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L’esperienza di Alghero: “Il Distretto della Creatività”

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contesto all’interno dei profili di legalità e legittimità. Da un punto di vista fattuale, si è riusciti a far condividere all’associazione occupante un per- corso legittimo, che di seguito descriverò, a cui partecipare abbandonando le precedenti posizioni radicali, di fatto mettendosi in gioco nell’ottica di un nuovo processo di valorizzazione del bene comune (individuando la ex caserma come primo passo verso l’identificazione dei beni comuni di Alghero) e di un nuovo processo, aperto a tutti, di partecipazione attiva. 2. La legittimazione giuridica del progetto: un percorso a ritroso

Ottenuto tale non scontato risultato, è stato necessario affrontare, a monte, una questione tipica dell’operatore del diritto che, a ritroso, deve riuscire a trovare un inquadramento giuridico a fenomeni sociali in atto, anche quando il legislatore non si è ancora espresso o almeno non l’ha fatto così chiaramente. C’era da capire, quindi, se il progetto di valoriz- zazione del bene comune “Ex Caserma” avesse basi giuridiche solide tali da legittimare la dirigenza dell’Ente a sottoscrivere proposte di delibera e provvedimenti con conseguenti potenziali responsabilità a proprio carico: insomma, una ricostruzione di tipo teorico, ma con un evidente precipi- tato pratico e sostanziale.

Pur essendo banale evidenziare, come già avvenuto da parte della dottrina più autorevole e di tutti i funzionari pubblici che pionieristica- mente hanno affrontato il tema dei beni comuni e della cittadinanza attiva, che l’intera questione ha necessità di essere disciplinata da un intervento di diritto positivo che permetta a tutti gli addetti ai lavori di agire nella certezza del diritto, ritengo che ad oggi ci siano comunque spazi per le- gittimare i processi sopra riassuntivamente descritti.

Non v’è dubbio, infatti, che una lettura coordinata dell’articolo 2, dell’articolo 3, dell’articolo 43 e dell’articolo 118 quarto comma della Costituzione italiana permetta di dare copertura al fenomeno dei beni comuni e alle pratiche di cittadinanza attiva. Queste disposizioni rico- noscono l’individuo sia come persona, sia come soggetto partecipe della vita sociale della propria comunità, sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale e, seppur indirettamente, si lascia spazio ad ipotesi di trasfe- rimenti di beni a favore di “comunità di lavoratori o utenti”.

D’altra parte, il legislatore, pur in maniera frammentaria e disorga- nica, ha cercato di intervenire recependo le prassi o le consuetudini che nel nostro Paese si andavano diffondendo, creando un vero e proprio diritto vivente: è noto infatti che molti enti locali, soprattutto di piccole

dimensioni, proprio per risolvere il problema della gestione di beni d’in- teresse generale, a fronte di scarse risorse economiche a disposizione, si erano rivolti – con forme pattizie o ricorrendo al volontariato del singolo, di gruppi di cittadini o di associazioni – alla collettività interessata alla sopravvivenza di quel bene per garantire la manutenzione ordinaria o straordinaria dello stesso. Da queste esperienze pratiche emergono i primi tentativi di inquadramento legislativo con l’articolo 24 del decreto legge 12 settembre 2014 n. 133 (meglio noto come “decreto Sblocca Italia”) che introduce, mediante una definizione poco felice, il cosiddetto “baratto am- ministrativo” a cui seguono gli articoli 189 e 190 del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 (cosiddetto Codice dei Contratti pubblici) che prevedono alcune fattispecie di partenariato sociale, recependo sia la disciplina del baratto amministrativo sia altre forme di valorizzazione di beni comuni già descritte da altri interventi normativi precedenti (ad esempio, l’articolo 23 del decreto legge 29 novembre 2008 n. 185 e l’articolo 4 della legge 14 gennaio 2013 n. 10).

Se è vero che le disposizioni citate lasciano qualche perplessità sia per l’inserimento all’interno del Codice dei Contratti pubblici, che non appare essere l’inquadramento più appropriato in ordine alla natura del fenome- no, sia perché pongono troppo in evidenza l’elemento della corrispettività della prestazione svolta, anziché soffermarsi sul nucleo fondante dello strumento che si basa sui concetti di “bene comune” e di “cittadinanza attiva”, non v’è dubbio che è da apprezzare l’intento di riconoscere a livello legislativo la fattispecie, anche in modo flessibile, così da lasciare ampio spazio alle possibili declinazioni sul territorio.

