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Il paradigma eterosessuale del matrimonio nell'ordinamento italiano

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE ... 6

CAPITOLO PRIMO PRINCIPI COSTITUZIONALI: IL DIRITTO AL MATRIMONIO E IL DIRITTO AL LIBERO ORIENTAMENTO SESSUALE 1. Genesi dell’articolo 29 Cost. e il dibattito della Costituente ... 9

2. L’interpretazione dell’espressione “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” dell’art. 29 Cost. La teoria giusnaturalistica e storicistica ... 22

2.1 Il significato della “naturalità” della famiglia ... 27

2.2 La “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” al centro di un ossimoro ... 29

3. Il diritto al libero orientamento sessuale ... 33

3.1 Definizione di “orientamento sessuale” ... 33

3.2 Il modello di tutela del diritto all’orientamento sessuale nella Costituzione italiana ... 34

CAPITOLO SECONDO LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE IN MATERIA DI RICONOSCIMENTO DEL DIRITTO AL MATRIMONIO TRA PERSONE DELLO STESSO SESSO 1. La sentenza n. 138 del 2010 della Corte Costituzionale ... 41

1.1 La decisione della Corte ... 48

1.2 L’unione omosessuale come “formazione sociale” ... 51

1.3 La violazione dell’art. 3 Cost. ... 54

1.4 Il paradigma eterosessuale del matrimonio ... 60

1.5 La finalità procreativa ... 66

1.6 Il ruolo affidato dalla sentenza 138/2010 alla discrezionalità del legislatore nel riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali ... 69

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3 1.8 Il diritto fondamentale riconosciuto dalla sentenza 138/2010 quale diritto di vivere liberamente una condizione di coppia. ... 74 1.9 Lettura in parallelo della sentenza 138/2010 e della sentenza n. 245/2011 della Corte Costituzionale ... 76 2. La legittimità costituzionale del “divorzio imposto” ... 80 2.1 Gli effetti della decisione ... 87 2.2 Il seguito: la sentenza della Cassazione “costituzionalmente

obbligata” ... 89 CAPITOLO TERZO

LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE IN MATERIA DI RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI DEGLI OMOSESSUALI

1. La tutela dei diritti degli omosessuali ... 94 2. Il riconoscimento delle unioni omosessuali nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. Gli effetti della sentenza 138/2010 della Corte Costituzionale. ... 99 2.1 La trascrizione del matrimonio same-sex celebrato all’estero ... 99 2.1.1 Il diverso significato dell’inesistenza e dell’inidoneità nella

sentenza n. 4184/2012 ... 105 2.1.2 La sentenza della Corte di Cassazione n. 4184/2012, una lettura complessa ... 108 2.1.3 La giurisprudenza di merito... 114 3. La sentenza della Cassazione n. 2400/2015 sulla pubblicazione del matrimonio tra omosessuali. ... 116

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4 CAPITOLO QUARTO

IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI DELLE UNIONI OMOSESSUALI NELLA GIURISPRUDENZA DELLE CORTI INTERNAZIONALI

1. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la tutela della “vita familiare”

... 119

2. La Corte di Giustizia: l’uguaglianza e il divieto di discriminazione come principi generali di diritto comunitario ... 125

3. Il Comitato ONU per i diritti umani e le comunicazioni in tema di violazione del divieto di discriminazione per motivi sessuali ... 129

4. Il contributo di alcune Corti al riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso ... 132

5. Matrimoni omosessuali e unioni civili. La “mappa” del riconoscimento delle coppie tra persone dello stesso sesso e il ruolo della “tradizione” .. 136

6. Il dialogo delle Corti come espressione di un diritto costituzionale globale? ... 140

CAPITOLO QUINTO L’INERZIA DEL LEGISLATORE ITALIANO SUI DIRITTI DEGLI OMOSESSUALI.IL PERCORSO LEGISLATIVO VERSO IL RICONOSCIMENTO DELLE UNIONI CIVILI: LA LEGGE CIRINNÀ 1. I primi tentativi di approvazione di una legge sulle unioni civili ... 142

2. La condanna della Corte Europea dei diritti dell’Uomo del “silenzio” del legislatore italiano. La sentenza Oliari e altri contro Italia ... 145

2.1 Gli effetti della pronuncia nell’ordinamento italiano ... 150

3. La legge Cirinnà ... 153

3.1 L’iter legislativo. Il disegno di legge ... 153

3.2 L’approvazione della legge... 156

3.3 Il dibattito dottrinale sulla legge Cirinnà ... 161

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5 OSSERVAZIONI CONCLUSIVE... 173 ELENCO DELLE OPERE CITATE ... 176 SITOGRAFIA ... 186

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro ha come oggetto quello di ricreare il percorso della giurisprudenza costituzionale e della Corte di Cassazione, nonché l’iter legislativo, che ha condotto all’affermazione e al riconoscimento di una tutela a favore delle coppie formate da persone dello stesso sesso e della loro vita di relazione.

In questo iter, come sarà evidenziato nella tesi, un ruolo decisivo è stato assunto dall’art. 29 della Costituzione che riconosce come

famiglia solo quella “società naturale fondata sul matrimonio”, dal

significato attribuito dagli interpreti a tale espressione, dal peso della

tradizione che ha conosciuto, fin dai tempi antichi, solo matrimoni tra

uomo e donna e dalle norme codicistiche che fanno riferimento proprio all’uomo e alla donna quali “attori” della celebrazione.

Nonostante tali premesse, le coppie formate da persone dello stesso sesso hanno chiesto che fosse loro garantito, al pari delle coppie eterosessuali, il godimento del diritto al matrimonio per consacrare la loro unione, la cui ammissibilità è stata vagliata, per la prima volta, dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 138 del 2010.

In questa occasione, la Corte ha affermato che le unioni omosessuali «non possono essere ritenute omogenee al matrimonio» e ha riconosciuto loro il rilievo di “formazione sociale”, ex art. 2 della Costituzione, «intesa come stabile convivenza tra due persone dello

stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia». Inoltre, non afferma, né nega, loro il

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ordinario il compito di prevedere una tutela specifica, lasciandogli discrezionalità in ordine ai «tempi, modi e limiti» del suo intervento. Il principio sancito nella sentenza della Corte Costituzionale ha esplicato i suoi effetti nella giurisprudenza costituzionale successiva e in quella della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul diritto al matrimonio delle coppie omosessuali, in altre occasioni, come quello della trascrizione in Italia del matrimonio tra due persone del medesimo sesso celebrato all’estero. Relativamente a tale questione, la Corte di Cassazione ha affermato che il matrimonio omosessuale celebrato all’estero è «inidoneo a produrre effetti giuridici nel nostro

ordinamento», in quanto non riconoscibile come atto di matrimonio,

ma conferma il diritto alla “vita familiare” della coppia omosessuale e riconosce, a favore della stessa, la possibilità di adire i giudici comuni per ottenere un trattamento omogeneo a quello che la legge riserva alla coppia coniugata, a prescindere dall’intervento del legislatore in questo ambito.

Il capitolo quarto è, poi, dedicato al dato comparatistico e, in particolar modo, alla giurisprudenza delle Corti internazionali in materia di riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali e della tutela della loro unione e di come questa abbia influito anche sulle scelte operate nel nostro ordinamento.

