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Scritture documentarie nei secoli VIII-

1.1. Introduzione

Per un’indagine sulle scritture di San Salvatore al monte Amiata, la base è il suo Diplomatico, oggi presso l’Archivio di Stato di Siena1anche se con inte-

grazioni non trascurabili, non solo sul piano quantitativo, in altre tipologie di fonti. Rimane, però, indiscutibile che la solidità del Diplomatico, nel suo insieme coerente quanto a sede e modi di tradizione, si offre, pur nella pluralità di ge- nesi delle sue scritture, quale preziosa unità per studiare le pratiche scrittorie dei monaci e, più in generale, della realtà territoriale in cui San Salvatore era attivo, confermando la validità dei progetti di edizione che sono stati condot- ti su tale massa documentaria2.

Da ciò potranno scaturire indicazioni utili allo sviluppo di studi delle fon- ti dalle quali è lecito aspettarsi ulteriori informazioni per una storia della scrit- tura come fatto tecnico e culturale, in particolare – ma non solo – le scritture su codici, alle quali già ci si rivolge in parte anche con il presente studio3: come

1Nonostante si disponga della la più volte citata edizione del Codex diplomaticus Amiatinus, l’e-

same degli originali è stato importante per il presente lavoro. Ancora una volta è gradito ringra- ziare di cuore tutto il personale dell’Archivio di Stato di Siena. Uno strumento straordinariamen- te prezioso sono stati i volumi della Chartae Latinae Antiquiores: facsimile-edition of the Latin

charters, 1stseries, Prior to the ninth century, a cura di A. Bruckner, R. Marichal, Dietikon-Zü-

rich 1954-1998, vol. 24, Italy 5 a cura di A. Petrucci, J.-O. Tjäder, Dietikon-Zürich 1985; Chartae

Latinae Antiquiores: facsimile-edition of the Latin charters, 2ndseries, Ninth century, a cura di

G. Cavallo, G. Nicolaj, Dietikon-Zürich 1997-, P. 61, Italy 33, Siena 1, a cura di V. Matera, Dieti- kon-Zürich 2002; P. 62, Italy 34, Siena 2, a cura di R. Cosma, Dietikon-Zürich 2003 (dall’824 all’854); P. 63, Italy 35, Siena 3, a cura di A. Mastruzzo, Dietikon-Zürich 2004; P. 91, Italy 63, Reggio Emi-

lia, Firenze, a cura di M. Modesti, M. Mezzetti, L. Iannacci, A. Zuffrano, Dietikon-Zürich 2012 (dopo

la sigla, indicazione n. volume e/o documento/pagina). Le osservazioni paleografiche di quest’o- pera sono state costantemente tenute presenti e vengono a più riprese citate.

2Fedor Schneider per primo indicava esplicitamente l’importanza di un’edizione autonoma del fon-

do: si veda Regestum Senense, a cura di F. Schneider, Roma 1911 (Regesta Chartarum Italiae, 8), p. XL e W. Kurze, Introduzione, in Kurze, Monasteri e nobiltà cit., pp. XXVII-XXXI, con riman- di a ulteriori studi sul tema.

si vedrà nel quarto capitolo, tra le pergamene amiatine e le scritture librarie di Monte Amiata sono possibili comparazioni che si intende sviluppare in futu- re indagini su ulteriori materiali4. Prima di ciò, l’incontro, l’intreccio e lo scam-

bio di capacità tecniche scrittorie tra i monaci di San Salvatore, i laici e altri re- ligiosi dei territori circostanti che emergono dall’analisi del Diplomatico fan- no di esso una base da interpretare già in sé; oltre a offrire motivi per indagi- ni sulle scritture librarie attribuibili a San Salvatore. Del resto, è ormai acqui- sito che si possano utilizzare documenti, privati in particolare5, per indagini le-

gate alla dimensione culturale6.

Il primo oggetto di riflessione sono state le tipologie diplomatistiche pre- senti nel fondo amiatino. Innanzitutto, si possono distinguere le scritture pub- bliche, di particolare importanza per San Salvatore, abbazia regia, e quelle ema- nate dalla Chiesa di Roma, legata all’area amiatina anche dalla relativa vicinanza geografica, tanto che parte dello stesso territorio della montagna rientrava nel- l’area rivendicata per le concessioni altomedievali dai papi: è anche possibile individuare, nelle scritture amiatine, tracce di tentativi di ampliare, in qualche modo, la portata di tali prerogative7. Ancora, tale fondo include scritture in cui

