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2.1 Premessa

Dopo aver, nel precedente capitolo, calato la nostra ricerca all'interno del quadro teorico delle teorie dell'attività e dopo aver proposto alcune riflessioni circa il concetto di lavoro e di workplace learning, nel presente capitolo forniremo ancora alcune nozioni teoriche di sfondo e, a partire dalla seconda parte, cercheremo di declinare questo quadro teorico per un caso specifico come quello della formazione aziendale.

Pertanto, la prima parte del capitolo si concentrerà essenzialmente sui concetti di dispositivo pedagogico, sulle regole che ne definiscono il funzionamento e sui concetti di pedagogie visibili ed invisibili, così come su quelle di controllo simbolico. Per fare questo ci appoggeremo principalmente, ma non solo, sulle analisi svolte da Basil Bernstein a proposito di questo concetto; cercheremo altresì di introdurre a partire dalla questione del controllo simbolico il concetto di linguaggio nella sua natura produttiva e perciò lo avvicineremo a quello di lavoro. Questo quadro di sfondo, verrà declinato, nella seconda parte, in chiave pedagogica a partire dalla definizione di azione formativa. Nello specifico, declineremo questi concetti e in particolar modo quello di dispositivo pedagogico per il caso aziendale e, appoggiandoci sulle riflessioni di Federighi (2009), cercheremo di mostrare quale siano le dimensioni che costituiscono il dispositivo

formativo aziendale.

Infine, nell'ultima parte del capitolo, entrando più nello specifico del mondo aziendale, forniremo alcune caratteristiche di uno specifico settore della popolazione lavorativa ovvero quella dei talenti, cercando di fornire una definizione di che cosa si intenda per talento in azienda e mostrando alcuni strumenti che le aziende usano per attrarre, mantenere e sviluppare al massimo i propri talenti. In questa ottica, l'ultimo argomento trattato sarà quello del colloquio in azienda finalizzato alla promozione dei talenti stessi.

Come il precedente capitolo, anche questo segue una logica che dalle questioni più astratte e di sfondo si muove verso quelle più puntuali e circoscritte. In particolare, nella stesura sono state fatte alcune scelte di fondo. Infatti, gli argomenti relativi all'azienda sono stati trattati con un taglio particolare, vale a dire avendo in mente la tipologia di studio empirico di questo lavoro. Per questo motivo si è scelto di parlare solo di una parte della popolazione lavorativa, tralasciando volutamente le altre. Alla stessa maniera, la trattazione dei colloqui in azienda è stata affrontata non per essere esaustiva di questo argomento, ma per fornire un quadro di riferimento che permetta di orientarsi all'interno del concreto caso empirico di studio.

2.2 Il dispositivo pedagogico all'interno dell'organizzazione

In questo paragrafo cercheremo di affrontare il tema del dispositivo pedagogico in generale. In prima battuta, possiamo definire un dispositivo pedagogico una serie di norme e condizionamenti, espliciti ed impliciti, che formano il comportamento dell'individuo e il suo essere in società e\o in un determinato ambiente sociale. Seguendo quanto proposto da Basil Bernstein è possibile definire il dispositivo pedagogico come «a device for translating power relations into discourses of symbolic control and for translating discourses of symbolic control into power relations» (1990: 205).

Per quanto riguarda il dispositivo pedagogico all'interno di qualsiasi organizzazione è possibile distinguere, almeno a nostro avviso, tra due distinte tipologie di dispositivo:

una esplicita ed una implicita. Ovviamente, è una partizione che regge solo “sulla carta”, mentre nella realtà le differenti modalità di dispositivo sono interrelate costantemente e i concreti dispositivi saranno sempre dispositivi spuri in cui le due differenti tipologie si fondono dando vita alle concrete pratiche formative di un determinato ambiente sociale. I due concetti si pongono pertanto come idee prototipiche agli estremi di un continuum all'interno del quale si realizza la concreta pratica pedagogica.

