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L’attuazione della riforma costituzionale

1. Gli interventi delle regioni.

Le Regioni sono intervenute fin da subito nel settore dell’istruzione sia pure attraverso modalità differenti, talvolta utilizzando il mezzo offerto dalla potestà concorrente talaltra spingendosi ai confini di essa. Così, accanto a regioni che, hanno continuato ad interpretare ancora in modo tradizionale il proprio ambito, confinando i propri interventi nelle funzioni di assistenza scolastica e di garanzia del diritto allo studio, altre hanno assunto un effettivo ruolo politico nel settore in armonia con il testo costituzionale riformato, specie in relazione alla competenza esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale.

Seguirà, dunque, un esame della regolamentazione del tema dell’istruzione a livello regionale, nell’ambito della quale saranno messi in evidenza gli aspetti e le aree tematiche di maggior rilievo e, più in particolare, alcuni aspetti di novità rispetto al quadro precedente.

La rassegna costituirà anche l’occasione per entrare più nello specifico nell’ambito di ulteriori competenze regionali quali quelle relative all’istruzione e la formazione professionale e al diritto allo studio universitario.

1.1. L’istruzione e la formazione professionale.

Un primo rilevante filone concerne, dunque, il legame tra istruzione e formazione professionale. Entrambe le materie vengono spesso disciplinate unitariamente dal legislatore regionale, in sostanziale rottura con il quadro precedente. In tale prospettiva si colloca, principalmente, la legge della Regione Emilia Romagna n. 12 del 2003281. La legge merita di essere considerata, in primo luogo, perché testimonia di una maggiore consapevolezza in capo al legislatore regionale riguardo alla regolamentazione del diritto all’istruzione che si riflette nella particolare attenzione conferita anche agli aspetti di disciplina generale.

Sul fatto che una concezione non riduttiva dell’autonomia debba implicare anche la capacità della singola scuola di scegliere il proprio personale si veda OCSE, Esami delle politiche nazionali dell’istruzione, Armando ed., Roma, 1998, pag. 123.

281 “Norme per l’uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l’arco

della vita, attraverso il rafforzamento dell’istruzione e della formazione professionale, anche in integrazione fra loro”.

Essa elabora una politica dell’istruzione fortemente incentrata sull’edificazione di una logica di sistema, in cui istruzione e formazione professionale si integrano a vicenda in una fitta trama di relazioni, sia interne sia esterne al sistema formativo nel suo complesso, fra Università, Istituti scolastici, organismi di formazione professionali accreditati e imprese (art. 26)282 e dove anche la valorizzazione dell’autonomia scolastica, a seguito della devoluzione alle scuole di ogni competenza regionale in materia di curricoli didattici (art. 21) assume il significato di accentuare la capacità delle istituzioni scolastiche di tessere proficui legami con le altre componenti del sistema formativo e con le altre formazioni sociali di rilevo locale.283

Sempre in ordine alla competenza in tema di istruzione e formazione, la legge emiliana è sembrata muoversi ai confini della potestà concorrente anticipando i decreti di attuazione della legge n. 53 del 2003 attraverso l’individuazione dei principi generali dell’istruzione (art. 1, comma 6) e, prefigurando un significativo arretramento statale dal settore dell’istruzione e formazione professionale, essa individuava un canale autonomo di formazione professionale rispetto all’istruzione-formazione professionale compresa nel sistema nazionale di istruzione, considerando il sostegno ad essa come un «elemento determinante dello sviluppo socio-economico e dell’innovazione nel territorio» (art. 28)284.

La stessa legge, proprio in riferimento all’esatta estensione della potestà legislativa regionale concorrente, fu oggetto di ricorso statale su cui la Corte si espresse con sentenza n. 34 del 2005. In particolare, a suscitare dubbi di legittimità erano le disposizioni della legge come l’art. 9, comma 3, sull’alternanza scuola-lavoro, l’art. 17, sulle finalità della scuola d’infanzia e l’art. 41, sull’educazione degli adulti, per la pretesa violazione delle norme generali che nella legge n. 53 del 2003 contemplano gli stessi oggetti.

