2. L’opera maggiore: Čapaev
2.4. I pareri in Occidente
2.4.1 L’analisi di D. Colombo
Uno dei migliori e più accurati casi di studio dell’opera di Furmanov è senza dubbio quello svolto da Colombo100 che riesce a penetrare nella sostanza del romanzo e a svelare molti aspetti interessanti che, a tutti gli effetti, solo lui si è proposto di rilevare.
Colombo si concentra sul difficile rapporto tra realtà e romanzo, denunciando come troppo comoda la soluzione usata nell’epoca sovietica di totale corrispondenza tra le due parti, soluzione che, come si è già detto precedentemente, non è del tutto accurata, anzi
95 Ivi, p. 9.
96 “I fatti sono raccontati con passione, ma la voce che racconta non è mai turbata da quella commozione calcata e falsa che mira soltanto ad ottenere facili effetti “. Ivi, p. 12.
97 D. Fourmanov, Tchapaev…, cit., p. 6.
98 Ivi, p. 7.
99 “Une littérature utile, dégagées de tout maquillage de neutralité, une littérature de vie et de combat”. Ivi, p. 8.
100 L’articolo a cui si fa riferimento è il seguente: D. Colombo, Il patto di Čapaev: fatto e fattografia, realtà
rivela ambiguità e distorsioni101, che portano il realismo più che a descrivere la realtà ad accomodarla secondo dettami politici:
[… socialism does not produce Socialist Realism in order to somehow “embellish reality”, but Socialist Realism does produce socialism, elevating it to the rank of reality and materializing it. Socialist Realism is the incarnation of socialism, which must not be sought in “reality”, but in Soviet novels, films, songs, visual propaganda, and so forth102.
Il testo di Furmanov è un esempio brillante di realismo socialista, anche se è stato proposto nel 1923 e quindi prima che ne esistesse la formulazione, e di rapporto emblematico tra esperienza diretta dell’autore e finzione letteraria piegata (più o meno coscientemente e volontariamente) all’ideologia del Partito.
Come ci mostra Colombo, quest’opera è stata interpretata sostanzialmente in due modi diversi dal “Novij Lef” e dal realismo socialista. Il primo definiva l’opera uno schizzo dal vero, mentre il secondo un romanzo; si tratta di vedere chi avesse realmente ragione. Colombo invita a ragionare sul fatto che il romanzo era il genere prediletto del realismo e che, ormai da tempo, era considerato il massimo raggiungimento artistico della scrittura (non a caso i classici della letteratura secondo i canoni del realismo erano i romanzi). Tuttavia, è anche vero che l’opera di Furmanov potrebbe rientrare in entrambe le classificazioni: “Il testo di Furmanov [… si prestava a queste oscillazioni interpretative, che sono in parte giustificate delle oscillazioni dell’autore in fase progettuale103” dato che l’autore, come anche riportato precedentemente, era indeciso se optare per delle memorie o per un’opera letteraria e nei diari dedicò una sezione (ottobre 1922) a spunti di riflessione su come classificare Čapaev. Come già visto, fu il consiglio di Lepešinskij a indirizzarlo su un tono storico ed è così che nelle prime edizioni edite da Istpart nella prefazione scritta da Furmanov compariva la parola “schizzo” (očerk) che però scomparve dal 1925 fino agli anni Sessanta. Così, all’inizio, i critici, sia su “Zvezda” che su “Pravda”, propendevano per classificare l’opera come una storiografia basata su memorie (a detta di P. Ionov neanche tanto riuscita104) usando spesso parole abbastanza
101 “[… he (i.e. the writer) no longer searches for truth; he begins with the truth as revealed in the pronouncements of party leaders”. J. C. Vaughan, Soviet Socialist Realism: Origins and Theory, London, Palgrave Macmillan, 1973, p. 101.
102 E. A. Dobrenko, Political Economy of Socialist Realism, trad. ing. di J. M. Savage, New Haven and London, Yale University Press, 2007, p. 7.