In ogni caso ed in maniera molto schematica, possiamo definire come dispositivo pedagogico esplicito l'insieme degli interventi, di vario tipo, che sono messi in atto da una intenzionalità educativa - intesa in senso lato - e che sono esplicitamente riconoscibili come tali e finalizzati alla creazione di una soggettività individuale. Intendiamo invece con l'espressione dispositivo pedagogico implicito l'insieme dei condizionamenti che non sono direttamente riconoscibili come finalizzati alla creazione di una soggettività, ma che tuttavia fungono come creatori di soggettività individuali e collettive, pur non risultando in superficie riconoscibili come tali. Si tratta di regole implicite, modi di pensare, modi di riprodurre le comunità latamente intese, rapporti di potere impliciti, ruoli interpretati e molto altro che vengono intesi come essere naturali, mentre sono frutto di un determinato sviluppo storico sociale e come tali influiscono sulla creazione delle nostre soggettività. Tendenzialmente, assumiamo questo ultimo tipo di dispositivo come quello che in forma più anonima e, però, più profonda indirizza lo sviluppo e l'applicazione di un dispositivo pedagogico esplicito60. Usando altre

parole, è la Weltanschauung, la concezione sociale del mondo in cui viviamo e in cui operiamo che funge da motore profondo per le scelte pedagogiche esplicite. Tuttavia, anche in questo caso, il quadro è complesso, perché la nostra concezione del mondo – intendendo con questo termine la concezione del contesto in cui operiamo e non la nostra come singoli individui - è influenzata e in qualche modo in parte condizionata e definita da fattori esterni. Si tratta pertanto di una questione ideologica, intendendo con il termine ideologia una determinata progettazione sociale che, come tale, è multi-

60 I dispositivi pedagogici impliciti ed espliciti vanno di pari passo con i concetti di pedagogia implicita ed esplicita che possono essere definite in prima battuta come un sistema di conoscenze e di strumenti (dispositivi appunto) che sono conosciuti solamente dal formatore e che, in qualche maniera, vengono trasmessi al formato senza svelarne la loro presenza (Magagnez 2013). Torneremo nel paragrafo 2.2.2 su questa distinzione.

stratificata e risente di una molteplicità di fattori. A scanso di equivoci, è bene precisare che in questa sede con il termine ideologia intendiamo una determinata concezione del “mondo”, una serie di credenze fondamentali proprie di un gruppo sociale (Van Dijk 2003: 23) ed un set di strumenti atti alla realizzazione di questa concezione. In tale senso, ogni ideologia ha un ambito più esteso di una Weltanschauung nel senso che, oltre ad essere una concezione di un determinato sistema, presenta anche tutti gli strumenti espliciti ed impliciti perché questo sistema possa essere messo in pratica e realizzato61.

Dovendo declinare queste suggestioni per quanto riguarda l'ambiente aziendale, occorrerà, almeno schematicamente, fare una ricognizione dei fattori che determinano i dispositivi impliciti, assumendo che quelli espliciti sono di più facile rilevazione, sebbene, come abbiamo detto, di minore incisività, perché in qualche forma rappresentano un prolungamento di quei dispositivi profondi che rappresentano il vero

modus cogitandi et operandi di un'organizzazione.

All'interno di un'organizzazione industriale la punta dell'iceberg del dispositivo pedagogico individuale è rappresentata dal Piano Formativo Individuale (PFI) che è il prodotto conclusivo di una ricognizione circa i bisogni formativi e che rappresenta in forma esplicita l'impianto pedagogico visibile e la base su cui costruire le future azioni di formazione pedagogica62. Schematizzando, il processo che porta alla definizione del

PFI può essere visto cominciare con la ONA (Organizational Needs Analysis) ovvero l'analisi dei bisogni di una determinata organizzazione, per poi passare attraverso una analisi dei bisogni degli individui (TNA – Training Needs Analysis). Ovviamente, la rilevazione dei bisogni individuali è indirizzata a colmare eventuali “mancanze” nelle abilità possedute dal lavoratore per il soddisfacimento dei bisogni propri dell'organizzazione. In questo senso, tra le due operazioni metodologiche, è ipotizzabile,

61 Anche in questo caso la questione dell'ideologia, almeno per come la intendiamo in questo scritto, si intreccia indissolubilmente con i concetti di dispositivo pedagogico e di pedagogie implicite ed esplicite, nonché con quello di dispositivo e controllo simbolico. Sui temi dell'ideologia e sulle sue definizioni e delimitazioni dal punto di vista teorico cfr. Rossi – Landi (1978), Mazzone (1981), Therborn (1980), Van Dijk (1997 & 2003) solo per citare alcuni dei possibili approcci.

