1.2 Soluzioni giudiziali della crisi »
1.2.5 L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi »
In un’ottica conservativa “del patrimonio produttivo, mediante pro- secuzione, riattivazione e conservazione delle attività imprenditoria- li”, ex art. 1 d.lgs. 270/1999, rileva la nuova legge sulla ammini- strazione straordinaria, la quale ha riconosciuto, all’interno di un nuovo rapporto con l’autorità politica ed amministrativa, una posi- zione di maggiore ingerenza del giudice nella gestione della crisi. In questa prospettiva è mutato profondamente l’approccio allo stato di insolvenza, non più percepito come crisi del rapporto di credito, secondo una visione proprietaria dell’impresa, ma piuttosto come crisi produttiva aziendale, causa della patologia dei rapporti obbliga- tori. Anche la nozione stessa di insolvenza appare modificata, op- tando per una sua accezione oggettiva sulla base di una lettura se- condo criteri economici. In quest’ottica assume rilievo anche il colle- gamento della crisi con i suoi sbocchi di conservazione o di liquida- zione, a seconda delle molteplici variabili non tipizzabili normativa- mente ma piuttosto frutto di azioni nell’ambito dell’autonomia priva- ta e del mercato.
Nella introduzione di una procedura peculiarmente caratterizzata da una buona flessibilità, per la sua struttura bifasica, con una prima, assolutamente innovativa, di osservazione dell’impresa insolvente sotto la vigilanza o eventualmente la gestione commissariale, in vi-
sta dell’apertura dell’Amministrazione straordinaria o della dichiara- zione di fallimento (seconda fase), a seconda della ricorrenza o me- no di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali.
Nella prima fase, di osservazione, l’autorità giudiziaria esercita, ac- canto alla funzione giurisdizionale, compiti amministrativi diversa- mente allocati, a seconda dell’affidamento o meno della gestione dell’impresa al commissario giudiziale, con esercizio, nel primo caso, di un potere autorizzatorio del tribunale nei confronti del commissa- rio e, nel secondo caso, di un maggior potere in capo al Giudice de- legato. In questa fase, infatti, la stessa autorità giudiziaria è chia- mata a valutare le concrete possibilità di recupero dell’equilibrio e- conomico nelle forme alternative della ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa ovvero della cessione dei complessi azienda- le sulla base dei programmi previsti, sulla base delle risultanze della relazione del commissario giudiziale e tenuto conto del parere mini- steriale e delle osservazioni dei creditori.
Nella seconda fase, invece, conseguente all’apertura
dell’Amministrazione straordinaria, la procedura assume un caratte- re maggiormente amministrativo, caratterizzata dalla predisposizio- ne di un programma da parte del commissario straordinario senza soggezione ad alcun vincolo né alle risultanze della relazione del commissario né alla motivazione del decreto di apertura del tribuna- le, ma piuttosto alla vigilanza del ministero dell’industria, che si e- sprime in un potere di direttiva in conformità ai criteri di politica in- dustriale adottati.
I criteri di definizione del programma devono, infatti, assicurare la salvaguardia dell’operatività dei complessi aziendali, con debita con- siderazione degli interessi dei creditori, i quali, seppure non coinvolti direttamente in una partecipazione della procedura, trovano il loro spazio nel riconoscimento di un ruolo attivo nella ricerca di soluzioni per il recupero della solvibilità dell’impresa.
In tal modo il programma, il cui contenuto è diversamente modulato a seconda dell’adozione dell’indirizzo di cessione dei complessi a- ziendali ovvero di ristrutturazione dell’impresa, non distingue tra programma o piano di risanamento, dovendosi quest’ultimo sempre realizzare attraverso la prosecuzione dell’attività in termini di effi- cienza economica, con la realizzazione di un risultato non inferiore al valore dei beni trasferiti ed agli eventuali oneri finanziari (nella pri- ma ipotesi) e con l’individuazione delle fonti di finanziamento ester- no, indispensabili per una concreta previsione di ricapitalizzazione dell’impresa e di mutamento degli assetti imprenditoriali (nella se- conda). Anche in quest’ultima fase, in realtà, il controllo non è tutto esclusivamente riservato all’autorità amministrativa, posto che al tribunale spetta sia durante la esecuzione sia durante la scadenza un sindacato sui risultati del programma.
1.3. Soluzioni stragiudiziali della crisi: i piani attestati di ri- sanamento e gli accordi di ristrutturazione.
Come già accennato, uno degli aspetti maggiormente innovativi del- la riforma fallimentare riguarda la previsione di due istituti volti alla risoluzione della crisi d’impresa in via stragiudiziale, i piani attestati di risanamento, ex art. 67 L.F., e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, ex art. 182 bis L.F..
Il primo istituto mira a consentire all’imprenditore, che non versi ancora in una situazione d’insolvenza, il risanamento della sua espo- sizione debitoria ed il ritorno all’equilibrio finanziario dell’impresa. In particolare, il piano attestato di risanamento rappresenta un celere strumento di soluzione della crisi caratterizzato, a prescindere dall’accordo con i creditori, dal necessario intervento di un advisor indipendente che attesti la fattibilità e la riuscita della ristrutturazio- ne dell’impresa in crisi e dalla esenzione da revocatoria, in caso di successivo fallimento, dei pagamenti effettuati in esecuzione al pia- no presentato.
