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Capitolo 3. Contro-visualità e pratiche artistiche antirazziste: due casi

3.1 Afrofuturismo: dallo schiavismo ai viaggi intergalattici per re-immaginare

3.1.2 L’afrofuturismo femminista in Italia: Karima 2G

L’afrofuturismo, inteso come corrente teorica, sensibilità artistica, estetica e politica, ha fatto ingresso nel panorama culturale italiano solo di recente, anche grazie al già citato lavoro pioneristico di Claudia Attimonelli. Il 2018 segna un anno di svolta, non solo perché Attimonelli pubblica la seconda edizione di Techno. Ritmi afrofuturisti (già uscito nel 2008), ma anche perché il museo MAXXI di Roma dedica all’Africa due importanti cicli di eventi: il primo, intitolato “African metropolis. Una città immaginaria” (22 giugno – 4 novembre), curato da Simon Njami e co-curato da Elena Motisi, è consistito in una grande mostra dedicata all’Africa e alle trasformazioni sociali e culturali in atto, sui cui hanno riflettuto i trentaquattro artisti africani o afrodiasporici i cui lavori sono stati presentati all’evento. All’interno di questa cornice, si è svolto il progetto di mediazione interculturale “Afropolitan” che ha coinvolto giovani provenienti dall’Africa, di seconda generazione e italiani nativi, mentre con il secondo ciclo di appuntamenti, dedicato alla letteratura e intitolato “Scrittori al MAXXI. Come raccontare l’Africa”, è stato possibile incontrare e dialogare con scrittori e scrittrici africani e afrodiscendenti che, nei propri libri, offrono una complessa narrazione dell’Africa e delle sue diaspore.

Nel contesto della rassegna “African Metropolis” il 25 ottobre 2018 è stato organizzato un evento dal titolo “Afrofuturismo femminista”, al quale hanno partecipato Lidia Curti, Claudia

Attimonelli, Enrica Picarelli e Karima 2G. L’evento ha rappresentato una delle primissime occasioni in cui il tema dell’afrofuturismo femminista è stato discusso pubblicamente e collettivamente e ha di fatto avviato un crescente interesse per tale movimento culturale. Nel 2019, l’afrofuturismo femminista è stato al centro di un focus coordinato da Lidia Curti (con la partecipazione di Igiaba Scego, Karima 2G e Maria Rosa Cutrufelli) nell’ambito di “Feminism 2. Fiera dell’editoria delle donne” presso la Casa internazionale delle donne di Roma, mentre Karima 2G si è esibita live, ancora presso la Casa internazionale delle donne, il 4 luglio in un evento dal titolo “La blackness come performance creativa” nell’ambito della serie di eventi “Afrointersezioni”, organizzato dall’associazione “Le sconfinate” in occasione del ciclo estivo “La Casa (s)piazza”.

Karima 2G (Anna Maria Gehnyei), oggi riconosciuta come una esponente dell’afrofuturismo femminista, è una cantate e beatmaker italiana di origini liberiane323. La sua carriera inizia come

vocalist nell’ambiente del clubbing italiano e nel 2010 fonda l’etichetta discografica Soupu Music. Nel 2013 si reca in Liberia per la prima volta, e tale avvenimento rappresenta un momento cruciale nella sua formazione artistica e personale: il passaggio dalla musica elettronica al progetto “2G” ha costituito una rinascita, un punto di cesura tra un passato caratterizzato da una dedizione alla musica per il piacere musicale fine a sé stesso e un presente in cui la musica diviene una forma di attivismo. La presenza dell’espressione “2G” incorporata nel nome d’arte è motivata dal riferimento esplicito alla categoria di “seconde generazioni” assegnata a livello istituzionale ai figli di immigrati che ad oggi, in base alla legge in vigore per l’attribuzione della cittadinanza basata sul principio dello ius sanguinis, sono esclusi dal diritto di cittadinanza fino ai diciotto anni e vengono privati, di conseguenza, di una molteplicità di diritti automaticamente riconosciuti, invece, ai figli e alle figlie

323 Le informazioni contenute in questa sezione sono state tratte dall’intervista rilasciata da Karima 2G a Radio Onda Rossa (ascoltabile al link http://www.ondarossa.info/redazionali/2019/07/karima-2g-blackness-come-perfomance, ultima consultazione gennaio 2020) e da altre interviste inserite in articoli online, si vedano i seguenti link:

https://www.piuculture.it/2019/07/karima-2g-nelloscurita-voglio-vedere-la-luce/, http://www.musiquebuffet.com/3470- 2/, ultima consultazione gennaio 2020.