62 Naturalmente, il PFI non è sempre previsto e solo certi tipi di organizzazione aziendale prevedono percorsi che strutturino, per una determinata porzione della popolazione dei dipendenti – normalmente i talenti e\o fasce medio\alte della popolazione stessa – percorsi che sfocino nella definizione di piani individualizzati di formazione, sebbene all'interno di una gamma non finita di opportunità, spesso formalizzate attraverso un albero dei saperi aziendali, ovvero una batteria divisa per classi di possibili ambiti di intervento formativo e di possibili macro attività.

come ulteriore strumento di analisi, una ricognizione circa i bisogni formativi propri dell'azienda (OTNA - Organizational Training Needs Analysis), ovvero una analisi dei bisogni di formazione che necessita una organizzazione determinata per colmare i gaps messi in evidenza con il processo di analsi dei bisogni generali (ONA). Detto in altre parole, la ricognizione dei bisogni propri di una organizzazione e la rilevazione dei bisogni formativi individuali finalizzati a mettere in grado l'organizzazione di soddisfare tali bisogni sono messe in relazione dalla rilevazione dei bisogni formativi dell'organizzazione stessa. I tre passaggi sono quindi interrelati e possono essere gerarchizzati secondo una logica che va dal più generale ed oggettivo (la ONA) al più particolare e soggettivo (la TNA), con la OTNA che funge da anello di collegamento tra le due operazioni63.

Questa parentesi, fatta sulle modalità di rilevazione dei bisogni in azienda, ci ha permesso di aprire una prima finestra su un modello di organizzazione specifica che è quello aziendale e che in questa sede è considerato come un caso particolare che risponde alle medesime regole generali di altre organizzazioni e a cui possono essere applicate, in forma dialettica e non schematica, gli strumenti concettuali che mutuiamo dalle riflessioni di Basil Bernstein circa la struttura dei dispositivi pedagogici. Nei paragrafi che seguono pertanto cercheremo di esplicitare quali siano le regole tendenziali che definiscono il sistema pedagogico complessivo, mostrando altresì quali tratti appartengano alle pedagogie invisibili e quali alle pedagogie visibili, per poi analizzare come questo impianto complesso contribuisca alla produzione e riproduzione del corpus collectivum in ambito aziendale. Si tratta, pertanto di analizzare i differenti piani che in forma composita concorrono a definire il dispositivo pedagogico in ambito aziendale, cominciando a delineare le regole che ne costituiscono l'impalcatura generale e che tendenzialmente ne delineano la forma di movimento, per poi vedere quali dispositivi siano visibili in prima istanza e quali invece agiscano in forma invisibile, ma più profonda. Infine, si cercherà di mostrare come la forma composita di tutti questi aspetti concorra alla produzione e alla riproduzione di un certo assetto societario e pedagogico, che tuttavia rimane sempre aperto alle perturbazioni e al cambiamento.

63 Per quanto riguarda la OTNA si rimanda alle analisi proposte da Francesca Torlone che definisce e struttura ex novo questo passaggio teorico\metodologico all'interno della dinamica di formazione aziendale (cfr. Torlone 2013: 56 - 68).

2.2.1 Regole tendenziali e definitorie del dispositivo pedagogico

Cercheremo in questa parte, seguendo le analisi di Basil Bernstein, di definire, sebbene in maniera sommaria, le regole che concorrono a costruire l'impalcatura del dispositivo pedagogico di qualsiasi ambiente sociale e per ciò stesso anche di quello aziendale. Si tratta in questa sede di distinguere l'acquisizione del sapere e il sapere acquisito dal dispositivo che rende possibile tale acquisizione, vale a dire dai processi di comunicazione e trasmissione che rendono e\o hanno reso possibile tale trasmissione e di rendere esplicite le leggi tendenziali che determinano tale dispositivo. L'attenzione va posta pertanto sul concetto di dispositivo e sul suo funzionamento come motore profondo in grado di distribuire la possibilità o meno di accedere ad esperienze formative e quindi come strumento in grado di determinare l'accesso o meno ai processi formativi da parte del pubblico. La questione che deve essere affrontata è pertanto quella relativa alle condizioni in cui la conoscenza si forma attraverso l'esperienza e le norme che regolano tale formazione in un contesto determinato (Federighi 1996: 48). In questo senso le teorie della riproduzione sociale, così come sono state proposte da Bourdieu e dalla sua “scuola”, rappresentano un utile strumento per indagare i processi che si generano tra differenti campi (ad esempio, per ciò che concerne la discriminazione di razza, di sesso, la distinzione tra i ceti e le classi tra i molti altri), ma debbono qui essere integrate attraverso l'indagine dei meccanismi interni che costituiscono il funzionamento di tali campi, ovvero mettendo in evidenza i rapporti di potere, le regole che distribuiscono e definiscono le relazioni di potere e le forme simboliche interne ad un certo campo che ne mediano il funzionamento. Continuiamo comunque ad utilizzare il concetto di campo così come definito da Bourdieu, ovvero uno spazio strutturato di posizioni «dont les propriétés dépendent de leur position dans ces espaces et qui peuvent être analysées indépendamment des caractéristiques de leur occupants» (2002: 113). Sebbene ogni campo abbia leggi specifiche che lo definiscono, è altresì vero che le regole generali sono invarianti ed in particolar modo Bourdieu