Parimenti rilevante, per le finalità che si pone il funzionario pubblico che ricerchi “appigli” legislativi, è la lettura coordinata degli artt. 55, 56 e 71 del decreto legislativo 3 luglio 2017 n. 117 (Codice del Terzo settore) che riconosce la specialità dei rapporti tra Pubblica Amministrazione ed Enti del Terzo settore nell’ottica della valorizzazione a fini sociali e cul- turali di beni mobili ed immobili di proprietà pubblica non utilizzati per fini istituzionali, ma tali da assicurare “la corretta conservazione nonché l’apertura alla pubblica fruizione…”: pur non citandolo espressamente, il legislatore definisce, di fatto, una delle fattispecie possibili di valoriz- zazione di un bene comune. Ritengo che il Codice del Terzo settore sia uno strumento legislativo di grande ampiezza e di grandi potenzialità nell’ottica di costruire un “pacchetto” giuridico per la valorizzazione dei beni comuni, nonostante alcuni interventi giurisprudenziali che tendono a limitarne la portata innovativa (si veda Consiglio di Stato, Adunanza della Commissione speciale del 26 luglio 2018, n. 2052/2018).

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Anche la stessa giurisprudenza, nel corso del tempo e seppur timi- damente, ha offerto agli operatori alcuni principi importanti che posso- no legittimare e supportare progetti di valorizzazione dei beni comuni in funzione di cittadinanza attiva. In tale ottica è importante ricordare che il Consiglio di Stato in sede consultiva riconosce il fenomeno della “cittadinanza societaria” e “l’elaborazione di pratiche di autogoverno collettivo e democratico” (Consiglio di Stato, sez. Consultiva per atti normativi 25/08/2003 n. 1440), nonché la Corte di Cassazione che riconosce che il bene è pubblico, non tanto per il titolo giuridico, ma per la destinazione a beneficio della collettività che, in quanto tale, deve essere garantita nelle varie forme di godimento (Cass. Civ., s.u., 14 febbraio 2011, n. 3665). Non meno rilevante è la citazione della deliberazione della Corte dei Conti sezione regionale di controllo per il Veneto 2 ottobre 2012 n. 716, che, tra le prime sezioni di controllo, riconosce che la valorizzazione del patrimonio pubblico non deve ne- cessariamente avvenire mediante lo sfruttamento economico e quindi essere valutata in base al risultato economico, ma anche mediante diverse forme di valorizzazione a fini generali e per lo sviluppo della comunità amministrata. In sostanza, si traccia il concetto di redditività civica o sociale che rappresenta (lo si vedrà meglio nella descrizione del progetto di valorizzazione del Distretto della Creatività) un fonda- mentale strumento di lettura e interpretazione di qualsiasi fattispecie di valorizzazione del bene comune, al fine di evitare eventuali profili di responsabilità amministrativa/contabile.

Infine, risulta esaustiva, per le finalità che ci si pone, la lettura di una recente delibera dell’Adunanza generale della sezione delle Autonomie della Corte dei Conti (Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie, Adu- nanza del 14 novembre 2017 n. 26/SEZAUT/2017/QMIG) che, di fatto, riconosce la cittadinanza attiva come un valore sociale di rilevanza costi- tuzionale senza la necessità di un intervento legislativo interpositivo, in funzione del principio di sussidiarietà orizzontale che incentiva la Pubblica Amministrazione a privilegiare la valorizzazione dei propri beni mediante l’attività dei volontari sia in forma associata che uti singuli. È da evidenziare oltremodo, che la Corte dei Conti riconosce anche il principio secondo cui la valorizzazione del bene può avvenire non obbligatoriamente mediante persone giuridiche o associazioni di vario tipo, ma anche mediante la partecipazione libera di uno o più volontari.

Come si è accennato, questo breve excursus normativo e giurispru- denziale, pur in attesa di un intervento organico, può rappresentare una prima base per dare legittimazione giuridica a qualsiasi progetto di va-

lorizzazione di un bene comune così come è stato fatto per costruire il progetto del Distretto della Creatività di Alghero.

3. La costruzione del progetto e le “invarianti”

Tralasciando i presupposti e il contesto di questa esperienza, già de- scritti riassuntivamente in premessa, vale la pena evidenziare le finalità fondamentali del progetto e i criteri che si sono seguiti, oltre che i prin- cipi di fondo che si sono andati via via affermando durante il percorso di realizzazione.