di italiani nativi. Karima intende quindi riprendere quell’etichetta, percepita da alcuni come discriminatoria e rivendicata da altri, per spogliarla delle connotazioni negative e assegnarle un significato potente e creativo. Il viaggio in Liberia ha aperto per Karima 2G un percorso di ricerca di sé stessa, soprattutto nella scoperta del modo in cui la sua identità è stata percepita dalla società liberiana. La cantante afferma che, in quell’occasione, si è resa conto di vivere tra due realtà e che in nessuna delle due è completamente inclusa: se in Liberia viene percepita come «africana bianca» e occidentale e dunque non viene completamente accettata, in Italia, al contrario, la sua nerezza rende inaccettabile, a livello di istituzioni, politica e senso comune, la sua italianità. Il confronto con il proprio Paese d’origine ha fatto emergere una rabbia profonda che tentava di farsi strada ma che non aveva un canale di espressione. In questo conflitto interiore la musica e la cultura africana, entrambe tramandate a Karima da suo padre, hanno rappresentato la via d’uscita, il momento creativo e l’inizio di quello che è poi divenuto un vero progetto musicale e culturale. L’esordio da solista è infatti del 2014 con l’uscita dell’album “2G” che, come afferma la cantante, non è stato affatto pensato e ragionato ma è stato piuttosto un vero e proprio sfogo e per i cui brani (come anche per l’album successivo) la cantante sceglie l’uso del Pidgin English, una mescolanza tra inglese e lingua indigena da lei identificata come sua lingua madre. Spesso paragonata alla rapper britannica M.I.A. (la cui musica è anche fonte di ispirazione per la cantante), Karima ricorre a suoni elettronici che richiamano la bass music con influenze afro, mentre i titoli e i testi rendono evidente un nuovo interesse per questioni quali il rapporto con le proprie radici africane, il riconoscimento della propria nerezza ma anche la politica interna italiana, soprattutto quella che si esprime in modo estremamente discriminatorio nei confronti delle persone nere. Il brano Orangutan, ad esempio, nasce proprio dall’episodio del 2013 in cui il leghista Roberto Calderoli si riferì all’allora Ministra dell’Integrazione Cecile Kyenge definendola un orango324. L’evento diviene motivo di ispirazione per Karima 2G che

trasforma l’offesa razzista in un ritornello composto dall’uso della parola “orangutan” in una continua

324 Cfr.

https://www.repubblica.it/politica/2013/07/14/news/vedo_il_ministro_kyenge_e_penso_a_un_orango_e_polemica_per_ la_frase_del_leghista_calderoli-62945682/, ultima consultazione gennaio 2020.

ripetizione che viene esasperata fino a esorcizzare e demolire il significato razzista precedentemente assegnato al termine. Il videoclip stesso si apre con la trasmissione in televisione di un notiziario in lingua inglese in cui viene annunciato l’insulto mosso da Calderoli contro la Ministra, così da rendere esplicita la connotazione critica e oppositiva della canzone. Il ritornello, inoltre, è accompagnato da varie immagini di oranghi che rendono l’intera rappresentazione – visuale e sonora – una sorta di esagerazione grottesca che finisce per comicizzare la rappresentazione e, di conseguenza, l’evento, annullandone l’effetto violento e offensivo325. Nel brano Bunga bunga, invece, la cantante fa esplicito

riferimento allo scandalo italiano del cosiddetto “Rubygate”, quello riguardante, com’è noto, le feste a sfondo sessuale che si svolsero nelle ville dell’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e per le quali venne condannato per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile (e prosciolto poi in appello). Il brano di Karima 2G si apre con un elenco dei più diffusi insulti utilizzati in riferimenti alle persone nere e africane («Monkey, donkey/ Back to the country/ Back to the history/ Eat banana plantain», «piccolo e nero/ Look like Calimero»), mentre il ritornello ripete «You want bunga bunga, I give you bonga bonga», accompagnato da un videoclip in cui il ballo, a differenza di molti altri suoi videoclip, costituisce un elemento fondamentale. Riferendosi esplicitamente a Berlusconi, la danza sensuale e provocante (anche attraverso il ricorso al twerking e alla sua resa ipervisibile da inquadrature ravvicinate) di Karima 2G e degli altri ballerini e ballerine neri protagonisti del video rappresenta una riappropriazione corale e fiera della propria corporeità e della propria nerezza («DB I’m speaking in Pidgin/You want to undestand/Take the African Degree», «Proud to be black»), che si esprime in un moto di sfida («When you come to fight I win») nei confronti dei suoi interlocutori contro l’utilizzo delle donne come se fossero una merce e della riduzione della cultura africana a stereotipi sessuali326. Blackenized è invece dedicato alla tematica

identitaria e costituisce una celebrazione della nerezza. Karima 2G rivendica le proprie radici africane

325 Il videoclip è disponibile al seguente link https://www.youtube.com/watch?v=EKQOltcexX0, ultima consultazione gennaio 2020.