riscontra la principale invarianza nel fatto che ogni campo rappresenta uno stato dell'attuale rapporto di forza che deriva dalla lotta dei protagonisti del campo stesso.

La structure du champ est un état du rapport de force entre les agents ou les institutions engagé dans la lutte ou, si l'on préfère, de la distribution du capital spécifique qui, accumulé au cours de luttes antérieures, oriente les stratégies ultérieures (2002: 114).

Come è possibile comprendere anche da questa definizione iniziale del concetto di campo, l'attenzione è posta principalmente sopra i rapporti di forza e le dinamiche interne al campo stesso e sulle invarianze del medesimo. Tuttavia, per i nostri scopi è preferibile non fermarci solamente a queste analisi, ma enucleare le leggi interne che definiscono la produzione e la trasmissione del sapere all'interno di ogni organismo societario. In altre parole, si tratta principalmente di distinguere il sapere che viene acquisito o che è stato acquisto dal dispositivo che rende possibile e regola questa acquisizione, ovvero concentrare l'attenzione sul dispositivo che regola la distribuzione delle esperienze, poiché è tale dispositivo che possiede un potere determinante sulle esperienze e sui processi formativi (Federighi 1996: 49).

La teoria della trasmissione culturale, così come è stata articolata da Bernstein, ci sembra, per questo scopo specifico, uno strumento idoneo per evidenziare i meccanismi interni che regolano la produzione, l'accesso e la trasmissione, nonché la riproduzione, dei saperi. Secondo la prospettiva che seguiamo e che decliniamo per un caso particolare, ovvero quello della formazione, creazione e trasmissione di sapere in azienda e focalizzata su una certa popolazione di lavoratori e con determinate caratteristiche, tale impianto risulta funzionale a palesare le condizioni di fondo in cui si producono e si distribuiscono le possibilità di apprendimento. Questo quadro analitico aiuta ad esplicitare la dimensione educativa di una molteplicità di esperienze formative, siano esse inserite all'interno di sistemi educativi formali, sia nelle esperienze che si producono nella vita quotidiana e, per quanto ci riguarda, in ambito lavorativo (Federighi 2009: 136 - 137).

Tornando a quanto accennavamo all'inizio del paragrafo, lo scopo è quello di evidenziare quali siano le leggi che tendenzialmente definiscono il dispositivo pedagogico\formativo. Secondo le analisi di Bernstein tale dispositivo è caratterizzato al

proprio interno da tre ordini di regole che si relazionano tra di loro in maniera gerarchica: regole distributive, di ricontestualizzazione e di valutazione. È la dialettica tra queste regole, sebbene subordinata alla gerarchizzazione delle stesse, che crea lo spazio del dispositivo e della pratica pedagogica, così come rende possibile l'accesso, la distribuzione e la ricezione del sapere, ovvero il dispositivo creato dall'interazione di questi tre tipi di regole permette di descrivere la dimensione formativa di ogni situazione, definendone le dinamiche che permettono la produzione, la trasmissione e la ricezione dei saperi e i soggetti che producono, trasmettono e ricevono tali saperi64. Ora,

entrando nelle particolarità delle singole regole, la regola distributiva è quella che definisce cosa e secondo quali condizioni può essere conosciuto. Bernstein istituisce una distinzione tra ciò che è pensabile (Thinkable) e ciò che non è pensabile (Unthinkable), vale a dire tra ciò che è già stato prodotto e socializzabile e ciò che è probabile, necessita di essere prodotto ed è potenzialmente foriero di processi trasformativi e soprattutto che deve essere distribuito secondo determinati criteri.

