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L’eredità della Reggenza e il regolamento del 1767.

4. IL TEATRO LEOPOLDINO E LE SUE RIFORME.

4.1 L’eredità della Reggenza e il regolamento del 1767.

All’arrivo dei lorenesi in Toscana, il contesto teatrale si contraddistingueva per una generale mancanza di controllo da parte dell’autorità costituita, a causa da un lato della crisi politica che il Granducato aveva attraversato negli ultimi anni di regno di Gian Gastone, dall’altro perché la gestione accademica si era di per sé sviluppata come alternativa rispetto alle autorità. Come abbiamo visto, le accademie avevano mantenuto per tutto il Seicento il controllo delle sale teatrali, patrocinato economicamente da principi medicei; tuttavia la loro attività si era svolta in una sfera di sostanziale autonomia rispetto al governo. Non deve stupire, quindi, che prima dell’arrivo dei lorenesi, l’organizzazione degli spettacoli fosse praticamente demandata agli accordi tra le singole accademie, con le uniche limitazioni legate alle festività religiose di pieno precetto o ai lutti della famiglia regnante4.

Quando Francesco Stefano salì al trono del Granducato di Toscana nel 1737 non intervenne con particolare incisività sul mondo teatrale, che, del resto, rappresentava un problema assolutamente secondario rispetto alle ben più impellenti questioni economiche e finanziare. Dovremo aspettare il 1748 perché venga emanato il primo regolamento organico in materia, che tuttavia si configurò come un provvedimento che rispondeva alle esigenze contingenti, in linea peraltro con la politica generale della Reggenza5. Il regolamento, non discostandosi dalla pratica fino ad allora tenuta, si basò su una preliminare intesa tra i due principali teatri della città – Pergola e Cocomero – che si erano sostanzialmente accordati su come gestire gli spettacoli nel corso dell’anno6. Furono gli accademici Immobili a inoltrare alla

4 L. MACCABRUNI, L’Accademia degli Immobili e il teatro della Pergola dai sovrani lorenesi al regno d’Italia in

Lo spettacolo maraviglioso cit., pp. 47-59

5 A. TACCHI, Della “regolata” vita teatrale fiorentina cit., pp. 3-6 6 ASFI, Reggenza lorenese, 629, fascicolo 26.

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Reggenza la bozza del regolamento valido per la loro sala, poi approvato ed esteso a tutte le altre. Per quanto fosse stato elaborato con l’intenzione di risolvere alcune problematiche momentanee soprattutto di ordine economico7 e fosse nato dall’iniziativa degli Immobili, in realtà all’interno del testo troviamo notevoli spunti di riflessione, oltre che alcune regole che vennero mantenute anche nei decenni successivi. In particolare nel regolamento del 17488 vennero messe in chiaro alcune linee guida nel rapporto economico tra impresario e accademia, fino ad allora regolato da “scritte” private stipulate di stagione in stagione, segno che ancora il mercato teatrale fiorentino non aveva assunto dei caratteri precisi ed era sempre soggetto a esiti incerti, molto spesso dipendenti dal rapporto intrattenuto tra accademici e teatranti9. In modo specifico veniva imposto all’impresario di rispettare i patti stipulati da un lato con l’accademia, dall’altro con gli scritturati e tali impegni dovevano essere saldati alla fine di ciascuna stagione, senza innescare meccanismi debitori che evidentemente erano frequenti. Nel regolamento veniva stabilita anche la condizione della gestione dei palchi, specificando che un numero di essi doveva essere lasciato gratuitamente agli accademici e ai componenti del Consiglio di Reggenza, mentre il restante poteva essere appaltato dall’impresario secondo una precisa “Nota della Tassazione dei Palchi”10. In aggiunta a ciò, venivano anche fissati i prezzi degli “appalti” per i cittadini, con una definizione precisa degli importi in funzione delle stagioni teatrali e del sesso dei partecipanti11. All’interno del regolamento veniva poi individuata quella che sarebbe divenuta la “dote” dell’impresario, ossia, insieme ai palchetti, le stanze da gioco, gli annessi del teatro e ovviamente tutti gli elementi scenici funzionali all’allestimento delle rappresentazioni.

7 La totale autonomia dell’attività teatrale aveva generato fondamentalmente problemi finanziari, come il lungo contenzioso che coinvolse gli Immobili contro l’impresario Del Ricco, che non aveva rispettato gli impegni prefissati. Cfr. L. MACCABRUNI, L’Accademia degli Immobili e il teatro della Pergola cit., p. 49.

