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2.2 Esplorare l’apprendimento oltre lo stretto alveo delle attività formative

2.2.1 L’apprendimento individuale ed organizzativo: alcuni nodi teorici

È dall’Illuminismo che la formazione viene intesa come figura del sapere e della ragione, per mezzo delle prime strutture per la formazione professionale in seno alla Rivoluzione Francese e delle riflessioni di Kant circa il sapere aude, il coraggio di mostrare la propria intelligenza e l’idea che il sapere e la conoscenza possono e debbano essere la chiave di volta del progresso e dell’emancipazione sociale. A. Giddens (1999) ritiene che i pensatori illuministi protendano per una maggiore informazione sulle questioni del mondo sociale e naturale, al fine di ottenere maggiore controllo, in quanto quest’ultimo viene considerato la chiave per la stessa felicità umana. Infatti, l’Illuminismo concepisce la conoscenza come processo di progressiva conquista, come la possibilità di fare luce, da parte della ragione, su quelle zone ancora oscure. È su tale concezione che Freud concepisce il rapporto Io-Es ed è la stessa idea che si ritrova nel concetto di razionalizzazione utilizzato dalla sociologia weberiana e presente in molti paradigmi manageriali e organizzativi, attraverso cui l’apprendimento individuale e, dunque, quello organizzativo sono stati definiti (Frega, 2012).

Sempre secondo Giddens (1999), oggi, ad invecchiare rapidamente non sono solo le innovazioni tecnologiche, ma anche i sistemi di valori, i cicli vitali dei prodotti le stesse competenze dei lavoratori. Per cui, è in tale contesto di grande complessità in cui gli eventi globali interagiscono sulle vite dei singoli e gli eventi privati e microsociali sugli equilibri dei grandi sistemi, che viene legittimato il crescente bisogno di conoscenza e processi di apprendimento per agire con competenza.

Infatti, conoscenza e apprendimento risultano essere le categorie più importanti in relazione ad una nuova idea di società, identificabile, secondo il Libro Bianco (Cresson, 1995) nella learning society, in cui i beni immateriali diventano il medium della promozione sociale, della costruzione dell’identità e della competitività, in quanto «le capacità ad apprendere e il padroneggiamento dei saperi fondamentali saranno sempre più spesso ciò che permetterà agli individui di situarsi gli uni rispetto agli altri nei rapporti sociali»17. Più semplicemente e volendo estremizzare tale espressione, si potrebbe affermare che nell’attuale società della conoscenza «imparare è la condizione per vivere,

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per lavorare, per essere individui capaci di progettualità, responsabilità ed autonomia» (Alberici, 2000:9).

Dunque, l’apprendimento inteso come attributo individuale, viene posto continuamente in relazione ad entità collettive come le organizzazioni. In effetti, il concetto di apprendimento organizzativo può essere costruito come estensione della definizione di apprendimento individuale.

Pertanto, è necessario focalizzare, preliminarmente, l’attenzione sul concetto di apprendimento individuale, per poi ampliare il raggio e rivolgersi al concetto di apprendimento organizzativo, che sembra essere la naturale estensione di quello individuale. A tal proposito, viene preso in considerazione il contributo di Frega (2012), il quale propone di raggruppare le principali teorie dell’apprendimento in tre macro-aree: biologico-evoluzionista, comportamentista e cognitivista. Sul piano biologico- evoluzionista, viene dato spazio alla correlazione tra il concetto di apprendimento e quello di successo evolutivo, ovvero l’apprendimento degli individui permette di vincere le sfide ambientali, provocando modificazioni permanenti di schemi comportamentali. Tale definizione non è attribuibile solo ad individui, ma anche ad uno Stato, una impresa o una tribù, in quanto le organizzazioni hanno la capacità di agire e di differenziare le proprie azioni rispetto a quelle compiute dai propri membri. L’agire organizzativo può essere inteso richiamando al concetto di:

- rappresentanza, poiché agendo in virtù di un mandato attribuito da una entità giuridica, un individuo può compiere azioni in nome dell’organizzazione che rappresenta;

- identità, in quanto una organizzazione, indipendentemente dalle azioni dei suoi membri, è un agente della storia perché presenta modelli di comportamento coerenti e/o stabili, a prescindere dalle azioni dei singoli che possono variare nel tempo.