282 L'integrazione si realizza, nell’intento del legislatore, lungo diversi canali:nell'obbligo

formativo, nell'istruzione e formazione tecnica superiore, nei percorsi universitari, anche post laurea, nell'educazione degli adulti. Il comma V° prevede, in particolare, un’integrazione fra università, scuole medie superiori, organismi di formazione professionali per la progettazione di corsi di istruzione e formazione tecnica superiore laddove il VI° comma, in riferimento all’istruzione e formazione universitaria, delinea un ruolo d’impulso dell’ente regionale nell’ambito dei percorsi di carattere universitario.

283

Cfr. M. Cocconi, Le Regioni nell’istruzione dopo il nuovo Titolo V, cit., pag. 733.

284 Nella stessa legge la Regione si propone di sostenere le Istituzioni scolastiche autonome che

partecipano ad accordi stipulati con organismi di formazione professionale accreditati per la definizione, nel proprio biennio della scuola secondaria superiore, di curricoli integrati di istruzione e formazione (art. 27).

Emergeva, dunque, il contrasto tra due differenti modi di intendere la competenza legislativa regionale:il primo consistente in una concezione più estensiva in base alla quale il rispetto delle norme generali non esclude margini per una maggiore specificazione da parte delle Regioni, l’altro, maggiormente restrittivo che potrebbe produrre rischi di appiattimento della legislazione regionale in materia secondo quanto sottolineato in dottrina285.

Con la sentenza in esame la Corte si sarebbe posta, secondo taluni, in una prospettiva sostanzialmente statalista, tesa ad avallare «un’interpretazione restrittiva del ruolo regionale», ravvisando nelle stesse norme regionali «una mera riproduzione di norme statali, non dotate di portata innovativa e quindi a ricondurre le funzioni regionali nel settore a quanto già previsto dal d.lgs. n. 112 del 1998»286. Il riferimento è, evidentemente, al passaggio in cui la Corte ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità di cui all’art. 44 in merito all’approvazione da parte del Consiglio regionale, su proposta della Giunta, dei criteri per la definizione dell’organizzazione della rete scolastica, ivi compresi i parametri dimensionali delle istituzioni scolastiche. La Corte, infatti, richiama la precedente sentenza n. 13 del 2004 e ribadisce che già la precedente normativa postulava la competenza in ordine alla programmazione scolastica di cui all’art. 138 del D.lgs. n. 112 del 1998. In base a tale considerazione la Consulta rimarca ulteriormente la statuizione contenuta nella sentenza n. 13 del 2004 e quindi esclude che il legislatore costituzionale del 2001 abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita.

L’impianto di fondo della legge, in particolare la regolamentazione del settore dell’istruzione nella sua intima correlazione con il sistema della formazione, conferisce al testo normativo un’impronta marcatamente europeista287.

285 Cfr. C. Gusmani, M. Ricciardelli, Accesso al sapere:istruzione e formazione professionale

nella legge della Regione Emilia-Romagna n. 12 del 2003, in Le Istituzioni del federalismo, n.2-3/2004

pag. 335.

286

Cfr. M. Cocconi, Le Regioni nell’istruzione dopo il nuovo Titolo V, cit., pag. 734. Per un esame complessivo della legge alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 2005 si rinvia a C. Caciagli, La materia dell’istruzione e i suoi interpreti: Stato, Regioni, Corte Costituzionale, in Le Istituzioni del federalismo, 6.2006, pagg. 995 ss.

Sulla stessa legge si veda anche il commento critico di A. Sandulli, Il sistema nazionale di istruzione, cit., pag. 107, il quale sostiene che essa si spinga «agli estremi limiti della potestà legislativa concorrente in materia di istruzione».

287 Segni di questa dimensione “comunitaria” si possono scorgere, ad esempio, nell’art. 3 della

stessa legge che mira a favorire la «diffusione» e il «consolidamento della cultura europea» intesa «quale parte integrante del diritto di cittadinanza» ma anche «quale strategia di ampliamento delle opportunità di apprendimento e occupazione». Si prevede, inoltre, una diretta interrelazione fra la Regione e le autorità comunitarie finalizzata a «favorire la libera circolazione delle certificazioni in ambito europeo» e l’impegno di adottare gli indicatori stabiliti a tal fine dall’Unione europea (art. 4). Significativo è anche

Ugualmente degna di essere evidenziata è anche la particolare attenzione riservata all’ambito della collaborazione istituzionale, essendo previsti, sia a livello provinciale che regionale, specifici organismi di confronto tra Regione ed altre differenti realtà territoriali, autonomie scolastiche, Enti locali, Università ed enti di formazione professionale288.

