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L’esercizio provvisorio nelle società a partecipazione pubblica

Prima di parlare di esercizio provvisorio nelle società a partecipazione pubblica78, è necessario stabilire se queste società siano assoggettabili alla disciplina fallimentare, e conseguentemente se di esse si possa disporre l’esercizio provvisorio. Dottrina e giurisprudenza su questo tema sono ampie e controverse, ma si proverà a dare spazio ad ogni teoria e pensiero, citando l’adeguata giurisprudenza per ogni caso79.

Innanzitutto si può verificare, dalla lettura congiunta del Codice Civile e della Legge Fallimentare, quali siano i soggetti che possono incorrere nel fallimento. L’art. 2221 c. c. assoggetta alle procedure fallimentari, nel caso di insolvenza, “gli imprenditori che

esercitano un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori”. Nello stesso senso è anche l’art. 1, primo comma, L. F..

Stabiliti i soggetti assoggettabili al fallimento (e di conseguenza di cui si potrebbe dichiarare l’esercizio provvisorio), bisogna chiarire se le società a partecipazione pubblica siano da considerarsi enti pubblici –pertanto non fallibili- oppure no. Si sono sviluppate tre teorie, alle quali corrisponde un diverso metodo di analisi per stabilire se l’ente è da considerarsi pubblico o privato.

Il metodo tipologico, adottato, come si vedrà più avanti, dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sez. fall., per formulare la sentenza del 24/05/2011, consiste nell’analizzare se la società presenta degli indicatori tipici di pubblicità oppure no, e, a seconda dell’esito, nell’applicare la normativa di riferimento. Non è scontato, secondo questo metodo, che una società per azioni non possa essere definita “ente pubblico”; nella sentenza della Cassazione Sez. Unite del 03/05/2005, n. 9606, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma sosteneva che “una società per azioni non potrebbe

mai assumere la veste di “istituzione pubblica”.” Rispondeva la Cass. Sez. Un. che quell’affermazione corrisponde alla visione tradizionale, secondo la quale le S.p.A. sono

78 Da un’analisi Istat pubblicata il 16 novembre 2015 su: http://www.istat.it/it/archivio/173587 emerge

che nel 2013 le imprese a partecipazione pubblica in Italia erano 10.964 ed occupavano 953.100 persone. In particolare, le società partecipate da enti pubblici per una quota superiore al 50% erano 6.315 (il 57,6%). La forma giuridica adottata dal 31,8% di queste società era la società per azioni.

istituzioni private e vanno considerate tali anche se partecipate da enti pubblici. La Cass. sosteneva invece che il fenomeno della privatizzazione ha fatto sì che “alcuni

servizi pubblici -pur ritenuti “essenziali”- siano stati affidati a società per azioni le cui quote sono di pertinenza prevalente, se non esclusiva, di enti pubblici”. Pertanto concludeva sostenendo che non è la tipologia dell’ente (S.r.l., S.p.A., S.a.s., ecc) a determinarne la natura, bensì è necessario valutare caso per caso80.

Il metodo funzionale o sostanzialistico invece prevede la distinzione tra società a partecipazione pubblica necessarie e non necessarie. Sono ritenute necessarie quelle il cui oggetto sociale sia l’offerta di un servizio pubblico essenziale81

(come la raccolta dei rifiuti82), le altre si classificano come non necessarie. Le prime vengono qualificate, secondo il presente metodo, come enti pubblici e considerate pertanto esenti dalle procedure concorsuali.

La terza tesi è quella privatistica e prevede che se una società è costituita secondo le tipologie previste dal codice civile e ha ad oggetto un’attività commerciale allora è

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Documento consultato su:

http://www.francocrisafi.it/web_secondario/sentenze%202005/cassazione%20civile%20ss%20uu%20sent enza%209096%202005.pdf.