8 ASFI, Reggenza lorenese, 629, fasc. 8, riportato integralmente all’appendice n. 3.

9 Alcuni casi di problemi di questo genere sono presenti in ASFI, Reggenza lorenese, 629, fascicoli 2, 6, 12

10 Evidentemente il prezzo dei palchi gestiti dall’impresario continuò ad essere stabilito al momento della stipula del contratto con gli accademici, secondo predisposizioni governative, senza lasciare a chi aveva in mano il teatro di poter modificare le somme richieste in base all’andamento del mercato. Ciò potrebbe essere confermato dal fatto che ancora nel 1788 l’impresario del Cocomero si rivolgeva alla Presidenza del Buon Governo per avere l’autorizzazione ad aumentare il prezzo dei palchi per i soli forestieri per cercare di compensare i mancati guadagni della stagione teatrale (cfr. ASFI, Presidenza del Buon Governo (1784-1808), affari comuni 79, affare 1239).

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Venivano poi fissate regole di ordine generale, ma non meno importanti, quali la precisa scelta di un orario di inizio delle rappresentazioni (art. XXII), le modalità di accesso alla sala per i servitori e le indicazioni stradali per il passaggio delle carrozze davanti alla sala (art. XXV).

Molto interessante il fatto che sia dedicato esplicitamente un articolo del regolamento alla definizione delle competenze tra accademici ed impresario: “L’ingerenza, e giurisdizione dell’Impresario sarà limitata alla sola amministrazione economica, nella quale non dovrà ingerirsi punto l’Accademia ..., come all’incontro saranno di privativa cognizione di questa, tutti quei regolamenti che spettano alla convenienza e decoro del teatro” (art. IX). Ecco che troviamo presente già ai tempi della Reggenza la figura del Deputato d’ispezione o Soprintendente, ossia un componente del corpo accademico scelto periodicamente per vigilare sul teatro, affinché non si verificassero incidenti spiacevoli in sala e dietro le quinte. Non è un caso, a questo proposito, se veniva imposto all’impresario di fornire all’accademia una nota degli addetti ai lavori che avessero l’autorizzazione di stare dietro il palcoscenico. Tale faccenda continuerà ad essere un problema, tanto che negli anni Ottanta le autorità si troveranno nella condizione di fare più volte richiami agli impresari affinché rispettassero tale regola, evitando che l’accesso a questi spazi del teatro desse problemi di ordine pubblico12. La possibilità per gli accademici di vigilare direttamente sulla loro sala poteva essere letta come uno dei riflessi dell’autonomia di cui avevano sempre goduto le accademie in Firenze, quasi a conferma del loro ruolo fondamentale per la vita nobiliare della città13. Il deputato doveva sostanzialmente fare attenzione che non si creassero sconcerti durante le rappresentazioni, fatti molto probabilmente frequenti. L’art. XX, in particolare, recita così:

“Seguendo applausi straordinarj, che si trovassero indecenti alla dignità di un Teatro, qualificato dalla Protezione del Suo Sovrano, ò seguendo, che il concorso degli Avventori si divida in Partiti à favore di

12 Alcuni esempi dei richiami delle autorità perché venisse rispetto il divieto di far accedere non addetti ai lavori al palcoscenico possono essere trovati in ASFI, Camera e Auditore fiscale, 2980, affare, 55 e ASFI, Presidenza del Buon Governo (1784-1808), affari comuni 28, affare 64 e 67; affari comuni 47, affare 146; affari comuni 79, afare 1211 e affari comuni 84, affare 56.

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qualche Attore, ò Ballerino, per ovviare ad ogni inconveniente, dovrà il deputato usare della sua Autorità, e prudenza per impedirne i progressi, e le conseguenze con quei mezzi, che stimerà li più valevoli, ò contro li Attori, ò Ballerini, che dessero causa allo strepito, ò contro li Fautori principali, facendo tosto levarli dal Teatro dai Soldati, e tenerli in Arresto, ò procurando loro altro gastigo dal Governo, e se talvolta per alcune circostanze e riguardi non trovasse il Deputato conveniente di procedere direttamente contro li Fautori, possa far tirare giù la Tenda, senza che l’Impresario si opponga per quei pregiudizi, che glie ne provenissero, né gli Avventori, possano reclamare per non avere avuto parte allo strepito, richiedendo così il buon’ordine, e il decoro del luogo”.

