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L’abbaziato di Winizo (prima metà del secolo XI)

2.1. Il mutamento delle forme scrittorie (seconda metà del secolo X)

Non si dice nulla di nuovo affermando che, pur nella relatività della scansione centenaria, il secolo X rappresenti una fase di cesura nella storia dell’Occidente europeo. Di ciò si è vista una spia proveniente anche da un dato così minuto come la documentazione di un monastero medio-piccolo toscano come San Salvatore, sebbene importante per la sua natura di antica abbazia regia. Da ciò è derivato l’uso di una fonte narrativa non afferente alle scritture di San Salvatore1, a chiu-

sura del precedente capitolo, eccezione in una ricerca basata per scelta di meto- do in modo pressoché esclusivo su scritture prodotte dai monaci amiatini.

L’immagine del secolo X come fase di flessione, di disordine, di concentrato, se vogliamo, di tutte le nefandezze che al medioevo vengono attribuite, è stata am- piamente discussa, ragionata, confutata: basti qui il rimando alla settimana spo- letina del 1990 dedicata a “mito e realtà del secolo X”, il “secolo di ferro”2. In un

senso opposto, forse anche in parte alimentata da una volontà di reazione a un qua- dro eccessivamente negativo, un’altra tendenza storiografica ha letto tale secolo, e in particolare i decenni centrali di esso, come una fase di grandi cambiamenti per i territori che l’Impero carolingio aveva voluto riunire – un milione di chilometri quadrati3– nei quali, tuttavia, si riconoscono dei tratti comuni, pur nella vastità,

non meno ampia per ovvi motivi, delle differenze. E, su una scala generale, si sono avvertiti in più ambiti i prodromi della stagione di grande rinascita che fu il seco- lo XI già in alcuni segni e protagonisti del X4: infatti, se i primi decenni di esso sono

1Si veda supra, paragrafo 1.4.i., testo corrispondente alle note 256 e successive.

2Il secolo di ferro: mito e realtà del secolo X, XXXVIII Settimana di studio del Centro italiano di

studi sull’alto Medio Evo, 19-25 aprile 1990, Spoleto 1991 (Atti delle settimane di studio, 38).

3K.F. Werner, Missus-marchio-comes, in Histoire comparée de l’administration (IVe-XVIIIesiè-

cles), Zürich-München 1980, p. 191; a esso fa riferimento, tra gli altri, G. Tabacco, Regno, Impe- ro e aristocrazie, in Il secolo di ferro cit., pp. 243-271, particolarmente p. 246.

4Sul piano della cultura giuridica, si vedano in generale E. Cortese, Il Rinascimento giuridico me-

dievale, Roma 19962e Nicolaj, Cultura e prassi di notai cit., attenta alle sfumature e ai piccoli in-

ancora strettamente legati alle ultime vicende del secolo IX, alla dissoluzione del- l’Impero carolingio e, particolarmente per la penisola italiana, alle lotte della fase dei cosiddetti re nazionali, con non meno turbolente vicissitudini per il Papato ro- mano, la sua parte conclusiva lascia invece già apprezzare le avvisaglie della rina- scita del secolo successivo5.

Nelle scritture di San Salvatore al monte Amiata possiamo vedere segni di tali tendenze generali. Al termine del precedente capitolo si è ricordata la con- giuntura documentaria della fine del 937 segnata da due documenti regi: il di- ploma di Ugo e Lotario che confermava le proprietà abbaziali, da un lato ma, da un altro, attestava una situazione critica per il monastero e l’altro con il quale l’abbazia amiatina veniva concessa «sub dotis nomine» ad Adelaide, promessa sposa del giovanissimo Lotario6. È stato già da altri rimarcato che non è possi-

bile seguire tale scelta nel concreto delle prassi amministrative e gestionali7. Tut-

tavia, fino alle morti dei due re, occorse in un arco piuttosto breve di tempo – quella del padre Ugo, repentina, nel 948 e quella di Lotario, tanto più imprevedibile per la giovane età, nel 950 – è un fatto la totale assenza di documentazione amia- tina, fino a un atto del 9518: nel settembre di quell’anno aveva luogo uno scam-

bio di terre tra un certo «Iubermannu, filius bone memorie Sihinpaldo»9e «Ioan-

ni, filius Angalperto, una per consensu domno Manno vir benerabilis abbas ex monasterio Domini sancti Salvatori sito monte Amiate»10. Si noterà cursoriamente

