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L’ESECUZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI SEQUESTRO

1.RAPPORTI CON I SEQUESTRI CAUTELARI E CON ISTITUTI CONTIGU

4. L’ESECUZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI SEQUESTRO

Il sequestro probatorio è eseguito dall’autorità giudiziaria che può, per espressa previsione dell’art. 253, 3° comma, c.p.p., avvalersi, per la materiale esecuzione dell’atto, della polizia giudiziaria, delegata a tal scopo con lo stesso provvedimento con cui si adotta il sequestro. Tale previsione di delegabilità alla polizia giudiziaria rientra, invero, nella gestione ordinaria dell’attività investigativa del p.m.: questi, in forza dell’art. 370, 1° comma, c.p.p., compie personalmente ogni attività d’indagine potendosi avvalere, se opportuno o necessario, della polizia giudiziaria <<per il compimento di attività d’indagine e di atti specificamente delegati>>. Il 2° comma dello stesso art. specifica poi che la polizia giudiziaria delegata al compimento di tali atti è tenuta ad osservare tutte le disposizioni che disciplinano l’attività del p.m. La delega, dovendo risultare espressamente dal corpo del provvedimento di sequestro, non necessita di assumere forme particolari, reputandosi sufficiente l’espressa menzione della stessa; in mancanza di tale indicazione il sequestro si riterrà eseguito dalla polizia giudiziaria a norma degli artt. 354 e 355 c.p.p. 87

Non tutti gli atti d’indagine, però, possono essere delegati alla polizia giudiziaria: l’art. 103 c.p.p., infatti, nel disciplinare le speciali <<garanzie di libertà>> dell’attività difensiva, detta regole particolari anche in ordine alle modalità d’esecuzione di alcuni tipici atti investigativi, tra cui il sequestro. Al 4° comma si prescrive che alle ispezioni, perquisizioni, sequestri, da effettuarsi negli uffici dei difensori proceda personalmente il giudice o, nel corso delle indagini preliminari, il p.m. in forza di motivato decreto di autorizzazione del giudice. Questa norma è funzionale a fornire una tutela rafforzata all’attività difensiva e sottende la preoccupazione del legislatore di assicurare il massimo rispetto dei valori aggrediti

87 Questi artt. fanno riferimento all’ipotesi di sequestro compiuto motu proprio dalla polizia giudiziaria quando

ricorrano le particolari situazioni di urgenza che legittimano gli ufficiali a compiere di propria iniziativa determinati atti rientranti nella più ampia attività diretta all’assicurazione delle fonti di prova.

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mediante l’attività di accertamento, esprimendo fiducia nella capacità dell’autorità giudiziaria di contenere l’indagine nei limiti ad essa funzionali, evitando che degeneri in una ricerca a tutto campo. Tale principio è stato in parte eroso dalla giurisprudenza, secondo cui esso non comporta comunque che le relative operazioni debbano essere materialmente e fisicamente eseguite dall’autorità giudiziaria, la quale si può limitare a <<dirigere e controllare le operazioni esecutive materialmente svolte dalla polizia giudiziaria>>. L’importante è che l’autorità giudiziaria sia presente attivamente durante lo svolgimento di tali attività, coordinando e dirigendo il lavoro.88

Sull’autorità giudiziaria grava, in ogni caso, un obbligo inderogabile di disporre il sequestro probatorio ogniqualvolta ne ricorrano i presupposti predeterminati da legge: ciò si desume chiaramente dalla formula dell’art. 253 c.p.p., dove di specifica che il sequestro probatorio costituisce un atto tipico dell’ufficio del p.m. (o del giudice), la cui adozione non può, per alcun motivo, essere omessa o ritardata, pena la vanificazione del risultato utile verso cui l’atto tende. Nonostante ciò, non può comunque trascurarsi come l’attività in esame rientri pur sempre nell’ampio ed incondizionato potere del p.m. di organizzare i modi ed i tempi dell’attività investigativa secondo i propri personali convincimenti. Dunque, è tendenzialmente preclusa allo stesso la possibilità di temporeggiare all’adozione del provvedimento di sequestro, ma in alcuni settori, particolarmente delicati di indagine, questa inderogabilità degli adempimenti potrebbe rischiare di frustrare irrimediabilmente proprio gli stessi scopi verso cui l’accertamento penale è diretto. Il legislatore, perciò, è intervenuto con una serie di disposizioni legislative mirate per bilanciare queste contrapposte esigenze nei fenomeni criminosi di rilevante allarme sociale. In questa prospettiva, il d.P.R. n° 309 del 9.10.1990 (contenente il <<Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi

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stati di tossicodipendenza>>) introduce norme derogatorie all’ordinario sistema codicistico. L’art. 97, in particolare, delinea, al 1° comma, una particolare figura di “agente provocatore”, individuando tassativamente i presupposti e gli scopi ai quali è subordinata la non punibilità della sua condotta che si concluda con l’acquisto di sostanze stupefacenti o psicotrope. Nel 2° comma prescrive poi che dell’avvenuto acquisto di tali sostanze, da parte di suddetto ufficiale di polizia giudiziaria “infiltrato”, sia data immediata e dettagliata comunicazione alla Direzione centrale per i servizi antidroga ed all’autorità giudiziaria, conferendo a quest’ultima la facoltà, da esercitarsi con decreto motivato, di differire il sequestro fino alla conclusione delle indagini. E’ chiaro che l’attività dell’agente provocatore è effettuata all’unico fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dalla presente legge, perciò è il perseguimento di suddetto fine a legittimare anche il potere di differimento del sequestro. La norma in questione fa riferimento generico all’autorità giudiziaria come legittimataria del potere di adottare tale provvedimento di differimento, ma nel nostro contesto in realtà sarà il p.m., quale

dominus dell’attività d’indagine, a poter decidere liberamente se cristallizzare i

presupposti del sequestro in un decreto, per poi con ulteriore atto motivato, differirne l’esecuzione oppure limitarsi a statuire con un unico atto che allo stato delle indagini il sequestro delle sostanze stupefacenti non deve essere disposto. L’importante è che rispetti il termine ultimo entro cui l’atto può essere differito, cioè quello della chiusura delle indagini preliminari. L’art. 98 del d.P.R. n° 309/1990 riconosce poi all’autorità giudiziaria la facoltà di ritardare l’emissione o disporre che sia ritardata l’esecuzione di provvedimenti di cattura, arresto o sequestro. In questo caso si prescinde dalla specifica situazione descritta nell’art. precedente pur prevedendosi che il ritardo nell’adozione di siffatti provvedimenti risponda ad esigenze investigative individuate nella necessità dell’acquisizione di rilevanti elementi probatori o per l’individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti di cui agli artt. 73 e 74 del medesimo d.P.R. 89

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E’ proprio attraverso il differimento dell’atto che si vanno a realizzare i predetti obiettivi dell’investigazione; tra l’altro è da rilevare come in settori d’indagine così delicati proprio la ritardata esplicitazione dell’attività investigativa in corso può effettivamente rappresentare uno degli strumenti più efficaci per contrastare incisivamente le organizzazioni criminose dedite al narcotraffico.