è possibile rintracciare il passaggio diretto di alcuni monaci scrittori: queste sono di particolare importanza per il presente lavoro, sia nel caso di pergamene che presentino in parte scritture di monaci, come quelle con loro sottoscrizioni, sia – e a maggior ragione – nel caso di pergamene interamente scritte da un mo- naco. Infine, vi sono scritture private in cui si intrecciano le mani dei notai lai- ci, dei notai chierici, dei sottoscrittori laici e di quelli religiosi tra i quali, come appena ricordato, quelle degli stessi monaci amiatini. Le pergamene del Di- plomatico possono essere, per vari motivi, di centrale importanza per l’ogget-

4Il riferimento è in particolare ai materiali conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, nel-

la quale le rinnovate condizioni di studio rese possibili dalla recente ristrutturazione potranno age- volare le indagini volte a indentificare materiali di provenienza amiatina.

5Nella presente indagine, nonostante la distinzione tra documenti privati e pubblici rimanga, ov-

viamente, valida, l’interesse principale è quello di rinvenire, in qualsiasi tipologia, le tracce diret- te e indirette del rapporto dei monaci con la scrittura.

6Senza alcuna pretesa di esaustività, si ricordi l’esplicito A. Petrucci, I documenti privati come fon-

te per lo studio dell’alfabetismo e della cultura scritta, in Sources of social history. Private acts of the late middle ages, a cura di P. Brezzi, E. Lee, Toronto-Roma 1984, pp. 253-266 e, più in gene-

rale, Petrucci-Romeo, “Scriptores in urbibus” cit.; si vedano anche E. Casamassima, Scrittura do-

cumentaria dei “notarii” e scrittura libraria nei secoli X-XIII. Note paleografiche, in Il notariato nella civiltà toscana, Atti di un convegno, maggio 1981, Roma 1985 (Studi storici sul notariato ita-

liano, 8), pp. 61-122 e altre opere già citate, ad esempio Nicolaj, Cultura e prassi di notai cit. o Bar- toli Langeli, Notai. Scrivere documenti cit., che costituiscono ulteriori esempi di studi basati su scrit- ture documentarie volti a indagare la dimensione culturale. M. Palma, Per lo studio della produ-

zione scritta nel Medioevo: i materiali delle Chartae Latinae Antiquiores e dei Manoscritti Datati

d’Italia, in «Mediaeval sophia», 5 (2009), pp. 60-73 fornisce un quadro delle ampie prospettive aper- te dalle imprese editoriali cui fa riferimento, mentre un ulteriore esempio recente è M. Bassetti, A. Ciaralli, Sui rapporti tra nazionalità e scrittura, in Il patrimonio documentario della chiesa di Luc-

ca. Prospettive di ricerca, a cura di S. Pagano, P. Piatti, Firenze 2010, pp. 285-311.

to della presente ricerca, cioè la capacità nel praticare attivamente la scrittu- ra da parte dei monaci amiatini. Per procedere in analisi di tipo qualitativo sui diversi tipi di scritture praticati dai monaci e, dunque, sul livello di competenza scrittoria raggiunto a San Salvatore, è senz’altro utile vagliare innanzitutto la consistenza stessa dell’alfabetismo, in termini anche quantitativi, sia nel ter- ritorio di Chiusi, ai cui margini l’abbazia era collocata, sia in altri, nei quali il monastero aveva interessi economici e religiosi. Si tratta, comunque, di terri- tori contermini, dato che il patrimonio del monastero amiatino era relativamente compatto: accanto a un nucleo gravitante sull’abbazia, vi erano quelli afferen- ti a celle monastiche o, comunque, altri nuclei proprietari, in ogni caso mai in territori di città considerevolmente distanti. L’area di interesse del monaste- ro, per lo meno per quanto mostra la documentazione pervenutaci, è sempre stata al massimo estesa tra la parte meridionale del territorio di Siena e di Arez- zo, il lago Trasimeno, quello di Bolsena, la costa tirrenica maremmana.

Un primo elemento di forte interesse quanto a diversità interne al Diplo- matico è che esso raccoglie tanto documenti redatti in territori pertinenti al na- scente potere temporale dei papi quanto altri, provenienti da terre parte del Re-