che al vertice del monastero vi era in tale data Manno, un abate religioso, stan- do alla definizione, che mostra una certa padronanza grafica e ortografica, con una minuscola carolina non riducibile a una tipologia di base per la scioltezza del tratto e dei legamenti. Qualcosa di simile si può dire, forse con una qualche gradazione peggiorativa, per «Ioannes sacerdos»11, che sottoscrive dopo Man-

no, e, ancora di seguito, per «Gisolbertus diaconus»12che intervengono entrambi

esprimendo il proprio consenso alla transazione. L’ultimo sottoscrittore è meno ordinato nell’allineamento delle lettere e nel distanziamento delle paro- le ma, d’altro canto, presenta comunque una buona rapidità di tratto e di lega- ture, oltre a utilizzare un modulo leggermente più piccolo degli altri due.

Ciò detto, in relazione alla capacità scrittoria mostrata dai monaci amiati- ni in questo isolato pezzo, per l’economia del ragionamento che si va qui svi- luppando è importante aggiungere che, dopo di esso, si registra un quarantennio

5Per un inquadramento, in particolare legato alle vicende della penisola italiana, si veda Cammarosano,

Nobili e re cit. e Cammarosano, Storia dell’Italia medievale cit.; N. D’Acunto, Nostrum italicum

regnum. Aspetti della politica italiana di Ottone III, Milano 2002.

6Si veda supra, paragrafo 1.4.i., testo corrispondente alle note 252-255. I diplomi di Ugo e di Lo-

tario cit., p. 139 n. 46. 7CDA III/1, pp. 43-45. 8CDA 199. 9Ibidem, p. 419. 10Ibidem. 11Ibidem, p. 420. 12Ibidem.

di stasi pressoché totale della documentazione amiatina. Un timido cenno di ripresa si ha nel settimo decennio del secolo ma con un solo documento pri- vato e due diplomi imperiali a soli due anni di distanza uno dall’altro che sono il segno, nel fondo di San Salvatore, dell’avvio di una fase radicalmente nuo- va per il quadro generale, con l’ascesa della dinastia degli Ottoni nella dimen- sione dell’Impero13. Dopo tale manipolo di pergamene, il fondo amiatino con-

serva, sì, altri pezzi, anche di rilevante importanza, ma che non coinvolgono l’ab- bazia e risultano pervenuti nel suo archivio in una fase successiva a quella del- la loro stesura. È, invece, solo con l’ultimo decennio del secolo che una produzione amiatina segno dell’attività del monastero tornerà cospicua, sia sul piano qua- litativo sia su quello quantitativo.

Nell’agosto del 962 ritroviamo Gisolbertus che, assurto alla carica di aba- te, allivella proprietà a Callemala, tra cui la chiesa di Santa Cristina, mulini sul Paglia e, ancora, ulteriori proprietà in altre tre località – Alvineta, Causulano e Ponano14– a «Cunizu, filiu bone memorie Otichieri», ai suoi figli e agli ere-

di15. Il censo annuo per tale transazione è fissato in 7 solidi d’argento. La mul-

ta prevista è alta, 200 solidi. In tale occasione, Gisolberto agisce con il consenso dei suoi monaci: due soli sono però presenti, «Andrea diaconus et monachus» e «Teudo sacerdos et monachus».

Le loro grafie non sono certamente eccezionali; esse appaiono stentate e male orientate sulla per- gamena. A dare maggior forza autenticante alla transazione vengono però chiamati altri testimoni: «Teudilasi et Scristianu», analfabeti, «Ansibertu» e, soprattutto, «Petrus» ed «Helmingus», entrambi qualificati come «iudex domni imperatori», e «Uualbertus», «notarius domni imperatori». Si pos- sono considerare queste presenze come un’antifona delle novità con cui ci si deve confrontare per il secolo XI e che impongono cambiamenti nell’impostazione metodologica dell’indagine.

La prima età ottoniana si presenta infatti anche nel fondo di Monte Amia- ta, campione pur esiguo per tale fase, con i segni del cambiamento. Basta scor- rere gli elenchi di notai e scrittori del Codex diplomaticus Amiatinus predisposti da Kurze16: in quello del primo volume, che abbraccia il periodo dal 736 al ter-

L’abbaziato di Winizo (prima metà del secolo XI)

13Tra le sintesi più recenti relative all’età ottoniana, H. Keller, G. Althoff, Die Zeit der späten Ka-

rolinger und der Ottonen. Krisen und Konsolidierungen. 888-1024, in Gebhardt-Handbuch der deutschen Geschichte, decima edizione completamente rivista, III, Stuttgart 2008. Particolarmente

importante per le vicende italiane D’Acunto, Nostrum italicum regnum cit.; non è possibile dare qui un quadro esaustivo della recente bibliografia ma si confronti utilmente il bel repertorio ap- prontato da G. Isabella, La dinastia ottoniana, i regni e l’Impero, <http://fermi.univr.it/RM/re- pertorio/rm_giovanni_isabella_ottoni.html#Risorse>.

