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L’approvazione della legge

3. La legge Cirinnà

3.2 L’approvazione della legge

Finalmente l’11 maggio 2016, il DDL Cirinnà, dopo mesi di discussioni e polemiche, ha ottenuto il sì definitivo alla Camera. La nuova legge n. 76/2016 introduce, quindi, l’unione civile tra gli omosessuali, quale specifica formazione sociale, e disciplina la

convivenza di fatto sia eterosessuale che omosessuale. Rispetto al testo

originario del DDL nella legge entrata in vigore sono state apportate delle modifiche. Ad esempio è stato stralciato l’art. 5 sulla “stepchild

adoption” (l’adozione del figlio del partner) ed eliminati i numerosi

riferimenti al matrimonio come obbligo di fedeltà.

In particolare, si prevede che le coppie omosessuali, qualificate come “specifiche formazioni sociali”, potranno usufruire di un nuovo istituto giuridico di diritto pubblico denominato “unione civile”. L’unione

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civile tra due persone maggiorenni, avverrà di fronte ad un ufficiale di Stato e alla presenza di due testimoni e verrà registrata nell’archivio di stato civile. La costituzione dell’unione civile potrà essere impedita da quattro circostanze previste dalla legge: la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un unione civile tra persone dello stesso sesso, l’interdizione di una delle parti per infermità di mente, la sussistenza tra le parti di rapporti di parentela, la condanna definitiva di un partner per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l’altra parte.

Il disegno di legge, introducendo una serie di diritti e doveri reciproci, prendeva come riferimento il matrimonio eterosessuale. La nuova legge, invece, mentre mantiene l’obbligo reciproco all’assistenza

morale e materiale, alla coabitazione, elimina l’obbligo di fedeltà.

Prevede, poi, che entrambe le parti siano tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni comuni e resta anche l’applicazione degli articoli del codice civile riferiti agli alimenti, alla successione e alla pensione di reversibilità.

La principale modifica apportata al DDL è stata l’eliminazione della “stepchild adoption”. La nuova legge, infatti, non prevede la possibilità per uno dei due partner dell’unione civile di adottare il figlio dell’altro, tuttavia l’art. 3 specifica che “resta fermo quanto

previsto e consentito in materia di adozioni dalle norme vigenti”, per

cui spetta alla magistratura pronunciarsi, caso per caso, sul tema delle adozioni per le coppie gay.

A tal proposito, il 22 giugno 2016 la Corte di Cassazione con sentenza n. 12962 ha superato i limiti imposti dalla legge e, di fatto, ha confermato la possibilità per il genitore non biologico nelle coppie omosessuali di adottare i figli comuni, come avevano già fatto molti giudici che si erano espressi in tale direzione. In tale occasione, la

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prima sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato la linea del Tribunale di Roma che ha concesso le prime stepchild adoptions in Italia. I giudici hanno, infatti, respinto il ricorso del Procuratore generale e confermato la sentenza della Corte d’Appello di Roma con la quale era stata accolta la domanda di adozione di una minore proposta dalla co-madre, la partner della madre biologica della bambina nata in Spagna attraverso procedure di procreazione medicalmente assistita. Con questa sentenza, la Cassazione ha sottolineato la preminenza dell’interesse del minore rispetto a qualsiasi altro interesse dello Stato spiegando che, in tal caso, consiste nell’aver un legame giuridico a tutela del legame affettivo che lo lega dalla nascita con il secondo genitore sociale. I giudici hanno applicato l’art. 44, co. 1 della legge n. 184 del 1983 e successive modifiche che regola l’adozione in casi particolari. È lo stesso istituto che era stato eliminato dalla legge Cirinnà a causa della contrarietà di un fronte trasversale di cattolici, sia della maggioranza, che dell’opposizione, ma che di fatto veniva già garantito dai tribunali. Con l’adozione in casi particolari il bambino non acquista la parentela da parte del secondo genitore, diventa, cioè, figlio del genitore sociale, ma non entra nella linea familiare, non vede, quindi, riconosciuti né fratelli, né nonni, né zii, né cugini da parte del genitore sociale.197

La seconda parte della legge disciplina la convivenza di fatto tra due persone, sia omosessuali che eterosessuali, che non sono sposate. La convivenza può venire a formarsi tra due soggetti maggiorenni, uniti stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile.198

In base alle modifiche apportate al testo, l’accertamento dello stato di convivenza avverrà tramite “dichiarazione anagrafica” che la coppia

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dovrà presentare agli uffici comunali di riferimento. Attraverso tale dichiarazione, si attesterà la costituzione di un nuovo nucleo familiare e l’uscita da quello precedente. Quindi, chi decide di andare a convivere e vuole fruire dei diritti previsti dalla legge deve presentare apposita dichiarazione al momento del cambio di residenza. Le coppie che convivono nella stessa abitazione e condividono la stessa residenza, ma non hanno dichiarato apertamente la costituzione di un nuovo nucleo familiare, potranno ovviare compilando e presentando all’anagrafe l’apposito modulo messo a disposizione del Comune di appartenenza.