Ecco che troviamo conferma di quello di cui si lamentavano talvolta i forestieri, ossia l’abitudine del pubblico italiano di esprimere il proprio apprezzamento per le recite mediante applausi e fischi fragorosi, che talvolta potevano anche generare momenti di caos nella sala. A questa altezza temporale doveva occuparsi della questione il Deputato d’ispezione, più avanti invece l’Auditore si rifarà direttamente sull’impresario14, segno che il ruolo dell’accademia nella vigilanza a teatro stava lasciando spazio alla presenza degli esecutori in sala. Infatti, per quanto il controllo del comportamento del pubblico e dei teatranti fosse demandato all’accademia, già ai tempi della Reggenza dovevano essere presenti in sala degli “infiltrati”, che nei giorni in cui erano permesse le maschere venivano lasciati passare senza doversi prima identificare all’ingresso. Tale prassi diventerà sempre più comune in epoca leopoldina, soprattutto all’indomani della creazione dei commissariati, tanto da spingere le accademie ad abbandonare quasi completamente il loro ruolo ispettivo in sala15.

Ad ogni modo che ci fosse la presenza di spie del governo a teatro già all’epoca della Reggenza è confermato dal fatto che le compagnie comiche che si esibivano in città e i teatri stessi, obbligati a pagare una tassa dapprima alla Dogana poi all’Arte della seta e più tardi alla

14 ASFI, Camera e Auditore fiscale, 2925, affare 734.

15 ASFI, Presidenza del Buon Governo (1784-1808), affari comuni 114, affare 840. Si tratta della carta di istruzioni dell’Accademico di ispezione del teatro del Cocomero datata 1790, a cui viene annessa una memoria in cui viene ripercorsa proprio la storia della vigilanza nelle sale teatrali. La questione verrà trattata più avanti nel capitolo.

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Comunità16, erano solite sostituire il pagamento, in toto o in parte, con la fornitura di una serie di biglietti gratuiti alle autorità, le quali li utilizzavano, oltre che per il loro divertimento personale, anche per infiltrare a teatro sbirri e spioni. L’uso di dare biglietti gratuiti alle principali istituzioni del Granducato da parte di compagnie comiche e impresari generava nondimeno un problema di fondo: considerando che gli impresari ottenevano parte dei loro introiti proprio dalla vendita dei cosiddetti “bullettini”, poteva verificarsi che coloro che erano in possesso dei biglietti gratuiti li rivendessero, creando un guadagno parallelo e in parte concorrente rispetto a quello ufficiale del teatro. In particolare tale preoccupazione animò l’impresario del Cocomero nel 1754, che propose al Consiglio di Reggenza di sostituire i biglietti gratuiti con una sorta di contraccambio in denaro ad essi corrispondente, così da eliminare il problema alla base. La risposta del governo fu però negativa. Del resto c’è da dire che questo tipo di biglietti venivano comunque tenuti d’occhio e i “confidenti” del Bargello erano immediatamente identificati, proprio in virtù del fatto che potevano, a differenza degli altri, entrare gratuitamente17.

Dunque, il regolamento del 1748, primo intervento legislativo organico in materia teatrale, interveniva decisamente sui rapporti tra accademia e impresario18, peraltro su impulso dell’accademia stessa, che evidentemente aveva colto l’occasione per tutelarsi rispetto ai rischi connessi ai contratti impresariali, e organizzava il contesto teatrale sulla base dell’accordo duopolistico tra Pergola e Cocomero, che avevano sostanzialmente pattuito tra loro la spartizione dei generi teatrali, che poi sarà una costante delle due sale, con un diritto di prelazione per la Pergola quanto alla scelta delle stagioni in cui aprire il teatro19. L’aspetto

16 Il pagamento della tassa venne attribuito all’Arte della seta nel 1771 (cfr. ASFI, Camera e Auditore fiscale, 2823, affare 208 e 2826, affare 21), successivamente alla Camera di commercio nel 1781 e alla Comunità di appartenenza del teatro in cui ci si andava ad esibire dal 1782.

17 ASFI, Camera e Auditore fiscale, 2840, affare 367.

18 Assai interessante il fatto che il provvedimento del 1748, come abbiamo visto, si orientasse sulla regolamentazione di rapporti di tipo privatistico, che coinvolgevano accademia e impresari, mentre i successivi testi legislativi si concentrarono sulla dimensione più propriamente pubblica del teatro.

