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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1987, Anno 46, marzo, n.1

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Spedizione in abbonamento poetale ■ Gruppo IV - 70 %

M A R Z O 1987 Pubblicazione trimestrale Anno XL VI - N. 1

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E

Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI

(

e

RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)

D I R E Z I O N E

ENRICO ALLORIO - EMILIO GERELLI

ENRICO DE FRANCO GAL:

ANTONIO PE|

E N T IF IC O

ELE - FRANCESCO FORTE - GIANNINO PARRAVICINI

TTO - SERGIO STEVE

E T T IV O

RO B ER TO A R T O N Ì i y /& IT ffiE < a tà p & fA Z ,Z V T l - AUGUSTO FA N TO ZZI D INO P IE R O G IARDAJC * f* W g g * N C O G A F F U R I - ITA LO MAGNANI E ZIO L A N C E LL O TT I - SALV ATORE LA ROSA - G ILB ER TO MURARO LEONARDO P E R R O N E - EN RICO P O T IT O - PA SQ U A LE RUSSO FRA N CESCO TESA U RO - G IU LIO TR EM O N T I - ROLANDO V A LIA N I

M V LT A P A V C IS

AG

- C A S A E D I T R I C E D O T T . A.

(2)

di diritto pubblico della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma

Dir e z io n e e Re d a z io n e: Dipartimento di Economia pubblica e territoriale del­ l’Università, Strada Nuova 65, 27100 Pavia; tei. 0382/22198.

Ad essa debbono essere inviati bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia.

Redattori: Sil v ia Cip o l l in a, An g e l a Fr a s c h in i, Gi u s e p p e Gh e s s i. Segretaria di Redazione: Cl a u d ia Ba n c h ie r i.

L ’Am m in i s t r a z i o n e è presso la casa editrice Dott. A. GIUFFRÈ EDITORE S.p.A., via Busto Arsizio, 40 - 20151 M ilano - tei. 3010106

Pu b b l i c i t à:

dott. A. Giuffrè Editore S.p.a. - Servizio Pubblicità via B usto Arsizio, 40 - 20151 M ilano - tei. 3010106

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A n n a te a rretra te se n za a u m e n to risp e tto alla q u o ta a n n u a le.

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Gli abbonamenti che non saranno disdetti entro il Ì0 dicembre di ciascun anno si intenderanno tacitamente rinnovati per l’anno successivo.

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All’Editore vanno indirizzate inoltre le comunicazioni per mutamenti di indirizzo, quest’ultime accompagnate dall’importo di L. 500 in francobolli.

Per ogni effetto l’abbonato elegge domicilio presso l’Amministrazione della Rivista.

Ai collaboratori saranno inviati gratuitamente 50 estratti dei loro saggi. Copie supplementari eventualmente richieste all’atto del licenziamento delle bozze ver­ ranno fomite a prezzo di costo. La maggiore spesa per le correzioni straordinarie è a carico dell’autore.

Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 104 del 15 marzo 1968 Direttore responsabile: Em i l i o Ge r e l l i

IA Rivista associata all'Unione della Stampa Periodica Italiana

Pubblicità inferiore al 70 %

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INDICE-SOMMARIO

P A R T B P R I M A

Mario Sarctnelli - Pensieri in temo ili debito p u b b l i c o ... 3

Vincenzo I ’a t r iz ii - Nicola Rossi - L'allocazione della spesa pubblica 33

Giovanni Imperatrice - Nuovi profili <lelVillecito am m inistrativo valu­

ta rio (11) ... 53

Marco An t o n im i - La tutela cautelare del giudice am m inistrativo in

materia di t r i b u t i ... 100 APPI N T ! E R A S S E G N E

Oriian Kayaalp - Politicai Traditimi and National Fiscal Doctrines: A

Taxonomical N o t e ...127

Giu s e p p e Clerico - Branco (Tigno - Libero accesso o tassa■ di ingresso:

sistemi alternativi per la gestione o s p e d a l i e r a ...142

Anna Marenzi - La teoria delle sciite collettive: il teorema dell'elettore

mediano e le verifiche e c o n o m e tr ic h e ...151

LEGGI E D O V I : M E N T I

Claudio Consolo - Imprescindibile pubblicità delle udienze del con­

tenzioso tributario, anche in considerazione della non particolare « riservatezza » dì esso: la Consulta vede, m a non provvede . . 10

Salvo Muscarà - Melili» re per pensa .... ovvero dell’asserta modificabilità

delie determinazioni dell’ufficio in tema di condono tributario . . 24

Claudio Consolo - Riconoscimento compiuto per la prim a volta da

parte della Corte (li Appello, o della Commissione centrale, della nullità (della notificazione) dell’atto impugnato: applicabilità (me­ diata o im m ediata) dell’art. 21 D.P.R. n. 6 3 6 ?... 37

Gabriella Passaro - I l contratto di permuta nell’alternativa tra Regi­

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Diritto tributario generale e costituzionale - Condono - Potere dell’ainmi- nistrazione di emettere atti impositivi dopo la data di entrata in vigore del provvedimento legislativo di condono - Violazione del prin­ cipio di uguaglianza - Questione di costituzionalità - Fondatezza

(Corte Cost., 7 luglio 19S(Ì, n. 175) (con nota di F. Tesai; ito) . Diritto processuale tributario - Pubblicità delle udienze delle commis­

sioni - Esclusione - Violazione dell’art. 101, co. 1° Costituzione - Mo­ nito al legislatore - Infondatezza della questione (Corte Cost., 24 luglio 1980, n. 212) (con nota di C. Co n s o l o) ... Tributi in genere - Condono tributario - Definizione delle pendenze -

Effetti - Conseguenze.

Tributi in genere - Condono tributario - Artt. 10 e 11 del 1>.E. il. 000 del 1973 - Potere deU’Amministrazione finanziaria di modificare un precedente provvedimento di applicazione del condono - Questione di legittimità costituzionale - Manifesta infondatezza (Cnss., Sez. 1, 30 gennaio 1986, n. 599) (con nota di S. Muscarà) ... Diritto processuale tributario - Nullità della notifica dell’avviso di

accertamento - Suo riconoscimento solo nel giudizio di terzo grado avanti alla Corte di appello - Rinvio alla Commissione di secondo grado per avviarne la sanatoria - Esclusione (Cass., Sez. 1, 3 maggio 1986, n. 3012) (con nota di C. Consolo) ... Accertamento imposte sul reddito - Accertamento - Elevata discordanza

tra corrispettivo contabilizzato per la cessione di un bene immo­ bile e valore definito ai fini dell’imposta di registro - Conseguenze - Rettificabilità del corrispettivo contabilizzato (Cass., Sez. 1, 1 agosto 1986, n. 4914) (con nota r e d a z io n a le ) ... Processo tributario - Commissioni - Poteri - Impugnazione di atto vi­

ziato - Annullamento - Cognizione del rapporto - Esclusione (Cass., Sez. 1 civ., 19 dicembre 1986, n. 7735) (con nota di F. Tksauro) . Processo tributario - Controversia tra sostituto e sostituiti d imposta -

Giurisdizione - Giudice ordinario (Corte App. di Venezia, 11 ago­ sto 1986) (con nota r e d a z io n a le ) ... Accertamento imposte sui redditi - Dichiarazione - Mancata ì ¡chiesta

riporto delle perdite di precedenti esercizi ex art. 112 del 1.1T. II.DD. n 645 del 1958 - Decadenza - Insussistenza (Comm. Trib. Oentr., Sez. X. 18 marzo 1986, n. 2430) (con nota redazionale) . . . . Imposta di registro - Permuta tra due beni sottoposti a diverso re­ gime fiscale: l’uno soggetto ad Iva; l’altro ad imposta di registro - Disciplina ex D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 - Applicabilità del­ l’imposta di registro solo sulla differenza di valore tra i due beni, qualora il bene soggetto ad essa abbia un valore maggiore di quello soggetto ad Iva (Comm. Trib. Centr., Sez. Ibi., 9 settembre 1986, n. 6898) (con nota di G. Passato) ... Imposta sul valore aggiunto - Società di comodo - Detrazione dell’Iva

sugli acquisti - Insussistenza (Comm. Trib. I gr. Modena, 24 otto­ bre 1984, n. 172) (con nota di F. Tesatjro) ...