gnum. Ma si può dire ancora di più: San Salvatore, abbazia regia di solidissi-

ma tradizione, si trovava ai margini meridionali dell’Etruria conquistata dai lon- gobardi, cioè una fascia di territorio nella quale tale penetrazione sembra av- venisse con modalità peculiari, anche grazie al ricongiungimento con contin- genti longobardi già insediatisi in precedenza nell’area, come soldati mercenari al soldo dei bizantini. Questa fascia, per questa e per altre ragioni anche più re- mote, permaneva dunque in una condizione peculiare. Qui era Chiusi il cen- tro urbano di riferimento, un centro però che appunto mantenne, pur divenuto pienamente longobardo, caratteri propri. Su tale zona, fin dai secoli VIII-IX, è evidente l’esistenza di legami storici profondi con Roma che correvano lun- go le vie di comunicazione, terrestri e fluviali, rendendo così agevole il colle- gamento con la città centro dell’Impero, prima, e della cristianità, poi. Anche la nascente marca di Tuscia solo tardivamente andava ad accorpare queste ter- re che invece, in una prima fase, mantenevano una condizione autonoma8. E,

ancora, sappiamo che la stessa marca, peraltro, conobbe nel secolo XII l’effet- tivo affacciarsi dei papi romani anche come tentativo di inclusione territoria- le nell’area romana che, comunque, avrebbe poi realizzato più fluide relazio- ni nella dimensione sociale, economica e culturale9. Di tutto ciò il Diplomati-

Scritture documentarie nei secoli VIII-X

8Sulla marca di Tuscia si vedano A. Falce, Il marchese Ugo di Tuscia, Firenze 1921; A. Falce, La for-

mazione della marca di Tuscia (secc. VIII-IX), Firenze 1930; A. Puglia, La marca di Tuscia tra X e XI secolo. Impero, società locale e amministrazione marchionale, Pisa 2003, anche in <www.bibliote-

ca.retimedievali.it> e numerosi saggi di Kurze, inclusi nei tre volumi già citati: Kurze, Monasteri e no-

biltà cit.; Kurze, Studi toscani cit. e Kurze, Scritti di storia toscana cit.. Sui rapporti tra Roma e la To-

scana, in particolare meridionale, si veda D. Manacorda, Siena e Roma nell’alto medioevo: qualche lume

sui secoli bui, in «Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge», 119 (2007), pp. 5-24.

9Con il tardo medioevo è evidente la stretta relazione tra la Toscana, particolarmente quella me-

co di San Salvatore porta i segni con i diversi modi di datare, i diversi formu- lari applicati, l’eccezionale varietà paleografica di scritture che tramanda, tan- to di laici quanto di ecclesiastici, in relazione al territorio di Chiusi e a quelli delle altre città confinanti. Su questi aspetti arrivano sempre più fitti stimoli da studi recenti che vanno rivedendo la rigidità di talune impostazioni tema- tiche come la contrapposizione Papato-Impero o la capacità di pensare e pra- ticare il potere in una dimensione territoriale10.

Un altro tema tradizionale che l’analisi ravvicinata del Diplomatico amia- tino permette di rivisitare è quello della contrapposizione tra laici ed ecclesia- stici, anche in rapporto alle competenze scrittorie. Così diffuso nella storiografia, esso appare meritevole di qualche breve precisazione se, come ha scritto Cam- marosano con riferimento generale alla situazione italiana, si registra «una di- stinzione non netta fra laici e chierici nel campo delle scritture, una osmosi che si esprime in modo particolare nella figura del chierico-notaio»; e ancora, par- ticolarmente importante per gli interessi di questa sede, «una discrepanza fra l’estensione delle attitudini alla scrittura nel laicato e la debolezza della sua par- tecipazione alla produzione di testi non documentari» che induce lo studioso

a riflettere sul rapporto che esistette nell’alto medioevo, come in ogni epoca, tra alfabe- tizzazione e creazione di scritture. Quello che in Italia sembra fosse venuto a mancare, con l’età longobarda, non fu l’alfabetismo di base, quanto i meccanismi che assicuras- sero una sua possibile traduzione in scritture di natura letteraria11.

Non è dunque tanto la capacità tecnica di scrivere quanto quella di conservare, di utilizzare le scritture per costituire un’immagine di sé ciò che distinse la Chie- sa rispetto ai laici o, per rimanere alle dimensioni e ai metodi propri della pre- sente indagine, la realtà di un ente ecclesiastico come il monastero amiatino nei confronti di quella società locale di cui era parte.

Lungi dal volersi astrattamente chiedere se quella tra laici ed ecclesiastici possa essere una divisione lecita per il periodo in analisi, si è piuttosto scelto di sottoporre a verifica le sfrangiature di tali categorie attraverso un campio- ne circoscritto, per costituire una base per lo studio del fenomeno scrittorio al- l’interno della comunità monastica di San Salvatore tra il medioevo alto e cen- trale, nel quadro della diffusione di alfabetismo e competenza scrittoria nelle società locali con le quali la fondazione interagiva. Si muove da una bibliogra- fia in fondo non consistente sul tema dell’alfabetismo e della cultura scritta, in particolare nell’ambito del laicato italiano, per il quale «sempre (o quasi) si è

Siena fra Due e Trecento, a cura di G. Piccinni, Ospedaletto (Pisa) 2008 (Dentro il medioevo. Temi

e ricerche di storia economica e sociale. Collana del Dipartimento di storia dell’Università di Sie- na, dir. da G. Cherubini, F. Franceschi, G. Piccinni, 3). Ma anche nell’alto medioevo si può intui- re che i legami fossero più solidi di quanto dimostrabile: tracce ne ha indicate in modo efficace Ma- nacorda, Siena e Roma cit.