19 La Pergola ha la privativa sull’opera seria e il Cocomero su quella buffa. In particolare viene stabilito: “Pel Carnevale resta fissato d’accordo che, che l’Accademia di via della Pergola abbia tempo à determinarsi che si facciano l’Opere nel suo Teatro fino a tutto Luglio, passato il qual termine possa fare l’altra di via del Cocomero ciò che gli aggrada nel suo Teatro. Pel S. Giovanni resta fissato come sopra il termine alla prima fino a tutto Marzo. Per l’Autunno resta fissato parimente alla prima il termine fino a tutto Maggio. Intendendosi però ogni anno in una delle tre stagioni possa l’Accademia di via del Cocomero aver luogo da far sola l’Opera, ò Burletta e perciò ad elezione del

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essenziale della vicenda è che il regolamento prevedesse che non potessero stare aperti entrambi i teatri contemporaneamente, onde evitare una eccessiva concorrenza che di rimando avrebbe creato problemi economici. Gli effetti negativi di questo tipo di regolamentazione non tardarono a farsi sentire, tanto che nel 1750 il già citato ambasciatore inglese a Firenze, sir Horace Mann, scriveva a Walpole: “There is not the least society, except among the Lorrainers, who are chatty enough, but rather ignorant and insignificant”20.

Le deroghe a queste regole venivano di volta in volta affidate al giudizio della Reggenza, che peraltro non fu molto parca nel fornire questo tipo di concessioni. Notiamo che quantitativamente esistono più permessi eccezionali di apertura, piuttosto che rifiuti a tali richieste; concessioni che aumentano di numero sul finire degli anni Cinquanta, ossia quando la Reggenza si decise per un ritorno sui propri passi21. Nel 1760, infatti, venne concessa la riapertura dei teatri fiorentini, senza particolari distinzioni, sancendo legislativamente ciò che di fatto stava già accadendo. La domanda di spettacolarità in città era così diffusa da riuscire a spingere le autorità a riconsiderare l’utilità di maggiori concessioni di aperture. Garantire ai teatri pubblici, più o meno importanti, di poter fornire spettacoli a fiorentini e forestieri permetteva in un certo senso di evitare la diffusione dei teatrini nelle case private, su cui il massimo che si era potuto fare era impedire che imponessero il pagamento di un biglietto all’ingresso22. Probabilmente di non secondaria importanza fu la contingente politica della Reggenza in merito alla nobiltà, con la già più volte ricordata legge del 1750. Di fronte alla volontà di intervenire sui metodi di ascrizione al ceto aristocratico i lorenesi si trovarono nella necessità di raggiungere un indispensabile compromesso legislativo, a cui potrebbe aver fatto eco anche una maggiore indulgenza nelle aperture teatrali. Se era vero che andare a teatro fosse un modo per manifestare apertamente la propria appartenenza cetuale e fosse un modo per

Teatro di via della Pergola, le sia lasciata libera, quando non l’avessero già avuta nel corso dell’anno” ASFI, Reggenza lorenese, 629, fascicolo 26.

20 HWC, vol. XX, p. 115.

21 ASFI, Reggenza lorenese, 630, fascicolo 8 intitolato “Teatri ai quali è stata negata la grazia di fare commedie, balli e non gli è stato accordato l’ingresso alle maschere dal 1742 al 1765”; ASFI, Reggenza lorenese, 631 col titolo “Teatri ai quali dal 1738 al 1759 è stato accordato l’ingresso alle maschere, il fare commedie e feste di balli” e ASFI, Reggenza lorenese, 632 per le concessioni degli anni 1760-1766.

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ribadire e rappresentare gli equilibri sociali, è plausibile che la Reggenza, già a rischio di forte collisione coi nobili fiorentini, decidesse per una certa dose di indulgenza nei confronti di un divertimento così caro all’aristocrazia della città, rivalutando la politica restrittiva inaugurata nel 1748.

All’arrivo di Pietro Leopoldo a Firenze, dunque, era presente un ambiente teatrale florido e già di buona qualità per quanto riguardava la programmazione operistica. Certo, si trattava di un mercato ancora viziato a causa degli accordi tra Pergola e Cocomero, che continuavano a gestire tramite privative la produzione teatrale di opera seria e buffa, ma è anche vero che sussistevano a fianco delle due sale principali, altri teatri che permettevano di rispondere alla domanda di spettacolarità della città. Erano attivi, infatti, il teatro della Piazza Vecchia e il teatro di via Santa Maria23, oltre che una serie di piccole sale che erano riuscite a sopravvivere durante il periodo della Reggenza.