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I li

MANUALE

DEI FONDI COMUNI

DI INVESTIMENTO

A CURA DI

R O B E R T O R U O Z I

Sommario:

I fondi comuni di investimento: aspetti istituzionali, strutturali ed economici - La funzione di analisi finan­ ziaria e le politiche di gestione dei fondi comuni di investimento - Le politiche di mercato dei fondi comuni di investimento - L’organizzazione dei fondi comuni di investimento - La funzione amministrazione e controllo nei fondi comuni di investimento - Il sistema informativo nella gestione dei fondi comuni di investimento - Gli investimenti in titoli esteri - Le banche e i fondi comuni di investimento - Compagnie di assicurazione e fondi comuni di investimento.

8°, rii. p. XII-351, L. 30.000

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ENCICLOPEDIA

CO M ITATO D I D IREZIO NE:

Francesco Santoro-Passarelli (direttore) Angelo Falzea - Massimo Severo Giannini

Mario Talamanca (condirettori)

Francesco Mercadante (direttore delegato alla realizzazione)

D IR E T T O R I D I SEZIO N E: Sezione I Sezione II Sezione III Sezione IV Sezione V Sezione VI Sezione VII - Sezione Vili

-Storia del diritto-. Paolo Grossi - Mario Talamanca

Filosofia del diritto: Enrico Opocher

Diritto privato: Angelo Falzea - Giuseppe Ferri -

Dante Gaeta - Rosario Nicolò

Diritto processuale civile: Elio Fazzalari

Diritto pubblico-. Sabino Cassese - Vezio Crisafulli - Leopoldo Elia - Massimo Severo Giannini

Diritto penale e processuale penale: Giovanni Conso - Giuliano Vassalli

Diritto canonico ed ecclesiastico: Pietro Gismondi

Diritto internazionale-. Gaetano Morelli

Maria Teresa Giuffrè (rapporti con i collaboratori)

R E D A Z IO N E: Guido Landi - Franco Pica

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V

DEL DI RI TTO

Concepita ed eseguita interamente negli ultimi venticinque anni, l’Enciclopedia del Diritto offre un panorama completo del più moderno pensiero giuridico italiano.

Essa persegue un obiettivo preciso di organizzazione e unificazione del sapere giuridico, attraverso una completa ed analitica articolazione di voci. Le singole trattazioni sono affi­ date a collaboratori selezionati con criteri di rigorosa specializzazione da direttori che sono tra i più autorevoli studiosi italiani.

L’opera segue il diritto vigente nel suo divenire e si aggiorna di volume in volume, fornen­ do un orientamento sicuro per tutte le ricerche — legislative, dottrinali e giurisprudenziali — con abbondanti riferimenti storici e comparatistici.

E corredata di due volumi di indici, uno delle fonti, già disponibile, l’altro analitico per materia, in corso di pubblicazione, che si riferiscono alla prima parte dell’opera, dalla lettera A alla lettera L compresa.

Grazie alla collaborazione delle forze più valide del pensiero giuridico del nostro tempo, militanti nel mondo universitario come nella magistratura, nell’avvocatura come nei pubbli­ ci uffici, e grazie alla larghezza dei mezzi che la Casa editrice Giuffrè vi ha profuso, l’Enci­ clopedia del Diritto onora la scienza e l’editoria moderna.

Volumi pubblicati:

Voi. I (Ab-Ale), Pag- XX-1038 Voi. XIX (Giunta-Igi), Pag- XXVIII-1016

Voi. II (Ali-Are), Pag- XVI-1056 Voi. XX (Ign-Inch), Pag- XXVIII-1048

Voi. III (Ari-Atti), Pag- XVI-1002 Voi. XXI (Inch-Interd), Pag- XXVIII-1001 Voi. IV (Atto-Bana), pag- XVI-1044 Voi. XXII (Intere-Istig), Pag- XXVI-1032

Voi. V (Banca-Can), Pag- XX-1104 Voi. XXIII (Istit-Legge), pag- XXVI-1116

Voi. VI (Cap-Cine), Pag- XX-1054 Voi. XXIV (Legis-Locus), Pag- XXVI-1060

Voi. VII (Cir-Compa), Pag- XX-1038 Voi. XXV (Lodo-Matr), Pag- XXIX-1006

Voi. Vili (Compe-Cong), Pag- XX-1110 Voi. XXVI (Mecc-Mora), Pag- XXXII-1008 Voi. IX (Coni-Contr), Pag. XX-1048 Voi. XXVII (Morale-Negozio) Pag- XXIX- 954

Voi. X (Contr-Cor), pag- XX-1062 Voi. XXVIII (Nego-Nunz), Pag- XXXII- 980

Voi. XI (Cosa-Delib), pag- XX-1016 Voi. XXIX (Obblig-Omic), Pag- XXXII-1026 Voi. XII (Delitto-Diritto), Pag- XX-1136 Voi. XXX (Omis-Ordine), Pag- XXX-1164 Voi. XIII (Dis-Dopp), Pag- XXIV-1028 Voi. XXXI (Ordine-Parte), Pag- XXX-1028 Voi. XIV (Dote-Ente), Pag- XXIV-1044 Voi. XXXII (Partec-Perdo), Pag- XXX-1010 Voi. XV (Entr-Esto), pag- XXVIII-1012 Voi. XXXIII (Peren-Pluralis), Pag- XXXII-1032 Voi. XVI (Estr-Fat), pag- XXVIII-1040 Voi. XXXIV (Pluralità-Premed), Pag- XXX-1044 Voi. XVII (Fav-Form), Pag- XXVIII-1028 Voi. XXXV (Prerogat-Proced), Pag- XXII-1012

Voi. XVIII- (Foro-Giud), Pag- XXVIII-1024 INDICE DELLE FONTI XVI-1029

Ogni volume in 8°, rilegato in piena tela con sopraccoperta plastificata, L. 60.000 Prezzo globale dei primi 35 volumi: L. 2.100.000

Indice delle fonti: L. 60.000

I volumi sono venduti separatamente, anche con pagamento rateale, senza prenotazione né impegno di acquisto dell’intera collezione.

427

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QUADERNI DI « STUDI SENESI »

raccolti da PAOLO NARDI

--- 60

---GIO RG IO CO LLURA

FINANZIAMENTO AGEVOLATO

E CLAUSOLA DI DESTINAZIONE

Introduzione — Il problema del C.D. mutuo

di scopo legale nell’evoluzione del finanzia­

mento agevolato — La C.D. clausola di desti­

nazione e il contratto di mutuo. La teoria del

mutuo di scopo — Il provvedimento agevola­

l o e le vicende del rapporto di credito (l’ipo­

tesi della caducazione del provvedimento).

8°, p. 157, L. 12.000

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA

SCUOLA DI PERFEZIONAMENTO IN DIRITTO SANITARIO Direttore: prof. avv. Enzo Nardi

FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA

LA GESTIONE

FINANZIARIA

DELLA SANITÀ

Atti del Convegno nazionale

tenuto a Bologna l’8 e 9 novembre 1985

RELAZIONI

Giu s e p p e Marcon, Meccanismi di finanziamento della sa­ nità pubblica.