Soprattutto si è fatto riferimento alla sentenza Schalk and Kopf vs

Austria della Corte EDU. In tale sentenza la Corte di Strasburgo ha

applicato la nozione di “vita familiare”, ex art. 8 CEDU, alle coppie dello stesso sesso, al pari dei rapporti intercorrenti all’interno delle coppie eterosessuali che convivono more uxorio e ha affermato che l’art. 12 CEDU non deve «in ogni circostanza essere limitato al

matrimonio tra due persone di sesso opposto» e, al tempo stesso, che

«la decisione di permettere il matrimonio tra persone dello stesso

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8 contraenti». Quindi, non affermando esplicitamente la sussistenza di

un obbligo per gli Stati di estendere l’istituto del matrimonio alle unioni tra persone dello stesso sesso, la Corte EDU ha inteso incoraggiare lo sviluppo di una legislazione statale sulle unioni registrate, pur nei tempi che gli Stati abbiano ritenuto opportuni.

Infine, nell’ultima parte, verrà messo in rilievo come la mancanza, fino al 2016, di una tutela specifica ed effettiva delle coppie formate da persone dello stesso sesso, tale da far comparire l’Italia come un Paese “straordinariamente involuto” rispetto al resto dell’Europa, è stata determinata dall’inerzia del legislatore nel prevedere una disciplina organica in tale materia. Anche i pochi tentativi in tal senso, si pensi ai PACS e ai DI.CO., si sono rivelati così faticosi da non consentire la conclusione dell’iter parlamentare. Inerzia che si è protratta anche a seguito del rinvio operato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 138/2010, tant’è che è stata necessaria la condanna della Corte EDU, con la sentenza Oliari e altri contro Italia, per “velocizzare” le procedure di approvazione del disegno di legge Cirinnà recante la “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e

disciplina delle convivenze”. Il legislatore, infatti, beneficiando della

discrezionalità in ordine ai modi, con la legge n. 76/2016, ha creato una nuova realtà giuridica, quella delle unioni civili, di cui possono beneficiare solo le coppie omosessuali, creando così una sorta di doppio binario: il matrimonio, destinato solo alle coppie eterosessuali e le unioni civili per le coppie omosessuali. Con l’istituto delle unioni civili, sostanzialmente, sono stati estesi alle coppie formate da persone dello stesso sesso gli stessi diritti e doveri derivanti dall’istituto matrimoniale, ma, utilizzando nomi diversi per qualificare le due realtà di vita di relazione, il legislatore ha preferito mantenerle distinte e separate.

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CAPITOLO PRIMO

P

RINCIPI COSTITUZIONALI

:

IL DIRITTO AL

MATRIMONIO E IL DIRITTO AL LIBERO

ORIENTAMENTO SESSUALE

1. Genesi dell’articolo 29 Cost. e il dibattito della

Costituente

Il 24 Aprile 1947, all'una del mattino, l'Assemblea non intendeva veramente esprimersi sull'articolo 29, così come lo leggiamo oggi: “La

Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. Si trattava, infatti, solo di votare a

favore o controuna partedi esso, o meglio, solo rispetto alla parola: “indissolubilità”.

L'articolo in questione non deriva dalla lunghissima riflessione e dalle estenuanti discussioni dei costituenti in merito alla famiglia, ma dalle sole due questioni politiche allora rilevanti: bisogna introdurre il divieto di divorzio nella Costituzione? I comunisti possono legittimamente rappresentare anche l'elettorato cattolico?

A loro volta, queste due questioni si inseriscono nella strategia democristiana di politicizzazione del tema “famiglia”, in vista dello scontro ideologico per le successive elezioni dell’Aprile 1948. Un’operazione così efficace nella cultura italiana da divenire un tratto costante della propaganda politica della penisola.

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Uno degli artefici dell'articolo 29 fu Palmiro Togliatti, il quale seguì due strategie: svuotare l'articolo da qualunque effetto giuridico immediato e rimandare le questioni al futuro dibattito politico, il quale durò però trent’anni, fino al varo della riforma sul diritto di famiglia del 1975.

Il pragmatismo di Togliatti era imposto dalla necessità di superare l'impasse politica, determinata dalla volontà democristiana di inserire la clausola di "indissolubilità del matrimonio" all'interno della Costituzione. Tutto ciò aveva messo in crisi il sistema di compromesso costituzionaleche aveva fino ad allora guidato Dc e Pci nella redazione dei precedenti articoli. La gravità della scissione, determinata dal dibattito sulla famiglia, può essere immediatamente compresa tenendo in considerazione che nella votazione finale fu chiesto di ricorrere allo scrutinio segreto in base ad un vecchio regolamento della Camera dei deputati (non era mai accaduto per nessun articolo della Costituzione, ed in verità non accadeva da oltre 60 anni), inoltre i comunisti non potevano esprimersi palesemente sul divorzio, perché gran parte del loro elettorato contadino e alcuni deputati erano contrari e i democristiani si trovavano in una posizione delicata perché non potevano rinunciare a porre la questione dell'indissolubilità, non solo per strategia politica, ma anche per la pressione dell'opinione pubblica cattolica. Quando in Sottocommissione fu chiaro che non vi era spazio per un compromesso, Dossetti dichiarò: «Per il mio partito, quello che

si sta dibattendo [l'indissolubilità del matrimonio] è il problema fondamentale di tutta la Costituzione. Indubbiamente vi sono anche altre parti della Costituzione che ad esso stanno a cuore, ma questa assume un'importanza assolutamente eccezionale»1.

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Relatori in Sottocommissione, per gli articoli sulla famiglia, furono Nilde Jotti per il Pci e Camillo Corsanego per la Dc. La Jotti2 richiedeva la salvaguardia delle condizioni economiche delle famiglie, l’eguaglianza dei coniugi, i diritti della prole all'educazione e all'istruzione, l’eguaglianza tra figli illegittimi e legittimi, il riconoscimento della funzione sociale della maternità.

Camillo Corsanego aprì la sua relazione alla I Sottocommissione con una significativa dichiarazione: «C'è un argomento sul quale l'autentico popolo italiano, anche nei suoi strati più umili, ha argomenti chiari, ben definiti e concreti: la famiglia»3. I punti essenziali della sua proposta furono la salvaguardia della condizione economica, la tutela della maternità, l’indissolubilità del matrimonio,

la parità tra i coniugi, ma con superiorità del parere paterno (del

“capo di famiglia”), in caso di conflitto di pareri, la libera scelta dei

genitori sulle scuole in cui iscrivere i figli, la parità dei figli illegittimi, ma solo con il parere positivo anche del coniuge.

In questo contesto, cosa significa «società naturale» e perché i democristiani insistettero per inserire questa formula? L'approccio giusnaturalistico della DC era caratterizzato da una dichiarazione di principio, che si basava sul già approvato articolo 2, la stessa con cui La Pira aveva introdotto e impostato l'intero Titolo II della Costituzione: vi sono diritti dell'individuo e delle sue formazioni sociali che sono anteriori alla legge positiva dello Stato. Lo scopo di La Pira era quello di gettare le basi per affermare l'autonomia delle scelte familiari in base alla tradizione cattolica italiana, sancendo la libertà dei genitori di scegliere tra scuola pubblica o privata/confessionale per i figli.

2 I Sottocommissione, Relazione dell’on. Signora Nilde Jotti sulla famiglia 3 I Sottocommissione, Relazione del deputato Camillo Corsanego sulla famiglia

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Tutto ciò portò alla proposta della Dc di iniziare il Titolo II con la definizione di famiglia «come l'unità naturale e fondamentale della società», sostituita poi dalla formula «società di diritto naturale». Togliatti e Moro si accordarono, allora, sulla generica definizione di famiglia come «società naturale» che veniva incontro alle esigenze democristiane lasciando, però, un certo grado di ambiguità. La posizione dei socialisti in merito era di totale chiusura: Basso sostenne che la famiglia non poteva essere una società naturale perché è scientificamente dimostrato che essa è una costruzione storica. Egli proponeva di ritirare completamente qualsiasi articolo "definitorio" lasciando solamente quelli che comportassero effettive conseguenze giuridiche o indicazioni di tutele sociali specifiche. Togliatti aveva, invece, capito che la definizione di "società naturale" non aveva alcun effetto giuridico e che le conclusioni che La Pira ne avrebbe voluto trarre, dovevano essere votate in Assemblea, dove il voto comunista e socialista era determinante. Perciò quella definizione poteva essere tranquillamente usata come merce di scambio per altre più significative questioni.