Volendo mettere ordine anche in questo ambito della vita pubblica, il giovane Granduca decise di intervenire con un regolamento, che, su consiglio del Rosenberg, venne elaborato sulla bozza presentata di nuovo dall’Accademia degli Immobili, incaricata appositamente24. Come già aveva fatto la Reggenza, anche Pietro Leopoldo decise di appoggiarsi alla già presente rete accademica, consapevole che questo gli avrebbe consentito di mantenere buoni rapporti con la nobiltà, in qualche modo coinvolta nelle scelte relative alla propria vita sociale, e contemporaneamente avrebbe sollevato il governo dal doversi informare approfonditamente su un argomento così specifico. Ricordiamo, infatti, la tendenza tutta leopoldina a voler svolgere indagini precise sugli ambiti su cui legiferare e ricordiamo anche che questi sono gli anni della carestia in Toscana e degli studi statistici svolti per permettere di dare una svolta liberistica alla produzione cerealicola del Granducato. Forse per motivi di priorità e di opportunità, Pietro Leopoldo ritenne conveniente delegare l’elaborazione di massima del progetto di regolamento, alla prima accademia della città, quella degli Immobili, che sostanzialmente spinse affinché

23 Cfr. capitolo II, paragrafo 3

24 L. MACCABRUNI, L’Accademia degli Immobili e il teatro della Pergola cit., p. 50; A. TACCHI, Della “regolata”

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venissero mantenute le privative già vigenti. Il promemoria con cui si apre il progetto di regolamento rende evidente il principio alla base del documento: “L’uso oramai universalmente introdotto in tutte le città principali dell’Italia non solo, ma dell’Europa tutta di tenere aperto il teatro in tutte le stagioni dell’anno, sembra che molto conferisca alla pubblica quiete, e provveda i popoli d’un onesto, ben regolato, e più economico divertimento”25. Molto probabilmente erano dello stesso avviso anche il Granduca e i suoi collaboratori se il testo del progetto venne approvato in tutte le sue parti con lievissime modifiche. Il regolamento dell’agosto 176726 prevedeva che alla Pergola rimanesse la privativa per l’opera seria in carnevale e al Cocomero per l’opera buffa in primavera con delle precise regole per ciascuna stagione. Nel carnevale la Pergola avrebbe aperto con l’opera seria, dando 12 repliche per ciascuno dei due drammi che era tenuta a commissionare, mentre il Cocomero avrebbe messo in scena l’opera buffa e le commedie in prosa con balli. Conseguentemente in primavera la sala degli Infuocati aveva la possibilità di aprire con opera buffa, con 15 repliche per ciascuno dei due libretti commissionati; alternativamente poteva mettere in scena commedie in prosa. L’autunno restava in bilico: la Pergola poteva aprire a discrezione dell’impresario. Qualora decidesse di effettuare delle rappresentazioni aveva la privativa sia su musica che su prosa, in caso contrario la privativa sarebbe passata al Cocomero che poteva dare commedie in prosa con balli. Di solito la stagione autunnale, meno frequentata, veniva lasciata dagli Immobili a disposizione del Cocomero, che ne fece un po’ il suo cavallo di battaglia. Non a caso quando Compstoff, impresario della Pergola dal 1755 al 1771, decise di potenziare l’offerta teatrale della sua sala anche in questo periodo, scatenò un’accesissima disputa tra le due accademie27. In tutto questo venivano ammessi solo altri due teatri a Firenze in concorrenza con le due sale maggiori, cioè il teatro di via Santa Maria e quello della Piazza Vecchia, che ottennero la possibilità di aprire nel solo carnevale con commedie in prosa con balli. Tutti gli altri teatri dovevano chiudere, in quanto, come

25 ASFI, Segreteria di Stato (1765-1808), 44, n. 25.

26 Non c’è traccia del provvedimento all’interno delle Leggi e Bandi, ma lo troviamo in ASFI, Camera e Auditore

fiscale, 2803, affare 325. Il testo del regolamento è riportato integralmente in appendice n. 4.

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sostenevano gli Immobili, “la libertà dei medesimi ad altro non serve, che a togliere agl’altri quattro, destinati a stare aperti nel carnevale, il necessario concorso, e forse ad impedire l’apertura di essi”. Sebbene i quattro teatri permessi fossero “più che bastanti relativamente al