Elio Borgonovi, La funzione del collegio dei revisori. Antonello Zangrandi, Il controllo della gestione: stru­

mento per il cambiamento della gestione nelle U.S.L. Mario Collevecchio, Gli strumenti di bilancio collegati

alla programmazione.

Ernesto Veronesi, Il rendiconto finanziario e il sistema per centri di costo.

8°, p. VIII-106, L. 8.000

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ASSAR UNDBECK

L’IN F L A Z IO N E

ASPETTI GLOBALI, INTERNAZIO NALI E NAZIONALI

Introduzione e traduzione di Diego Piacentino

8", p. XX-I42, L. 12.000

LAWRENCE R. KLEIN

LA TEORIA ECONOMICA

DELL’OFFERTA

E DELLA DOMANDA

Traduzione e note introduttive di Federico Caffè

8 ', p. XVI-214, L. 17.000

ROBERT E. LUCAS Jr.

STUDI SULLA TEORIA

DEL CICLO ECONOMICO

Traduzione di Giu se ppin a Malerba

8 . p. X-389 L. 26 .0 0 0

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PENSIERI IN TEMA DI DEBITO PUBBLICO (*)

Sommario: 1. Introduzione. — 2. L’allungamento della vita. — 3. La tassazione

dei frutti. — 4. La sostenibilità nel tempo. — 5. Conclusioni.

1. « Quel che in certo senso colpisce, e può sorprendere, è il riscontrare, nelle discussioni di sessanta-sessanta cinque anni or sono, temi (l’imposta patrimoniale, la tassazione dei valori pubblici, il con­ solidamento apertamente o surrettiziamente forzoso di titoli a bre­ ve) che sono oggi da noi moneta corrente » (1). È questa la considera­ zione con la quale sul finire della loro fatica Gonfalonieri e Gatti sug­ gellano venticinque anni di storia finanziaria italiana ed europea. Ed è l’attualità delle tesi che rende la loro ricerca non semplice scavo erudito, ma contributo all’apprezzamento di una realtà oggi vissuta con pari intensità, anche se di diversa origine. Basti pensare che le esplosioni del debito pubblico e le problematiche che ne conseguono sono nella vicenda storica frutto di guerre; l’esperienza che stiamo vivendo, invece, si è dipanata nel più lungo periodo di pace che l’Ita ­ lia abbia conosciuto in questo secolo ed è conseguenza della politica della finanza pubblica degli ultimi dieci-quindici anni.

Approfondire le simiglianze e le dissonanze tra l’oggi e Pieri ap­ pagherebbe senz’altro lo spirito di chi, come me, ha avuto sempre amore per la conoscenza storica, ma non si addice agli attuali compiti che si è chiamati a svolgere nel settore pubblico, e in particolare nella gestione del debito. Scartato il tema classico dell’imposizione straor­ dinaria per redimere il debito, perché l’amministrazione fiscale e la sua guida politica sembrano almeno per il momento non puntare in questa direzione, il vagabondaggio intellettuale si soffermerà su tre

(*) Relazione tenuta presso VAssociazione Bancaria Italiana il 3 dicem­ bre, 1986. L ’A. ringrazia il prof. Paolo R anuzzi de Bianchi per il generoso con­ tributo fornito sia con le elaborazioni statistiche sia attraverso la stimolante discussione; resta ovviam ente unico responsabile delle opinioni espresse e di eventuaU errori.

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aspetti che negli ultimi anni hanno polarizzato l’attenzione di coloro che si sono occupati di debito pubblico; in forma di dilemma essi sono : è da preferire il consolidamento o Pali unga mento della vita del debito pubblico? è l’esenzione da difendere o la tassazione dei titoli dello Stato da propugnare? è da temere l’insostenibilità del pubblico indebitamento nel lungo periodo o si può contare sulla capacità e sulla flessibilità del sistema economico per assorbirne gli effetti?

2. Il debito pubblico sul piano interno e quello estero al livello internazionale sono gli argomenti sui quali in maggior misura e con alta fantasia si è esercitata l’ingegneria finanziaria di accademici e uomini di banca. Mentre con riferimento al secondo tema l’obiettivo oscilla tra un riseadenzamento a condizioni tali che ne riducano il tasso di accrescimento, la trasformazione in capitale di rischio e l’ab­ buono almeno parziale da parte dei creditori o dei loro governi, pei il primo il dibattito si è concentrato, nel nostro Paese, sulle forme attraverso le quali ottenere un allungamento della vita media dei titoli.

Poiché il debito è problema antico che ciclicamente assume peso e desta attenzioni preoccupate, sembra appropriato richiamare le esperienze italiane fatte dal 1923 al 1935. Sebbene col pareggio del bilancio pubblico le condizioni monetarie fossero migliorate e il tasso di sconto ridotto, nel 1923 le emissioni di buoni novennali del Tesoro, avvennero ancora al saggio del 5 per cento; nell’intento di far flet­ tere i tassi l’anno successivo il ministro De Stefani tentò di collocare un’altra emissione al 4,75 per cento ma ebbe scarso successo, nono­ stante che nel contempo gli interessi sui buoni ordinari fossero stati a più riprese abbassati di un punto (dal 5,50 al 4,50 per cento). Non ritenuta credibile dal mercato la manovra di abbassamento del rendi­ mento dei titoli del Tesoro, i rimborsi dei buoni ordinari cominciarono ad eccedere le emissioni. Il De Stefani reagì proponendo la libera conversione del debito fluttuante in un prestito redimibile venti­ cinquennale al 4,75 per cento ; l’operazione si tradusse in un grande insuccesso : vi aderirono soltanto la Cassa Depositi e Prestiti e gli istituti di emissione. Si corse ai ripari riaumentando al 5 e poi al 6 per cento l’interesse anticipato sui buoni ordinari, mentre si isti­ tuivano i buoni postali che fruttavano per quasi tutto il trentennio della loro vita il 6 per cento.

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— 5 —

il ministro Volpi, succeduto al De Stefani, non trovò di meglio che decretare la conversione forzosa di oltre venti miliardi tra buoni or­ dinari e poliennali nei titoli irredimibili del prestito del Littorio; le quotazioni caddero in misura notevole e si dovette generalizzare ad altri enti di privilegio già concesso alle casse di risparmio di non contabilizzare le perdite registrate sui titoli pubblici in portafoglio. Tra le conseguenze più gravi per il credito dello Stato e per la ge­ stione del debito vi fu la sospensione per quasi dieci anni dell’emis­ sione dei buoni ordinari.

Le grandi conversioni inglese e francese del 1932, favorite dalla depressione dell’attività economica e dall’abbassamento dei tassi del­ l’interesse, eccitarono anche in Italia desideri simili, sebbene i ren­ dimenti del consolidato denotassero solo una lievissima tendenza alla flessione, mentre le quotazioni rimanevano sotto la pari di molto; il mercato non presentava, quindi, le condizioni per una operazione di conversione. Queste, però, furono propiziate attraverso un’intesa per abbassare i tassi bancari passivi e con successive riduzioni del saggio di sconto. Dal settembre 1932 al febbraio 1934, epoca della con­ versione, il rendimento del consolidato si abbassò di un punto circa sino a toccare il 5,17 per cento, rimanendo sotto la pari. La conver­ sione del consolidato in un titolo redimibile al 3,5 per cento su base volontaria non potè avvenire se non attraverso una « pressione mo­ rale » e soprattutto immorale che si estrinsecò in tempi ridotti per il rimborso e in ostruzionismo nei confronti di coloro che lo chie­ devano. Ne seguì una corsa alla vendita da parte sia dei risparmiatori sia degli speculatori : il titolo perdette oltre trenta punti sino al­ l’agosto del 1935. Il successivo settembre, i bisogni di finanziamento del Tesoro in previsione della guerra in Etiopia indussero a disfare ciò che si era fatto, proponendo al risparmiatore di riconvertire il redimibile in nuova rendita al 5 per cento ; e questa volta le opera­ zioni di conversione rimasero aperte un anno.

