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L’ALLOCAZIONE DELLA SPESA PUBBLICA (*)

So m m a rio: 1. Introduzione. — 2. L a classificazione economica e funzionale della spesa pubblica. — 3. L ’attiv ità dell’operatore pubblico. — 4. Stima e verifica delle ipotesi. — 5. Analisi dei risultati e commenti conclusivi. —■

Bibliografia.

1. La recente letteratura in tema di scelte collettive (1) ha teso, da una parte, a dimostrare, tramite l’analisi dei comportamenti effet­ tivi dell’operatore pubblico, la necessità di una profonda revisione degli obiettivi tradizionalmente attribuiti al settore pubblico, e, dall’altra parte, ad avviare un processo di rielaborazione degli schemi di analisi economica in materia di finanza pubblica in generale e scelte collet­ tive in particolare.

Quest’ultima direzione di ricerca non ha ancora fornito un risultato unitario poiché gli schemi interpretativi impiegati rappresentano, per lo più, casi estremi il cui scopo principale è quello di dimostrare la rilevanza dell’obiettivo che di volta in volta si suppone prevalere nel­ l’azione dell’operatore pubblico. Infatti, e non solo per fini espositivi, sembra essersi instaurata la consuetudine di suddividere la letteratura sulle scelte collettive in tre principali gruppi di modelli decisionali (cfr. Atkinson e Stiglitz 1980, p. 295):

(i) modelli di scelte collettive basati su sistemi decisionali della democrazia diretta o rappresentativa (2);

(ii) modelli basati sul ruolo preminente che la burocrazia può avere sulla formazione delle decisioni (3);

(*) Lavoro effettuato nell'ambito del Progetto Finalizzato C.N.B. « Struttura

ed Evoluzione dell'Economia Italiana » (Sottoprogetto 3: Strategie e tecniche di intervento, Contratto no. 84.02388.53). S i ringrazia Giorgio De Santis per la collaborazione fornita.

(1) Le cui basi, sotto forma di critiche alla teoria tradizionale della fi­ nanza pubblica, si trovano già in Bu c h a n a n (1972).

(2) La letteratura su questo tipo di modelli decisionali è molto ampia. Tra i principali contributi si ricordano Dow ns (1957), Hin ic h, Le d y a r d e Or d e s h o o k (1972), Kr a m e r (1977), Sc h u m p e t e r (1954) e, soprattutto per il caso della democrazia diretta, Bu c h a n a n e Tu l l o c k (1962).

(3) I contributi rappresentativi di questa classe di modelli sono quelli

(iii) modelli basati sull’azione dei gruppi di pressione e su conflitti e cooperazione tra classi sociali (4).

Ciononostante, pur nella loro diversità, questi modelli decisionali non mancano di caratteri comuni. Tutti, indistintamente, sono infatti fondati su di una struttura logica che in termini molto semplificati prevede il raggiungimento dell’obiettivo tramite l’uso dello strumento della spesa pubblica. Il ruolo della politica tributaria e delle entrate in particolare è molto diverso da quello tradizionalmente considerato: non più come uno strumento in aggiunta alla spesa pubblica, per fini di stabilizzazione e redistribuzione, ma sempre più come vincolo di bilancio, più o meno rispettato, per l’uso dell’unico effettivo stru­ mento che è la spesa (5).

Inoltre, comune a tutti i tentativi di verifica empirica dei modelli di scelte collettive (6), è l’ipotesi di comportamento ottimizzante del­ l’operatore pubblico. In altre parole, l’utilizzo dello strumento della spesa pubblica risulterebbe efficiente nel senso di massimizzare un obiettivo (non sempre chiaramente specificato) per un volume dato di risorse disponibili.

In particolare, si ipotizza che nel decidere la composizione della spesa l’operatore pubblico si comporti in modo simile al singolo con­ sumatore. Laddove quest’ultimo massimizza la propria utilità, per un dato volume di risorse, l’operatore pubblico massimizza la sua utilità (definita di volta in volta in termini di voti, di «potere »,...) tramite la scelta dei servizi (sanità, difesa, ...) da offrire alla collettività per data quantità di risorse disponibili. È questa una ipotesi che, se appare giustificata nel caso del comportamento privato, risulta non necessa­ riamente plausibile nel caso dell’operatore pubblico, sebbene si

com-di Hir sc h m a n (1970), Nis k a n e n (1971), McFa d d e n (1975), Br e t o n (1974),

Bo r g h e r d in g (1977). . . . ,

(4) St ig l e r (1970) e (1974), e Olso n (1965) sui gruppi di interesse, O’Co n n o r (1973), Fo l e y (1978) e Je s s o p (1977) su conflitti e cooperazione

tra classi sociali. . . . , ,.,T, ,

(5) Per un simile punto di vista e con specifico riferimento ali Italia, cir.

