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L’analogia delle conclusioni di Sotiropulos con il pensiero keynesiano

3 CAPITOLO : L’HIGH FREQUENCY TRADING ALLA LUCE DEL

3.5 Una nuova tipologia di investimento

3.5.3 L’analogia delle conclusioni di Sotiropulos con il pensiero keynesiano

Le conclusioni di Sotiropulos potrebbero anche fuorviare, ma leggendole attentamente non fanno altro che confermare il pensiero che Keynes aveva su come il mondo della finanza si stava evolvendo. Già durante il XIX secolo gli economisti hanno cercato costantemente la ricerca del modello perfetto, cercando di interpretare i fenomeni mediante la formulazione di leggi esatte. Ecco quindi che la matematica ha appaiato l'economia per descrivere interazioni ed atteggiamenti sociali. Il problema, però, ha sempre riguardato il fatto che al centro del

sistema vi sono le persone, e non i numeri. Come Thaler95 ha più volte ribadito “gli agenti

economici sono umani e i modelli economici devono incorporare questo dato”.

Tuttavia, dalle conclusioni dell'articolo di Sotiropulos, pare che gli High Frequency Traders siano riusciti a sfruttare le ipotesi della Teoria dei mercati efficienti e a trasformare l'attività di investimento in un gioco redditizio. Il fatto che essi abbiano ottenuto delle strategie in grado di ricavare profitto dagli aspetti comportamentali e psicologici degli esseri umani, si sposa bene con il pensiero di Keynes che abbiamo sopra esposto e sul concetto del "to beat the gun". L'HFT non ha fatto altro che riuscire a prevedere le mosse degli operatori nel futuro. Per questo ha sviluppato algoritmi in grado di lavorare nell'arco di millisecondi, cercando anche vantaggi statistici e riducendo soprattutto il periodo di detenzione degli strumenti data l'incertezza del sistema. Essi sono quindi riusciti a creare un mix vincente per poter "battere" il mercato, configurandosi però come successo dell'ingegneria sociale della finanza piuttosto che delle scienze economiche. Keynes ne era consapevole: le decisioni non riguardano più fondamentali economici bensì modelli predittivi psicologico-statistici volti a cercare di ricavare il massimo dei profitti nel minor tempo possibile. Nonostante tale pratica sia un lontano parente dell'investimento puro finanziario, il famoso economista ne comprendeva la naturale razionalità come risposta all’incertezza strutturale.

95 Economista statunitense, ha vinto il premio Nobel nel 2017 proprio grazie ai suoi studi e i suoi contributi allo

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3.6

La socializzazione degli investimenti

Visto che è improbabile per Keynes la possibilità che i mercati canalizzino la liquidità in direzione degli impieghi di medio-lungo termine, non interessandosi assolutamente di "compiere le migliori previsioni a lungo sul rendimento probabile di un investimento", è lecito chiedersi chi dovrebbe allora assumersi la responsabilità di effettuare investimenti con un ampio orizzonte temporale.

La riposta di Keynes è abbastanza chiara: lo Stato, o comunque qualunque entità collettiva, in quanto in grado di calcolare l'efficienza marginale dei beni capitali96 in base a

considerazioni a lunga portata e in vista della riduzione del livello di disoccupazione e sua conseguente stabilizzazione. Egli è infatti scettico sulle possibilità di una politica di successo esclusivamente monetaria intesa ad influire sul tasso di interesse.