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2.1. Nel dibattito sul debito pubblico die ha avuto luogo m questi anni, mentre l’idea del « grande concordato » nell’accezione commerciale del termine, sebbene non assente, è rimasta senza gran e seguito, molto maggiore attenzione ha ricevuto la mancanza di una struttura per scadenze e la concentrazione, a causa dell elevata e volatile inflazione, su quelle a più breve termine (Tabella 1). Ai no­ stri giorni, tuttavia, la preoccupazione non nasce tanto dal timore di dover essere chiamati a rimborsare il debito in periodi non favo­ revoli, ma piuttosto dalla frequenza e dalle dimensioni delle opera­ zioni di rifinanziamento. Quest’ultimo si presenta particolarmente ai- duo quando il fabbisogno è ancora molto elevato sia m assoluto sia in rapporto al PIL, le attese sui tassi dell’interesse sono al ria z , l’efficienza dei mercati è meno che ottimale. Ne discende, perciò, c e non v’è una vera pressione a sostituire buoni ordinari del Tesoro con titoli a più lunga scadenza, ma soltanto una tendenza a mantener i stabili o a farli aumentare poco; a parte il fatto che essi costituiscono il titolo di riferimento nel meccanismo di indicizzazione finanziaria che caratterizza i certificati del Tesoro, la loro presenza è essenziale per la gestione della liquidità da parte del settore finanziano di un’economia industrializzata.

È questa responsabilità di costituire il veicolo attraverso il quale si realizzano gli obiettivi intermedi della politica monetaria oltreche il finanziamento del pubblico fabbisogno, che rende la politica de debito pubblico non riconducibile a quella finanziaria di una impresa, sia pure grandissima. L’obiettivo di quest’ultima resta sempre a minimizzazione del costo di finanziamento, data la struttura e ia dimensione del debito desiderate. Nel caso del debito pubblico all o- biettivo aziendalistico di finanziare il fabbisogno si aggiungono quelli di tipo macroeconomico che tendono a influenzare il livello e/o la struttura dei tassi d’interesse oppure ad assorbire o a iniettare liqui­ dità; ne segue che costi e scadenze possono essere più la conseguenza che gli obiettivi di una politica del debito pubblico, soprattutto quan­ do il fabbisogno annuo rappresenta il 14,5 per cento del PIL come ne 1986 o l’inflazione avanza, con tassi a due cifre come è accaduto sino

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mia alla politica monetaria attraverso due svolte, una istituzionale costituita dal « divorzio » tra Tesoro e Banca d’Italia nel 1982 e l’altra, strettamente connessa, di politica dei tassi d’interesse, fatti salire a livelli elevati e positivi in termini reali negli anni Ottanta. Non deve meravigliare quindi che il servizio del debito sia stato la voce di bilancio col più alto tasso di crescita negli ultimi anni (oltre il 27 per cento nel periodo 1980-86).

Allentata e successivamente eliminata la morsa dei controlli di­ retti sul credito che permetteva il finanziamento del fabbisogno, quest’ultimo ha dovuto trovare in misura crescente il proprio soddi­ sfacimento nella domanda di titoli da parte delle famiglie, attratte insieme con le imprese anche non finanziarie dagli alti rendimenti. In ­ tanto, la dimensione raggiunta dal debito a breve aveva riportato alla ribalta la problematica deU’allungamento della sua vita, da per­ seguire sul mercato, non contro di esso. E l’indicizzazione finanziaria si è rivelata come l’innovazione di prodotto di maggior successo per ottenere ciò, tenendo indenne dal rischio d’interesse il portatore e garantendo al Tesoro un’automatica flessione degli oneri al cadere dell’inflazione.

2.2. La struttura per scadenze del debito pubblico nel nostro Paese ha subito un’evoluzione profonda negli ultimi due decenni ; dai circa 9 anni del 1971 la vita residua si è ridotta rapidamente fino a toccare un minimo, nel 1980, quando mediamente tutto il debito do­ veva essere rimborsato entro l’anno (Tabella 2). Con l’inizio della grande inflazione nel 1973, dopo il primo aumento del prezzo del pe­ trolio, la domanda del pubblico per la carta del Tesoro a medio­ lunga scadenza, cominciò a contrarsi drasticamente. Questi titoli che nel 1973 rappresentavano più del 90 per cento dello « stock » vennero, dall’anno successivo, velocemente sostituiti dai BOT che nel 1981 raggiunsero il 64 per cento del totale.

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Tabella 2 - Vita media residua ponderata dei titoli pubblici (in anni).

A n n o B O T B T P C C T Altri titoli generaleTotale ponderato 1971 . . . . 0,50 4,51 10,75 8,64 1972 . . . . 0,75 3,46 11,33 9,27 1973 . . . . 0,37 3,2211,13 8,57 1974 . . . . 0,60 2,72 —- 9,55 6,18 1975 . . . . 0,42 3,27 7,87 4,17 1976 . . . . 0,29 2,48 8,20 3,73 1977 . . . . 0,36 2,02 1,79 7,09 3,30 1978 . . . . 0,49 3,45 1,27 6,52 2,94 1979 . . . . 0,43 3,47 1,61 5,89 2,42 1980 . . . . 0,34 2,67 1,44 5,49 1,07 1981 . . . . 0,31 1,80 1,29 5,01 1,24 1982 . . . . 0,35 1,18 1,96 4,35 1,13 1983 . . . . 0,41 1,21 2,62 3,34 1,56 1984 . . . . 0,42 1,08 4,51 3,12 2,58 1985 . . . . 0,42 1,29 5,53 2,58 3,54 1986 (a) . . 0,43 2,76 5,93 2,05 3,88

(a) Fine ottobre.

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dimenti invertita, hanno favorito negli ultimi tempi il processo di allungamento ; oggi non sembra esistano ostacoli a continuare su questa via.

Anche se la ricerca della minimizzazione dei costi deve spesso passare in seconda linea nella gestione del debito, considerazioni di costo devono essere tenute sempre presenti, sia pure in un contesto altrimenti vincolato. Per questa ragione il Tesoro, pur potendo emet­ tere titoli a più lungo termine, in particolare a tasso fisso, ha solo moderatamente spinto l’allungamento del debito attraverso questo tipo di strumento; data la riduzione attesa dell’inflazione e la con­ seguente flessione dei tassi, il costo maggiore non sarebbe stato giu­ stificato. Per i titoli a tasso variabile, questo problema non si pone 0 è di molto ridotto ; nell’ultimo anno, le emissioni di CCT decennali sono state ripetute mensilmente con assoluta regolarità. Non sem­ bra, dunque, esistere la necessità di una grande emissione a più lungo termine o addirittura irredimibile, di cui pure si era parlato nel presupposto di agevolare il passaggio dal regime di esenzione a quello di tassazione dei titoli pubblici o di rallentare il ritmo dei rifinanziamenti. Una misura siffatta, al pari di quelle prese tra le due guerre mondiali, avrebbe non solo molte probabilità di venire male accolta dal mercato, con conseguenze onerose per le future emis­ sioni del Tesoro, ma farebbe anche fermare completamente ogni at­ tività sul mercato secondario.