Dunque, secondo Frega (2012:272), «la condizione perché si possa parlare di apprendimento è quella di trovarsi in presenza di una entità caratterizzata da evoluzione temporale intellegibile».

Il modello comportamentista, invece, si basa sull’idea che non esiste nessuna relazione tra il comportamento dei singoli e il comportamento dell’entità di appartenenza. Piuttosto, l’apprendimento è inteso come conseguenza del rapporto tra input ed output. Tale rapporto, nella sua forma più semplice, è riconducibile alla relazione stimolo-risposta, in cui l’apprendimento coincide con il condizionamento.

Mentre, in ambiti più sofisticati, in cui vengono premiati i comportamenti da incentivare e puniti i comportamenti da disincentivare, l’apprendimento assume la forma

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di rinforzo. Infine, considerando tale modello da una terza angolatura, è possibile affermare che attraverso l’imitazione si dà luogo ad una forma maggiormente partecipata ed attiva di apprendimento, in quanto ha luogo un coinvolgimento deliberato.

La terza macro-area presa in considerazione da Frega (2012) è identificabile nel modello cognitivo che si propone di spiegare il funzionamento dei meccanismi che producono l’apprendimento. In tal caso, gli stimoli esterni dati dall’apprendimento non verranno trasformati in comportamenti di risposta, ma in rappresentazioni cognitive che serviranno a produrre, nel tempo, comportamenti appropriati.

La presentazione delle tre macro-aree di teorie volte alla definizione di apprendimento individuale, proposta da Frega (2012), permetterà di arrivare ad una più chiara definizione del concetto di apprendimento organizzativo.

In particolare, l’idea che l’apprendimento organizzativo sia una estensione dell’apprendimento individuale può essere obiettata, in quanto assumendo per vero che all’aumentare dello stock delle conoscenze individuali, aumenta di conseguenza quello complessivo nell’organizzazione nella quale essi agiscono, rimane inesplorata la dimensione comportamentale della prestazione organizzativa stessa.

Dunque, proprio la poca chiarezza circa il rapporto tra apprendimento individuale e quello organizzativo, rende complicato definire l’eventualità che possa esistere una organizzazione in grado di apprendere.

Ad ogni modo, molti sono gli studiosi che hanno cercato di arrivare alla definizione di apprendimento organizzativo e, quindi, ad una migliore comprensione del complesso intreccio tra i due tipi di apprendimento. Anche in tal caso, viene preso in considerazione il lavoro di Frega (2012), dal titolo L’apprendimento come competenza tra individuo e organizzazione, per ciò che riguarda la selezione delle più note teorie di apprendimento

organizzativo.

Le prime riflessioni attorno al tema dell’apprendimento organizzativo vengono fatte iniziare, convenzionalmente, con lo studio pionieristico di J. March e R. Cyert (1963), i quali basano la propria teoria sul semplice modello stimolo-risposta. Sia l’individuo che una organizzazione sono concepiti in modo analogo, ovvero lo stimolo definito dal fine da perseguire attiva risposte comportamentali adeguate, sia nel caso dell’individuo che in quello dell’organizzazione. Così come un individuo modifica i propri comportamenti inconseguenza a degli stimoli ricevuti dall’esterno, allo stesso modo un’organizzazione apprende quando memorizza le combinazioni stimolo-risposta realizzate grazie a procedure decisionali. Pertanto, nel modello proposto da March e Cyert, l’apprendimento

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non ha luogo attraverso un incremento delle conoscenze individuali, bensì per mezzo delle modifiche della struttura organizzativa, la quale arricchisce il proprio set di combinazioni stimolo-risposta. In tal caso, l’apprendimento organizzativo viene distinto da quello individuale e, anzi, quest’ultimo può essere considerato come fattore casuale che produce l’apprendimento organizzativo, ma non è necessario né sufficiente.