81 Un elenco di servizi pubblici indispensabili si può ricavare dall’art. 2, secondo comma, della Legge

146/1990, in materia di servizi da garantire in costanza di scioperi:

“a) per quanto concerne la tutela della vita, della salute, della libertà e della sicurezza della persona, dell’ambiente e del patrimonio storico-artistico; la sanità; l’igiene pubblica; la protezione civile; la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani e di quelli speciali, tossici e nocivi; le dogane, limitatamente al controllo su animali e su merci deperibili; l’approvvigionamento di energie, prodotti energetici, risorse naturali e beni di prima necessità, nonché la gestione e la manutenzione dei relativi impianti, limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi; l’amministrazione della giustizia, con particolare riferimento ai provvedimenti restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti, nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione; i servizi di protezione ambientale e di vigilanza sui beni culturali; l’apertura al pubblico regolamentata di musei e altri istituti e luoghi della cultura, [...] b) per quanto concerne la tutela della libertà di circolazione;i trasporti pubblici urbani ed extraurbani autoferrotranviari, ferroviari, aerei, aeroportuali e quelli marittimi [...] c) per quanto concerne l’assistenza e la previdenza sociale,nonché gli emolumenti retributivi o comunque quanto economicamente necessario al soddisfacimento delle necessità della vita attinenti a diritti della persona costituzionalmente garantiti; i servizi di erogazione dei relativi importi anche effettuati a mezzo del servizio bancario; d) per quanto riguarda l’istruzione; l’istruzione pubblica, con particolare riferimento all’esigenza di assicurare la continuità dei servizi degli asili nido, delle scuole materne e delle scuole elementari, nonché lo svolgimento degli scrutini finali e degli esami, e l’istruzione universitaria, con particolare riferimento agli esami conclusivi dei cicli di istruzione; e) per quanto riguarda la libertà di comunicazione; le poste, le telecomunicazioni e l’informazione radiotelevisiva pubblica.”

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A questo proposito vedi sentenza del Tribunale di Catania, depositata il 26/03/2010 e consultata su:

assoggettabile al fallimento83. Tuttavia, più di una giurisprudenza sostiene che sia sufficiente la tipologia societaria (e non rilevi il tipo di attività svolta) per escludere la classificazione come ente pubblico; ad esempio, citando la sentenza della Cassazione Civile, sez. I, 27/09/2013, n. 2220984 “ciò che rileva nel nostro ordinamento ai fini

dell’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale non è il tipo dell’attività esercitata, ma la natura del soggetto: se così non fosse, [...] si dovrebbe giungere alla conclusione che anche le società a capitale interamente privato cui sia affidata in concessione la gestione di un servizio pubblico ritenuto essenziale sarebbero esentate dal fallimento. [...] Deve dunque concludersi [...] che la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali -e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico- comporta anche che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto [...]”. Si può quindi affermare, data la diversità di vedute in dottrina e in giurisprudenza, che una società a partecipazione pubblica può essere dichiarata fallita e ne può essere disposto l’esercizio provvisorio solo se essa non viene considerata un “ente pubblico”, quindi se ad essa si applica la disciplina fallimentare.

È da notare, però, che l’art. 104 L. F. non prevede la possibilità di usufruire dell’esercizio provvisorio per la tutela dell’interesse pubblico, perché esplicita solo l’interesse dei creditori. Tuttavia si può ritenere che se l’interruzione di un servizio pubblico (erogato ad esempio da una S.p.A. a partecipazione pubblica, non considerata ente pubblico) generi un danno grave, si possa ugualmente disporre l’esercizio provvisorio purché esso non crei pregiudizio ai creditori. La modalità di disposizione dell’istituto sarà la medesima: esso potrà essere disposto dal tribunale contestualmente alla sentenza dichiarativa di fallimento o, successivamente, su proposta del curatore (vedi capitoli precedenti).

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In questo senso Cass. 06/12/2012, n. 21991

Come dimostrano le divergenze tra dottrina e giurisprudenza, quello trattato non è un tema di facile soluzione, né da prendere alla leggera: infatti, nella decisione che riguarda l’assoggettabilità o meno alle procedure concorsuali, bisogna tener conto dell’interesse dei creditori. Tutta la disciplina fallimentare è stata predisposta principalmente a tutela dei creditori ed esentando erroneamente un’impresa dalla procedura si genererebbe un gravissimo danno soprattutto nei loro confronti.