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Un’efficace politica del debito pubblico deve poter contare su titoli che si differenzino fra loro per le proprie caratteristiche tecniche e che presentino un minor grado di sostituibilità. La combinazione ottimale è quella che offre all’investitore un alto grado di diversifi­ cazione del rischio e alle autorità emittenti la possibilità di inserirsi in « habitat » diversi, al fine di raggiungere al contempo gli obiettivi di politica monetaria e di finanziamento del fabbisogno.

3. Sebbene sia abbastanza diffusa la convinzione che l’esenzione tributaria per i titoli del debito pubblico in Italia sia sempre esisti­ ta, l’analisi storica non la suffraga. Sin dai primi anni del Regno d’Italia, i titoli pubblici, quasi tu tti irredimibili, erano colpiti dal­ l’imposta di ricchezza mobile con un’aliquota del 13,20 per cento, innalzata al 20 nel 1894, al 24 nel 1943 e al 30 l’anno dopo, in con­ nessione con la preparazione bellica o con stati di guerra.

La legge sulle « guarentigie », votata all’indomani della presa di Roma, introdusse a favore della Santa Sede una rendita annua ina­ lienabile, irriducibile ed esente da ogni specie di tassa od onere go­ vernativo, comunale o provinciale; la disposizione, tuttavia, rimase lettera morta, poiché la Santa Sede mai ritirò il certificato, non de­ siderando riconoscere l’atto di forza compiuto dal Governo italiano con l’occupazione di Roma. Bisogna giungere al 1894 per trovare una legge che autorizza l’iscrizione nel gran libro di due prestiti irredimi­ bili, destinati in gran parte a convertire vecchie emissioni obbliga­ zionarie, le cui cedole del 4 e 4,5 per cento l’anno furono dichiarate esenti da imposte presenti e future. Da quell’anno, tu tti i provvedi­ menti legislativi di emissione di nuovi prestiti o di conversione di quelli esistenti prevederanno l’esenzione tributaria, la quale dal 1895 venne estesa anche ai buoni del Tesoro, sia a breve sia a lunga sca­ denza. Successivamente e per lungo tempo sono coesistite emissioni tassate, avvenute prima del 1894, ed altre esenti, poste in essere suc­ cessivamente.

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conso-lidati fosse da computare nella determinazione del reddito globale assoggettabile a imposta complementare. Nel secondo dopoguerra si è avuto cura di specificare che l’esenzione promessa ai portatori di titoli del debito pubblico riguardava soltanto le imposte dirette reali, presenti o future. Tuttavia, la sottoposizione a imposta progressiva personale è rimasta quasi sempre una mera finzione; l’esenzione dal­ l’imposta reale e l’emissione al portatore di quasi tutti i titoli li rendevano di fatto esenti da ogni tributo.

Nel 1973, essendo stato riformato il sistema fiscale ed essendo divenuta l’imposizione sul reddito tu tta personale, venne dichiarata l’esenzione da quest’ultima. Quest’atto di chiarificazione e di lega­ lizzazione degli effettivi rapporti tra fisco e contribuente veniva preso mentre stavano per scoppiare, da un lato, l’inflazione che rende at­ traverso il « fiscal drag » fortemente penalizzanti e socialmente inac­ cettabili le aliquote progressive e, dall’altro, il fabbisogno pubblico che in un primo tempo ha richiesto soltanto l’emissione di crescenti quantità di titoli e dagli inizi del decennio in corso anche il pagamento di alti interessi, positivi in termini reali. Era chiaro che un ammon­ tare di cedole pari nel 1986 al 9,6 per cento del PIL circa, esente per legge da ogni imposta presente o futura, non poteva non richiamare l’attenzione di coloro che si preoccupano dell’erosione tributaria e non poteva non suscitare una domanda per la sua tassazione, almeno sotto il profilo dell’equità.

La scelta fatta è stata a favore di un’imposta trattenuta alla fon­ te, con aliquota moderata del 6,25 per cento, che solo dopo un anno raggiungerà il livello di quella sulle obbligazioni private, pari oggi al 12,50. Questo tributo cedolare è prelevato, a titolo di acconto per le imprese e di imposta per le famiglie, soltanto sulle nuove emis­ sioni.

3.1. Il dibattito sulla tassazione dei titoli pubblici non è stato peculiare soltanto all’Italia ; anche se si è atteggiato in modo diverso, esso ha avuto fasi più o meno acute anche negli Stati Uniti in questo secolo. Non sembra improprio prendere le mosse dalle motivazioni che sono state addotte Oltreoceano.

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tato ripetutamente di eliminare questo privilegio ma senza successo. Un ultimo tentativo è stato fatto nel corso della recente riforma fi­ scale, ma esso non ha sortito miglior risultato dei precedenti.

Se, da un lato, Washington ha sostenuto la necessità di eliminare l’esenzione di imposta per questo tipo di titoli pubblici con i due classici argomenti dell’equità e dell’efficienza nell’allocazione del ri­ sparmio finanziario e delle risorse in generale, dall’altro gli stati e gli enti locali hanno portato avanti la tesi che l’eliminazione del pri­ vilegio di emettere obbligazioni non tassate avrebbe aumentato di molto il loro costo di indebitamento, da finanziare riducendo i servizi pubblici o aumentando le imposte locali, e che alla fine non ne sa­ rebbe risultata un’entrata netta aggiuntiva; il maggior gettito sa­ rebbe stato controbilanciato dagli accresciuti esborsi per i più alti rendimenti nominali da offrire ai sottoscrittori.

Anche se negli Stati Uniti la diatriba sull’esenzione federale per i titoli degli stati è necessariamente legata alla separazione dei po­ teri che è tipica di un sistema federale, nonché ai trasferimenti di risorse tra i due livelli di governo, le argomentazioni avanzate sugli inconvenienti e sui vantaggi di questa esenzione non differiscono da quelle usate in Italia recentemente.

3.2. La traslazione dell’imposta e la mancanza di benefici in termini di nuovo, maggior gettito sono state sostenute anche nel no­ stro Paese da chi era contrario all’introduzione del nuovo tributo sulle cedole dei titoli del debito pubblico. A causa della complessità del trattamento tributario, solo da una ricerca empirica possono essere tratte indicazioni circa la possibilità per la nuova imposta di ridurre gli oneri netti per il servizio degli interessi sul debito pub­ blico o, invece, di ottenere un simmetrico gonfiamento delle grandezze lorde, sì da lasciare inalterati i rapporti tra quelle nette, a parità ovviamente di ogni altra condizione.

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imposta può avere sul risultato finale della spesa pubblica netta per interessi.

Un modello econometrico di tal fatta non è di facile o breve costruzione e la sua stima richiede tempi lunghi per poter disporre di serie storiche con dati a cavallo del periodo in cui è stato introdotto il tributo. Infatti, è logico supporre che il nuovo trattamento fiscale incida sul comportamento degli operatori in maniera tale da fare ri­ tenere le vecchie stime di parametri, eseguite su periodi privi d’im­ posta, non più valide. In siffatte condizioni non resta altra alterna­ tiva che una valutazione teorica degli effetti dell’introduzione di una ritenuta, secca per le famiglie e d’acconto per le imprese ; necessaria­ mente ci si contenterà di indicare il ventaglio dei risultati possibili senza poter dare una risposta puntuale e definitiva.