326 Il videoclip è disponibile al seguente link https://www.youtube.com/watch?v=pRXWRgNbNBI, ultima consultazione gennaio 2020.

ed esprime l’importanza della valorizzazione della propria nerezza per il processo di riconoscimento della propria identità («I don’t know if you realize/Before you get recognized/ You’ve got to be blackenized», «I’m an african Queen/Queen of the jungle», «Don’t complain your complexion»). Il brano si rivolge a tutte le persone nere che vivono discriminazioni e violenze ed è un’esortazione a non lasciarsi abbattere da esse ma piuttosto agire e (re)agire («Don’t be a victim», «They abuse me/ They think they can use me/ Now listen/ It’s time to take action»)327. D’altronde l’impulso ad agire e

a rifiutare i processi di (auto)vittimizzazione è un elemento ricorrente nella narrazione di Karima. L’artista mostra di avere molto chiaro l’approccio per affrontare le continue discriminazioni: in riferimento alla questione delle seconde generazioni, ad esempio, Karima afferma che l’attuale legge priva i giovani di seconda e terza generazione di diritti fondamentali e assume la connotazione di una forma di schiavitù moderna. Se questo da un lato scatena la rabbia, da lei ritenuta necessaria perché motore di azione, secondo la cantante a un livello profondo le discriminazioni producono un terreno fertile per la creazione di pratiche oppositive, che permettono anche di uscire dal circuito del vittimismo e dell’alienazione.

L’uscita dell’EP Malala nel 2018 segna l’avvio di un nuovo percorso caratterizzato da una nuova sensibilità più specificatamente afrofuturista. Il brano Malala, ispirato all’attivista pakistana Malala Yousafzai, è dedicato alle donne guerriere, alle donne che si ribellano e spezzano le catene della propria oppressione. Il videoclip è a questo proposito significativo, in quanto ritrae Karima nei panni di una lavoratrice domestica a servizio presso una ricca famiglia bianca romana328. Il rapporto

di subordinazione cui è costretta dalla padrona di casa e la riduzione della sua identità al mestiere che svolge la spingono al finale atto di ribellione, con il quale la protagonista, spogliatasi della divisa da domestica, truccatasi e indossati ornamenti africani, serve da mangiare ai propri padroni e ad alcuni

327 Il videoclip è disponibile al seguente link https://www.youtube.com/watch?v=2diPwcrFlbs, ultima consultazione gennaio 2020.

328 Sul rapporto tra padrone italiane e lavoratrici domestiche migranti ha riflettuto a lungo Sabrina Marchetti, che dal 2015 dirige il progetto ERC “DomEqual. A Global Approach to Paid Domestic Work and Social Inequalities”. Si vedano, tra gli altri, Sabrina Marchetti, Le ragazze di Asmara. Lavoro domestico e migrazione postcoloniale, Ediesse, Roma 2011 e Sabrina Marchetti, Serva e padrona. Una casa per due in Jamila M.H. Mascat, Sabrina Marchetti, Vincenza Perilli (a cura di), Femministe a parole. Grovigli da districare, Ediesse, Roma 2012, pp. 254-257.

loro amici cantando, ballando ed esibendo con fierezza la propria identità nera329. La sensazione di

essere percepita come appartenente alla realtà italiana solo parzialmente emerge nel brano U don’t know me, che affronta proprio il tema del pregiudizio e della definizione delle persone percepite come altre in base a un repertorio di stereotipi radicati, e non, piuttosto, attraverso la conoscenza diretta. Nell’intervista rilasciata a Radio Onda Rossa Karima ha raccontato, in riferimento alla nascita del brano, l’episodio in cui la polizia italiana le ha chiesto di esibire il documento di riconoscimento alla fermata dell’autobus, episodio che mostra quanto in Italia la nerezza sia dissociata dal concetto di italianità e che costituisce un esempio della sensazione di straniamento e alienazione vissuta da molti italiani afrodiscendenti330. Il brano Kunta Kinte, invece, è strettamente legato alla sua infanzia e

all’abitudine che aveva da bambina di guardare le puntate della miniserie degli anni Settanta Radici insieme al padre. Nel 2016 Karima è stata contatta da Amnesty International e History Channel per partecipare al progetto musicale che avrebbe lanciato il remake della serie originaria, Radici, in Italia andato in onda tra il 2016 e il 2017. Kunta Kinte è strettamente legato al progetto non solo perché il nome del personaggio che dà titolo al brano è il protagonista della miniserie ma anche perché, per la realizzazione del brano, Karima 2G ha campionato le voci di una scena specifica del film, quella in cui il padrone bianco, frustando Kunta Kinte, gli ordina di abbandonare il suo nome africano e assumere quello da lui scelto331. La ri-nominazione – e la costrizione a rinunciare al proprio nome