Distributive rule distinguish between two different classes of knowledge that I will argue are necessarily available in all societies. I believe that these two classes of knowledge are intrinsic to language itself; it is the very nature of language that makes the two classes of knowledge possible: I will term them the Thinkable class and the Unthinkable class.

Thus, in all societies are at least two basic classes of knowledge; one class of knowledge that is esoteric and other that is mundane. There is the knowledge of the other and there is the otherness of knowledge. There is the knowledge of how it is (the knowledge of possible), as against the possibility of the impossible (Bernstein 1996: 28 – 29).

Questa distinzione è propria di ogni società e si riscontra nella differenza tra una conoscenza esoterica e una mondana; la separazione tra queste due classi di conoscenza è relativa e varia da periodo a periodo, cosicché ciò che in una determinata epoca era considerato esoterico in un'altra epoca potrà considerarsi come mondano e socializzabile. È l'impianto delle regole distributive che istituisce la distinzione tra ciò

64 Anticipando alcune riflessioni che svilupperemo parzialmente in seguito nel paragrafo, riportiamo un parallelo che Bernstein, seguendo le riflessioni di Max Weber sulla religione, istituisce tra il campo religioso e quello pedagogico. La gerarchia del campo religioso è costituita dai profeti, dai sacerdoti e dai laici. Ognuna di queste figure può occupare una sola posizione per volta: i profeti non possono essere sacerdoti e viceversa e i laici non possono essere entrambe le figure religiose. In parallelo, il campo pedagogico è costituito dai produttori di conoscenza, dai riproduttori e trasmettitori della stessa e da coloro che ricevono la conoscenza, così come è stata prodotta e ricontestualizzata dagli altri attori (Bernstein 1996: 36 – 37).

che può essere pensato in una determinata epoca e ciò che rimane impensabile e dunque esoterico e, come diretta conseguenza, chi può avere accesso al sapere esoterico e chi no.

La seconda tipologia di regole individuate da Bernstein è costituita dalle regole di

ricontestualizzazione, ovvero le regole che costituiscono il discorso formativo e

definiscono come il discorso istruzionale (legato alle abilità specialistiche) sia inserito in quello regolativo, proprio dell'ordine morale. Il processo di acquisizione di conoscenza e di competenze viene sempre ad innestarsi su un discorso regolativo che è sempre dominante e nel quale viene ricontestualizzato all'interno di un ordine e di una serie di relazioni ed identità preesistenti e prestabilite che costituiscono il discorso pedagogico.

Pedagogic discourse is a recontextualising principle. Pedagogic discourse is constructed by a recontextualising principle wich selectively appropriates, relocates, refocuses and relates other discourses to constitute its own order. In this sense, pedagogic discourse can never be identified with any of the discourses it has recontextualised.

We can now say that pedagogic discourse is generated by recontestualising discourse, in the same way tha we said distributive rules translate, in sociological terms, into fields of production of knowledge with their own rules of access. The recontextualising principle creates recontextualising fields, it creates agents with recontextualising functions. The recontextualising functions then become the means whereby a specific pedagogic discourse is created. Formally, we move from a recontextualising principle to a recontextualising field with agents with practising ideologies (Bernstein 1996: 33).

Pertanto, la ricontestualizzazione costituisce il pensabile ovvero la conoscenza ufficiale, così come è stata inquadrata e strutturata dal discorso pedagogico. È l'ambito in cui maggiormente agisce l'ideologia intesa come concezione del mondo all'interno della quale i soggetti si trovano ad agire e vengono formati. Le procedure di ricontestualizzazione istituiscono una mediazione dei saperi originari, astraendoli dalla loro base di sociale di produzione e dai rapporti di potere.

In general the recontextualising process governing the movements of discourse from the site of its production or effectivity to its position within pedagogic discourse neutralizes, by abstracting the power relations of, the original social context. (Bernstein 1990: 216).

Nello specifico, Bernstein individua due campi di ricontestualizzazione del sapere:

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