La posizione della destra era rappresentata da Umberto Mastrojanni del movimento dell'Uomo Qualunque, che smontò la tesi democristiana, rilevando il paradosso per cui se la famiglia fosse una società naturale allora anche le coppie di fatto («concubini») dovrebbero essere considerate «famiglie».

Coerenti con il principio della società naturale, i democristiani concepivano lo status di famiglia come autonomo sia dal vincolo coniugale, sia da quello sacrale: una famiglia è tale indipendentemente dal suo riconoscimento legale o religioso.

L'impostazione iniziale era basata su due articoli distinti: uno sulla famiglia e uno che regolasse il matrimonio. La parola "famiglia" e il

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termine "matrimonio" non si trovarono mai nello stesso articolo in alcun progetto costituzionale.

Di fronte al dissenso interno alla Sottocommissione sulle questioni "società naturale" e "indissolubilità del matrimonio", si decise di far riunire il comitato incaricato della redazione dell'articolo (formato da Jotti, Corsanego e Dossetti) aggiungendo due componenti: Togliatti e Moro. I due avrebbero dovuto trovare un compromesso, e così fu. La struttura era chiara. Due articoli distinti: il primo sulla famiglia e il secondo sul matrimonio: “La famiglia è una società naturale e come

tale lo Stato la riconosce e ne tutela i diritti, allo scopo di accrescere la solidarietà morale e la prosperità materiale della Nazione”; “Il matrimonio è basato sul principio della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ai quali spettano il diritto e il dovere di alimentare, istruire ed educare la prole. La legge regola la condizione giuridica dei coniugi, allo scopo di garantire l’unità della famiglia”.

Nel primo articolo si poteva distinguere una parte democristiana ("società naturale") ed una delle sinistre ("prosperità"). Nel secondo articolo, il primo comma ratificava l'eguaglianza totale fra i coniugi (richiesta dalle sinistre contro il parere dei democristiani), il secondo rappresentava un cedimento reciproco consistente nel riferimento ad una regolamentazione statale del matrimonio allo scopo di preservare una generica «unità della famiglia», senza però parlare di indissolubilità del vincolo coniugale. Un’accettabile soluzione di compromesso.

Il compromesso fra Togliatti e Moro fu, però, messo in crisi in sede di votazione da La Pira. Egli propose un emendamento che reintroduceva il concetto di indissolubilità, trasformando così l'articolo: “La legge

regola la condizione giuridica dei coniugi, allo scopo di garantire l'indissolubilità del matrimonio e l’unità della famiglia”.

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La Pira, nel proporre l'emendamento, citò e prese a modello la legislazione sovietica di Stalin. Spiegava, infatti, a Togliatti e Jotti che il divieto al divorzio era tanto necessario da essere sancito anche da Mosca.

La reazione di Togliatti fu stizzita. Il segretario del Pci minacciò una grave scissione in Sottocommissione, ma poi cercò di convincere La Pira affermando che «non è stata posta sul tappeto la questione del

divorzio, che personalmente, in relazione alle esigenze della attuale società italiana, considero innaturale e anzi dannoso»4. Successivamente dichiara che «come appartenente al partito

comunista, ritengo di dover prendere una netta posizione, in modo che nessuno, basandosi su un voto non chiaro, possa affermare che io abbia votato a favore dell’introduzione dell’istituto del divorzio»5

. Con quel “nessuno possa affermare”, Togliatti si riferiva alla posizione di un partito nel quale una gran parte dell'elettorato aveva una visione tradizionalista della famiglia, dove gli aspetti di innovazione sociale, nei confronti di donne e figli, convivevano con una concezione saldamente ancorata al vincolo coniugale. Cinque mesi più tardi, in Assemblea plenaria, la deputata Nadia Gallico Spano, intervenendo sugli articoli riguardanti la famiglia, non farà mai riferimento alla questione della indissolubilità. Le deputate dell'Udi, che in seno alla Costituente ebbero un ruolo fondamentale per l'affermazione dei diritti sociali e giuridici delle donne, avevano fino ad allora mediato sia con le strategie di compromesso fra Pci e Dc, sia con le cattoliche del Cif (Centro italiano femminile). Tuttavia, la trasversalità che aveva unito le costituenti attorno all'obiettivo dell'uguaglianza dei diritti dei sessi nella sfera pubblica, non trovò poi corrispondenza quando si giunse a discutere della stessa uguaglianza nella sfera privata.

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I Sottocommissione, 7 novembre 1946

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I democristiani si consolano pensando che, se è vero che i comunisti votarono l'art. 7 per non straniarsi dalle masse cattoliche, specialmente delle campagne, il vantaggio tattico che avevano inteso conquistarsi è ora perduto votando contro l'indissolubilità del matrimonio.

Da questa prospettiva, il voto sull'indissolubilità permetteva ai democristiani di stanare i comunisti dalla strategia della "pace religiosa", costringendoli a votare contro l'indissolubilità e quindi virtualmente a favore del divorzio.

Le sinistre avevano adottato nei confronti di quest'ultimo una tesi debole, quella del "silenzio": nessuno metteva in dubbio l'indissolubilità del matrimonio, ma non era materia costituzionale. Anche Basso vi aderì, dichiarando: «sono d’accordo con l’Onorevole

Togliatti, in quanto, anche da parte del mio gruppo, non si ritiene che esista un problema del divorzio, né si ha intenzione di porlo in sede di Codice civile»6. Furono in verità proprio i socialisti che per primi posero la questione in Parlamento con la proposta del “piccolo divorzio” di Renato Sansone nel 1954.7

Le sinistre fecero, inoltre, notare ai democristiani che l'articolo 7 del Concordato già sanciva l'indissolubilità per i matrimoni con rito concordatario e che sarebbero rimasti esclusi solo quelli con rito civile che in quegli anni rappresentavano appena l'1%.

Le destre potevano, anche in questo caso, permettersi una posizione più franca. Nelle parole di Umberto Mastrojanni si potevano leggere intere parti delle “Lezioni di filosofia del diritto” di Hegel . Egli dimostrò che una legge dello Stato non può obbligare due individui a restare uniti, ma solo regolare le modalità della loro separazione.

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I Sottocommissione, 7 novembre 1946

7 Cfr. G. Sciré, Il divorzio in Italia. Partiti, Chiesa, società civile, dalla legge al

referendum (1965-1974), Bruno Mondadori, Milano, 2007; M. Seymour, Debating divorce in Italy. Marriage and the making of modern Italians, 1860-1974, Palgrave, Macmillan, New York , 2006, 168-173

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Di fronte all’ambigua posizione in cui erano finite le sinistre, Togliatti provò a far approvare un ordine del giorno in cui si affermava che quello del "divorzio" non era un tema adatto ad essere trattato nella Costituzione, ma nel Codice civile. Votare contro l'indissolubilità voleva dire schierarsi contro l'opinione del vasto elettorato cattolico e, d'altronde, non si poteva votare in favore, specialmente dopo che l'assenso comunista all'articolo 7 (inserimento del Concordato nella Costituzione) aveva risvegliato malumori in molti deputati di un partito che era esposto, fra l'altro, alla concorrenza del laicismo socialista. L'ordine del giorno di Togliatti, anche a causa delle assenze nelle fila della sinistra, fu respinto. L'articolo 2 sull'indissolubilità del matrimonio fu, dunque, approvato: la Sottocommissione si espresse con 9 voti a favore, 3 contrari e 2 astenuti, tra cui, coerentemente, lo stesso Togliatti.