14Per l’identificazione del primo toponimo e per gli altri due si veda CDA III/2, sub voce. 15CDA 201.

16Tali elenchi sono utili in quanto strumenti di consultazione; va specificato tuttavia che in essi

Kurze include tutti i rogatari ma anche i nomi di notai o giudici o, comunque, professionisti del documento, che compaiano solo come testimoni: si veda il caso di «Uuinizo iudex domni regis», attestato dal solo CDA 304, in cui sottoscrive. Ciò è evidente, all’inverso, nell’inclusione, invece, di un solo monaco, Lamberto, che compare come autore e come testimone, sul quale si veda in-

mine dell’età dei re nazionali (736-951), i vari scrittori si qualificano tutti sem- plicemente come «notarius», eventualmente con aggiunte o varianti legate allo stato clericale17. Nell’elenco del secondo volume (962-1198), dei centosei

scrittori che compaiono, solo trentasei sono privi di titoli affini a «domni im- peratori» o «sacri palatii»18e tra questi, oltre a 16 qualificati semplicemente come

notai, si contano ben nove «iudices», sei «notarius et iudex», tre «notarius et scabinus»19. La «nuova tendenza» dell’età ottoniana si palesa subito a Monte

Amiata, nel pur isolato caso del livello sopra citato20. Si trattava di un livello “pe-

sante”, come altri già presentati nel precedente capitolo. La multa sopra ricordata ne è segno. I beni allivellati erano posti in una località molto importante già in passato e, ancora più, nel futuro del monastero: Callemala, luogo di transito sul- la via Francigena. In tale occasione, per rafforzare la transazione non veniva- no chiamati solo altri componenti della comunità monastica, quali garanti del consenso da parte dell’abbazia: questi erano anzi, forse non a caso, rappresentati solo da due membri, per di più non dotati di particolari competenze scrittorie; accanto a loro, apparivano però, oltre ad altri testimoni, tre uomini che portavano il titolo di notaio o quello di giudice domni imperatori. Un’intitolazione che, pur conducendo solo a un’ampia e eterogenea categoria, è comunque segno cer- to di quella volontà riorganizzativa dell’apparato di governo con cui anche una realtà come un monastero regio si trovava a misurarsi o, per meglio, dire, con quella rinascita delle prassi dell’ambito giuridico che trovava più ragioni di col- legamento con la vita di un’abbazia regia21. Tali novità della competenza scrit-

toria in ambito laico, ampiamente analizzate da numerosi e autorevoli studi22,

sono da tenere ben presenti nelle successive pagine, poiché le evoluzioni del- la scrittura monastica intrecciarono con esse, come si vedrà, reciproche influenze. L’abbaziato di Winizo (prima metà del secolo XI)

17Le varianti attestate sono clericus et notarius, presbiter et notarius, oltre ai casi di scrittori che

non si qualificano come notai ma solo come subdiaconus (CDA 14), diaconus (CDA 24, 30), aco-

litus scriptor (CDA 1), oltre al caso di Ascolfo (CDA 72), privo anche della semplice qualificazio-

ne di scriptor, per il quale si veda supra, paragrafo 1.3, testo corrispondente alle note 86-95.

18O di un titolo legato alla Chiesa, come «scriniarius sanctae Romanae ecclesiae et sacri Latera-

nensis palatii», che compare nel caso di Andreas (CDA 341). Interessante Atzo iudex, forse ope- rante in quel territorio perugino di confusa autorità nel secolo XI, che si definisce «iudex sacri pa- latii apostolice sedis» (CDA 294 e 302).

19Si aggiungano Lamberto, per il quale si veda alla nota 16 e l’interessante caso di Rainerius, esten-

sore di un breve – CDA 332 – senza qualifica, e di una cartula venditionis, in cui si definisce ad-

vocatus (CDA 333).

20CDA 201. La citazione da Nicolaj, Cultura e prassi di notai cit., p. 27, ma si vedano almeno le

pp. 16-30 di questo magistrale lavoro. Altro contributo ineludibile è Costamagna, Il notariato cit.