La prima considerazione da cui partire è che, essendo il fabbi­ sogno rigido, l’offerta di titoli pubblici per coprirlo è anelastica. Poiché qualsiasi modifica di portafoglio da parte degli investitori non influisce sulla funzione di offerta del Tesoro, insensibile a varia­ zioni dei tassi, la rigidità del fabbisogno non può che favorire una traslazione completa. Se la curva di offerta di titoli pubblici potesse essere sensibile al costo, la traslazione sarebbe solo parziale.

L’autorità emittente potrebbe decidere, infatti, di indebitarsi maggiormente in valuta sui mercati esteri a fronte di differenziali positivi, corretti per i rischi di cambio, nei tassi da pagare sull’interno e sull’estero. Ciò è possibile solo se un più massiccio ricorso ai mer­ cati esteri non deteriori il grado di affidabilità o merito di credito e non richieda per questa via un aumento dei rendimenti da offrire sui prestiti collocati all’estero, che restano esenti da imposta. La esperienza corrente dei paesi in via di sviluppo che hanno peggiorato la propria posizione patrimoniale attraverso l’indebitamento esterno è una triste riprova, inoltre, dell’onere con cui si grava nel tempo, per questa via, la bilancia dei pagamenti. Ancora più dubbio è che si possa ottenere una minor traslazione alterando la quota del finanzia­ mento sul mercato a favore di quella in base monetaria ; se lo sposta­ mento è permanente, è difficile credere che esso, agendo sulle aspetta­ tive d’inflazione, non provochi un aumento del tasso d’interesse e quindi del costo delle nuove emissioni per il Tesoro.

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passivi limitatamente ai redditi esenti, si può avanzare dall’ipotesi che l’introduzione dell’imposta cedolare riduca, rebus sic stantibus, il tasso di interesse netto percepito dalle persone fisiche. Queste ul­ time sono così indotte a domandare una minor quantità di titoli di nuova emissione e a sostituire a scadenza parte di quelli in porta­ foglio con altre attività finanziarie, soprattutto depositi bancari. Il risultato è un innalzamento del tasso di interesse lordo sui titoli del Tesoro, che aumentando quello netto percepito da imprese e inter­ mediari indurrà questi ultimi ad accrescere la propria domanda di carta pubblica. Il risultato finale è un aumento del tasso lordo, come si è infatti verificato, ma fino ad un valore che dovrebbe, almeno a questo stadio dell’analisi, risultare inferiore a quello che sarebbe stato necessario per indurre le persone fisiche a detenere lo stesso « stock » di titoli in assenza di imposta cedolare. Per determinare a quale livello si situa il tasso di equilibrio, bisognerebbe poter di­ sporre dell’elasticità della domanda di titoli pubblici delle due ci­ tate categorie di investitori rispetto al tasso di interesse da loro percepito sia sui titoli medesimi, sia sulle attività finanziarie, come i depositi, che sono i loro sostituti più prossimi. La nuova normativa fiscale fa così aumentare la spesa lorda per interessi sui nuovi titoli emessi.

Quanto ai tassi netti, nel nuovo equilibrio, quello percepito dalle imprese risulta più alto che in precedenza, quello fruito dalle per­ sone fisiche più basso. Per quanto riguarda la variazione della spesa pubblica per interessi netti, è impossibile dire u priori se il risultato finale sarà nullo, negativo o positivo, perché dipenderà dai valori combinati delle due funzioni di elasticità di domanda relativamente al nuovo tasso di interesse. Non va dimenticato che, a parità di queste ultime, la rigidità dell’offerta di titoli spinge la traslazione a mani­ festarsi in misura maggiore che se la domanda di fondi sul mercato da parte del Tesoro fosse più manovrabile.

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domanda di titoli pubblici delle persone fìsiche diminuisce meno, ma ne risulta un minor gettito deirimposta sostitutiva, che ha, oggi, un’aliquota quattro volte quella sui titoli dello Stato.

Concludendo su questo punto, è la rigidità dell’offerta di titoli che spinge l’imposta a trasferirsi sull’emittente e a trasformarsi in una partita di giro per il bilancio statale ed è solo la segmentazione della domanda che rende il risultato incerto e dipendente dai va­ lori delle elasticità. Si può ancora notare che la tassazione dei titoli pubblici comporta, in queste condizioni, una redistribuzione del ca­ rico fiscale contro le famiglie e a favore delle imprese, nonché un più alto livello del tasso di interesse medio lordo e della spesa lorda per interessi.

3.3. Non pare, quindi, che la ratio alla base del recente prov­ vedimento fiscale possa essere la riduzione della spesa netta per interessi del bilancio statale, perché rimane a dir poco dubbio se il risultato finale possa contribuire a frenare la crescita della spesa netta per interessi; è anche possibile che si ottenga l’effetto opposto. Sia pure ex-post, devono essere trovate altrove le ragioni che lo giu­ stificano.

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Diverso è il caso dei sistemi, come quello americano ricordato più innanzi, in cui la decisione di spesa, o allocativa, è presa da autorità diverse da quella che, concedendo l’esenzione, rinuncia al gettito relativo ; in questo caso la presenza di un privilegio fiscale a favore di stati e autorità locali può spingere i livelli di governo in­ feriori a spendere, finanziandosi con obbligazioni, più di quanto altrimenti farebbero. Anche volendo prescindere dalla nostra recente esperienza storica, ammettere che l’esenzione fiscale per i titoli pub­ blici sia fonte di distorsione nell’allocazione delle risorse tra il set­ tore pubblico e quello privato significa ammettere che ci sia una po­ tente illusione finanziaria all’interno dello stesso centro decisionale, il governo centrale, nonostante che vi sia divisione di responsabilità tra Tesoro e Finanze.

Più fondamento, sotto il profilo della neutralità (o generalità), ha l’argomentazione di non generare effetti imitativi. Anche se la tassazione dei titoli pubblici si risolvesse in una partita di giro per il bilancio dello Stato, può essere opportuno non esentarli per non stabilire il precedente di un trattamento privilegiato per altri red­ diti da capitale ed essere più facilmente in grado di rintuzzare le richieste di agevolazioni fiscali che per le più svariate ragioni ven­ gono avanzate dal mondo finanziario. Se è vero che l’esistenza di un’eccezione indebolisce il fronte della resistenza a concederne altre, è molto dubbio che l’assenza di trattamenti privilegiati costituisca una vera remora contro la concessione di esenzioni o di attenuazioni quando, all’ottica classica dell’imposta come mezzo di finanziamento dello Stato, si sostituisca quella di politica economica volta a in­ centivare o a penalizzare attività e comportamenti.

3.4. Inoltre, un altro principio che è stato invocato è l’equità che, per differenziarsi da quello precedente, deve assumere un carat­ tere verticale. L’equità porta quindi a valutare politicamente la ca­ pacità contributiva dei soggetti passivi e giustifica la progressività dell’imposta. L’esistenza di un’ampia e crescente categoria di redditi da capitale che sfugge alla tassazione è tanto meno accettabile quanto più è radicata la convinzione che è opportuno discriminare a favore dei redditi « guadagnati » e quanto più la struttura dell’imposta sul reddito è progressiva.

Anche accettando il principio del maggior favore per i redditi guadagnati, non mancano ragioni teoriche per l’esenzione dei redditi da capitali, in base ad esempio alla necessità di evitare la doppia

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tassazione del risparmio. A parte l’accettabilità di quest’ultimo « teo­ rema », è evidente che esso dimostra troppo, nel senso che se ad esenzione si ha titolo, ciò è vero per ogni forma di risparmio e non soltanto per le cedole del debito pubblico.