Altra pietra miliare degli studi organizzativi sul tema dell’apprendimento sono le riflessioni di Argyris e Schön (1978), i quali partono dall’idea che un’organizzazione può essere considerata come un soggetto titolare di azioni e, quindi, capace di apprendere. Nello stesso tempo, riconoscono nell’apprendimento e nelle conoscenze possedute dagli individui che popolano l’organizzazione, la condizione primaria di ogni apprendimento organizzativo. In tal caso, l’apprendimento individuale non è la condizione sufficiente dell’apprendimento organizzativo, ma è la condizione necessaria.

Infatti, gli autori definiscono l’apprendimento organizzativo né come una semplice somma degli apprendimenti individuali, né come una forma autonoma e specifica di apprendimento a livello globale ma, piuttosto, come una modalità qualificata di apprendimento individuale. Un tratto distintivo di tale approccio è rintracciabile nel considerare i processi di apprendimento alla stregua di situazioni problematiche inedite, per cui gli individui sono chiamati a mettere in discussione i loro paradigmi abituali di risposta e ad elaborarne di nuovi. Nonostante ciò, il modello mette in luce l’importanza dell’agire individuale ai fini dell’apprendimento organizzativo, specificando che esso sussiste apprendimento non quando l’individuo apprende in nome e nell’interesse dell’organizzazione, ma quando l’individuo apprende e l’organizzazione riconosce ed incorpora i risultati di tale apprendimento.

L’altro modello preso in riferimento da Frega (2012), è quello messo a punto da I. Nonaka e Takeuchi (1995), i quali basano la propria teoria né sullo studio dei comportamenti dell’organizzazione verso l’esterno (March e Cyert), né dei comportamenti per i quali gli individui generano conoscenza, bensì sulle procedure, strutture e routine attraverso le quali l’interazione tra gli individui effettivamente genera conoscenza. Dunque, ad essere tematizzato è il ruolo delle pratiche che favoriscono l’incremento della conoscenza, secondo la considerazione che la conoscenza è relativa alle condizioni delle situazioni nella quale opera ed è dinamica, in quanto creata per mezzo dell’interazione sociale ed umana.

L’aspetto più interessante di tale teoria è ravvisabile nella distinzione che essi fanno tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita: l’apprendimento è definito a partire dai

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processi di conversione che avvengono tra conoscenze di un tipo e di un altro. In particolare, quattro sono le modalità di creazione di conoscenza:

- la socializzazione, consiste nel passaggio della conoscenza tacita da un individuo all’altro attraverso l’imitazione e l’osservazione;

- l’esternalizzazione, fa riferimento al passaggio dalla conoscenza tacita a quella esplicita;

- la combinazione, è il processo attraverso cui duo o più conoscenze esplicite si combinano tra loro per formare una conoscenza esplicita più complessa;

- l’internazionalizzazione, rimanda alla capacità di un individuo di incorporare e tradurre in routine ed abitudini una conoscenza esplicita che gli viene assegnata.

Ciò che viene fuori da tale modellizzazione è il superamento della distinzione individuo-organizzazione e la centralità dell’organizzazione come luogo in cui è possibile produrre conoscenza. «Ciò che fa dell’apprendimento un evento organizzativo non è dunque più il fatto di essere compiuto in nome e a vantaggio dell’organizzazione ma attraverso essa, ovvero in virtù del fatto di essere immerso in pratiche collettive e condividere ad un patrimonio di conoscenze e procedure comuni» (Frega, 2012:281).

Dunque, il concetto di apprendimento, con il suo tradizionale riferimento alla dimensione individuale e al più “moderno” riferimento della dimensione collettiva, è oggetto, da decenni, di numerosi studi. La diffusione di tali considerazioni, in campo accademico ma anche sul terreno delle pratiche professionali, è dovuta all’osservazione di alcuni fenomeni che connotano l’attuale società e investono individui, organizzazioni ed istituzioni, per cui il rapporto tra individui e organizzazioni può essere spiegato tramite il legame sottile della competenza e dell’apprendimento.

Infatti, «l’apprendimento come competenza e la conoscenza come risorsa sono fattori chiave non soltanto per la competitività economica ma anche per l’accesso e la partecipazione a molteplici dimensioni della vita sociale, culturale e politica» (Dierke et

al., 2001:937).