Oggi le forze sono sicuramente ribaltate, visto che negli anni in cui l'economista britannico scrisse la Teoria Generale lo Stato viveva di una posizione di forza rispetto al singolo individuo/privato. Tuttavia, un articolo del professor Alberto Bagnai (2012), evidenza come il fallimento della Lehman Brothers ha bruciato più risparmi degli ultimi default degli Stati sovrani messi assieme. Il recovery rate dei risparmiatori dopo il crack della Banca è stato del 30%, che su un portafoglio totale di 600 miliardi ha visto bruciare 420 milioni di dollari (ovvero il 70%). Nel caso invece dei default sovrani avvenuti nell’ultimo decennio, Argentina e Russia in primis, il recovery rate è stato del 55% con perdite che hanno distrutto circa 178 miliardi di dollari. Se ne può concludere quindi che un singolo default privato ha registrato una perdita superiore al doppio dei default pubblici analizzati nel periodo tra il 1998 e il 2006. Sarà quindi vero che anche lo Stato ha i suoi fallimenti e può sprecare i risparmi dei cittadini, ma molti economisti sono concordi sul fatto che oltre certi limiti lo Stato rappresenta il miglior intermediario finanziario. L'eccessiva finanziarizzazione privata sta portando a maggiori fallimenti e maggiori sprechi. Finisce, secondo Keynes, per "passare al prossimo la moneta

cattiva", contribuendo a liberare nuove risorse finanziarie con le quali gonfiare bolle

speculative e rendere ancora più instabile tutto il sistema.

96 Per Keynes essa è il saggio di sconto che attualizza il valore di un bene rendendolo uguale al suo prezzo di offerta.

Quello che determina l’efficienza margine del capitale è il flusso di redditi prospettici, dato un prezzo esistente e date le aspettative formatesi.

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Per questo lo Stato dovrebbe assumersi una maggiore responsabilità nell'organizzare direttamente l'investimento, per renderlo più stabile e in grado di generare quella funzione sociale che lui considera principe: ridurre il livello di disoccupazione. Lo Stato dovrebbe quindi assumere un ruolo più rilevante nel circuito del risparmio e del successivo investimento, visto che secondo Keynes è infatti l'unica entità in grado di "valutare il

rendimento dei beni capitali in un'ottica di lungo periodo e sulla base dell'interesse sociale".

Dunque, la sopravvivenza del capitalismo dalla stagnazione della produzione, dall'aumento della disoccupazione e dall'instabilità alimentata anche dai moderni mercati finanziari, richiede per Keynes un costante intervento dello Stato nell'economia per ridurre l'incertezza strutturale del sistema, sostenere l'occupazione, assumersi l'onere di effettuare investimenti con orizzonti temporali di lungo periodo ed evitare che le crisi siano profonde e di ampiezza esagerata.

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Conclusioni

Il progresso tecnologico ha mutato considerevolmente la struttura dei mercati finanziari, convogliando sempre più investitori al suo interno e aumentando notevolmente il volume e la liquidità degli scambi. Le nuove forme di accesso al mercato, le piattaforme di scambio sempre meno regolamentate e i sistemi commissionali agevolanti, hanno permesso di minimizzare i costi legati al commercio elettronico e hanno ampliato le possibilità di fare profitto.

Questa corsa all’innovazione tecnologica ha avuto come culmine la nascita dell’High Frequency Trading. Come abbiamo visto, il trading ad alta frequenza non è una tecnica o una particolare strategia operativa di mercato, bensì rappresenta un vero e proprio fenomeno derivante dalla naturale evoluzione dei mercati dei capitali. La tecnologia, travolgendo completamente le modalità di negoziazione all’interno dei mercati finanziari, ha portato gli algoritmi prima a fornire ausilio all’uomo e successivamente a sostituirlo. Oggi sono i software sempre più sofisticati a prendere le decisioni di investimento, analizzando ed elaborando un’enorme quantità di dati con una velocità tale da permettere di reagire ed inviare ordini in frazioni di secondo. L’intervento umano si è quindi ridotto alla fase di programmazione, di controllo e di ottimizzazione dei dispositivi utilizzati: il resto è lasciato al mondo delle macchine. Infatti, da quanto emerso nella descrizione delle strategie utilizzate dagli HFTs, si è evinto chiaramente come molte pratiche non derivino da studi di tipo economico-finanziario, ma abbiano fondamento su basi ingegneristico-informatiche. Inoltre, tali operatori non hanno solamente un vantaggio in termini di velocità operativa, ma sono anche in grado di poter elaborare informazioni pubbliche e note agli investitori, siano esse news, report o dati macroeconomici, con un’estrema rapidità ed efficienza. Riescono così, come già Keynes aveva previsto ai suoi tempi, a battere ogni tipo di investitore. Anche se le possibilità di profitto si stanno sempre più erodendo, questo ambito operativo rimane in mano solamente a quelle imprese dotate di disponibilità finanziarie rilevanti. Del resto, la complessità del fenomeno porta al non essere in grado di fornire una definizione univoca ed esaustiva dell’HFT. Soprattutto, da quanto analizzato nel secondo capitolo, manca anche da parte della letteratura accademica una visione uniforme sugli effetti che tali operatori stanno portando sui mercati finanziari.