Inoltre, più forte la progressività, più larga la ferita che si apporta al sistema impositivo, mandando esenti i titoli pubblici ; an­ che qui, tuttavia, alcune qualificazioni sono necessarie. Sebbene l’affer­ mazione possa apparire cinica, va detto prima di tutto che una tassa­ zione fortemente progressiva del reddito, resa ancor più aspra dalla inflazione dei redditi nominali, intanto può essere tollerata dai con­ tribuenti degli scaglioni più elevati in quanto permetta il funzionamen­ to di meccanismi di attenuazione ; e l’elusione del carico fiscale è certa­ mente preferibile all’evasione! Secondo, il favore per l’imposta pro­ gressiva è fortemente calato negli anni Ottanta ; le ipotesi che oggi sono meglio considerate, soprattutto dopo la riforma fiscale ame­ ricana, sono quelle di imposte sul reddito con una o poche aliquote che realizzano la progressività di tipo decelerato attraverso il gioco delle detrazioni. Infine, la soluzione adottata in Italia dell’imposta cedolare riduce ma non risolve il contrasto tra una struttura forte­ mente progressiva dell’imposta sul reddito e la tassazione proporzio­ nale di quasi tu tti i redditi di capitale con aliquote differenziate per tipo di cespiti.

Infatti, la legislazione al riguardo, anche dopo l’introduzione di questa nuova imposta sui titoli pubblici, rimane a dir poco confusa. Il merito che si può riconoscere al neonato tributo è quello di aver abolito un tabù che inibiva ogni iniziativa di riordinamento nella materia; è sperabile che un processo di riflessione e di riforma si metta rapidamente in moto a questo riguardo. Nel complesso, le ra­ gioni di equità sembrano giustificare abbastanza l’attenuata discri­ minazione fiscale tra i redditi da titoli pubblici e gli altri redditi, ma le modalità con cui è stata realizzata rischiano di lasciare i rap­ porti relativi inalterati ove l’operazione si chiuda per lo ¡Stato m una partita di giro o, peggio ancora, di alterarli in senso perverso, ove porti a un aumento dei rendimenti netti dei titoli pubblici a seguito dell’imposta.

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operazione. In fondo, il Tesoro quando si affaccia sul mercato dei capitali per coprire il proprio fabbisogno, anche se è di gran lunga il maggior emittente, si comporta in maniera non diversa dagli altri soggetti, privati o pubblici, sicché è opportuno che si sottoponga alle medesime regole, comprese quelle fiscali. Accettando questa tesi, an­ che nel caso in cui la tassazione dei titoli pubblici si risolvesse in una partita di giro, sarebbe preferibile avere sia registrazioni in entrata, sia in uscita.

Ohi scrive nutre perplessità sul modo di intendere questo prin­ cipio di trasparenza contabile e ne vede i limiti. Allorquando lo Stato è un relativamente modesto operatore può esserci una qualche giustificazione ad applicare ad esso le stesse regole che valgono per un operatore privato, ma quando i tre quinti circa del PIL transi­ tano per il pubblico bilancio, sarebbe più opportuno far vedere quanto effettivamente pesano sulle spalle dei cittadini. Quale significato economico ha o può avere una imposta percepita dallo Stato su un proprio atto di spesa? Questo sistema di contabilizzazione serve sol­ tanto a. creare una serie di interdipendenze e di partite di giro tra entrate e uscite che, sempre ad avviso di chi scrive, non contribui­ scono alla chiarezza del bilancio stesso.

Un esempio è costituito dalla ritenuta di acconto sugli stipendi e sui salari pubblici, i quali potrebbero essere calcolati e pagati al netto e imputati allo stesso modo ai capitoli di bilancio. Soltanto ai fini della dichiarazione annuale dei redditi il dipendente statale si vedrebbe fornire il dato della propria retribuzione al lordo della tas­ sazione e ad esso dovrebbe aggiungere gli altri redditi di cui ha goduto. In tal modo si eviterebbero alcune diatribe che si sono effet­ tivamente avute, si risparmierebbero moltissime registrazioni pura­ mente interne, si toglierebbe di mezzo la possibilità di autofinanziare una parte della spesa e la tentazione di trovare copertura a nuove spese giocando sulle necessarie asimmetrie tra i meccanismi di entrata e quelle di spesa.

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convenzionalmente intesa sembra motivo sufficiente a giustificare la tassazione dei proventi da titoli pubblici.

3.6. La ritenuta sui titoli dello Stato è stata decisa mentre la Francia si apprestava a seguire l’esempio della Germania nell’abo- lirla per migliorare la fluidità dei movimenti di capitali ; ciononostan­ te, essa trova una sua indiscutibile base di razionalità nelle attese del mercati. La pressione politica e sindacale a favore di una qualche forma di imposizione delle rendite pubbliche era divenuta quotidiana, diffusa, talvolta virulenta. Il mercato ne era stato contagiato e aveva incorporato nelle proprie aspettative un cambiamento di regime fiscale dall’ampiezza e dalle dimensioni indefinite. L’effetto indiscutibilmente positivo che la nuova imposta ha avuto è stato quello di eliminare la situazione di incertezza che si era creata intorno alle decisioni che il Governo e il Parlamento avrebbero potuto prendere. I sottoscrittori, nonostante i ripetuti dinieghi di esponenti del governo, si aspettavano una forma di tassazione sui titoli pubblici, ma continuavano a rimanere incerti sui tempi, sui modi e sull’estensione. Ciò provocava attese diverse creando volatilità nei tassi secondo le notizie, le indiscrezioni e le bubbole che raggiungevano il mercato.

Siffatta decisione lia così stabilizzato le aspettative in questo campo e ha certamente contribuito a ridurre la volatilità dei tassi, anche se questi, data la poca reattività del mercato secondario, non mostrano mai movimenti molto accentuati, pur contenendo nelle loro limitate variazioni chiare indicazioni dei cambiamenti di umore dei sottoscrittori, soprattutto di quelli istituzionali. Il non aver tassato lo « stock » di titoli già emessi, oltre che a mantenere la parola data e quindi la credibilità dell’emittente anche nel futuro, si giustifica pienamente col riconoscere che ciò avrebbe provocato movimenti nei tassi di interesse molto maggiori. Agendo solo sui flussi è più facile raggiungere un nuovo equilibrio, evitando di rendere fortemente \ o- latili i rendimenti.

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delle telecomunicazioni, della liberalizzazione dei movimenti di ca­ pitale, della « globalizzazione » verso la quale essi tendono.

È necessario, infatti, evitare di ridurre la disponibilità degli operatori a mantenere le proprie posizioni in titoli, se si vuole assi­ curare il buon andamento dei mercati finanziari ; ciò è vero di tutti gli « asset markets », in cui i prezzi sono manifestazione dell’equili­ brio tra domanda e offerta di « stocks », con la conseguenza che le quotazioni di oggi sono fortemente dipendenti dalle attese del mer­ cato su quelle future. La segmentazione che per ragioni fiscali si è venuta a creare tra flusso e « stock » può contribuire a rendere più stabile quest’ultimo.

Se si volesse, invece, seguire il principio che si applica la legge del giorno di percezione, la conseguenza sarebbe oltremodo negativa; ogni qualvolta il mercato entrasse in fibrillazione per timori fiscali, l’aumento di costo, data la struttura del nostro debito, sarebbe ine­ vitabile per l’intera massa in circolazione; e probabilmente, aumen­ tando l’incertezza, si avrebbe un onere aggiuntivo d’interesse supe­ riore al gettito dell’ipotetico inasprimento fiscale. In tal caso, l’im­ posizione non si risolverebbe in una partita di giro, ma in un vero e proprio aumento di costo per il Tesoro.