Cavazzitti (1986, pp. 10-11). . . . .

(6) La letteratu ra sulle verifiche empiriche non e ancora sistematizzata. Le due principali rassegne sono quelle di Ro m e r e Ro s e n t h a l (1979), e Alt e Ch r y s t a l (1977). Inoltre, con esclusivo riferimento ai modelli di democrazia diretta e rappresentativa, le principali verifiche empiriche sono: Be r g str o m e Goodman (1973), Bo r c h e r d in g e De a c o n (1972), Po m m e r e h n e e Fr e y (1976), Inm an (1978), Lo v e l (1978), e Rt jb in f e l d (1977). Relativam ente al ruolo dei burocrati, Fr e y e Sc h n e id e r (1978 a, b, c) ed anche Fio r in a e Noll (1978).

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prenda come il suo impiego renda trattabili problemi cbe altrimenti si presterebbero solo ad analisi di tipo qualitativo.

Scopo del presente lavoro è, appunto, quello di valutare la fonda­ tezza dell’ipotesi di comportamento ottimizzante da parte dell’opera­ tore pubblico (7). Dalla risposta dipende, non solo la coerenza delle analisi empiriche effettuate per valutare le capacità esplicative dei singoli modelli di scelte collettive, ma anche, nel caso di risposta ne­ gativa (com’è in effetti), la necessità di sviluppare nuovi apparati teorici per l’analisi del comportamento dell’operatore pubblico.

Ya sottolineato che l’oggetto del lavoro è dichiaratamente speci­ fico. Sono note le molte riserve che un approccio analitico, quale quello descritto nelle pagine che seguono, può suscitare ma, nel presente con­ testo, tale approccio ha un valore puramente strumentale ai fini della verifica di ima ipotesi che, si noti, tanta parte della letteratura sembra comunemente accettare.

2. I dati di spesa pubblica di Contabilità Nazionale, relativi al­ l’aggregato delle Amministrazioni Pubbliche, sono disponibili, per il periodo 1960-1982 e per le classificazioni economica e funzionale, sia a prezzi correnti sia a prezzi costanti (Istat 1984) (8).

In particolare, con riferimento alla seconda delle due classifica­ zioni, si considerano le voci seguenti (9):

— servizi generali (10), — difesa, — istruzione, — sanità, — previdenza, — assistenza, — abitazione,

(7) Per questa linea di ricerca si veda Du n n e e Sm it h (1983).

(8) Si ricorda che la classificazione economica considera i flussi di spesa in uscita dalla Pubblica Amministrazione verso le altre unità istituzionali e li ripartisce considerando la spesa al momento dell’acquisto di fattori neces­ sari alla produzione di beni e servizi per la collettività. La classificazione fun­ zionale procede invece all’attribuzione delle voci di spesa secondo la loro desti­ nazione finale che è poi rappresentata dai servizi resi alla collettività.

(9) Per il contenuto delle singole voci si rinvia a Istat (1984).

(10) Comprende la spesa per gli organi dotati di poteri pubblici, organi legislativi ed esecutivi ai livelli superiori dell’Amministrazione nonché la spesa per l’Amministrazione Finanziaria e Fiscale ed i servizi comuni alle Ammini­ strazioni come servizi di programmazione, di statistica e di gestione del per­ sonale. Comprende inoltre la spesa per gli Affari Esteri, per la Sicurezza Pubblica e per la ricerca di carattere generale.

— altri servizi (11), — servizi economici (12), — spese varie (13).

Per comodità di interpretazione dei risultati oltre che per dare una idea delle grandezze oggetto di analisi, può essere utile commentare brevemente l’andamento temporale delle quote di spesa delle diverse categorie funzionali. La Tavola 1 riporta i saggi di aumento medio annuo delle quote di ciascuna voce di spesa nell’intero periodo 1960- 1982. L’aumento percentuale della quota è scomposto nelle sue com­ ponenti di: (i) prezzi relativi, (ii) quantità della singola voce di spesa,

(iii) quantità di spesa totale (14).