Dal punto di vista strutturale, il piano, pur mancando una disciplina positiva e rilevando soltanto come ipotesi di esenzione oggettiva dall’esercizio dell’azione revocatoria, si fonda su di un business plan che, indirizzato in condizioni di normale funzionamento dell’impresa ai potenziali investitori, è nel caso di specie rivolto essenzialmente ai creditori: esso si articola ordinariamente in un piano industriale, in un conto economico ed in uno stato patrimoniale previsionali ed in un rendiconto finanziario che consenta di prevedere la dinamica finanziaria dell’impresa, dipendente dalle azioni di risanamento av- viate.
Per l’ampiezza delle sue e finalità l’assenza di predeterminazione di requisiti di forma, il contenuto del piano può essere il più vario ed atipico, sul preliminare fondamento della raccolta dei dati e delle in- formazioni sull’azienda, con una proiezione su un arco temporale compresa tra i tre ed i cinque anni ed una valutazione degli assets e delle diverse poste non necessariamente coincidenti con quelle ai fi- ni del bilancio, secondo i criteri generali, in un’ottica più prudenzia- le, per l’incorporazione di una sorta di riserva di flessibilità, a mag- giore garanzia di copertura del piano stesso. Il solo vincolo di natura funzionale appare quello della sua formulazione in una prospettiva non liquidatoria, ma di gestione e di continuità aziendale, idonea al superamento della crisi, con possibilità anche di attività di dismis- sione, non incompatibili, in quanto limitate. In tal modo non può considerarsi compatibile un piano di risanamento da imprese in li- quidazione se non previa revoca di un tale stato ed eliminazione del- la causa di scioglimento.
Il secondo istituto, c.d. accordi di ristrutturazione, è uno strumento che può essere utilizzato dall’imprenditore che versi in uno stato di crisi, consentendogli di stipulare con tanti creditori che rappresenti- no almeno il 60% dell’ammontare dei crediti un accordo nel quale sia possibile rinegoziare la posizione debitoria dell’azienda; tale ac- cordo deve essere sottoposto, al fine della produzione di effetti lega-
li, all’omologazione da parte del tribunale.
Il richiamo dell’art. 182 bis L.F. alle disposizioni previste in materia di concordato preventivo, nonché il tenore letterale della norma che ricopia nella definizione l’art. 160 comma 1 lett. a) (“la ristruttura-
zione dei debiti… e la soddisfazione dei crediti”), potrebbero indurre
a ritenere che si tratti di un istituto strettamente connesso al con- cordato preventivo, quasi una delle modalità (con le dovute qualifi- cate maggioranze già raccolte in fase stragiudiziale o pre-giudiziale) con le quali può essere presentata domanda di concordato. In real- tà, gli accordi di ristrutturazione dei debiti presentano ulteriori ele- menti formali e sistematici che fanno propendere per un’autonoma qualificazione dell’istituto. In particolare, differenti appaiono i pre- supposti soggettivi degli istituti: è sottoponibile alla procedura di concordato preventivo, l’imprenditore fallibile o suscettibile di essere sottoposto a liquidazione coatta amministrativa, mentre può propor- re un accordo di ristrutturazione debiti, ogni imprenditore, ossia anche il piccolo imprenditore, l’artigiano e l’imprenditore agricolo, soggetti cioè non suscettibili di dichiarazione di fallimento. Ciò detto, è bene precisare che, benché la domanda possa essere proposta da qualsiasi imprenditore, il principale interesse sostanziale che sotto- stà a tale istituto, è costituito dall’esenzione dall’azione revocatoria, riconducibile esclusivamente all’imprenditore fallibile in stato di crisi. Diversa, inoltre, è la natura dell’accordo in esame, in quanto, men- tre il concordato preventivo costituisce un vero e proprio procedi- mento giudiziale, l’accordo di ristrutturazione presenta una natura meramente contrattuale.
Per quanto riguarda la distinzione tra l’accordo di ristrutturazione debiti e il piano attestativo, è opportuno rilevare che solo nella pri- ma ipotesi vi è un accertamento preventivo della non revocabilità dei pagamenti eseguiti in attuazione dell’accordo, in quanto, in caso di piani attestativi, ogni definitivo accertamento è rimesso al giudice dell’azione revocatoria, il quale dovrà valutare se gli atti, i paga-
menti e le garanzie concessi sui beni del debitore siano stati posti in esecuzione di un piano idoneo (attraverso un giudizio ex ante) a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibro della sua situazione finanziaria.
La prassi, in realtà, ha dimostrato la scarsa rilevanza di tali istituti, i quali spesso si configurano inidonei a fronteggiare crisi già avanzate a spesso irreversibili. Tale sfavor deve essere inoltre imputabile, come meglio chiariremo in seguito, al trattamento penalizzante che tali sistemi negoziali e privatizzati di risoluzione della crisi d’impresa ricevono sul piano fiscale rispetto alle procedure concordate, soprat- tutto sotto il profilo della rilevanza delle eventuali sopravvenienze attive scaturenti dalla falcidia dei debiti a seguito della omologazio- ne ovvero della sola attestazione di fattibilità del piano.
1.4. Rapporti tra le (novità delle) procedure concorsuali e Fi-