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L A RAPPRESENTAZIONE DEL CAPITALE RELAZIONALE DEL

4. IL CAPITALE RELAZIONALE

4.3 L A RAPPRESENTAZIONE DEL CAPITALE RELAZIONALE DEL

D

IPARTIMENTO DI

E

CONOMIA

M

ANAGEMENT DI

P

ISA

:

UNA RASSEGNA DEI MODELLI

La seguente analisi si propone di applicare, seppur con i dovuti adattamenti, i principali modelli di valutazione del capitale intellettuale limitatamente alla componente relazionale con lo scopo di elaborare alcuni esempi di rappresentazione del capitale relazionale a partire dalle informazioni raccolte circa il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa ed effettuare un confronto circa l’utilità e l’efficacia ai fini gestionali di tali modelli. I modelli da applicare sono stati selezionati principalmente in base alle possibilità di impiego dei dati raccolti.

Il tentativo di rappresentare il capitale relazionale del dipartimento è avvenuto inizialmente a partire dal modello del Wissensbilanz austriaco il quale, data la sua natura politica ed impositiva risulta maggiormente incisivo e completo. La sua logica process-oriented permette inoltre di valutare separatamente le strategie, gli input, i processi e gli output e di individuare quindi le loro relazioni, informazioni utili ai fini della gestione del capitale. E’ inoltre prevista per lo stesso la possibilità di redigerlo a livello periferico per le facoltà, singoli dipartimenti e sub-livelli individuati come i centri di responsabilità.

A partire dai dati raccolti inerenti al capitale relazionale del dipartimento, è stato così possibile rielaborare uno schema sulla base del Wissensbilanz austriaco per la rappresentazione delle componenti del capitale relazionale, dei relativi processi e output con particolare riferimento alla funzione di ricerca e sviluppo del dipartimento. Tale rappresentazione è un adattamento dello schema di IC

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Reporting proposto dall’ University Act nel 2010 a partire dal quale è possibile selezionare gli indicatori più idonei ed in linea con le necessità informative e le caratteristiche proprie dell’organizzazione in esame, risultando quanto segue.

Il capitale relazionale del Dipartimento di Economia e Management di Pisa secondo il modello austriaco

Intellectual property - relational capital 2011 Indicatori Ricercat. Prof. associato Prof. ordinario

Media %sul tot.

staff

3.1 Numero di staff inserito nei board editoriali

3 2 6 3,67 16,67%

3.3 Numero di staff con funzioni in riviste scientifiche 5 4 3 4 18,18% 3.4 Numero di staff inserito in panel scientifici 4 4 3 3,67 16,67% 3.5 Visiting professor Attivo 3 10 8

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Passivo Tot

1 22

Core processes Ricercat. Prof.

associato Prof. ordinario Media % sul Tot. staff Research and Development -ricercatori coinvolti nella ricerca applicata (per ruolo) 7 19 9 11,67 53,03% Output e impatti dei processi core Research and Development Numero di pubblicazioni scientifiche per SSD SECS- P/1 SEC S- P/2 SECS -P/3 SECS-P/4 SECS- P/5 SECS-P/6 SECS- P/7 35 8 1 35 SECS- P/8 SEC S- P/9 SECS- P/10 SECS- P/11 SECS- P/12 SECS- P/13 Altro 17 2 13 28 13 7 58 Partecipazione come relatore o presentatore a convegni

nazionali Internazionali Tot.

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Sempre a partire dall’analisi effettuata sul capitale relazionale del dipartimento è stato possibile in seguito applicare i modelli sperimentati dagli atenei italiani andando a reinterpretare ed adattare gli indicatori proposti sulla base dei dati a disposizione e delle caratteristiche dell’oggetto di analisi in quanto si tratta di un singolo dipartimento e non di un intero Ateneo. Da tutto ciò risulta quanto segue

Il capitale relazionale del Dipartimento di Economia e Management secondo il modello dell’Università di Ferrara

CAPITALE RELAZIONALE 2011

CRESCITA E RINNOVAMENTO

-Partnership (N., categorie)

N. Coautori esterni Nazionali Internazionali

135 59

-N. Gruppi/progetti di

ricerca 131

-N. Convegni / seminari Nazionali Internazionali

153 77

EFFICIENZA -Customer satisfaction

STABILITA'

-Accordi per la ricerca

Iscrizione come soci di

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Il capitale relazionale del Dipartimento di Economia e Management rappresentato attraverso gi indicatori dell’ ISUFI.