originario – assume in questo contesto la funzione di annullare l’identità dello schiavo e rappresenta una ulteriore forma di violenza del sistema schiavista, che ha operato anche tramite la cancellazione della cultura, delle tradizioni, delle lingue e delle religioni africane e l’imposizione per gli schiavi di adeguarsi agli stili di vita americani332. Dunque la scelta di trasporre in musica la memoria della

schiavitù e di riflettere, tramite la scelta della scena, sull’annullamento culturale e identitario vissuto

329 Il videoclip è disponibile al link https://www.youtube.com/watch?v=iDV_mWwo_Uo, ultima consultazione gennaio 2020.

330 Il videoclip è disponibile al seguente link https://www.youtube.com/watch?v=Fd525-dHCGc, ultima consultazione gennaio 2020.

331 Il videoclip è disponibile al link https://www.youtube.com/watch?v=Uf3OsKiUsFM, ultima consultazione gennaio 2020.

332 Sull’importanza dell’atto di assegnazione del nome in contesti coloniali e imperialisti si veda Anne McClintock,

dagli schiavi colloca questo brano in una cornice afrofuturista che, come si è visto in precedenza, rievoca l’esperienza della schiavitù e intravede nell’immaginazione di mondi possibili il modo per rispondere alla storica distruzione di ogni legame con la cultura africana d’origine. Sono proprio il senso di alienazione che più volte emerge nelle opere di Karima ma anche la centralità assegnata alla forza e alla potenza delle donne, l’atto di mantenere le tracce del passato e di riconoscersi nella propria appartenenza all’Africa che esprimono la sua vicinanza al paradigma afrofuturista femminista. Come Karima stessa afferma, l’afrofuturismo «è qualcosa che arriva e non puoi farne a meno»333, è una

prospettiva che apre spazi di liberazione da forme di oppressione vecchie e nuove. In questo senso l’appropriazione della tecnologia per creare musica da parte di una donna nera sovverte l’immagine di arretratezza, sottosviluppo e primitivismo che comunemente investe i corpi femminili neri. L’uso del sampling e di altri strumenti tecnologici diventa un potere, un mezzo

di espressione e una vera e propria arma, mentre al contempo la stessa scelta estetica nell’abbigliamento proietta l’immagine Karima 2G in una dimensione che sconfina le coordinate terrestri e immagina futuri diversi dalla distopia cui l’Africa e i suoi discendenti sembravano dover essere destinati. In questa prospettiva, la cantante ha iniziato a sperimentare anche il fumetto come forma espressiva, realizzando The Italiens (fig. 1), presentato all’edizione del 2018 del festival “CRACK Fumetti

dirompenti – Rome Festival of Drawn and Printend Art”, organizzato da e presso il centro sociale occupato autogestito Forte Prenestino. Il titolo è già pienamente evocativo del parallelo afrofuturista tra soggetti neri e alieni, in virtù del senso di estraneità vissuto dai primi all’interno di società occidentali strutturate attorno all’egemonia bianca. Nel fumetto, le cui tavole trattano episodi di vita quotidiana realmente accaduti, Karima 2G pone al centro della narrazione gli “italiani alieni”, tutte quelle persone che pur essendo italiane (per nascita, senso di appartenenza, cultura, lingua) vengono

333 Cfr. http://www.ondarossa.info/redazionali/2019/07/karima-2g-blackness-come-perfomance, ultima consultazione gennaio 2020.

percepite tanto a livello istituzionale quanto sociale come un’alterità mai del tutto (se non affatto) amalgamata con il corpo sociale della nazione. Questo senso di alienazione rappresenta per Karima uno spazio fecondo di possibilità creative, dal quale poter emergere con l’espressione e la comunicazione di storie “dal margine”, raccontate con forza, potenza e ironia.

«Alienati prima ancora di venire alienato. Tu solo hai il potere di creare la tua realtà. Sii fiero di essere lo straniero, il forestiero, l'alieno,

poiché è nell'alienazione che troverai la tua

realizzazione»334.

334 Il testo (scritto da Karima 2G) e la foto sono tratti dalla pagina Facebook dell’artista, disponibile al link https://www.facebook.com/karimanb1/photos/a.1469392963279060/2361953554022992/?type=3&theater, ultima consultazione gennaio 2020.

3.2 Antirazzismo a fumetti. Pratiche estetiche e autorappresentazioni