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Non è da dimenticare che fino alla giornata del Flash Crash, non vi era alcuna conoscenza del fenomeno dell’HFT. Ne consegue quindi che gli studiosi in materia sono ancora in fase di ricerca e di approfondimento. Quello che è emerso dalla nostra analisi è che i risultati a cui si giunge, almeno in questo momento, dipendono fondamentalmente dalle ipotesi preliminari e dalle assunzioni fatte. Perciò una parte della letteratura accademica è concorde nel considerare il trading ad alta frequenza come un fenomeno positivo che contribuisce all’efficienza dei mercati, soprattutto in termini di formazione dei prezzi, riduzione del bid-ask spread, apporto di liquidità e riduzione della volatilità giornaliera. Di questo avviso non sono però d’accordo coloro i quali sostengono invece che tale pratica rappresenti una seria minaccia per la qualità, l’integrità e l’efficienza del mercato. Un impatto quindi negativo, anche in termini di rischi sistemici come visto dai crash che colpiscono i mercati. Sembra, inoltre, che gli operatori HF creino artificiosamente delle condizioni di vantaggio per ingannare e trarre profitto sia dai trader tradizionali che dagli algoritmi meno sviluppati.

Di riflesso, l’insufficienza derivante dalla lettera accademica si ripercuote anche sulla regolamentazione. Gli attori principali in questo campo, l’ESMA e la SEC su tutti, hanno cercato in primo luogo di garantire un equo e pari accesso al mercato a tutti i partecipanti, cercando di ridurre al minimo gli squilibri tecnologici per evitare fenomeni di sfiducia ed abbandono. Diversi sono stati gli interventi di policy descritti: circuit breakers, tick size minimo, obblighi per i market-maker di notifica e permanenza nel book di negoziazione e, infine, una piccola tassa per penalizzare le speculazioni troppo frequenti (la c.d. Tobin Tax). L’intrinseca instabilità della struttura del mercato finanziario ha portato e sviluppato strategie

sempre più veloci, alla ricerca di ridurre l’orizzonte temporale dell’investimento. Tuffandoci all’interno del pensiero economico, abbiamo visto come Keynes era già ben

consapevole che tale atteggiamento umano fosse una riposta razionale all’incertezza strutturale del sistema, considerando di contro estremamente difficile il comportarsi in maniera virtuosa e propensa alla crescita di lungo periodo. È quindi improbabile che l’enorme

liquidità, pur se benevola per l’efficienza dei mercati, sia utilizzata per gli impieghi a medio-lungo termine e permetta all’economia un’ordinata crescita. Ecco quindi che si

preferisce prevedere il comportamento a breve, cercando di anticipare le mosse degli altri operatori e realizzare velocemente un guadagno in conto capitale. D’altronde Keynes era abbastanza geniale quando diceva che “è cosa migliore per la reputazione fallire in modo

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tendenza dell’ambiente, favorita anche da mercati sempre meno regolamentati. La deregulation, l’accesso diretto al mercato e lo sviluppo delle dark pools non hanno fatto altro che costruire un ulteriore stimolo a queste operazioni. Oggi i computer hanno rimpiazzato completamente l’esperienza umana, con la sofisticazione che non risiede più nell’analisi fondamentale ma bensì nella ricerca di nuove relazioni tra eventi e prezzi delle attività, cercando di arrivare un millisecondo prima dei propri competitors.