L’Amministrazione comunale intendeva recuperare la ex caserma dei Carabinieri come luogo delle arti e della creatività, quindi come spazio socio-culturale aperto alla Città e fruibile e quindi trasformare progres- sivamente un “ex luogo” del territorio in un centro vivo e partecipato eliminando, naturalmente, l’aspetto patologico costituito dall’occupazio- ne sine titulo del bene. Nel corso dell’approfondimento sul quomodo già partito precedentemente al mio incarico e che stava seguendo le vie più tradizionali dell’appalto pubblico a un soggetto giuridico, si è riflettuto sul fatto che in realtà la ex caserma era vissuta dai cittadini come un bene comune, perché si voleva che tornasse a vivere secondo contenuti e finalità che non potevano che essere partecipati e condivisi.

In base a questa ulteriore e più approfondita riflessione, si è deciso, rispettando il principio di evidenza pubblica, di costruire un bando e un capitolato che rispondessero ad alcuni inderogabili criteri. Innanzitutto, rendere gli spazi il più possibile inclusivi e conseguentemente costruire la procedura di gara in due fasi: la prima, che richiama il cosiddetto dialogo competitivo e la seconda, eventuale, di scelta e selezione dei concorrenti. In sostanza, i soggetti partecipanti, oltre ad aderire ai principi cardine del progetto (le finalità generali descritte e i principi che poi andremo a enucle- are) dovevano presentare un proprio progetto socio culturale rispondente alle finalità richieste dalla popolazione. Dopo la valutazione di idoneità dei progetti presentati, da parte della Commissione di gara, gli offerenti venivano invitati a riunirsi tra loro costruendo un progetto condiviso che riunisse i contenuti di ogni singola offerta rendendoli compatibili, entro un termine perentorio. La procedura poteva concludersi, quindi, con la presentazione di un progetto condiviso e giudicato idoneo dalla Commissione, così come è avvenuto, ovvero, in assenza di un progetto condiviso, con la selezione del progetto giudicato migliore in base a criteri predeterminati. La citata procedura ha prodotto un risultato sicuramente

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positivo perché (anche grazie ad una seconda edizione del bando) ha ri- unito oltre dieci associazioni di ispirazione diverse in un unico progetto condiviso negli spazi e nei servizi, con finalità sociali e culturali e fruibile gratuitamente dalla cittadinanza. Inoltre, come accennato, gli occupanti senza titolo hanno accettato di concorrere paritariamente agli altri, di fatto riconducendo a legalità la situazione precedente.

Al fine di rispettare il principio giuscontabile di valorizzazione del bene, come accennato, si è deciso di evidenziare la redditività civica del progetto peraltro cercando di tradurre questa riflessione in dati concreti. Quindi, a monte, è stata realizzata una analisi costi/benefici delle varie alternative possibili di utilizzo, anche in considerazione della carenza di risorse economiche pubbliche per la ristrutturazione dell’immobile e della possibilità, invece, di garantire vitalità ad uno spazio di fatto abbandonato, in cambio della manutenzione ordinaria dell’edificio e dei costi di gestione (pulizie, utenze, ecc.).

Successivamente, è stata effettuata una perizia tecnica per valutare il valore attuale dell’immobile e il valore potenziale annuo in caso di concessione/locazione del bene. Il valore annuo è stato ritenuto la base di valutazione della congruità dei progetti presentati. Infatti, in sede di offerta, i concorrenti dovevano presentare, insieme alla descrizione del programma annuale, il valore economico (id est: la redditività civica) dello stesso, ad esempio indicando quale sarebbe stato il costo a carico dell’utenza laddove i servizi offerti fossero stati a pagamento. Alla Com- missione di gara spettava il compito, tra l’altro, di valutare la congruità dei valori indicati. Ne è derivato che il progetto complessivo, negoziato tra tutti gli offerenti, è risultato chiaramente e nettamente superiore al valore economico annuo di una ipotetica concessione a terzi, nel pieno rispetto della normativa vigente ed anche della citata giurisprudenza.

Una ulteriore e innovativa “invariante” del progetto oggetto di proce- dura ad evidenza pubblica è stata la non esclusività degli spazi a disposi- zione. In sostanza, non si voleva che il Distretto della Creatività divenisse una “casa delle associazioni” ove le associazioni stesse o le collettività dei cittadini avessero la propria sede legale o operativa, ma uno spazio fisico e ideale inclusivo e comune, con la possibilità per tutti coloro che propo- nessero attività e progetti di condividerlo e “ruotarlo”. Naturalmente, tale invariante ha costituito, per alcune realtà associative, un elemento ostativo alla partecipazione e un elemento di discussione e riflessione per molte altre. Ma ciò ha permesso e ancora permette di valorizzare l’inclusività e la coesione degli spazi fisici e ideali, nonostante la dialettica continua comunque presente.