I rapporti fra democristiani e comunisti furono determinanti per la ratifica dei due articoli nella Commissione dei Settantacinque. Quando fu posta in votazione la soppressione del primo comma sulla “famiglia

quale società naturale”, alla Dc mancavano i numeri. L'Uomo

Qualunque si schierò, infatti, con le sinistre: comunisti, socialisti, repubblicani, Uomo Qualunque, Blocco Nazionale delle Libertà e alcuni esponenti del gruppo misto avrebbero votato in favore della soppressione (o si sarebbero astenuti), determinandone l'eliminazione con almeno 26 voti contro 24.

Questo era un problema per Togliatti, che in Sottocommissione si era impegnato a trovare un compromesso su quella formula. I comunisti decisero così di dividersi: mentre il gruppo si espresse per la soppressione, 5 membri votarono, nelle fila dei democristiani, in favore del mantenimento (Togliatti, Jotti, Pesenti, La Rocca, oltre a Laconi che si astenne). Essi si trovarono, dunque, costretti a votare

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contro la maggioranza del loro stesso gruppo, rovesciando il risultato (21 contro 29).

Dopo che le sinistre tentarono inutilmente, per l'ennesima volta, di far approvare un ordine del giorno che dichiarasse la questione estranea alla Costituzione, il 15 gennaio fu posto in votazione il secondo articolo, contenente la clausola di "indissolubilità del matrimonio". Gli emendamenti contrari non furono approvati e la votazione si chiuse con 28 voti favorevoli, contro 25 contrari.

La proposta degli articoli approvati in Commissione era così strutturata: “La famiglia è una società naturale: la Repubblica ne

riconosce i diritti e ne assume la tutela per l’adempimento della sua missione e per la saldezza morale e la prosperità della nazione. La Repubblica assicura alla famiglia le condizioni economiche necessarie alla sua formazione, alla sua difesa e al suo sviluppo, con speciale riguardo alle famiglie numerose”. “Il matrimonio è basato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. La legge ne regola la condizione a fine di garantire l’indissolubilità del matrimonio e l’unità della famiglia”.

Nel progetto dalla Commissione dei Settantacinque non vi era, dunque, ancora alcuna connessione fra “famiglia” e “matrimonio”.

La discussione fu lunghissima e gli interventi numerosi sia sulla definizione di "società naturale", sia sulla questione del divorzio. La posizione dei liberali era tutt'altro che coerente: Vittorio Badini Confalonieri sostenne in aula che lo Stato avrebbe dovuto riconoscere solo la famiglia legittima costituita dal matrimonio. In base a questo principio propose, contrariamente all'impostazione data dai democristiani, di spostare il matrimonio dall'articolo 24 al 23, ovvero di accostare la parola “famiglia” a “matrimonio”, secondo la formula

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“Lo Stato riconosce la famiglia, costituita dal matrimonio indissolubile [...]”8

.

Egli fu subito smentito da un suo collega di partito, il giurista Amerigo Crispo. Egli non si limitò ad appoggiare la tesi di Croce, ma difese l'introduzione del divorzio scagliandosi contro il principio dell'indissolubilità di fronte al quale «non si può non avere nel cuore

un senso di orrore». La tesi divorzista di Crispo fu sostenuta anche dai

repubblicani. Il 17 aprile arrivò l'intervento di Calamandrei, rappresentante del gruppo autonomista. Citando esperti di diritto canonico, denunciò il fatto che in Italia, in realtà, non esisteva l'indissolubilità del matrimonio, perché, sia per quello civile sia per quello religioso, esistono numerosi modi che consentono ai coniugi di pretendere l'annullamento o divorziare all'estero.

Ma l'accusa di Calamandrei toccò l'apice quando smascherò l'articolo sull'indissolubilità come la ripresa di una vecchia clausola del Concordato del 1929: «In qualsiasi disposizione concernente il

matrimonio, lo Stato si impegna a mantenere illeso il principio dell’indissolubilità». Clausola che il governo fascista si rifiutò di

accettare in nome della indipendenza dello Stato italiano, la stessa indipendenza a cui la Repubblica avrebbe dovuto rinunciare.

In Assemblea la tesi del silenzio delle sinistre si indebolisce. Il demolaburista Cevolotto (che era in Sottocommissione) si esprime liberamente a favore del divorzio9. D'altro canto, il giorno seguente, prende la parola anche il fronte comunista antidivorzista. Umberto Nobile si schiera esplicitamente in favore della clausola dell'indissolubilità. Nobile dimostrò il suo assunto secondo il quale il

8 Assemblea plenaria, 15 aprile 1947 9 Assemblea plenaria, 17 aprile 1947

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divorzio costituisce un «pericoloso elemento di disgregazione della

famiglia e di immoralità»10.

Il 23 aprile, finalmente, si arrivò al voto, ma prima vi furono tre colpi di scena.

Vittorio Emanuele Orlando propose la soppressione dell'intero Titolo II, perché esso conteneva solo articoli “definitori”, ovvero che non avevano contenuto giuridico e, dunque, alcuna ricaduta sul Codice. Secondo Orlando, la Costituzione è una legge e non se ne può fare una raccolta di massime filosofiche o promesse che non si sa se si potranno mantenere. Il democristiano Mortati e il comunista Laconi, votando contro Orlando, si trovarono assolutamente d'accordo: la Costituzione «non è soltanto un documento giuridico, ma anche un documento

politico»11. Le dichiarazioni di voto non poterono essere più chiare in proposito: i tre grandi partiti di massa Dc, Pci e Psi, oltre a una frazione dei liberali votarono insieme compattamente contro i piccoli partiti di centro, le destre e il Psi, determinando la sconfitta dell'emendamento Orlando.

Inoltre, dopo sei mesi di discussione, il Comitato di redazione la sera del 23 aprile propose un nuovo testo: “La Repubblica riconosce i diritti

della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio indissolubile. Il matrimonio è ordinato in base all’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi nei limiti richiesti dall’unità della famiglia”.

L’accorpamento dei due articoli produsse una fusione fra la generale affermazione di un principio (“società naturale”) e una particolare disciplina giuridica (“matrimonio indissolubile”). La contraddizione era evidente: da una parte si affermava un diritto originario della famiglia preesistente allo Stato, dall’altra si limitava il riconoscimento

10 Assemblea plenaria, 18 aprile 1947

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di quella realtà naturale alla sola forma giuridicamente regolata dallo Stato stesso.

Soprattutto, mai nel progetto della Costituzione la parola “famiglia” e la parola “matrimonio” si erano trovate insieme nello stesso articolo. La decisione del Comitato di redazione era volta all'approvazione dell'indissolubilità matrimoniale, finendo paradossalmente per escludere che la famiglia non coniugale fosse una società naturale, la stessa che si voleva, invece, riconoscere eguagliando i diritti tra figli legittimi e illegittimi.

Calamandrei insisteva per votare “società naturale” separatamente da “fondata sul matrimonio indissolubile”. In questo modo, però, si sarebbe eliminato qualsiasi riferimento al matrimonio nella Costituzione. Togliatti prese, allora, la parola in favore della proposta socialista: «Se dividiamo dopo il termine “naturale”, cadiamo in un

equivoco, perché suscitiamo l’impressione che coloro che voteranno in questo modo, cioè per sopprimere le parole “fondata sul matrimonio indissolubile” siano contro il matrimonio, cioè che vogliano una famiglia che non sia regolata dal matrimonio. Mi pare che questo sia un errore; noi non vogliamo questo»12.