Osservando la prima colonna della Tavola 1 non si notano aumenti particolarmente rilevanti delle quote di spesa per categorie funzio­ nali. Solo la categoria delle « Spese varie » (i.e., gli interessi sul debito pubblico) presenta un considerevole saggio medio di crescita. In altri casi invece (« Spese generali », « Difesa », « Assistenza ») sono osserva­ bili consistenti riduzioni delle quote. Tuttavia, dato il diverso peso delle singole categorie sul totale della spesa, contenuti saggi di cre­ scita delle quote possono risultare, come si è in effetti verificato, in forti aumenti in valore assoluto delle spese stesse. Questo è il caso della « Previdenza » (30,5% della spesa totale nel 1960), dell’« Istruzione » (10,9%) e della Sanità (10,4%).

La scomposizione della variazione percentuale delle quote nelle sue componenti di prezzo e quantità consente alcune interessanti considerazioni. In particolare, la componente prezzi relativi nella va­ riazione delle quote di spesa è molto variabile sia per entità che per direzione. Diminuzioni della quota sono associate sia ad aumenti (« Servizi generali », « Difesa », « Assistenza ») sia a diminuzioni dei prezzi relativi (« Altri servizi », « Servizi economici »). Lo stesso vale per i casi di aumento della quota: con una variazione in aumento

(11) Comprende la spesa per i servizi ricreativi e culturali, le spese per il culto e le spese per contributi ad associazioni filantropiche.

(12) Comprende le spese per attiv ità norm ative nel campo del commercio e del lavoro, la spesa per a ttiv ità di conservazione, assistenza e formazione del capitale agricolo e forestale, i contributi agli agricoltori ed agli organismi di sostegno dei prezzi agricoli, le spese per contributi ed altre forme di assi­ stenza alle industrie, le spese per costruzione e manutenzione ed illuminazione

di strade, vie navigabili e porti. . »

(13) Comprende le operazioni del debito pubblico, 1 trasferim enti ira amministrazioni pubbliche, le spese per calam ità naturali.

(14) L a scomposizione di cui alla Tavola 1 deriva dalla trasformazione logaritmica della definizione di quota di spesa a prezzi correnti.

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(« Istruzione », « Previdenza », « Abitazione ») ed in diminuzione dei prezzi relativi (« Sanità » e « Spese varie »).

L’andamento dei saggi di crescita delle quantità delle singole voci di spesa (terza colonna della Tavola 1) rivela che le componenti « so­ ciali » della spesa (« Sanità », « Abitazione » e « Previdenza » e 1’« Istru­ zione » hanno registrato sostenuti tassi di crescita con conseguenti forti incrementi di spesa in valore assoluto derivanti oltre che dal peso sul totale delle categorie menzionate anche dall’andamento dei prezzi relativi delle stesse. Il più alto incremento in assoluto nel periodo 1960-1982 è registrato dalla voce «Spese varie» con il 13,59% cui si è accompagnata una variazione della quota di spesa pari a solo il 3,84% in conseguenza di una sostanziale riduzione nel prezzo relativo della voce stessa (4,27%). Questi saggi di aumento della spesa a prezzi costanti se confrontati con l’aumento della spesa totale modificano leggermente la conclusione spesso accennata secondo la quale le cause dell’aumento della spesa pubblica sono principalmente costituite dalle componenti « sociali ». Infatti le spese « sociali » non presentano aumenti di spesa in termini fisici eccedenti l’aumento della spesa totale. Per­ tanto gli aumenti delle quote di spesa di voci quali « Previdenza » ed « Istruzione » vanno in gran parte imputati alla evoluzione dei prezzi relativi.