21Ancora una volta si ricorra a Nicolaj, Cultura e prassi di notai cit., in particolare pp. 27-28 e nota

68. Si veda anche Petrucci, Romeo, “Scriptores in urbibus” cit., soprattutto per Scrivere in iudi- cio nel Regnum Italiae, pp. 195-236, in particolare per le considerazioni relative alle scritture di ecclesiastici e di monaci.

22Senza alcuna pretesa di esaustività, si ricordano alcuni degli studi già menzionati: Cammaro-

sano, Italia medievale cit., Costamagna, Il notariato cit., Nicolaj, Cultura e prassi di notai cit., Pe- trucci, Scrivere e leggere cit.

2.2. La rinascita della vita cenobitica a San Salvatore

Il livello del 962, preceduto di poco da un diploma di Ottone I con cui era stata confermata la situazione concretatasi sotto Ludovico II, menzionando espli- citamente pressioni da parte di malvagi uomini che avrebbero defraudato il mo- nastero23, è un sia pur isolato indizio di una qualche ripresa della vitalità del-

l’abbazia. Il diploma di Ottone ripeteva ancora la formula introdotta da Ugo e Lotario circa l’indigenza del monastero, ma forse era solo una reiterazione del formulario di quel diploma, cui il nuovo imperatore sassone si riallacciava24.

Ancora per tre decenni, però, va sottolineato che nel fondo diplomatico amia- tino si trovano solo pochissimi pezzi e che questi sono indizio dell’interesse che il monastero suscitava nel potere imperiale e in quello delle dinastie comitali dell’area, più che di una sua ripresa di vitalità. Il 3 agosto 96425Ottone I ema-

nava un diploma che segnava un mutamento profondo di atteggiamento nei ri- guardi di San Salvatore, in confronto a quello precedente di soli due anni: con esso veniva fortemente ridotta la dotazione di beni dell’abbazia, nel quadro di una nuova visione di insieme delle scelte relative all’amministrazione toscana e, forse, tornando a privilegiare chi in precedenza era stato limitato e argina- to nelle proprie pretese, cioè i poteri laici del territorio. Al secondo diploma ot- toniano fanno seguito, fino al 991, solo quattro documenti privati, due del 973, uno del 988 e l’altro del 989. Essi sono pervenuti a Monte Amiata presumibilmente quali munimina; in ogni caso, certamente non sono relativi a negozi di San Sal- vatore bensì alla famiglia comitale degli Aldobrandeschi26. Per certi aspetti sem-

brerebbe, dunque, di dover concludere che anche i decenni della seconda metà del secolo X non furono positivi per la fondazione amiatina, pur mostrando qual- che segno di cambiamento.

Solo con il 991 si trova nuova documentazione che coinvolge direttamen- te il monastero, con due notitiae iudicati del mese di luglio di quell’anno. Con questi due atti Pietro, abate di San Salvatore, agiva per recuperare beni che si affermava fossero stati illegittimamente sottratti al monastero. Un anno dopo, ancora l’abate Pietro allivellava beni nella zona di Radicofani, lungo la via Francigena e in Val di Paglia. Sono sia pur estemporanei segni di una ripresa favorita senz’altro da una volontà superiore, quella imperiale e marchionale, ma che al contempo indica anche una qualche possibilità di crescita propria del monastero. Dell’abate Pietro si può dire pochissimo: troppo scarso il numero di documenti che lo attestano, solo tre, e in un breve arco temporale, dal luglio

23DO I 237, CDA 200.

24Non va qui trascurata un’osservazione, più utile però per argomenti che si condurranno oltre:

il diploma di Ottone, pur genuino, mostra delle interpolazioni e delle scritture più tarde su rasu- ra, che possiamo qui accennare quali avvisi della competenza scrittoria dei monaci amiatini, au- dacemente messa in atto in alcuni casi, di cui ci si occuperà oltre. Si vedano infra, paragrafo 2.3.g., e paragrafo 2.4.b.

25DO I 267, CDA 202. 26CDA 203-206.

991 all’agosto 995: se è certo che pochi mesi dopo l’ultima data Pietro non era più abate, non sappiamo da quando prese le mosse il suo abbaziato. Si conserva anche una sua sottoscrizione, in una minuscola incerta nell’andamento e tre- molante nel tratto che non è certo spia di una competenza scrittoria elevata. Tut- tavia, è con i documenti relativi al suo abbaziato che si avvia una serie conti- nua di pezzi che mostrano come anche Monte Amiata godeva delle nuove scel- te ora più favorevoli alle abbazie regie di Teofano, madre del minorenne Ottone III, prima, e di Adelaide, vedova di Ottone I, poi, forse anche influenzate dal- l’atteggiamento del marchese Ugo di Toscana. Lo stesso Ugo – ci si tornerà – effettuava un’ampia concessione di suoi possessi a San Salvatore.