L’analisi automatizzata ha preso quindi il sopravvento, cercando di capire in maniera raffinata come gli investitori reagiscono ai vari eventi che accadono, prendendo anche in considerazione i precedenti comportamenti e le annesse risposte dei mercati. Gli algoritmi odierni hanno tempi di reazione talmente veloci che, nel momento in cui l’evento accade, l'opportunità di trading originale è spesso già sparita. Come abbiamo visto, la nuova concezione del tempo ha scatenato una vera e propria corsa alla ricerca dell’ultra velocità da miliardi di dollari. Questa gara agli armamenti tecnologici ha portato anche la geografia ad assumere oggi un elemento cruciale per “battere” il mercato. I poter cognitivi umani sembrano non essere più in grado di tenere il passo, con i software che oggi sono in grado di elaborare ed analizzare un’enorme quantità di dati in tempi impensabili per l’essere umano. Non solo: il fatto che essi abbiano sviluppato delle strategie con le quali ricavare profitto dagli aspetti comportamentali e psicologici degli esseri umani, si sposa bene con il pensiero economico keynesiano che abbiamo ripercorso. Questa nuova tecnologia sociale sta trasformando in maniera massiccia non solo l’economia, ma l’intera società.

Keynes aveva ben compreso già ai suoi tempi il trade-off esistente: se da un lato l’elevata liquidità aumenta l’efficienza del mercato e diminuisce i costi di transazione, la costante riduzione dell’orizzonte temporale dell’investimento non fa altro che accrescere l’instabilità del sistema. Sembra tuttavia che le regole siano inefficaci. Keynes era cosciente che era quasi impossibile concepire delle normative in grado di evitare i fallimenti dei mercati di investimento. I cassettisti non sono più in grado di sopravvivere nelle attuali condizioni, nonostante Keynes cercasse costantemente “un rimedio utile per i nostri mali

contemporanei”. Un po' sarcasticamente rispose che forse poteva essere quello di “rendere un investimento permanente ed indissolubile come un matrimonio”. La sua tassa sulle

transazioni, sfociata poi nell’applicazione della Tobin Tax, aveva proprio questa funzione. Legare tuttavia i propri risparmi in maniera indissolubile a un progetto di investimento non

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realizzabile, rappresenta un bel problema, visto anche che la possibilità di disinvestire immediatamente il proprio asset facilita il processo di ricerca di nuovi investimenti.

Bisogna però chiedersi se esita un rimedio utile a frenare questi algoritmi estremamente performanti, i quali stanno creando ulteriore disordine in mercati già difficoltosi. Probabilmente le sanzioni penali in un campo come quello del trading ad alta frequenza non sono la soluzione più efficace. Anche perché, come più volte ribadito, il mercato rimane sempre lo stesso ed orientato al breve, brevissimo termine, con gli ingegneri e i matematici a farla da padrone.

Per questo forse il rimedio migliore è proprio rappresentato dallo Stato, come Keynes ha più volte ribadito nel corso della sua vita. Esso forse è veramente il miglior ripiego al male. L’unico con l’accortezza di effettuare decisioni di investimento in base alle prospettive e ai rendimenti di lungo termine, e in grado di limitare l’ormai eccessiva finanziarizzazione dell’economia. È sicuramente un compito arduo da perseguire, non solo perché la finanza è sempre meno legata alla produzione ma anche perché questi nuovi operatori risultano oggi più capitalizzati degli Stati stessi. Inoltre, la prospettiva odierna risulta ribaltata rispetto a quella di metà anni Novanta, con i mercati che oggi guidano e governano gli Stati, compromettendone la loro sovranità democratica. Chissà che non si debba, come Keynes era sarcasticamente solito dire, rassegnarsi al fatto che “nel lungo periodo siamo tutti morti”.

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