3.7. Alla nuova legge sulla tassazione dei titoli pubblici è stato rimproverato di non aver rispettato sino in fondo la separazione tra i titoli già emessi, da continuare a mandare esenti, e quelli nuovi da assoggettare a ritenuta. Il meccanismo di indicizzazione finanziaria che lega i titoli a medio-lunga, scadenza emessi ieri a quelli a breve di oggi al fine di determinare la cedola corrente dei primi crea un legame tra lo « stock » e il flusso. La soluzione proposta dal Governo e accolta dal Parlamento è stata quella di prendere a base il rendi­ mento netto dei titoli a breve per calcolare la cedola sui certificati del Tesoro di vecchia emissione. Si è obiettato, e autorevolmente, che si sarebbe dovuto scegliere il rendimento al lordo dell’imposta per­ ché più rispondente alla lettera e allo spirito dell’impegno preso dal Tesoro con i sottoscrittori.

Anche qui si ruota intorno all’irrisolto problema della traslazio­ ne ; se questa è completa cosicché l’imposta si traduce in una partita di giro, il portatore del titolo non ha alcuna ragione di dolersi della soluzione data dalla legge; ove, invece, essa fosse nulla, l’equità vorrebbe che fosse preso a base il rendimento lordo. Poiché è convin­ zione di chi scrive che, sebbene non dimostrabile, la traslazione

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babilmente tende ad essere completa, la soluzione data dalla legge sembra sostanzialmente corretta.

Ove si fosse convenuto di procedere sulla base del rendimento lordo, dato l’ammontare dello « stock » rispetto ai flussi dei prossimi anni, la nuova imposta si sarebbe senz’ombra di dubbio tradotta in una maggiore spesa netta per interessi. Il Governo ha difeso la scelta non sulla base di quest’argomentazione, ma in forza dell’accettazione da parte dei possessori dei certificati a veder il rendimento dei propri titoli determinato quasi totalmente sul mercato dei buoni del Tesoro a opera di altri operatori che oggi esprimono le proprie preferenze e le proprie convenienze in termini di rendimenti netti.

Invero, ove si fosse voluto, per rispetto alla lettera della parola data, mantenere la più completa cesura tra lo « stock » e il flusso si sarebbero dovuti escludere dalla tassazione i buoni ordinari del Te­ soro, che sono appunto i titoli cui è agganciato il rendimento dei cer­ tificati già emessi; e questa eventualità è stata a lungo e seriamente considerata. La rinuncia ad essa si è avuta non solo perché appariva contraria ad ogni principio di corretta allocazione e di equità tas­ sare il reddito di veri atti di risparmio e non quello derivante dalla gestione di liquidità, ma soprattutto perché il mantenimento dell’e­ senzione avrebbe indirizzato sui buoni ordinari una forte domanda che avrebbe depresso i loro rendimenti. Temendo una nuova « lique­ fazione » del proprio debito, il Tesoro avrebbe limitato l’offerta, fa­ vorendo ancor più la caduta dei rendimenti. A prescindere dai pro­ blemi di controllo monetario che ciò avrebbe potuto creare, la cura per difendere i portatori di certificati di vecchia emissione si sarebbe tradotta, in un male ben peggiore di quello che, secondo alcuni, sa­ rebbe stato loro inflitto. Volendo o dovendo procedere alla tassazione dei frutti del debito pubblico non pare che si potesse sciogliere questo nodo gordiano con miglior rispetto della fede data e degli interessi sia dell’emittente sia dei portatori.

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Da un’analisi a tappeto delle esperienze storiche emergerebbero, infatti, i più svariati andamenti di questo « magico » rapporto, con conseguenze e soluzioni le più diverse. Alcune esperienze di elevata accumulazione di debito mostrano, come nel caso inglese, che si può tornare a situazioni di normalità senza passare per processi di aggiu­ stamento troppo severi; in altri casi, invece, hanno portato a stati di instabilità per sfociare poi in processi inflazionistici. Questi ul­ timi hanno endogenamente curato il male all’origine, riducendo il valore reale del debito pubblico, come in Germania dopo la prima guerra mondiale. Poiché dall’esperienza non si può ricavare una re­ gola, è inutile pensare che esista per questo rapporto un valore cru­ ciale oltre il quale il sistema economico si sfalda o si impongono soluzioni radicali come, per esempio, la cancellazione del debito in essere.

Durante molti degli anni fra le due grandi guerre il debito pub­ blico in percentuale del PIL ha raggiunto in Italia pressappoco gli stessi livelli di oggi, come mostrano i dati storici dell’opera di Gon­ falonieri e Gatti. Anche allora, come oggi, le più alte percentuali sono state raggiunte quando è stata messa in atto una politica monetaria restrittiva che ha portato gli interessi reali a livelli elevati (Tabella 3). Dal 1926 al 1934, per nove anni consecutivi (Tabella 4), la condi­ zione di stabilità non è stata mai rispettata, perché il tasso di crescita del PIL nominale è stato sempre inferiore alla ragione media dell’in­ teresse nominale pagato sul debito pubblico. Un problema di assorbi­ mento del debito da parte del sistema si manifestò più tardi, soprat­ tutto per effetto di aspettative inflazionistiche connesse ai timori e ai primi bagliori di guerra, proprio mentre il rapporto cominciava a ridiscendere.

4.1. La sostenibilità del debito è stata trattata implicitamente dalla teoria economica fin dagli inizi, ove si prenda il teorema di Ri- cardo sull’equivalenza fra prestiti pubblici e tassazione come punto di partenza. Il recente, generalizzato aumento del rapporto debito/ PIL in tutti i paesi ha fatto riscoprire il vecchio dibattito, a cui l’an­ tica scuola di finanza pubblica italiana ha forse dato il contributo maggiore. Nonostante tutto questo rifiorire di studi, non sembra che si siano fatti tali progressi conoscitivi da poterne trarre una guida sicura per le decisioni di politica economica.

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Tabella 3 - D eb ito p u b b lico, fabbisogno e ta s s i d i in teresse in I ta lia : 1 9 1 9 -1 9 4 3 .

A n n o

Debito pubblico Tasso

di interesse medio reale Tasso di interesse medio nominale in milioni di lire del PNLin % 1 9 1 9 ... 60.200 74,0 2,6 4,6 1920 ... 74.500 60,0 - 28,6 4,8 1 9 2 1 ... 86.500 75,0 - 13,9 4,6 1922 ... 92.900 75,0 4,8 4,8 1923 ... 95.500 71,0 4,9 4,9 1924 ... 93.200 65,0 0,8 4,9 1925 ... 90.900 51,0 - 9,4 4,9 1926 ... 91.300 50,0 - 3,4 5,2 1927 ... 83.700 53,0 13,6 5,9 1928 ... 86.500 54,0 11,4 5,1 1929 ... 87.100 54,0 3,4 4,9 1930 ... 88.100 62,0 7,9 5,0 1 9 3 1 ... 91.400 75,0 13,1 5,0 1932 ... 95.600 83,0 7,4 5,1 1933 ... 97.200 90,0 11,5 6,4 1934 ... 102.600 96,0 10,1 5,7 1935 ... 105.700 89,0 3,1 4,5 1936 ... 109.400 86,0 - 2,5 5,0 1937 ... 125.600 80,0 - 3,9 4,9 1938 ... 133.600 80,0 - 2,6 4,9 1939 ... 145.800 80,0 0,6 4,8 1940 ... 169.700 81,0 - 11,5 4,9 1 9 4 1 ... 229.400 96,0 - 8,1 5,1 1942 ... 307.800 104,0 - 8,2 5,0 1943 ... 405.200 102,0 - 97,5 4,8

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