Rammentando quanto scritto nelle pagine introduttive del presente capi- tolo27, è opportuno richiamare rapidamente i quadri generali del secolo X, fase

che la storiografia ha da tempo scrostato da quella generica lettura negativa di

saeculum obscurum attribuitogli dal Baronio, evidenziando, semmai, specifi-

che e circoscritte congiunture negative di alcune situazioni peculiari, come quel- la della città di Roma28. Tuttavia, anche per il monastero amiatino si è visto che,

passati i primi anni del secolo X, almeno i decenni centrali dello stesso furo- no del tutto oscuri, con solo qualche segnale positivo nella fase successiva: l’a- scesa della dinastia ottoniana fu una fase in cui cominciarono a germogliare gran- di cambiamenti, tanto per i poteri sovrani quanto per l’intreccio tra questi e mol- te realtà territoriali locali29e non solo per terre lontane da Roma, dove il po-

tere papale poteva approfittare di una locale instabilità politica, attraverso un abile comportamento nei riguardi dei monasteri e tramite l’invio di legati30. No-

vità e mutamenti si registravano anche in terre prossime a Roma e nella città stessa, che era comunque una specifica realtà territoriale, pur se fortemente se- gnata dalle aspirazioni universalistiche del potere papale – che però qui dive- niva anche, ovviamente, una forza con incidenza locale – e di quello imperia- le. Quest’ultimo, in alcune fasi anche prepotentemente, cercava di conferma- re un suo legame con la capitale dell’antico Impero romano, del quale rimaneva ancora una memoria cui soprattutto alcuni sovrani intendevano riallacciarsi.

In ciò il fenomeno monastico giocò un ruolo assai importante: nel caso to- scano si assiste ad un’impressionante crescita delle fondazioni monastiche che richiama il noto passo di Rodolfo il Glabro, con puntualità di dati e con una mag- gior dilatazione cronologica rispetto alla plastica immagine31.

L’abbaziato di Winizo (prima metà del secolo XI)

27Si veda il paragrafo 2.1, in particolare quanto alle note dalla 2 alla 5 e 13. 28Si veda Schimmelpfennig, Il Papato cit., pp. 124-125.

29Ibidem, p. 147. Si vedano anche Römisches Zentrum und kirchliche Peripherie cit., Paciocco, Com-

mistioni e ambiguità cit. e, soprattutto per un quadro non limitato alla storia della Chiesa, Cam-

marosano, Nobili e re cit., pp. 310-321.

30C. Zey, Die Augen des Papstes. Zu Eigenschaften und Vollmachten päpstlicher Legaten, in Rö-

misches Zentrum und kirchliche Peripherie cit., pp. 77-108.

31«Erat enim instar ac si mundus ipse, excutiendo semet, reiecta vetustate, passim candidam eccle-

siarum vestem induceret. Tunc denique episcopalium sedium ecclesias pene universas ac ceteras que- que diversorum sanctorum monasteria seu minora villarum oratoria in meliora quique permutaverere

I dati evidenziati da Kurze, ormai diversi anni fa, sulla crescita dei monasteri toscani in questo torno di tempo sono, in effetti, eloquenti: dopo la fioritura di nuove fondazioni del secolo VIII, già il secolo IX aveva conosciuto un notevole rallentamento dello slancio, con un fermo totale per i primi decenni del X, fino al 970. Da questo momento in poi, invece, vi è una «impetuosa crescita»32di fon-

dazioni e rifondazioni, ben 49 tra il 970 e il 1040. In questo ebbe un ruolo la ap- pena rammentata opera del marchese Ugo di Toscana, il quale ridava forza e im- portanza alle vecchie fondazioni monastiche. Con lui e sua madre Willa, quest’epoca vedeva emergere grandi personalità, non solo quelle da cui nacquero nuove espe- rienze monastiche, e basti qui rammentare Romualdo o, poco più tardi, Giovanni Gualberto, due grandi interpreti della riforma monastica tra il finire del secolo X e gli inizi dell’XI33: con gli ultimi decenni del secolo X è possibile cominciare

a seguire alcune biografie personali anche a un livello locale.

Nel caso di San Salvatore, tra fine secolo X e inizi dell’XI, un rifiorire del-

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