Tavola 1 - Variazione percentuale media annua della quota di spesa per singola cate­ goria funzionale sul totale (w) e sua scomposizione nelle componenti di: prezzi relativi (p ), quantità della singola categoria di spesa (q) e quantità di spesa totale (Q). 1960 1982 w V 2 Q Servizi generali . . . -1,34 1,22 2,91 -5,48 D i f e s a ... -3,07 0,40 2,01 -5,48 I s t r u z io n e ... 0,10 1,32 4,26 -5,48 S a n it à ... 0,25 -0,06 5,78 -5,48 P revid en za... 0,10 2,39 3,19 -5,48 A s s is t e n z a ... -3,65 0,21 1,62 -5,48 A b ita z io n e ... 0,50 0,20 5,79 -5,48 Altri servizi... -3,05 -0,22 2,65 -5,48 Servizi economici . . -0,26 -1,16 6,38 -5,48 Spese v a r ie ... 3,84 -4,27 13,59 -5,48

La Tavola 1 nasconde naturalmente l’evoluzione temporale della composizione della spesa. Ripetendo l’esercizio di cui alla Tavola 1 per sottoperiodi è infatti possibile osservare che voci di spesa che mostrano una quota in aumento (p. es., « Previdenza » ed « Istruzione ») hanno visto tali incrementi concentrarsi nei primi anni ’60 mentre il loro peso sul totale si è tendenzialmente ridotto nel periodo successivo. Andamento opposto hanno invece presentato le voci « Spese varie » ed « Abitazione »: le loro quote, aumentate nella media del periodo 1960-1982, hanno registrato una diminuzione nel corso degli anni ’60 invertendo la tendenza nel periodo successivo.

Nel complesso, una analisi per sottoperiodi (qui non riportata per brevità) suggerisce la possibilità di uno spostamento nei criteri di ripar­ tizione della spesa totale: alla riduzione, già evidente fin dal 1975 e sempre più netta dal 1980 in poi, delle quote di spesa per le componenti tradizionali della spesa per beni pubblici (« Servizi generali », « Difesa », « Istruzione ») e delle componenti di spesa « sociale » (« Sanità », « Pre­ videnza ») si contrappone un aumento marcato delle « Spese varie » che rappresenta il costo del finanziamento in disavanzo della spesa.

Nel periodo considerato tre fattori emergono quindi come princi­ pali determinanti del livello e della struttura della spesa pubblica:

(i) sostenuti saggi di crescita della spesa totale, (ii) variazioni di no­ tevole entità dei prezzi relativi, (iii) riduzioni delle quote di spesa per i settori tradizionali di intervento dello Stato quali beni pubblici e spese sociali.

L’importanza relativa di questi fattori non può però essere dedotta da una analisi qualitativa della evoluzione della spesa, ma piuttosto da un esplicito modello di comportamento quale quello descritto nel paragrafo seguente.

Prima di affrontare il problema della stima e verifica dell’ipotesi di comportamento ottimizzante dell’operatore pubblico, è utile accennare alle considerazioni che hanno suggerito l’inclusione nell’analisi di voci di spesa spesso considerate fuori dal controllo dell’operatore pubblico. Infatti, si potrebbe pensare che, all’interno dell’insieme della spesa per categorie funzionali, vi siano voci di spesa (p. es., interessi del debito pubblico e componenti cicliche della spesa) che non rientrano sotto il diretto controllo degli organi istituzionali di decisione della spesa ma sono, piuttosto, il risultato di elementi esterni e non dovrebbero, quindi, essere considerate nello studio concreto delle scelte pubbliche.

Si sostiene, infatti, che da una parte la spesa per interessi sul de­ bito pubblico e dall’altra le innumerevoli componenti congiunturali,

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distribuite in tutte le categorie di spesa, rappresentano casi evidenti di spese non decise dai rilevanti organi istituzionali ma dipendenti, quasi meccanicamente, dal verificarsi di eventi esterni quali il disa­ vanzo del bilancio pubblico e la fase recessiva del sistema economico. A ben guardare questa sembra essere una visione forse troppo sem­ plificata della realtà. Se si ritiene valida l’ipotesi che l’obiettivo finale delle decisioni di spesa pubblica sia esprimibile in termini di « potere » in senso lato, e che il benessere degli individui o della società sia solo un obiettivo intermedio, allora anche quelle Componenti di spesa pub­ blica, quali gli interessi sul debito pubblico e/o le spese per la stabiliz­ zazione del ciclo economico, sono assimilabili alle altre spese. Infatti, in questo contesto, appare ragionevole sostenere che le componenti cicliche della spesa sono automatiche solo apparentemente poiché la loro creazione corrisponde ad una precisa volontà intesa ad eliminare i costi di aggiustamento connessi a misure anticicliche discrezionali. Inoltre, sia per la componente automatica, sia per quella discrezionale della componente ciclica della spesa si può ritenere, senza eccessive forzature, che il loro fine ultimo sia quello comune a tutte le categorie di spesa ed esprimibile in termini di « voti » o di « potere », per rag­ giungere il quale il livello di attività economica, ed in particolare il livello di occupazione, sono obiettivi intermedi.