In ultimo, ma non certo in ordine di importanza, si è deciso, in modo certamente coraggioso ed innovativo, di non regolamentare l’uso dell’im- mobile riguardo alla gestione dello stesso, ma soprattutto di non discipli- nare la governance del progetto e quindi dell’immobile stesso. In sostanza non è stato posto a monte alcun regolamento comunale, lasciando piena autonomia di autogoverno agli assegnatari dell’immobile, a condizione naturalmente che venga realizzato il progetto che si è aggiudicato la proce- dura ad evidenza pubblica. Di fatto, il Comune ha deciso volontariamente di recedere dai propri poteri pubblicistici lasciando ai soggetti assegnatari la possibilità, o meglio, il dovere dell’autogoverno. Quest’ultima invarian- te è stata chiaramente la più discussa sia da parte dell’Amministrazione comunale che, come ogni Pubblica Amministrazione è poco abituata a non riempire ogni spazio fisico e ideale di diritto positivo, sia da parte del mondo del volontariato, maggiormente rassicurato dalla presenza di regolamenti calati dall’alto.

È chiaro che la logica richiesta e cioè quella dell’autogoverno è stata, e continua ad essere, una criticità perché presuppone una negoziazione tra realtà diverse, tra visioni diverse, tra organizzazioni diverse (associazioni, collettività, singoli).

Non si è richiesto neanche, in via sperimentale, la costituzione di alcun soggetto giuridico che riunisse gli aggiudicatari che, uniti dal progetto comune, rappresentano “Il Distretto della Creatività di Alghero”. A seguito dell’aggiudicazione sono nati dei tavoli di discussione molto vivaci a cui gli stessi assegnatari hanno chiesto la partecipazione attiva dell’Ammini- strazione comunale che ha svolto un ruolo di garanzia e di mediazione nei momenti più critici della dialettica interna. Proprio in funzione del principio dell’autogoverno, ci si è indirizzati, nel corso della discussione, verso il riconoscimento da parte del Comune di Alghero dell’uso civico a favore della comunità chiamata a valorizzare la ex caserma dei Carabinieri, sia da un punto di vista fisico (la manutenzione, la gestione, le utenze, il miglioramento del decoro) sia da un punto di vista progettuale.

In modo condiviso, anche seguendo l’esempio di altre esperienze (in

primis quella dell’ex Asilo Filangieri di Napoli) è stata redatta una dichiara-

zione di uso civico all’interno della quale, oltre all’enucleazione dei valori condivisi del Distretto, si riconosce l’ex caserma come bene comune e si riconosce l’uso civico come la più antica forma di uso collettivo di beni destinati al godimento e all’uso pubblico. Successivamente, nello stesso documento si definisce la governance del Distretto che si basa sul principio del consenso e sulla costituzione di tre organi di autogoverno: l’Assemblea di indirizzo e di gestione, i Tavoli tematici, i Progetti trasversali. Natural-

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mente non è questa la sede per una analisi approfondita della governance (si rinvia alla lettura del documento), ma ciò che è certo è che il risultato è stata una disciplina condivisa e innovativa dell’immobile e del progetto. L’intera dichiarazione è stata approvata dall’Assemblea del Distretto e dalla Giunta comunale di Alghero.

Da un punto di vista più operativo (intestazione utenze, garanzie etc.), la stessa collettività ha proposto che fosse una delle associazioni ad essere il soggetto contraente assumendosi la responsabilità formale nei confronti del Comune e garantendo quindi il Comune stesso per tutti gli adempi- menti tipicamente civilistici e patrimoniali, senza alcuna imposizione del modello giuridico da parte della pubblica Amministrazione locale.