Calamandrei accettò la proposta comprendendo dalle parole di Togliatti che quella era l'unica via per tentare di sopprimere l'indissolubilità, ma rilevò come sarebbe rimasta una grave contraddizione nel dettato costituzionale.

Tutto sembrava poter finalmente portare al voto, quando venti deputati chiesero che si procedesse per scrutinio segreto: non era mai accaduto prima di allora che si facesse ricorso a tale norma e anche il presidente dell’Assemblea, il comunista Umberto Terracini, si mostrò interdetto. Per i lavori della Costituente era stato adottato il regolamento della Camera che prevedeva lo scrutinio segreto solo in casi particolari (tra

12

(21)

21

cui non rientrava l'articolo in questione), oppure se vi fosse stata la richiesta di almeno 20 deputati. Tra di essi vi erano 7 repubblicani e 3 onorevoli della UDN, mentre gli altri erano Socialisti o Democratici del Lavoro. La votazione fu segreta. Era quasi mezzanotte quando i deputati cominciarono a porre le palline nell'urna. All'una del mattino la votazione era terminata: 384 votanti (maggioranza 192), voti favorevoli 191, voti contrari 193. Per soli 2 deputati il divorzio non fu reso anticostituzionale. Il resto dell'articolo fu poi votato in ulteriori due momenti.

Fu subito chiaro che erano stati gli assenti a determinare il risultato. Tra questi, i 36 democristiani erano in fondo relativamente pochi rispetto agli altri gruppi, ma ognuno di quei voti pesò in modo decisivo sulla loro sconfitta.

L'espressione “fondata sul matrimonio”, dunque, non è frutto del compromesso costituzionale, ma è “un residuo” derivante dalla fusione di due articoli inizialmente progettati come distinti, anche dai cattolici, nonché monco del termine che per i democristiani era veramente rilevante: “indissolubilità”. L'espressione “fondata sul matrimonio” era funzionale solo ad introdurre il concetto di indissolubilità, come del resto “società naturale” serviva da preambolo filosofico da cui far discendere sempre l'indissolubilità (come dichiarò La Pira). Sparita quest'ultima, il resto del comma aveva perduto il suo senso.

La genesi dell'articolo 29 della Costituzione italiana dimostra che il primo comma, non solo, non ha alcun valore giuridico, ma neppure alcun valore politico, in quanto è rilevante solo per ciò che l'articolo non dice.13

13

V. Caporella, La famiglia nella Costituzione italiana. La genesi dell’art. 29 e il dibattito della Costituente, www.storicamente.org

(22)

22

2. L’interpretazione dell’espressione “famiglia come

società naturale fondata sul matrimonio” dell’art. 29 Cost.

La teoria giusnaturalistica e storicistica

I maggiori problemi interpretatavi del primo comma dell’art. 29 si devono proprio alla formula che qualifica la famiglia come “società

naturale”. Questa formula, privilegiata dall’Assemblea Costituente a

conclusione di discussioni particolarmente contrastate, si prefiggeva di operare la necessaria sintesi tra posizioni divergenti, così da superare i motivi di dissenso tra quanti intendevano codificare l’assunto che «lo

Stato non crea i diritti della famiglia, ma li riconosce e li tutela perché la famiglia ha dei diritti originari, per loro natura “preesistenti”», e

quanti escludevano che fosse legittimo «contrapporre allo Stato altre

formazioni sociali, con i relativi ordinamenti giuridici, posto che, in siffatti termini giusnaturalistici, ci si poteva esprimere al massimo fino alla fine del secolo decimottavo»14.

Di tale espressione sono state date due interpretazioni.

In particolar modo, la teoria giusnaturalistica presuppone l’esistenza di un jus naturale. Da ciò l’assunto che nell’articolo 29 Cost. “società

naturale” sta per “società di diritto naturale” e che il suo

riconoscimento implica la presa d’atto della anteriorità allo Stato della famiglia come realtà “preesistente” ed “originaria”15

, quasi che la stessa essenza e natura della famiglia esigesse un ordinamento dei suoi rapporti immutabile ed estraneo alle vicende di diritto positivo. Quindi, l’articolo 29 della Costituzione affermerebbe il riconoscimento da parte della Repubblica dei diritti della famiglia come a voler dire che

14 Così rispettivamente Corsanego e Preti, in Atti dell’Assemblea Cost., Discussione

sul progetto di Costituzione

15

(23)

23

questi preesistono all’ordinamento giuridico repubblicano, perché derivano dalla “natura delle cose” e non dal diritto stesso.16

Si è precisato17 che l’espressione “società naturale” deve essere intesa nel senso che la famiglia, nonostante l’assenza di una propria personalità giuridica, si pone come centro autonomo di imputazione e di riferimento per alcuni diritti, denominati familiari, per il fatto che vengono esercitati nel suo interesse dai suoi componenti e che si pongono come limite necessario per quelli individuali.

In quanto naturale, questa società, pur non qualificandosi come una comunità di diritto naturale, non può essere del tutto retta da regole del diritto contrattuale. In tale senso, possono richiamarsi le parole di Carlo Arturo Jemolo che, nel sottolineare l’essenza metagiuridica, ricordava come «la famiglia appare sempre come un’isola che il mare

del diritto può lambire soltanto…la famiglia è la rocca sull’onda, ed il granito che costituisce la sua base appartiene al mondo degli affetti, agli istinti primi, alla morale, alla religione, non al mondo del diritto»18.

La teoria giusnaturalista è stata fortemente criticata19. Innanzitutto, questa non tiene conto che già il dibattito in Assemblea Costituente aveva respinto emendamenti intesi a qualificare la norma in senso giusnaturalista, essendo comunque documentato che «l’ambiente in cui

la Carta è stata elaborata» era «più proclive a tendenze storicistiche che a concezioni giusnaturalistiche» e che la stessa «interpretazione sistematica» degli artt. 2 e 29 «non permette di spostare il fondamento

16 R. Bin, La famiglia: alla radice di un ossimoro, in Studium Iuris, 2000, 10, 1066 17 P. Grossi, Lineamenti di una disciplina della famiglia nella giurisprudenza

costituzionale italiana, in Diritto di famiglia, 2005, 2, p. 585.

18 C. A. Jemolo, La famiglia e il diritto, in Annali della facoltà di giurisprudenza

dell’Università di Catania

19

M. Bessone, Rapporti etico-sociali, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, ZANICHELLI, 1977

(24)

24 dell’istituto familiare sul terreno del diritto naturale»20

. Infatti, come sottolineavano i primi commentatori dell’art. 29, la Costituzione «non

riconosce come società naturale una compagine semplicemente naturale che non si fondi su un successivo atto costitutivo e fondativo rappresentato dal matrimonio», escludendo perciò in radice che, in

assenza del crisma sacramentale o di quello dello stato civile, possano concretarsi forme di “società coniugali” positivamente apprezzabili21

. Per cui autorevole dottrina ha ritenuto, sulla base di rilievi di ordine esegetico, che lo stesso concetto di società naturale nell’art. 29 possa acquistare senso, soltanto, per effetto del riferimento alla norma del matrimonio: ciò in quanto «la famiglia non è un semplice aggregato di

rapporti da fondare mediante un qualsiasi atto costitutivo», dai singoli

«giudicato idoneo e sufficiente a fondare una nuova comunità», essendo «società naturale», nell’accezione della norma, «soltanto

quella in cui il carattere non occasionale della nuova comunità sia attestato dalla solennità dell’impegno che i coniugi si scambiano di fronte alla legge» con il matrimonio.22

Inoltre, l’interpretazione giusnaturalistica è stata considerata priva di una consistenza giuridica perché le costruzioni dogmatiche intese a prefigurare un ordinamento familiare, con poteri esclusivi di normazione, sono smentite dalle stesse disposizioni costituzionali che, in nessun modo, offrono argomenti tali da interpretare il riconoscimento della famiglia come “costitutivo” o “dichiarativo” di attribuzioni di tal genere. L’inconsistenza e il carattere ideologico di tale teoria emergono soprattutto dall’assunto della “anteriorità” della famiglia allo stato di formazione sociale “originaria” e tale concezione contrasta con le conoscenze elaborate dalle scienze umane sull’origine

20 D. Mancini, Eguaglianza tra i coniugi e società naturale nell’art. 29 della

Costituzione, in Riv. dir. civ., 1963, pp. 229 ss.