Anche la legge della Regione Toscana n. 32 del 2002289 si era mossa nella stessa direzione e, oltre a recepire le indicazioni di fondo sancite in ambito comunitario su

l’art. 25, lett. d) che prevede che l’arricchimento dell’offerta formativa sia affidato anche all’estensione della cultura europea, attraverso «il sostegno alla realizzazione di scambi transnazionali, allo svolgimento di periodi formativi presso enti, istituzioni o imprese di altri Paesi».

Su di un piano più attinente al concetto di istruzione in ambito europeo improntato allo stretto legame con la formazione professionale si segnalano l’art. 14, che prevede l’erogazione di assegni formativi alle persone, all’accesso ad attività di formazione per adulti, superiore, continua e permanente e l’art. 8 concernente specifiche forme di realizzazione di attività formative.

La contestuale rilevanza dell’attività di istruzione e formazione è riscontrabile anche all’interno del documento elaborato dal Consiglio di Lisbona del 2000. Si legge, in particolare, all’articolo 25: «I sistemi europei di istruzione e formazione devono essere adeguati alle esigenze della società dei saperi e alla necessità di migliorare il livello e la qualità dell'occupazione. Dovranno offrire possibilità di apprendimento e formazione adeguate ai gruppi bersaglio nelle diverse fasi della vita: giovani, adulti disoccupati e persone occupate soggette al rischio che le loro competenze siano rese obsolete dai rapidi cambiamenti». Il documento è consultabile all’indirizzo www.europarl.europa.eu/summits/lis1_it.htm. Sull’impianto di fondo che ha ispirato il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 si veda Morzenti Pellegrini, Istruzione e formazione nella nuova amministrazione decentrata della Repubblica, cit., pag. 106, secondo cui con esso ci si è posti l’obiettivo di costruire «l’economia della conoscenza più competitiva e dinamica al mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con i migliori e nuovi posti di lavoro e una maggiore coesione sociale», obbiettivo affidato «anche ad un intervento attivo dell’Unione di sostegno e coordinamento dell’azione degli Stati membri in diversi ambiti […] tra i quali riveste una primaria importanza quello dell’istruzione e della formazione continua […]».

288 Si vedano, a tal proposito, l’art. 3, quinto comma: «La Regione e gli enti locali promuovono

altresì il coordinamento delle politiche formative con i servizi sociali, sanitari, educativi, culturali, sportivi al fine di realizzare, mediante la valorizzazione delle diverse competenze e risorse, progetti ed azioni che rendano effettivi i diritti di cui all'articolo 2»; l’art. 21 che prevede specifiche forme di valorizzazione dell’autonomia scolastica per il tramite di «processi di consultazione e concertazione». Riguardo la collaborazione istituzionale tra enti territoriali ad essa viene dedicato l’intero Capo V nel quale sono regolamentati alcuni rilevanti organi tra cui la Conferenza regionale per il sistema formativo, il Comitato di coordinamento istituzionale, la Commissione regionale tripartita.

Il principio della collaborazione istituzionale sembra, in generale, essere recepito in modo abbastanza generalizzato dalla legislazione regionale specie nelle ipotesi in cui l’istruzione si lega alla materia della formazione. Si veda, a titolo meramente esemplificativo, la legge lombarda dove trovano spazio, elementi quali «l’integrazione del sistema di istruzione e formazione professionale con l’istruzione, l’università e con l’ambito territoriale e produttivo di riferimento» (art. 2, comma 7).

Anche la legge Lombarda conferma, del resto, una vocazione europeista in altre specifiche disposizioni dello stesso articolo:il comma terzo, da cui discende il riconoscimento del «capitale umano quale elemento primario per la costruzione dell’Europa della conoscenza» e il comma quarto che prevede uno specifico sostegno offerto dalla Regione nell’ambito dell’Unione europea, all’«integrazione e la messa in rete delle specifiche azioni».

Un significativo ruolo al fine di favorire l’integrazione delle politiche per l’istruzione, la formazione professionale ed il lavoro è poi assicurato, dall’art. 4, al Comitato istituzionale di coordinamento di cui all’art. 7 della legge regionale 28 settembre 2006, n. 22.