All’interno di simili argomentazioni ricade anche il caso degli interessi sul debito pubblico. Infatti, l’idea, attualmente diffusa, che il volume di interessi sul debito sia il risultato del perseguimento di un obiettivo in termini di inflazione, che avrebbe imposto ridotti coef­ ficienti di monetizzazione del fabbisogno pubblico da parte della Banca Centrale non esprime l’essenza del problema e tantomeno ne spiega le origini. Nell’interpretazione delle scelte collettive il problema non è tanto quello di definire i metodi più opportuni di finanziamento del fabbisogno, bensì è quello di comprendere perchè non si sia evitato il disavanzo tramite l’aumento delle entrate fiscali. Considerazioni in ordine alla accettabilità di più alti livelli di tassazione ed il « costo politico » di livelli di attività ulteriormente ridotti sono alcuni dei principali elementi che possono avere indotto a politiche di bilancio permanentemente in disavanzo (cfr. Cavazzuti 1986, Cap. 1). Da questo punto di vista, la spesa per interessi pur non potendo rappre­ sentare una spesa diretta a fornire un servizio alla collettività, come lo sono i casi di « Difesa », « Sanità », etc., costituisce però il risultato di mancati incrementi di imposta. Ed è per questa via che anche questa componente della spesa, inclusa nella categoria funzionale delle

« Spese varie » di cui, negli ultimi anni, costituisce la quasi totalità, può avere, in ultima analisi, finalità comuni ad altre categorie di spesa.

Si noti, inoltre, che il livello ancora estremamente aggregato dei dati disponibili e la generalità dell’ipotesi che si vuole esaminare, non offrono sufficienti elementi di giudizio per escludere a priori alcune delle voci di spesa.

3. In questo lavoro si ipotizza che l’azione della Pubblica Am­ ministrazione in termini di spesa sia riconducibile senza eccessive for­ zature all’interno di un processo di massimizzazione vincolata con un unico centro decisionale preposto alla ripartizione di quantità date di risorse finanziarie per anno, tra le varie categorie funzionali di spesa pubblica (15). Si ipotizza, cioè, che la spesa per categorie economiche sia strumentale alla produzione di beni e servizi pubblici (qui rappre­ sentati, appunto, dalle categorie funzionali) i quali a loro volta sono strumenti, a disposizione dell’operatore pubblico, da impiegare per raggiungere l’obiettivo desiderato (in termini di « potere », voti, etc ...).

Mutuando gli schemi analitici della c.d. «teoria della produzione familiare », si può pensare di descrivere formalmente l’attività del­ l’operatore pubblico in termini di una funzione obiettivo definita rispetto a beni « trasformati » non osservati, e non osservabili, quali i voti, il « potere », etc. Detti beni « trasformati » vengono « prodotti » all’interno dell’apparato statale combinando beni intermedi quali la spesa pubblica per singoli beni e servizi, per una data struttura buro­ cratica e per un dato contesto demografico e sociale.

Se questa impostazione può risultare appropriata ne segue che anche senza l’osservazione degli obiettivi si possono derivare delle regole di comportamento che l’operatore pubblico dovrebbe seguire per minimizzare i costi nel perseguimento degli obiettivi. Si noti che, anche nel caso in cui il comportamento dell’operatore pubblico risulti in linea con l’ipotesi qui fatta di comportamento ottimizzante, questo nulla direbbe circa l’efficienza produttiva degli uffici pubblici, ossia circa la loro capacità di minimizzare i costi nella produzione di quelli che abbiamo definito beni intermedi.

Ipotizzando che sussistano ben definite condizioni di separabilità, è possibile scomporre logicamente in più fasi l’attività dell’operatore pubblico ed in particolare risulta legittimo analizzare, come nel pre­ sente lavoro, la sola allocazione del totale della spesa pubblica (e

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quindi della domanda di beni intermedi) tralasciando la determinazio­ ne del totale stesso.

