.

Uno studio simile, somministrando ai topi per 4 /12 settimane metossietamina alle solite alte dosi (30mg/kg) , ha dimostrato un aumento della frequenza di minzione e disfunzioni vescicali varie, nonché danneggiamento della barriera uroteliale (Dargan et al., 2014), neurotrasmissione anomala (Baker et al., 2013), attivazione dei mastociti (Jhang et al., 2014), apoptosi cellulare (Lee et al., 2013; Shen et al., 2015;), stress ossidativo (Juan et al., 2015; Liu et al., 2015) e infiltrazione di cellule infiammatorie, correlate ad un aumento dell’ espressione di citochine pro-infiammatorie (COX-2, NGF, IL-1β, IL-6, CCL-2, CXCL-1, CXCL-10) (Qiang et al., 2017). Oltre al danno tossico diretto sulle cellule vescicali, l’aumento di queste citochine pro-infiammatorie, sul lungo termine, causa un’infiammazione cronica e di conseguenza contribuisce a condurre a disfunzioni vescicali. È stata inoltre confermata la fibrosi interstiziale, grazie alla presenza di collagene I, collagene III, fibronectina e TGF-β (fattore di crescita trasformata β). Tutto ciò può condurre a un tipo di cistite che non risponde bene alle terapie tradizionali (Shahani et al., 2007). Qualora avvengano compromissioni della parte superiore del tratto urinario, se i trattamenti conservativi falliscono, è richiesta cistoplastica (Coppola et al., 2012).

Questi ultimi due studi comparano quindi, almeno su roditori, la tossicità cronica ad alte dosi della metossietamina a quella della ketamina, distruggendo il mito del bladder-friendly.

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Metabolismo

Gli studi di farmacocinetica sono estremamente scarsi. Analizzando campioni di urine, Meyer e il suo gruppo di ricerca sono riusciti ad individuare diverse vie metaboliche della metossietamina.

Sono stati individuati un totale di otto metaboliti, derivanti da reazioni di N-de-etilazione, O-demetilazione, idrossilazione [fase I], seguite da reazioni di glucuronidazione o sulfuronazione [fase II] (Meyer et al., 2013).

Il primo step del metabolismo nell’uomo, la N-de-etilazione, è catalizzato dai citocromi CYP3A4 e CYP2B6.

Menzies e il suo gruppo hanno utilizzato preparati cellulari microsomiali epatici e campioni di urine per identificare i metaboliti di fase I e II.

Questi metaboliti sono stati descritti grazie a studi in vitro e sono stati riconosciuti:

normetossietamina, O-desmetilmetossietamina, diidrometossietamina,

deidrometossietamina, diversi isomeri strutturali della idrossimetossietamina e della idrossinormetossietamina (fase I). I derivati glucuronati di fase II comprendono O- desmetilmetossietamina, O-desmetilnormetossietamina e O-desmetilidrossimetossietamina (Menzies et al., 2014). La presenza di tutti questi metaboliti, ad eccezione di O- desmetilidrossinormettossietamina, è stata confermata nelle urine di almeno tre soggetti affetti da intossicazione acuta da MXE. N-desetilmetossietamina e normetossietamina risultano i metaboliti più abbondanti, presenti il 100% delle volte, seguiti da O- desmetilmetossietamina (73%) e idrossinormetossietamina (14%). Tutti gli altri sono presenti in meno dell’1% dei casi.

Possibili applicazioni terapeutiche

Allo stato attuale delle cose, i dati preclinici non sono sufficienti a supportare l’idea che la metossietamina possa esser utilizzata come antidepressivo. Bisogna quindi svolgere altre ricerche in tal senso, al fine di esplorare e meglio comprendere le correlazioni meccanicistiche relative ai suoi effetti antidepressivi.

Inoltre, sembra possa avere anche effetti ansiolitici: spesso, in casi di depressione, vengono usati antidepressivi in concomitanza con ansiolitici (Furukawa et al., 2001; Kessler et al., 2003; Sartorious et al., 1996). Questo potrebbe essere un’ulteriore punto a favore per un’eventuale applicazione terapeutica, o per lo sviluppo di un derivato ancora più efficace e magari con meno effetti collaterali/indesiderati. Aneddoticamente infatti si vede come sia

50 stata usata, in casi di automedicazione, per contrastare l’ansia correlata al disturbo post- traumatico da stress (Striebel et al., 2017).

Per quanto concerne invece l’effetto anestetico e analgesico, risulta più potente della ketamina; tuttavia i peculiari effetti collaterali di natura stimolante e la lunga durata potrebbero risultare controproducenti nell’induzione dello stato di anestesia chirurgica.

Potenziale d’abuso

Visti gli effetti di rinforzo positivo e di gratificazione, nonché gli effetti ansiolitici ed antidepressivi che potrebbero indurre ad automedicazione, il potenziale d’abuso della MXE è piuttosto alto.

È auspicabile che questi punti a sfavore non frenino la ricerca per future eventuali applicazioni terapeutiche.

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