Per quanto riguarda i conviventi, la parte più importante della normativa riguarda l’acquisizione di diritti che, fino ad ora, non erano mai stati previsti e garantiti dalla legge italiana. In particolare, si applicheranno gli stessi diritti validi per i coniugi nei casi previsti dall’ordine penitenziario, i conviventi potranno avere diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni in caso di malattia o ricovero ospedaliero e avranno la possibilità di designare il partner come proprio rappresentante in caso di una malattia che comporti incapacità di intendere e volere, e in caso di morte, potranno avere potere di decisione per quel che riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e il funerale. La scelta dovrà avvenire in forma scritta e autografa o, in alternativa, in forma verbale alla presenza di un testimone. Ancora, il convivente di fatto che presta stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente potrà partecipare agli utili e ai beni dell’impresa familiare, a meno che non sia stato posto in essere un rapporto di società o di lavoro subordinato. In caso di decesso di uno dei conviventi, a causa di un illecito compiuto da terzi, il superstite avrà diritto al risarcimento in base agli stessi parametri previsti per i coniugi. Infine, si prevede la possibilità per il convivente di nominare l’altro come proprio tutore, amministratore di sostegno o curatore in caso di interdizione o

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inabilità. Se il proprietario della casa è solo uno dei due, nel caso in cui questi morisse, il partner superstite avrà diritto di continuare a vivere nell’abitazione comune, per due anni o per un periodo pari alla convivenza, se superiore a due. In ogni caso, non si potranno superare i cinque anni. In presenza di figli minori o disabili, il convivente superstite avrà diritto a risiedere nella stessa casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. Se i due conviventi risiedono in un appartamento in affitto intestato solo ad uno dei due, in caso di morte del conduttore o di suo recesso, l’altro avrà la possibilità di succedergli nel contratto. Infine, i conviventi possono aver diritto a partecipare all’assegnazione di alloggi di edilizia popolare.

Riguardo i doveri, numerosi cambiamenti sono stati apportati dal maxi emendamento approvato dal Senato in materia di obblighi alimentari. Infatti, in base alla legislazione vigente, le persone che versano in stato di bisogno e non sono in grado per vari motivi di provvedere al proprio mantenimento, hanno diritto agli alimenti. La versione del DDL Cirinnà prevedeva che l’obbligo gravasse, in primo luogo, sul convivente “più forte” e poi sui figli, genitori, generi, suoceri e fratelli. La nuova formulazione stabilisce, invece, che il giudice possa obbligare l’ex convivente ad adempiere agli alimenti per un periodo proporzionale alla durata della convivenza solo nel caso in cui tutte le altre categorie previste dalla legge (figli, genitori, generi, suoceri, esclusi i fratelli) non possano farlo.

I conviventi che vorranno instaurare ulteriori vincoli patrimoniali, avranno la possibilità di stipulare un contratto di convivenza creato ad hoc per disciplinare i rapporti patrimoniali tra le due parti. Il documento dovrà essere redatto in forma scritta e dovrà essere ricevuto da un notaio o da un avvocato che, dopo averlo autenticato e averne attestato la conformità, provvederà ad inviarne una copia al Comune di residenza per l’iscrizione all’anagrafe della coppia. All’interno del contratto, i conviventi potranno decidere sulle modalità di

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contribuzione in base alle necessità della coppia e sul regime patrimoniale scelto. Il contratto verrà considerato nullo in presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione civile o di un altro contratto di convivenza di uno o di entrambi, nel caso in cui non sussistano le condizioni di legame affettivo, assistenza fisica e morale. Inoltre, la nullità scatterà nel caso in cui il documento venga stipulato da un minore non autorizzato dal Tribunale, da una persona interdetta giudizialmente o in caso di condanna di uno dei conviventi per omicidio consumato o tentato del coniuge dell’altro. Il contratto potrà essere anche sciolto sia in accordo che unilateralmente, o in caso di successivo matrimonio, unione civile o morte.

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