21 C. Grassetti, I principi costituzionali relativi al diritto di famiglia, in Commentario

sistem. Cost., diretto da Calamandrei e Levi, Roma, 1950

22

A. De Cupis, Orientamenti sulla filiazione naturale con particolare riguardo a quella adulterina nei progetti di riforma, in Riv. Dir.civ. 1971, II, pp. 349 ss.

(25)

25

e la struttura della famiglia. Ulteriori critiche all’interpretazione giusnaturalistica derivano dall’analisi sistematica delle previsioni costituzionali da cui deriva che alla qualificazione della famiglia come società naturale non potrebbe attribuirsi un significato diverso da quello di formazione sociale di cui all’art. 2 Cost. Ma è proprio la qualificazione della famiglia come formazione costituzionalmente privilegiata, in ragione della sua posizione di luogo “naturale” di sviluppo della persona, a smentire in modo evidente l’interpretazione giusnaturalistica23.

In posizione contraria alla tesi giusnaturalistica si pone quella storicistica, in base alla quale non vi è un modello generale o immutabile o un concetto universalmente valido di famiglia, ma la struttura e la formazione di quest’ultima si evolvono e si trasformano attraverso le varie epoche storiche, subendo in via diretta l’influenza del tipo di organizzazione sociale volta a volta prevalente24. Alla luce di questa prospettiva di tipo storico-sociologica, il solo significato da attribuirsi al primo comma dell’art. 29 Cost. è «quello di rinviare per

quanto attiene alla struttura e all’organizzazione della famiglia…alle valutazioni operanti nell’ambiente sociale»25

. La stessa valutazione si ricava dalle parole di Aldo Moro che, rispondendo alle critiche dei parlamentari laici in sede di Assemblea Costituente, dichiarò che quella dell’art. 29 «non è una definizione, ma una determinazione dei

limiti26» e nello stesso modo Costantino Mortati ribadì che essa aveva lo scopo di «circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla

sua regolamentazione27». Riconoscendo la famiglia come società

23

M. Bessone, Rapporti etico-sociali, cit., p. 23

24 C. Saraceno, Anatomia della famiglia. Strutture sociali e forme familiari, Bari,

1976; M. Bessone, Art. 29 Costituzione in Branca, Commentario alla Costituzione, Bologna, ZANICHELLI, 1977.

25

M. Bessone, La famiglia, “società naturale”, matrimonio civile e questioni di legittimità del divorzio. In margine ai problemi di interpretazione dell’art. 29, co. 1 Cost., in Temi, 1975

26

Assemblea Costituente, aprile 1947

27

(26)

26

naturale, infatti, il legislatore costituzionale ha posto una norma in bianco, rinviando alla concezione di famiglia del momento storico in cui la norma dell’art. 29 è destinata ad operare. In tal modo, l’espressione società naturale assume un valore unicamente recettizio, valendo come riconoscimento, da parte del legislatore nel nostro ordinamento, di quello che secundum naturam s’intende per famiglia in un dato momento dell’evoluzione storica, con particolare riguardo alle peculiari strutture sociali nelle quali la famiglia si inserisce28. L’interpretazione storicista smentisce le letture della norma che muovevano dal dogma della famiglia come “società di diritto

naturale” per legittimare rinvii alla “coscienza” tradizionale del

“popolo italiano”, all’antico costume familiare e alla “morale eterna” dei rapporti familiari che sono, da sempre, le clausole generali di ogni politica di diritto autoritaria e repressiva29.

28 D. Mancini, Eguaglianza tra i coniugi, cit., p. 225 29

S. Rodotà, Intervento, in Aspetti della riforma del diritto di famiglia (Studi sassaresi, II, Famiglia e società sarda, p. 388).

(27)

27 2.1 Il significato della “naturalità” della famiglia

La “naturalità” della famiglia, contenuta nell’articolo in esame, andrebbe riferita30 alla sua «conformazione tipica affermatasi nella

nostra tradizione e costitutiva del cuore della nostra cultura». La

famiglia, costituzionalmente riconosciuta e protetta, avrebbe, dunque, una sua oggettiva estensione inalterata e inalterabile, frutto di una “metanorma consuetudinaria di riconoscimento”31

.

Per questo motivo, le sole famiglie che possono essere riconosciute come tali, per il tramite del matrimonio, sono quelle assunte dalla tradizione quali “società naturali”. Il matrimonio “costituisce” e alla stesso modo “serve” la famiglia: non potrebbe fondarla senza prima riconoscerla. Da ciò ne deriva che, non solo la famiglia nella sua accezione tipica, e quindi costituzionale, richiede di essere tenuta distinta dalle formazioni sociali fondate su forme di convivenza che non danno vita a matrimoni, ma anche che non ogni forma di convivenza può prestarsi a commutarsi in matrimonio. Quest’ultimo non è un “contenitore” che la legge può riempire a proprio piacimento. L’idea di famiglia non è “aperta”, “dilatabile” a dismisura per effetto del sovraccarico di sensi sopportato dal matrimonio: è sempre e solo una “società naturale”.

Il dibattito sociologico, filosofico e giuridico sull’art. 29 è stato condizionato32 da una metafora esterna alla disposizione costituzionale: l’interpretazione metaforica dei testi sacri del cristianesimo, che si vorrebbe proiettare nella Costituzione attraverso il vincolo linguistico della parola “natura”, in un tentativo di legare il

30 A. Ruggeri, “Strane” idee sulla famiglia, loro ascendenze teoriche ed implicazioni

di ordine istituzionale, in www.gruppodipisa.it

31 A. Pugiotto, Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010: il monopolio

eterosessuale del matrimonio, in www.forumcostituzionale.it

32

N. Pignatelli, Dubbi di legittimità costituzionale sul matrimonio “eterosessuale”: profili processuali e sostanziali, in www.forumcostituzionale.it

(28)

28

presunto naturalismo con la dottrina teologica-confessionale, secondo la quale, per volontà di Dio, in natura devono esistere esclusivamente relazioni eterosessuali. Quindi, il carattere naturale della famiglia sarebbe collegato all’eterosessualità della coppia che la costituisce. Sussisterebbe, però, il problema di dimostrare l’esistenza della parola di Dio che vuole l’esclusività delle relazioni eterosessuali, ma tale prova non è data. Invocare la natura non è “utile” a qualificare per sempre il matrimonio come relazione eterosessuale, in quanto tale risultato non sarebbe raggiunto né facendo riferimento all’originaria impostazione “naturalistica”, infatti bisognerebbe dimostrare che tra gli animali non esistano rapporti omosessuali, né accedendo alla variante confessionale, visto che in nessuna sacra scrittura si legge che l’omosessualità è un vizio contro natura, né accedendo a quella tradizionalistica, visto che la tradizione, in quanto tale, è mutevole e cedevole.