289 “Testo unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, istruzione,

istruzione e formazione290, sembrava aver interpretato con ancora maggior convinzione il proprio ruolo nel settore elaborando una vera e propria politica dell’istruzione con funzioni volte, tra l’altro, anche al monitoraggio e alla valutazione dei sistemi formativi (art. 2, Titolo II) e all’identificazione di standard qualitativi e di linee guida di valutazione e di certificazione degli esiti e dei risultati (art. 28, comma).291

In riferimento al profilo che si sta esaminando, la stessa legge toscana è stata oggetto di una recente censura di illegittimità costituzionale. La censura governativa ha investito, in particolare, l’art. 13 del testo unico laddove, al secondo comma, prevede che «la Regione adotta le misure necessarie per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione nel sistema della formazione professionale con un percorso triennale destinato al conseguimento di una qualifica professionale, strutturato da un primo biennio scolastico, integrato da specifiche finalità formative diversamente graduate tra il primo e il secondo anno, e un terzo anno interamente professionalizzante che è realizzato: a) dalle scuole accreditate per la formazione professionale secondo il sistema regionale toscano anche in collaborazione con agenzie formative accreditate ed eventualmente con altre scuole: b) dalle agenzie formative accreditate per la formazione professionale secondo il sistema regionale toscano anche in collaborazione con una scuola o reti di

290 Che la finalità della legge toscana sia quella di condurre un’azione integrata a sostegno

dell’istruzione così come della formazione professionale, in accordo coi riferimenti comunitari, è testimoniato dallo stesso incipit della stessa che, all’art. 1 prevede, quale finalità principale degli interventi, quella di «costruire un sistema regionale integrato che garantisca, in coerenza con le strategie dell’Unione europea per lo sviluppo delle risorse umane, la piena realizzazione della libertà individuale e dell’integrazione sociale, nonché il diritto all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita quale fondamento necessario per il diritto allo studio e il diritto al lavoro».

291

In virtù del comma secondo dell’art. 28, infatti, «La Regione esercita funzioni di impulso e regolazione nei confronti del sistema allargato dell'offerta integrata tra istruzione, educazione, formazione; la Regione, nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, previsti dall' articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, ne definisce gli ambiti territoriali di riferimento, i requisiti di accesso, gli standard qualitativi, le linee guida di valutazione e di certificazione degli esiti e dei risultati; con riferimento al sistema di istruzione, la Regione definisce, altresì, gli indirizzi per la programmazione della rete scolastica e il calendario scolastico».

Proprio su tali funzioni si sono concentrate le argomentazioni della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 120 del 2005, probabilmente nell’intento di rendere immuni da censura le stesse, ne ha offerto comunque un’interpretazione riduttiva, riconducendo la fissazione degli standards a compiti di tipo organizzativo e gestorio e quindi privi di valenza politica. Secondo la Corte, infatti, «la individuazione degli standard strutturali e qualitativi non può neppure, evidentemente, ricomprendersi nelle norme generali sull'istruzione e cioè in quella disciplina caratterizzante l'ordinamento dell'istruzione e che, dunque, presenta un contenuto essenzialmente diverso da quello lato sensu organizzativo nel quale si svolge la potestà legislativa regionale».

Altro punto rilevante da considerare nella sentenza consiste nella statuizione per cui le Regioni, in materie concorrenti, possono legiferare seppur in assenza di nuovi principi fondamentali, a condizione che rispettino i principi fondamentali risultanti dalla legislazione statale in vigore, altrimenti si verificherebbe una paralisi dell’attività legislativa regionale. A tal proposito vengono richiamate le sentenze n. 353 del 2003 e n. 282 del 2002.

scuole; c) dalle scuole non accreditate purché in collaborazione con agenzie formative accreditate per la formazione professionale secondo il sistema regionale toscano, o con un’altra scuola accreditata o reti di scuole». Il comma 3 ha stabilito, inoltre, che «per il terzo anno professionalizzante possono essere eventualmente previste modalità formative a distanza».

A giudizio della Corte Costituzionale, pronunciatasi in merito con sentenza n. 309 del 2010, le disposizioni censurate violano le norme generali sull’istruzione nella misura in cui, introducendo un «percorso» formativo diverso rispetto a quelli contemplati dalla disciplina statale per assolvere l’obbligo scolastico, si pone in contrasto con la competenza legislativa statale in tema di «norme generali»292.