CAPITALE RELAZIONALE 2011

Sviluppo del network di R&S

N. Gruppi e progetti di

ricerca 131

N. Visiting Attivo Passivo

21 1 Internazionalizzazione N. Staff in eventi scientifici internazionali 77 N. collaborazioni con partner internazionali (coautori stranieri) 59

Il capitale relazionale del Dipartimento di Economia e Management di Pisa secondo il modello dell’Università di Trieste.

In questo caso, una volta delineate ed illustrate le strategie relative al capitale relazionale si procede con la descrizione degli indicatori.

Formazione

- Teaching staff mobility

Fino al 2011 il 21, 2% di membri dello staff hanno effettuato visiting attivi presso altre università o enti di ricerca.

Ricerca scientifica

- Progetti in cooperazione

Circa il 53,03% dello staff ha partecipato fino al 2011 ad un totale di 131 gruppi e progetti di ricerca nazionali e non.

Inoltre circa il 14% ed il 32, 8% di pubblicazioni ottenute fino al 2011 sono state realizzate insieme a coautori esterni al dipartimento rispettivamente italiani e stranieri.

110 - Incarichi esterni dei docenti

Fino all’anno 2011 si registrano circa 73 incarichi da parte dei docenti per lo svolgimento di attività di review per riviste.

Inoltre si riscontrano ben 46 iscrizioni d parte dei docenti come soci di società scientifiche.

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C

ONCLUSIONI

La rassegna dei modelli di report del capitale intellettuale diffusi nelle università e nei centri di ricerca in Europa deriva dalla logica di fondo di un filone teorico-pratico che individua nel capitale intellettuale un approccio per la gestione e la misurazione delle performance universitarie secondo un’ottica aziendale. A mio parere, dallo studio effettuato ed in particolar modo sulla base dell’analisi empirica svolta sul capitale relazionale del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa, definire tali modelli “strumenti di gestione” del capitale intellettuale non è del tutto appropriato in quanto ai fini pratici è bene tenere presente la distinzione tra questi ultimi e gli strumenti di reportistica quali appunto i modelli di rappresentazione del capitale intellettuale.

Diversi sono infatti i limiti ai fini gestionali che si riscontrano in suddetti modelli. Una delle principali lacune riguarda il fatto che, nonostante gli sforzi riscontrati soprattutto nel modello austriaco, nell’adottare una logica per processi, non risultano ancora evidenti le relazioni causa-effetto fra gli input del capitale intellettuale e i rispettivi output ed impatti, gi stessi infatti vengono rappresentati ed analizzati singolarmente senza permettere di individuare chiaramente quali siano le relazioni che li legano. Il maggior contributo del rendiconto degli intangibili al sistema decisionale ed operativo deriva essenzialmente dal processo interpretativo che si innesca per indagare quali siano le risorse chiave sulle quali fare leva e quali quelle da potenziare. Un altro aspetto che a mio avviso sarebbe utile indagare e che invece non viene considerato sufficientemente è l’impatto della ricerca all’esterno desumibile ad esempio dal numero delle citazioni piuttosto che dalla rilevanza nazionale o internazionale del prodotto, o ancora dalla qualità e rilevanza della rivista sulla quale è stato pubblicato il prodotto. Un ulteriore limite si riscontra nell’assenza all’interno di tutti i modelli indagati delle potenziali passività intangibili, anche nel settore pubblico infatti, le risorse intangibili al pari di quelle fisiche e finanziarie se non correttamente gestite possono condurre a risultati negativi. Quello delle liabilities è un tema molto attuale per cui si prospetta che le ricerche future in materia possano tenerlo in

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considerazione. In base all’analisi ed all’applicazione pratica dei modelli di CI report ho potuto osservare inoltre come alcuni degli indicatori individuati risultino poco rilevanti e significativi ai fini gestionali in quanto da considerare come indicatori utili limitatamente al livello informativo esterno, si tratta di dati ed informazioni che forniscono semplicemente un’idea della composizione del capitale intellettuale ed inseriti essenzialmente per poter agire sull’immagine dell’organizzazione.