Ad oggi, il rendiconto delle attività svolte nel 2018 è stato regolarmente depositato, il programma delle attività 2019 è stato presentato e approvato dall’Amministrazione comunale e la governance del Distretto regolarmente operativa, seppur con tutte le criticità date dalla fase sperimentale e dalla necessità di trovare una maggiore coesione tra le realtà operanti all’interno dell’edificio, frequentemente portatrici di idee e filosofie tra loro dialettiche. 4. Riflessioni e conclusioni: criticità e prospettive de iure condendo

Le riflessioni da trarre da tale esperienza, peraltro in corso e in questa sede descritta in modo riassuntivo, sono molteplici ed evidenziano punti di forza e criticità da affrontare. Ritengo che la valorizzazione del bene comune, come ha dimostrato anche questo progetto sperimentale, non possa prescindere da un ampio processo di partecipazione, sia a monte del progetto stesso che a valle. Non si può affrontare la tematica del bene comune con le forme tradizionali della Pubblica Amministrazione che con poteri autoritativi individua l’immobile o gli immobili da destinare alla fruizione pubblica e regolamenta il processo e le finalità. Tale impostazio- ne, peraltro tradizionalmente cara a molti amministratori locali, rischia di allontanare il progetto dalla cittadinanza rendendolo incomprensibile o addirittura inaccettabile. È necessario, invece, attivare meccanismi di partecipazione dal basso per comprendere se davvero l’immobile da re- cuperare sia vissuto, effettivamente o anche potenzialmente, dalla popo- lazione interessata come un bene comune e se esistano progetti fattibili e gestibili nel tempo. Non è detto, quindi, che il recupero di un immobile non possa seguire i procedimenti più canonici, senza lasciarsi affascinare da percorsi più innovativi, ma che inseriti in un determinato contesto territoriale si rivelino inattuabili.

D’altra parte, nel corso di questa prima fase del processo di partecipa- zione devono essere stabilite regole, metodi, principi che rappresentino le invarianti del progetto complessivo evitando, anche in questo caso, l’impo- sizione autoritativa. Per le stesse ragioni, ritengo che sia necessario curare con grande attenzione la fase gestionale del progetto al fine di evitare di realizzare la classica “cattedrale nel deserto”. La governance, però, anche in questo caso, non può che seguire un processo partecipativo che coinvolga direttamente la cittadinanza attiva e cioè coloro che devono raggiungere gli obiettivi condivisi. Naturalmente, non ritengo che il riconoscimento dell’uso civico e l’autogoverno siano le uniche soluzioni al tema della valorizzazione dei beni comuni. A mio avviso è importante esaminare il contesto territoriale e comprenderne la visione evitando di chiudersi in recinti ideologici (agire per accordi in forma negoziata ovvero utilizzare strumenti di diritto pubblico). L’esperienza sul campo dimostra che, se esiste un progetto fattibile, realizzabile e condiviso, esistono strumenti legittimi per valorizzare immobili in disuso, quali beni comuni, esaltando l’elemento partecipativo come fulcro di tale processo.

Rimane, quale elemento di criticità, la cultura burocratica degli ammi- nistratori e dei funzionari pubblici, talvolta troppo legati a schemi proce- dimentali rigidi sia per quanto attiene il concetto di partecipazione, ancora troppo spesso interpretata come avallo a decisioni politiche già assunte, sia per quanto attiene alle categorie giuridiche da applicare che non ammetto- no elementi di flessibilità. A parziale giustificazione di tali comportamenti burocratici, è da evidenziare il rischio, molto presente, che impostazioni troppo formalistiche da parte della magistratura, conducano il funzionario “creativo” verso responsabilità penali o amministrative: si veda, ad esempio, il tema della redditività del bene e del possibile danno erariale, ovvero tutta la questione della sicurezza connessa ad immobili che, in quanto in disuso, presentano qualche problema, ovvero tutta l’ampia tematica delle polizze assicurative. Tutto ciò, oltretutto, deve essere affrontato nell’ambito di un settore, quale quello del volontariato, assai specialistico e poco assimilabile alla disciplina delle imprese o allo stesso Codice dei Contratti pubblici.

In questa sede ho cercato riassuntivamente di indicare un percorso legittimo e fondato, de iure condito, per costruire un progetto di valo- rizzazione di un bene comune. Ma resta l’urgenza, al fine di incentivare altre Pubbliche Amministrazioni ad avere il necessario coraggio di in- traprendere tali processi innovativi, di realizzare un quadro normativo chiaro e preciso.

Sommario: 1. Il progetto. 2. Il contesto: i beni comuni e i beni immobili confiscati. 3. Il contesto: i beni confiscati nell’evoluzione dei beni comuni. 4. Segue – Il contesto: i beni comuni e i beni confiscati di fronte alle sfide ambientali. 5. I contenuti e gli obiettivi del progetto. 6. Le attività di progetto.

1. Il progetto

Le riflessioni contenute nel presente contributo scaturiscono dalle