Ma, al tempo stesso, è stato osservato33 che all’espressione “società

naturale” sia stato dato un peso eccessivo rispetto alle scelte compiute

dai Costituenti. Definendo la famiglia una “società naturale” non si intende evocare i valori e i principi di diritto naturale, infatti l’art. 29 non presuppone l’esistenza di un jus naturale della famiglia, intesa come ordinamento a normazione separata, astorico e immutabile. Da attente analisi dei lavori preparatori della Costituzione si evince che la maggioranza dell’Assemblea superò le riserve nei confronti di tale formula solo quando fu chiaro che, con essa, si voleva soltanto riconoscere la preesistenza rispetto allo Stato. Dunque, la definizione della famiglia come “società naturale” attribuisce rilievo giuridico alla constatazione di fatto che tra i membri della famiglia non sussistono solo freddi vincoli giuridici, ma anche legami affettivi (legami “naturali”, che come dice la Costituzione, rendono la famiglia “società

33

F. Biondi, Famiglia e Matrimonio. Quale modello costituzionale, in www.gruppodipisa.it

(29)

29 naturale”). La qualifica di “società naturale” sta ad indicare che la

Costituzione dà per scontato l’impulso dell’uomo alla formazione di una famiglia, obiettivo che lo Stato non potrebbe legittimamente precludere, né eccessivamente ostacolare, proprio perché si tratta di una meta “naturale” della vita umana. Intesa in tal modo, la “naturalità” evocherebbe ciò che l’art. 2 Cost. afferma per tutte le formazioni sociali, cioè che la famiglia è “luogo” di sviluppo della propria personalità. Ciò significa che la nozione di “famiglia” può subire delle trasformazioni e non rimane necessariamente cristallizzata alla tradizione culturale in cui è stato scritto l’art. 29 Cost.

«E significa ammettere che la trasformazione del diritto di famiglia

non avviene perché si amplia la conoscenza della “natura”, ma perché si è modificata la percezione di ciò che è socialmente accettabile».34

2.2 La “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” al

centro di un ossimoro

Qualificando la famiglia come “società naturale fondata sul

matrimonio”, la formulazione del primo comma si espone

inevitabilmente alle obiezioni di quanti osservano che «è

contraddittorio parlare di una società naturale che sorge dal matrimonio, cioè in sostanza da un negozio giuridico», precisandosi

che in ogni caso «l’idea di […] società naturale […] non può essere

congiunta al “matrimonio” perché questo istituto appartiene al “diritto positivo”».35

34

C. Saraceno, Coppie e famiglie. Non è questione di natura, Feltrinelli, 2012

35

(30)

30

In dottrina36, infatti, si è ritenuto che l’espressione “società naturale

fondata sul matrimonio” fosse espressiva di una particolare figura

retorica: l’ossimoro, in quanto vengono accostati nella medesima espressione parole, “naturale” e “matrimonio”, che esprimono concetti contrari.

L’osservazione non è nuova risalendo già all’Assemblea Costituente. Ma la natura ossimorica dell’art. 29 Cost. non era stata percepita dagli stessi costituenti, in quanto era difficile, all’epoca, pensare che vi potessero essere dei modelli naturali di famiglia alternativi a quelli riconducibili al matrimonio civile37.

Se per Calamandrei «parlare di una società naturale che sorge dal

matrimonio, cioè in sostanza da un negozio giuridico, è una contraddizione in termini»38, per Ruggiero è addirittura «un grosso

errore di carattere giuridico»39, mentre per Condorelli ad esser criticabile è l’uso del vocabolo “società” (luogo di “comunità”), perché evocativo di una famiglia a base contrattuale e convenzionale (e non naturale)40.

Nel primo Commentario sistematico alla Costituzione italiana, curato nel 1950 da Calamandrei e Levi, ugualmente si segnalava il paradosso per il quale l’art. 29 riconoscerebbe, come società naturale, la famiglia legittima derivante dall’ordinamento positivo, ma non la famiglia semplicemente naturale41.

36 A. Pugiotto, Alla radice costituzionale dei “casi”: la famiglia come “società

naturale fondata sul matrimonio”, in www.forumcostituzionale.it

37

F. Dal Canto, Le coppie omosessuali davanti alla Corte costituzionale: dalla “aspirazione” al matrimonio, al “diritto” alla convivenza, in Riv. dell’Aic, 2010

38 Assemblea Costituente, seduta del 23 aprile 1947, p. 3283

39 Assemblea Costituente, seduta del 18 aprile 1947, mattina, p. 3049 40

Ce lo ricorda G. M. Salerno, Art. 29, in Commentario breve alla Costituzione, a cura di V. Crisafulli e L. Paladin, Padova, CEDAM, 1990, p. 205

41 Cfr. C. Grassetti, I principii costituzionali relativi al diritto familiare, in

Commentario sistematico alla Costituzione italiana, diretto da P. Calamandrei e F. Levi, Firenze, Barbera, 1950, I, p. 295

(31)

31

La natura “ossimorica” del primo comma deriverebbe proprio dalla lettera dell’art. 29 che, riunendo due affermazioni contraddittorie, determina che per un verso il riferimento alla società naturale porta con evidenza a postulare l’esistenza di un qualcosa che precede il diritto, per altro, fondando tale società naturale sul matrimonio (cioè su un istituto giuridico che non appartiene affatto alle forme naturali dell’organizzazione sociale), predica della famiglia un’origine interamente artificiale. Ciò viene confermato anche dall’intenzione del

legislatore storico. Da una prima lettura degli atti relativi al dibattito

relativo all’art. 29, sembrerebbe che l’assunto “società naturale

fondata sul matrimonio” fosse il risultato di un compromesso tra la

componente cattolica e quella di sinistra presenti in Assemblea Costituente. In realtà, in Assemblea Costituente non ci fu alcun compromesso, ma un accordo ben preciso: la famiglia non ha fondamento sul diritto naturale, ma la stessa è preesistente allo Stato, con un’origine giuridica autonoma.

Roberto Bin42 ha dedicato un intero articolo alla natura ossimorica dell’espressione “società naturale fondata sul matrimonio”. Egli ritiene che il primo comma dell’art. 29 Cost.,“La Repubblica riconosce

i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”,

contenga una «proposizione impossibile, una specie di equivalente

legislativo delle “scale di Escher”» (incisore e grafico olandese). In

questo modo, tale espressione ha un senso, ma non un significato, ossia muove reazioni emotive abbastanza precise sul piano ideologico, ma non si traduce in regole giuridiche che possono basare un ragionamento argomentativo serrato. A suo avviso, l’idea di una “società naturale” porta a postulare l’esistenza di un qualcosa che preceda il diritto e lo Stato. Con coerenza, l’art. 29 afferma che la Repubblica “riconosce” i diritti della famiglia, come a voler dire che

42

R. Bin, La famiglia: alla radice di un ossimoro, in Studium Iuris, 2000, 10, 1066 ss

(32)

32

questi preesistono all’ordinamento giuridico repubblicano, perché derivano dalla “natura” delle cose e non dal diritto stesso. Ma la

famiglia è un’istituzione estremamente mutevole per dimensione,

organizzazione e funzione. Dunque, qualsiasi ne sia l’estensione, l’organizzazione e la funzione, è comunque “naturale” nel senso che appartiene ai bisogni umani fondamentali, legati alla socialità dell’uomo, alla sua riproduzione, alla sua effettività, al suo bisogno di riservatezza.

Affermare, quindi, che la famiglia è una “società naturale” e, allo stesso modo, “fondata sul matrimonio”, è affermare attributi tra loro incompatibili, dato che il matrimonio è un istituto giuridico che non appartiene alla forme “naturali” dell’organizzazione sociale, ma a quelle convenzionali, determinate dalle regole contingenti poste dalla legislazione vigente. «Non è affatto, dunque, naturale che la gente si

sposi, ma è una libera scelta da cui derivano conseguenze giuridiche»43.