In sostanza quindi ritengo che la valenza informativa esterna di tali strumenti debba ritenersi su un piano superiore rispetto a quella gestionale. A sostegno di tale tesi vi è inoltre il fatto che, per quanto riguarda in particolare gli atenei italiani, il report del capitale intellettuale viene incluso all’interno del bilancio sociale il cui scopo è proprio quello di far conoscere ai portatori di interesse le finalità istituzionali dell’università, le sue attività, i risultati e l’impatto sulla comunità.

Nelle università, così come in generale nella pubblica amministrazione, il focus dell’attenzione strategica e gestionale è il profilo sociale. Nel settore pubblico, “il principio dell’economicità si interpreta come la capacità di gestire nel lungo periodo in modo efficiente e socialmente accettabile per la collettività le risorse che assicurano il soddisfacimento dei bisogni pubblici” (Borgonovi, 2005). L’economicità è uno dei principi introdotti dal New Public Management, il movimento di modernizzazione del settore pubblico che ha spinto verso l’adozione di strumenti, modelli decisionali e politiche discendenti dal settore privato al fine di garantire una maggiore razionalità nelle decisioni ed una gestione efficace ed efficiente delle risorse, promuovendo la responsabilizzazione basata su approcci di gestione per risultati e per obiettivi e favorendo così l’adozione di sistemi di controllo e valutazione del valore pubblico. Le innovazioni nei sistemi di accounting hanno giocato un ruolo centrale nel sistema di riforme del settore pubblico che ha avuto luogo sotto la guida dei principi del NPM. Questo sistema di riforme ha assunto caratteristiche divergenti nei diversi paesi e nelle diverse forme di organizzazioni pubbliche. In Italia l’approccio al

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NPM è stato adottato come guida al livello legislativo, secondo una logica del tipo top-down ed ha

assunto un carattere prescrittivo,“ciò è coerente con la lunga tradizione legislativa e cultura burocratica del settore pubblico italiano” (Annessi-Pessina E., Steccolini I., 2005).

L’adozione dei principi del NPM ed il processo di “aziendalizzazione” a cui hanno dato il via non hanno raggiunto i risultati desiderati proprio per il fatto che il settore pubblico in Italia è stato interessato da meccanismi di ammodernamento mediante un complesso sistema di norme che non è stato tradotto in una vera e propria cultura di cambiamento. Molti degli strumenti infatti introdotti al fine di responsabilizzare e attribuire una maggiore autonomia alle istituzioni, università comprese, spesso si sono dimostrati inefficaci poiché slegati dalla valutazione e dal controllo e legati a questioni strettamente politiche e di legittimazione sociale. Il sistema universitario italiano ha subito le influenze del NPM e delle politiche derivanti dalla public governance che parte dall’assunto di base per cui l’organizzazione pubblica debba essere responsabile e accountable nei confronti degli stakeholder, queste sono state attuate mediante una serie di riforme e , probabilmente è proprio questo sistema complesso di norme e questa sua continua mutevolezza che influenza le vicende delle università che ne hanno ostacolato il percorso verso la piena autonomia e l’assunzione di logiche manageriali e strategiche nei comportamenti.

La propensione verso l’informativa esterna da parte delle istituzioni universitarie può essere ricondotta anche all’introduzione dei ranking delle università, ovvero vere e proprie classifiche elaborate a partire da rating (valori numerici) assegnati alle università in base ai quali le stesse vengono ordinate. Queste classifiche possono essere stilate da quotidiani (fra i quali “The Times Higher education supplement, Guardian, Financial Times” per il Regno Unito o “la Repubblica” per l’Italia), enti di ricerca specializzati (ad esempio Academic Ranking of World Universities (ARWU) promosso da “The Institute of Higher Education” della Shanghai Jiao Tong University) , da singoli o gruppi di ricerca ed infine da altri enti in seguito ad incarichi governativi come la Valutazione

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Triennale della Ricerca (VTR) promossa dal CIVR (Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca) in Italia. Questo strumento si è fortemente diffuso in seguito al forte aumento della competizione fra le istituzioni, il panorama universitario si è fortemente ampliato e la forte internazionalizzazione del settore ha allargato gli orizzonti delle scelte degli stakeholder. Gli atenei non hanno modo di competere in maniera diretta per cui le classifiche si hanno a partire da indicatori scelti dagli autori sulla base delle informazioni pubblicate relative agli atenei.