10Si veda l’introduzione al presente volume, in particolare numerosi lavori citati tra le note 13 e

22 e il testo corrispondente.

Scritture documentarie nei secoli VIII-X

trattato del contrapporsi di tesi astrattamente opposte»12, è stato scritto, seb-

bene non manchino indicazioni importanti da parte di autorevoli studiosi di quel- le che un tempo sarebbero state definite scienze ausiliarie della storia13.

Rimane indiscutibile il nodo, indicato da Paolo Cammarosano con parti- colare attenzione per esempi toscani, dell’egemonia della tradizione ecclesia- stica: tradizione come trasmissione, capacità ordinativa e conservativa delle strut- ture ecclesiastiche, incomparabilmente superiori rispetto a quelle dimostrate dai laici, sia come gruppi sociali – rarissime le discendenze in grado di trasmettersi documentazione relativa ai propri beni – ma anche come istituzioni, dalle ar- ticolazioni territoriali fino allo stesso potere sovrano regio14. Una tradizione da

intendersi anche nella capacità di trasmettere conoscenze, di insegnare; altro tema sul quale, come noto, sappiamo purtroppo pochissimo. Ricorriamo alle parole dello studioso triestino:

le notizie positive dell’ordinamento scolastico in Italia, fino all’XI secolo, sono poche per quanto concerne le scuole di chiese e monasteri, pressoché nulle per ciò che concerne l’i- struzione al notariato. Più che a strutture stabili e a magistri di scholae (ambedue ter- mini, peraltro, di molteplici e ambigui significati), viene fatto spesso di pensare a mo- dalità di trasmissione della cultura scritta individuali e informali: da chierico a chieri- co, da monaco a monaco, da notaio a notaio e magari di padre in figlio15.

12Petrucci, Romeo, “Scriptores in urbibus” cit., p. 10.

13Si pensi alle pagine di Armando Petrucci, già più volte rammentate, con le solide proposte me-

todologiche e le utili interpretazioni per la fase più alta che qui interessa; o a quelle, stimolanti per quanto tra loro, talvolta, divergenti, di Giovanna Nicolaj, di Attilio Bartoli Langeli e di Michele An- sani, in particolare per l’evoluzione delle forme scrittorie documentarie tra i secoli X e XI: si veda Nicolaj, Cultura e prassi di notai cit. e il recente manuale G. Nicolaj, Lezioni di Diplomatica ge-

nerale, I, Istituzioni, Roma 2007. Si vedano, ancora, i già citati Bartoli Langeli, Sui ‘brevi’ italia- ni cit.; Bartoli Langeli, Notai. Scrivere documenti cit.; Ansani, Appunti sui brevia cit.; e Ansani,

Caritatis negocia cit. Particolarmente utile per l’ambito toscano A. Meyer, Felix et inclitus nota- rius. Studien zum italienischen Notariat vom 7. bis zum 13. Jahrhundert, Tübingen 2000 (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom,92), ma in tale contesto vanno ancora ricordati nu- merosi contributi di Cammarosano, il cui interesse travalica i confini regionali: Cammarosano, Ab-

badia a Isola cit.; Cammarosano, Tradizione documentaria e storia cittadina cit.; Cammarosa-

no, I “libri iurium” e la memoria storica delle città comunali, in Il senso della storia nella cultu-

ra medievale italiana (1100-1350), Atti del XIV convegno internazionale di studi del Centro ita-

liano di studi di storia e d’arte (Pistoia, 14-17 maggio 1993), Pistoia 1995, pp. 95-108, poi in Le scrit-

ture del comune. Amministrazione e memoria nelle città dei secoli XII e XIII, a cura di G. Albi-

ni, Torino 1998, <www.biblioteca.retimedievali.it> e, ovviamente, Cammarosano, Italia medievale cit. Coraggiose posizioni nell’ambito della scrittura libraria sono state recentemente prese da H. Hoffmann, Italienische Handschriften in Deutschland, in «Deutsches Archiv», 65 (2009), pp. 29- 82 sulla diffusione di tendenze culturali, anche in parallelo a temi politico-istituzionali come quel- lo dell’età della riforma, come indicato puntualmente da Gorman, temi per i quali si rimanda al capitolo 3. Per la dimensione libraria davvero poco si scorge lontano dalla cultura ecclesiastica, per la fase cronologica oggetto del presente studio: ci si tornerà nel capitolo specificamente dedicato ai presunti codici “amiatini”, rammentando, per il momento, anche quanto in Ghignoli, Istituzioni

ecclesiastiche e documentazione cit.