Formalmente, nel punto di ottimo, varrà la seguente relazione:

y = £< Pi Qi = e (le*, p ,z,a ) (i = 1 . . . I) [1]

dove q — (qt , . . . , q{)' è un vettore di impieghi pubblici (o categorie funzionali di spesa) cui corrisponde un vettore di prezzi degli stessi

p = (p j, . . . , pi)', z = (sx , . . . , zs)' è un vettore di « quantità

date » (la struttura burocratica, nel nostro caso), « = («!, . . . , aE)' è un vettore di caratteristiche socio demografiche che definiscono il contesto in cui l’operatore pubblico agisce condizionandone gli obiet­ tivi, ed infine le• è un indice che sintetizza gli obiettivi dell’attività pubblica.

La [1] è interpretabile come una funzione di costo, e quindi y (la spesa pubblica totale) è il costo minimo in cui l’operatore pubblico incorre per raggiungere l’obiettivo al livello definito dalla funzione le*.

In base al lemma di Shephard:

d e / d p ( = q{ (le*,p,z,a) (V i) [2]

e, data la funzione indiretta le* = le* (y, p, z, a), è possibile derivare, per semplice sostituzione, un sistema di domanda di impieghi pubblici del tipo:

Si = & (V, V, *» «)• (V i) [3] L’ipotesi di massimizzazione dell’obiettivo o minimizzazione dei costi, se valida, implica che debbono valere le usuali restrizioni (omogeneità delle funzioni di domanda, simmetria della matrice di sostituzione e sua negatività) per i parametri del sistema di domanda. Il sistema di domanda definito dalla [3] consente di verificare dette restrizioni e valutare, quindi, la validità dell’ipotesi di comportamento ottimiz­ zante da parte dell’operatore pubblico.

Ai fini dell’analisi empirica è però necessario attribuire una specifica forma funzionale alla funzione di costo condizionale [3]. Sia la [3] rappresentabile attraverso la seguente forma funzionale flessibile (Dea- ton e Muellbauer 1980, Deaton 1981):

log c (le*, y, p, z, a) = a0 + S( a* + rti z + 0ift ah) log pt + + \ 2 , £,■ y*u log Pi log Pi + Po II,-

(i, j = 1 . . . I; h = 1 . . . 3 ) [4] da cui:

w{ = Pi ii I y = a, + 2* 6« ah + 2, yi} log p, + log (y/P) +

+ * ■

log P = a0 + Sj ctj log pi + ^ -rii log p} z + \ 2, 2, ytj log pt ■

■ log P i + 2 , 2„ 6a log P i ah [6]

dove Yij = 1 (y*<j + Y*ì>) e<4 i seguenti vincoli dovrebbero essere sod­ disfatti:

Si a,■ — 1; 2,- y<j — 2^ p,- 2* f]i = 2j 0iA = 0

(sommabilità) [7] © II £ W (omogeneità) [8] Y a Y?» (simmetria) (16) [9]

Il sistema di domanda [5], [6] descrive l’allocazione della spesa pubblica in funzione dei prezzi dei diversi impieghi, della spesa pub­ blica totale, della quantità predeterminata dell’unico fattore fisso e delle caratteristiche demografiche e sociali. Esso descrive l’ipotetico comportamento dell’operatore pubblico in maniera pienamente gene­ rale. Si noti però che il mancato rispetto dei vincoli parametrici [8] e [9] (essendo la [7] soddisfatta per costruzione) non implica la inva­ lidità del sistema di domanda [5], potendosi quest’ultimo considerare una semplice approssimazione locale del primo ordine ad ogni sotto­ stante sistema di funzioni di domanda. In altre parole, solo se consi­ derate contestualmente [5], [6], [7], [8] e [9] implicano un comporta­ mento ottimizzante.

Naturalmente, l’entità degli effetti di prezzo permessa dalla for­ mulazione [5], [6] può ritenersi sproporzionata rispetto al tipo di operatore che stiamo considerando (alla luce della sua supposta rigi­ dità di comportamento). In questo caso una interessante specializza­ zione del sistema [5], [6] si ha per = 0 (V i, j), ovvero per una funzione di costo che appartiene alla classe descritta da Forgeaud e

(16) Sfortunatamente, semplici restrizioni sui param etri non possono invece garantire che la matrice di sostituzione sia negativa semidefìnita.

Nataí (1959) e che ammette solo una limitata sostituibilità fra impieghi

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