103 D. Colombo, Il patto…, cit., p. 79.
104 “Non è un romanzo. […] Furmanov è ancora piuttosto modesto e debole nel campo delle capacità artistiche. […] D’altra parte l’autore non si è neppure posto obiettivi direttamente artistici”. “Pravda”, 5.6.1925, cit. in D. Colombo, Il patto…, cit., p. 81. Tra le recensioni negative spicca quella di P. Kogan del
dure e che non prendevano nella giusta considerazione il lungo, dettagliato e accurato lavoro che Furmanov aveva fatto per creare Čapaev.
Al di là dei gruppi letterari che si attaccavano vicendevolmente per prevalere definitivamente in campo artistico, Colombo afferma che Čapaev è un romanzo, facendo riferimento alle edizioni uscite dal 1961 in poi in cui compare la definizione “Romanzo” dopo anni di assenza di qualsiasi altra indicazione. Secondo lo studioso, la definizione sarebbe comparsa dopo l’uscita di un’importante monografia sull’autore pubblicata da E. Naumov nel 1951, il quale definiva l’opera un romanzo e i personaggi dei tipi letterari che si allontanavano dal metodo fattografico in quanto “Il suo Čapaev non è solo l’autentico vivo Čapaev, è anche un tipo collettivo di tutta una categoria di condottieri contadini generati dall’epoca della guerra civile105”.
In seguito, Colombo si sofferma sui personaggi e sull’ambiguità che fin dall’inizio si portano appresso: Furmanov è Klyčkov? In che misura i due combaciano? Le risposte sono molteplici, da chi come Kamegulov e Čičerin hanno sminuito la figura e l’effetto del commissario di guerra come se non avesse sufficienti personalità e autorità per imporre il suo punto di vista, a chi come Novinskij ha cercato un compromesso tra uomo reale e personaggio. Con l’affermazione del realismo la risposta concessa era che Furmanov e Klyčkov non potevano essere la stessa persona (“non si deve però porre un segno di uguaglianza tra Furmanov e Klyčkov106”) poiché il secondo è un tipo generalizzato di commissario e proprio grazie a questa generalizzazione il testo assurge a romanzo107. Quindi, conclude Colombo, è difficile comprendere chi abbia ragione, dipende dai punti di vista, dall’ideologia letteraria che si voleva proporre: se si propende per la fattografia, allora Čapaev è memorie basate su una biografia e un’autobiografia
“Novij Lef” che pone l’opera come figlia di un tempo in cui la letteratura non ha nulla da aggiungere e l’autore non ha fatto altro che adempiere a un ordine. L’articolo è citato da Colombo (P. Kogan, Dmitrij
Furmanov, “Pečat i revoljucija”, 1926, n. 3, pp. 75-76, cit. in D. Colombo, Il patto…, cit., p. 84) e si trova
per intero in: viewer.rusneb.ru/ru/000199_000009_60000244650?rotate=0&theme=white&page=79 (ultima consultazione: 25/04/2020).
105 Pamjati Dmitrija Furmanova, “Na literaturnom postu”, 1927, n. 5-6, pp. 85-86, cit. in D. Colombo, Il
patto…, cit., p. 87.
106 E. Naumov, D. A. Furmanov, p. 78, cit. in D. Colombo, Il patto…, cit., p. 93.
107 Fu lo stesso Furmanov a scrivere nelle sue memorie la parola “simboli”, legata ai personaggi e intesa come tipizzazione di essi e non mera cronaca degli avvenimenti. A. Izbach, Furmanov…, cit., pp. 219-220.
verificabili, se si propende per una non convergenza tra personaggio e autore allora esso è un romanzo tratto da un’esperienza vera108.