292

Con la sentenza n. 309 del 2010 la Corte ebbe modo di chiarire come la stessa disciplina regionale risultava viziata in quanto lesiva del principio di rango costituzionale di leale collaborazione. Il nuovo percorso formativo veniva, infatti, introdotto dalla Regione Toscana unilateralmente, prima della data all’epoca fissata dalla legge statale e prima che fossero raggiunti gli accordi in Conferenza Stato- Regioni espressamente previsti dalla legge; in particolare, quello del 29 aprile 2010, con il quale, facendo riferimento a precedenti accordi (19 giugno 2003, 15 gennaio 2004, 5 ottobre 2006, 5 febbraio 2009) e intese (20 marzo 2008), sono stati definiti, tra l’altro, «le competenze di base che tutti gli studenti devono acquisire nei percorsi di istruzione e formazione professionale» e «il repertorio delle figure professionali di riferimento a livello nazionale».

L’argomentazione della Corte riprendeva, del resto, quella della già richiamata sentenza n. 200 del 2009, laddove era precisato che le norme generali dell’istruzione «definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio di istruzione». Per i vari commenti alla sentenza si rinvia a A. Poggi, Dalla Corte un importante (anche se non decisivo) monito di

arretramento alle 'politiche governative' sull’istruzione. Nota a prima lettura della sentenza n. 200 del 2009, in www.federalismi.it; F. Cortese, L’istruzione tra norme generali e principi fondamentali: ossia,

la Corte tra contraddizioni formali e conferme sostanziali, in www.forumcostituzionale.t; M. Troisi, La

Corte tra “norme generali sull’istruzione” e “principi fondamentali”. Ancora alla ricerca di un difficile equilibrio tra (indispensabili) esigenze di uniformità e (legittime) aspirazioni regionali, in

www.forumcostituzionale.it.

Argomentazioni simili a quelle presenti nella sentenza 309 del 2010 si rintracciano anche nella successiva sentenza n. 334/’10 con cui la Corte, a seguito di ricorso statale, ha dichiarato illegittimi alcuni articoli della legge della Regione Abruzzo n. 30 del 4 dicembre 2009 in tema di apprendistato. Le disposizioni impugnate fissavano in quindici anni l’età minima per accedere all’apprendistato, in contrasto con la richiamata disciplina statale sull’obbligo di istruzione, che rientra, come precisato nella richiamata sentenza n. 309 del 2010, tra le norme generali sull’istruzione. Altre censure governative, ritenute fondate dalla Corte, concernevano la lesione del principio di leale collaborazione in quanto la legge disciplinava in via autonoma i profili formativi dell’apprendistato in contrasto con quanto è prescritto dal d.lgs. n. 276 del 2003.

In aggiunta, si consideri che nel connesso ambito dei percorsi di alternanza scuola-lavoro, la citata legge della Regione Emilia Romagna n. 12 del 2003 (“Norme per l’uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l’arco della vita, attraverso il rafforzamento dell’istruzione e della formazione professionale, anche in integrazione fra loro”) era andata indenne dai rilievi di costituzionalità sollevati dal Governo alla Corte. Per ciò che interessa in questa sede, oggetto del ricorso statale era, l’art. 9 della legge regionale che disciplinava l’alternanza scuola-lavoro. La Corte, dopo aver chiarito che l’alternanza scuola-lavoro costituisce «uno degli elementi centrali del sistema integrato istruzione/formazione professionale in armonia con orientamenti invalsi in ambito comunitario nel quale si è andata rafforzando sempre più una politica indirizzata alla riqualificazione dell’istruzione e della formazione professionale quale fattore di sviluppo e di coesione sociale ed economica», conclude per la conformità a Costituzione della disposizione regionale impugnata in quanto essa non contrastava con la

Non si può, in questa sede, che condividere il giudizio espresso dalla Corte a proposito dell’inquadramento della disciplina dell’obbligo formativo nell’ambito delle «norme generali». Una disciplina, quale quella toscana, che istituisca percorsi differenziati riguardo all’adempimento dell’obbligo, rischierebbe di essere una soluzione che esula dai principi di una logica di differenziazione socio-territoriale, ma si porrebbe come un’inammissibile deroga ad un preciso obbligo di cittadinanza che non può non essere connotato unitariamente nell’intero territorio nazionale. Ben può la regione diversificare il percorso di formazione professionale strutturandolo in base alle peculiarità e richieste del proprio territorio purché la stessa non si spinga al punto da prevedere una disciplina

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