14Cammarosano, Italia medievale cit., pp. 39-111.

15Ibidem, p. 52. Sul tema, sempre utile C. Frova, Istruzione e educazione nel medioevo, Torino 1973

Senza poter in questa sede approfondire la riflessione sulle pur importan- ti discussioni aperte su simbolicità e realtà delle ripartizioni sociali attestate in autori medievali, non si possono comunque ignorare le distinzioni fra laici e re- ligiosi e, ancora, tra condizione clericale e monastica, grazie a più studi, con di- versi approcci e basati su diverse fonti, che hanno mostrato l’evanescenza del confine tra laico e sacerdotale nella realtà fattuale e nonostante chiare distin- zioni teoriche elaborate nei primi secoli dai padri della Chiesa e, in particola- re, da Gregorio Magno16.

Inoltre, proprio in rapporto all’attività intellettuale e a quella dello scrive- re, già come mero fatto tecnico prima ancora che come attitudine culturale, è da tenere in considerazione, particolarmente per alcune fasi dell’arco crono- logico, abbastanza ampio, di questo lavoro, la distinzione tra condizione mo- nastica e sacerdotale17. Nel concreto della dimensione territoriale amiatina sono

più che evidenti le divergenze verificabili tra i rappresentanti del clero secola- re e quanti vivevano nella dimensione della religiosità monastica. Si tratta di vicende a più riprese oggetto di numerose e solide ricerche per quanto concerne lo scontro tra l’autorità vescovile chiusina e quella dei monaci ma meno inda- gate negli aspetti delle conoscenze e competenze dei benedettini di Monte Amia- ta e di quelle dei sacerdoti del territorio di Chiusi, compresi quelli afferenti allo stesso monastero18. Anche riguardo al periodo tra la seconda metà del secolo

VIII e gli inizi del X19, si ponga particolare attenzione alla distinzione tra sfe-

ra clericale e sfera monastica per la dimensione dell’alfabetizzazione. Nel caso Scritture documentarie nei secoli VIII-X

Ferrari, F. Piseri, Scolarizzazione e alfabetizzazione nel Medioevo italiano, in «Reti Medievali - Rivista», 14 (2013), 1, <http://www.rmojs.unina.it/index.php/rm/article/view/390>.

16Tale tema è ovviamente non affrontabile in questa sede. Senza nessuna pretesa di completezza,

si ricordano qui alcuni esempi da diverse tradizioni di studi: F. Prinz, Clero e guerra nell’alto me-

dioevo, Torino 1994 (Stuttgart 1971) che mostra il peso di vescovi e abati nell’Impero; P. Brown, La formazione dell’Europa cristiana. Universalismo e diversità. 200-1000 d.C., Roma-Bari 1996,

con ampio uso di fonti patristiche; in ambito storiografico italiano, si ricordi il contributo di Ta- bacco, in particolare – ma non solo: si vedano anche gli altri titoli nella bibliografia – G. Tabac- co, Prodromi di edonismo elitario nell’età della riforma ecclesiastica, in G. Tabacco, Spirituali-

tà e cultura nel medioevo. Dodici percorsi nei territori del potere e della fede, Napoli 1993, pp.

267-285. Sia consentito anche un rimando a M. Marrocchi, Recensione a P. Pellegrini, Militia cle- ricatus monachici ordines. Istituzioni ecclesiastiche e società in Gregorio Magno, Catania 2008 (Testi e studi di storia antica, 20), in «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», 90 (2010), pp. 566-568 e, ovviamente, al saggio recensito, particolarmente al ca- pitolo 1, pp. 41-69: Pietrina Pellegrini mostra la puntuale distinzione teorica di Gregorio Magno tra i diversi ruoli nella Chiesa.

17Sulla distanza tra condizione clericale e monastica, evidente già in Agostino, si veda ancora Pel-

legrini, Militia clericatus cit., in particolare pp. 41-69.

18Il riferimento è agli scontri tra il monastero e il vescovo di Chiusi, con i suoi alleati Aldobran-

deschi. I contributi a essi relativi e un accenno alla vicenda in Lettere originali del medioevo la-

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