Sembrerebbe così che la questione sul rapporto opera-realtà si possa definire conclusa, ma Colombo fa notare un ulteriore elemento di disturbo. Infatti, nelle prime due edizioni fino al 1925, la prefazione dello stesso autore ci indica che ai personaggi ancora in vita sono stati cambiati i nomi mentre a quelli deceduti i nomi corrispondono. Nella sesta edizione del 1928 la moglie dell’autore scrive che i nomi autentici sono stati dati solo ai personaggi considerati compiuti e quindi sembrerebbe che l’opera sia davvero una memoria dove “[…] il nome dell’autore è diverso da quello dell’eroe, ma l’identità viene ristabilita dal paratesto (attribuito, per di più, come si è visto, all’autore stesso109”). Insomma, quello che ancora oggi, come allora, rimane è che il lettore riesce a dare quasi per scontato che Klyčkov sia Furmanov, mentre il dibattito letterario rimane irrisolto generando dubbi e domande che mostrano la fecondità di questa scrittura.
2.5. Le conclusioni
Si è visto come Colombo abbia delineato molto bene i problemi dell’opera di Furmanov, lasciando comunque aperta la conclusione dei dibattiti. Alla luce di questo, risulta che molto di ciò che è stato scritto in Unione Sovietica su Čapaev è stato rimaneggiato in base alle tendenze politiche e ideologiche. Ai posteri rimangono le testimonianze di Furmanov nei diari: “Речь идёт […] не об утилитаризме в искусстве, не о приспособлении его к узко практическим целям, – мы говорим лишь о необходимости соответствия искусства основным тенденциям жизни110” (“Il discorso verte […] non sull’utilitarismo nell’arte, non sulla sua conformazione a scopi prettamente pratici, – parliamo solo della necessità della corrispondenza dell’arte alle principali tendenze della vita”). E per l’autore le tendenze della vita erano le idee socialiste e il riscatto dalla mediocrità borghese che si concentrava solo su sé stessa in nome di una missione aperta a tutto il genere umano. Nelle sue parole si avverte la presa
108 Anche Izbach rimane sul neutro e chiama sempre l’opera “libro” (“книга”) e assicurando che: “[…] себя самого изображал под именем Фёдора Клычкова”. Cioè: “[…] rappresentava sé stesso sotto lo pseudonimo di Fёdor Klyčkov”. Ivi, p. 111.
109 D. Colombo, Il patto…, cit., p. 99.
di distanza dalla fattografia, che vedeva solo la praticità dell’arte, per avvicinarsi a uno scopo di letteratura impegnata ma ispirata. Anche sulla tipizzazione queste sono le sue parole in riferimento all’eroe del libro: “[…] здесь Чапаев собирательная личность111” cioè “[…] qui Čapaev è una personalità generalizzata”. È difficile dare un giudizio neutro ad una scrittura che difficilmente emerge come neutra, la ricchezza dell’opera sta anche nel fatto che su di essa si è potuto e si può parlare molto traendone nuovi spunti.
Non si saprà nemmeno mai quanto egli puntasse ad un’effettiva notorietà, probabilmente avrebbe voluto essere riconosciuto come esponente artistico della sua travagliata epoca pur senza avere grandi pretese di finire nel panorama dei classici russi. Indubbio che si impegnò molto nella sua carriera letteraria e professionale e che si calò negli eventi dell’epoca con tutto sé stesso senza avere paura. C’è molto di lui in Klyčkov, anche nei sentimenti che finisce, forse a volte suo malgrado, di esprimere. Quanto davvero volesse, e potesse, scostarsi da quel commissario forse nemmeno lo stesso Furmanov sarebbe riuscito ad ammetterlo. E forse non avrebbe mai immaginato che i suoi personaggi e le sue parole a distanza di un secolo ancora avrebbero risuonato nella sua amata patria. Si può terminare citando “Mitja” dalla testimonianza di un’amica: “[…] мне очень хочется, чтоб книга моя понравилась. Но как бы хотел я знать, сколько лет она будет жить и не умрёт ли как однодневка, не выдержав испытания нашего сурового, грозного и прекрасного времени112…” (“[…] desidero molto che il mio libro piaccia. Come vorrei sapere quanti anni vivrà e se non morrà come una cosa effimera che non ha saputo resistere alle prove del nostro austero, severo e splendido tempo…”) e dicendo che: “[… il a écrit un des plus beaux et des plus émouvantes récits de l’histoire russe113”.
111 A. Izbach, Furmanov…, cit., p. 229.
112 Ivi, p. 323.