Un altro aspetto da considerare riguarda a mio avviso la diffusione dei sistemi di valutazione delle attività accademiche ed in particolar modo della ricerca scientifica che hanno assunto un ruolo crescente nel panorama universitario europeo vista la necessità di informare circa il valore prodotto da queste attività. Per la valutazione della didattica, a differenza di quella della ricerca non si riscontrano politiche eruropee comuni per cui si riscontra un elevato grado di differenziazione. Fra i principali sistemi di valutazione ricordiamo il Research Excellance Framework (REF) nel Regno Unito che valuta i prodotti della ricerca sulla base della qualità della stessa, del suo impatto e dell’ambiente, il sistema AERES in Francia che effettua la valutazione sia sulla ricerca che sulla formazione considerando aspetti quali strategie e progetti di ricerca, relazioni con altre università ecc… Infine il CNEAI in Spagna, una commissione che si occupa di valutare l’attività di ricerca dei ricercatori e dei professori con lo scopo di assegnare un eventuale premio produttività e l’Excellence Research for Australia (ERA) nel quale vengono valutati in base ad una scala alcuni elementi quali il rating,il volume degli output, il profilo dei ricercatori attivi, le pubblicazioni, le citazioni, i lavori sottoposti a peer review ed ulteriori misure di stima per i ricercatori coinvolti. In Italia l’esperienza valutativa riguarda la Valutazione Triennale della Ricerca (VTR) e il progetto della VQR promosso dall’ANVUR, in questo caso però rispetto ai sistemi europei, quella Italiana sembra assumere un carattere cogente, “approccio che trova motivazioni nell’urgenza di rispondere ad una esigenza governativa” (Turri M. 2012) circa l’erogazione dei finanziamenti.

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In tale contesto di diffusione di sistemi di ranking e di valutazione delle attività accademiche, ma anche di accreditamento e altri meccanismi di autorizzazione innescati dalle varie agenzie nazionali di valutazione della didattica, ritengo un suggerimento utile quello di prendere spunto da suddetti strumenti impiegati da soggetti esterni e rivolti quindi all’ambiente esterno delle università per trarne vantaggi in termini di aumento della reportistica interna utile in qualità di input del sistema gestionale. Il percorso da seguire potrebbe essere quello di favorire un raccordo o ancor meglio un’integrazione fra i modelli di reportistica del capitale intellettuale e i vari approcci di valutazione in modo da ottimizzare tali modelli favorendo l’integrazione fra le prospettive strategiche, gestionali ed operative. In questo modo si avrebbero strumenti in grado di fornire una visione completa sul funzionamento delle università ed in particolare un’idea sul come poter gestire al meglio il capitale intellettuale per il governo delle stesse, per non parlare poi della forte riduzione se non eliminazione delle ridondanze informative, documentali e procedurali beneficiando così di una significativa diminuzione della complessità del processo decisionale. I sistemi di valutazione della ricerca sia nazionali che internazionali possono infatti essere impiegati per colmare alcune delle lacune informative e strutturali dei modelli di report del capitale intellettuale offrendo spunti interessanti in termini di ulteriori parametri a mio parere utili per la gestione del capitale relazionale quali ad esempio l’impatto della ricerca all’esterno, il contributo dell’attività di “referaggio” effettuata come contributo per altri ricercatori, oppure perché no la collocazione editoriale nazionale o internazionale. Questo approccio di integrazione inoltre è reso possibile dal fatto che si possono riscontrare diverse affinità e sinergie fra l’approccio del capitale intellettuale e gli approcci istituzionali di valutazione: ad esempio, riguardo al capitale relazionale numerose sono le risorse intangibili indagate dalla VQR quali la mobilità internazionale, le collaborazioni scientifiche o le spin off; un altro esempio riguarda alcuni sistemi fra quelli sopracitati, in particolare quello australiano che includono fra i parametri di valutazione la capacità di acquisizione dei finanziamenti per la

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ricerca, elemento a cui viene attribuita una rilevanza crescente negli ultimi anni e che viene indagato in maniera diffusa fra i modelli di IC reporting.

A partire da tali spunti di riflessione perciò si auspicano future ricerche nelle quali si possa avere un passaggio dallo studio di modelli di IC reporting a modelli di IC management.

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- www.unimap.unipi.it

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