43

(33)

33

3. Il diritto al libero orientamento sessuale

3.1 Definizione di “orientamento sessuale”

L’espressione orientamento sessuale44

non è, in origine, oggetto di qualificazione giuridica, ragione per cui si impone, preliminarmente, l’elaborazione di una premessa definitoria basata su categorie che fanno appello ad ambiti disciplinari diversi dal diritto. Nella voce Homosexuality: Ethical Issues dell’Encyclopedia of Bioethic45, l’orientamento sessuale viene indicato come uno dei quattro caratteri che compongono l’identità sessuale, insieme al sesso biologico, all’identità di genere, al ruolo sessuale sociale. L’orientamento sessuale, nello specifico, attiene a quella sfera della libertà sessuale che permette a ciascuno di scegliere con chi avere relazioni sessuali46. Quindi, coincide con la manifestazione di «attrazione sessuale di tipo

erotico che, a partire da una certa età, diviene relativamente permanente nella vita di una persona» e si differenzia a sua volta dal

concetto di “preferenza sessuale” che, invece, «implica una maggiore

capacità volitiva nel modificare la propria disposizione erotica»47.

44

F. Angelini, Orientamento sessuale nell’ordinamento costituzionale, 2010, in LEGGI D’ITALIA legale

45 Tietje-Harrison, «Homosexuality: Ethical Issues», in W.T. Reich, Encyclopedia of

Bioethics, II, New York, 1992, 1147 ss. Utilizza la stessa quadripartizione, ma in chiave psicoanalitica Argentieri, A qualcuno piace uguale, Torino, 2010, pp. 23 ss.

46 A. Gouttenoire, Orientation sexuelle, in

Andriantsimbazovina-Gaudin-Marguénaud-Rials-Sudre, Dictionnaire des Droits de l'homme, Parigi, 2008, p. 731

47

A. Serra, Sessualità: natura e cultura, in L'educazione sessuale nell'età evolutiva, a cura di N. Galli, Milano, 1994, p. 53

(34)

34 3.2 Il modello di tutela del diritto all’orientamento sessuale nella

Costituzione italiana

In generale, nelle Costituzioni contemporanee, vi sono due modelli di tutela costituzionale del diritto all’orientamento sessuale48

.

Il primo è quello della “tutela esplicita” che può essere perseguita, a sua volta, con diverse modalità. Vi può essere un riferimento formale nella Costituzione all’orientamento sessuale fra le condizioni o i fattori dai quali può derivare una discriminazione, oppure, in modo più diretto, vi può essere un riconoscimento costituzionale esplicito al diritto. Infine, vi possono essere ordinamenti in cui si affida la tutela delle identità sessuali minoritarie al rifiuto dell’omofobia tra i valori fondanti del sistema costituzionale. Il modello alternativo è quello della protezione implicita rintracciabile in quegli ordinamenti in cui la tutela delle identità sessuali minoritarie è indirettamente desumibile dall’insieme dei principi e dai diritti costituzionalmente garantiti. In tali ordinamenti, la tutela del diritto percorre la strada dell’affermazione giurisprudenziale e della legislazione ordinaria; si tratta normalmente di interpretazioni rese possibili dall’adesione costituzionale «ai valori tipici delle società aperte e democratiche,

dunque, appartengono al modello di tutela implicita tutti gli ordinamenti che abbiano a cuore la tutela dei diritti fondamentali e che abbracciano i valori del costituzionalismo democratico»49.

La Costituzione italiana appartiene al modello di tutela implicita: non vi è, infatti, nessun riconoscimento esplicito del diritto al libero

orientamento sessuale o del diritto di identità sessuale; né si è riusciti

48 F. Angelini, Orientamento sessuale, cit., pp. 6-8 49

M. Montalti, Orientamento sessuale e costituzione decostruita. Storia comparata di un diritto fondamentale, Bologna, 2007

(35)

35

negli ultimi anni a colmare tale assenza nella Carta fondamentale attraverso proposte di revisione costituzionale50.

La nostra Costituzione offre più di un aggancio alla tutela implicita del diritto al libero orientamento sessuale. In via interpretativa, infatti, l’individuazione di tale tutela ha trovato una base ora nell’art. 2 Cost., ora nell’art. 3 Cost., ora nell’interpretazione sistematica di queste due disposizioni. Nondimeno, parte della dottrina individua anche nella tutela della libertà personale, intesa in senso ampio, la possibilità di una copertura costituzionale indiretta della libertà di orientamento sessuale.

L’art. 2 Cost., affermando l’inviolabilità dei diritti dell’uomo, non si limita a considerarne la sola dimensione individuale, ma ne considera anche la dimensione sociale e dinamica, come contesto ove si svolge e si realizza la personalità di ciascun individuo. A fondamento dell’art. 2 si pone, dunque, il principio personalista che stabilisce «come fine

ultimo dell’organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana»51.

Dalla lettura estensiva di questa norma si è fatta discendere l’inviolabilità non solo dei diritti che la Carta indica espressamente come tali, ma anche di altri diritti che sono strettamente connessi alla piena realizzazione del principio personalista. Fra questi, ad esempio, in materia dei diritti del transessuale, la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto come inviolabile, nella sentenza n. 561/1987, anche la “libertà sessuale”: «Essendo la sessualità uno degli essenziali modi di

espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è,

50 Proposte che non sono mancate; a titolo di esempio, si veda: proposta di legge

costituzionale n. 605, su iniziativa di Grillini ed altri, recante «Modifica dell'art. 3 della Costituzione», del 7-6-2001; proposta di legge costituzionale n. 657, su iniziativa di De Simone ed altri, «Modifica dell'art. 3 della Costituzione», del 8-6-2001; disegno di legge costituzionale n. 306 su iniziativa di Malabarba ed altri, «Modifica dell'art. 3 della Costituzione», del 25-6-2001

51

(36)

36 senza dubbio, un diritto soggettivo assoluto che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 Cost. impone di garantire»52.

Una tale posizione deriva da un’interpretazione dell’art. 2 Cost. non meramente riassuntiva dei diritti espressamente previsti negli articoli della Costituzione, ma intesa quale “clausola aperta” ad accogliere «altre libertà e (…) altri valori personali non espressamente tutelati

dal testo costituzionale e rinvenibili nei valori o negli interessi nuovi che vanno emergendo ad opera delle forze politiche e culturali prevalenti, forze politiche cioè, che determinano la costituzione materiale»53. L’interpretazione aperta dell’art. 2 viene recepita

“ufficialmente” nella giurisprudenza costituzionale a partire dal 1987, nelle sentenze n. 215 e n. 561, che individua proprio il diritto alla libertà sessuale.

Questa interpretazione appare pienamente accolta dalla Corte di Cassazione, che desume proprio dall’art. 2 Cost. una «rilevanza

costituzionale della persona umana in tutti i suoi aspetti, questa norma comporta che l’interprete, nella ricerca degli spazi di tutela della persona, è legittimato a costruire tutte le posizioni soggettive idonee a dare garanzia, sul terreno dell’ordinamento positivo, ad ogni proiezione della persona nella realtà sociale, entro i limiti in cui codesto risultato si ponga come conseguenza della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali nelle quali si esplica la sua personalità. La considerazione del diritto alla riservatezza, quale diritto della personalità, consente al tempo stesso di individuare il correlativo fondamento giuridico, ancorandolo direttamente nell’art. 2: inteso quale precetto nella sua ampia

52 Sent. n. 561/1987, punto 2 del cons. in diritto; la sentenza riguardava un caso di

richiesta di risarcimento del danno in conseguenza a una violenza sessuale

53

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