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4. Lo scenario nucleare nipponico: il disastro della centrale nucleare di Fukushima

4.2. L’incidente nucleare di Fukushima Daiichi

Nell’ottobre 2011, la Nuclear Accedent independet Commission (NAIIC) decise di portare avanti un processo d’investigazione sull’indicente della centrale nucleare di Fukushima Daiichi, a fronte dello tsunami e del terremoto che lo avevano causato. Lo scopo di questo processo investigativo era quello di soffermarsi sulle cause dirette e indirette dell’indicente della centrale nucleare di Fukushima Daiichi dell’11 marzo dello stesso anno e sulle conseguenze che si ripercossero sull’ambiente circostante e sulla popolazione coinvolta290.

Prima di analizzare più approfonditamente il report è necessario soffermarsi sull’incidente per un’analisi più completa degli eventi. Nel marzo 2011, il terremoto e il maremoto del Tōhoku, causarono un susseguirsi di eventi che portarono al disastro nucleare della centrale elettronucleare di Fukushima Daiichi, sotto il controllo operativo della Tokyo Electric Power Company (TEPCO). Al momento del terremoto, a causa dell’attività sismica, le Unità-1, 2 e 3 della centrale di Fukushima Daiichi entrarono in uno stato di emergenza e causarono un black out energetico di tutta la centrale. Lo tsunami provocato dal terremoto scatenatosi dalla prefettura di Miyagi, che raggiunse una magnitudo di 9.0, provocò la distruzione dei generatori diesel d’emergenza e lasciò le Unità-1, 2 e 4 senza energia elettrica. Ovviamente il terremoto e lo tsunami non provocarono solo grandissimi danni alla centrale, ma distrussero e spazzarono via numerose strutture causando un numero ingente di morti. La perdita dell’elettricità impedì un raffreddamento dei reattori della centrale e avviò il processo di espulsione di scorie radioattive nell’ambiente291.

Sin dai primi momenti della tragedia la TEPCO mentì sulla gravità della situazione, mentre nella centrale di Fukushima Daiichi, tra l’11 e il 15 marzo 2011, ben tre reattori stavano iniziando un processo di meltdown nucleare. Fino al 25 marzo il governo giapponese, sotto consiglio della TEPCO, continuò a sostenere la non pericolosità dell’incidente e solo successivamente, quando il danno risultò essere

290 The National Diet of Japan, The official report of The Fukushima Accident Independent

Investigation Commission, The National Diet of Japan, 2012, p. 10.

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evidentemente maggiore di quello che si voleva far credere, ammise le proprie colpe292.

Il report della commissione in sei mesi di analisi profonda riuscì ad analizzare le cause che avevano portato a questo incidente nucleare che rimarrà nella storia per la sua portata distruttiva. Di vitale importanza è capire che, diversamente da quello che l’opinione pubblica straniera pensava, il disastro della centrale di Fukushima fu il risultato di una collusione tra il governo giapponese, le autorità di regolamentazione TEPCO e la mancanza di governance delle suddette parti; un disastro chiaramente ad opera dell’uomo. Il terremoto e il conseguente tsunami innescarono un evento che si sarebbe potuto rimandare, ma non totalmente escludere. Si riuscì a riconoscere che le cause dell’incidente affondavano le loro radici precedentemente all’11 marzo 2011. La centrale elettronucleare mancava di un sistema di sicurezza efficiente che sarebbe venuto meno anche senza le due catastrofi naturali che precedettero l’evento. Sia la TEPCO che la Nuclear and Industrial Safety Agency (NISA) erano a conoscenza dello scarso sistema di sicurezza della centrale, ma preferirono investire sull’ampliamento dell’impianto. Gli operatori inoltre erano a conoscenza di eventuali danni che sarebbero potuti scaturire da casi di origine naturale come uno tsunami, ma non erano stati in grado di creare nessuna regolamentazione o assicurare un qualsiasi sistema di sicurezza in caso di catastrofe naturale293.

Grande importanza in vista dell’incidente fu data alle autorità di regolamentazione TEPCO che in precedenza si dimostrarono totalmente contrarie nei confronti dell’importazione di nuovi sistemi tecnologici e conoscenze portate dai paesi esteri, rifiutando quindi, nel loro interesse, la possibilità di prevenire un disastro nucleare come quello di Fukushima Daiichi. Dalla prospettiva della TEPCO, nuove regolamentazioni di ogni tipo avrebbero rallentato le operazioni dell’impianto nucleare, opponendosi alla possibilità di manovre di sicurezza più innovative294. Se da un lato la TEPCO quindi incolpò lo tsunami delle problematiche che portarono alla distruzione di parte della centrale nucleare, dall’altro non considerò

292 Alexis Dudden, The Ongoing Disaster, The Journal of Asian Studies, vol. 71, n.2, The Association for Asian Studies, maggio 2012, p. 346.

293 The National Diet of Japan, Op. cit., p. 16. 294 Ivi, p. 17.

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come causa scatenante dell’incidente della centrale il fenomeno del terremoto. I due disastri naturali furono le cause dirette di quello nucleare e ci furono dei punti che dovettero essere analizzati da questa commissione. La TEPCO si espose in prima linea e affermò che sebbene lo tsunami fosse riconosciuto come causa dell’incidente, il terremoto non era da considerarsi una delle cause dell’esplosione nucleare. Ovviamente i due disastri naturali, quello del terremoto e poi dello tsunami contribuirono al malfunzionamento della centrale di Fukushima, che era dotata di livelli di sicurezza minimi295. I problemi in situ infatti furono moltissimi, a partire dalla scarsa organizzazione della sicurezza della centrale e del suo sistema di raffreddamento. All’interno della centrale nucleare fu evidente una mancanza di veri e propri libretti di istruzioni che avrebbero dovuto invece essere presenti ed utilizzati in casi di pericolo. Importante inoltre fu anche il susseguirsi di eventi che partirono da una completa perdita di energia in tutti i reattori fino all’esplosione di parte della centrale nucleare giapponese296.

Il governo nipponico in questa serie di eventi si ritrovò del tutto spiazzato e non preparato per affrontare al meglio questa emergenza che da locale si era poi trasformata in nazionale. Uno dei primi errori effettuati dal governo giapponese fu quello da parte del Primo Ministro o Kantei che non dichiarò da subito uno stato di emergenza, fidandosi del ruolo di vitale importanza della Nuclear and Industrial Safety Agency (NISA) il cui compito era proprio quello di regolatore industriale nucleare. Il mancato dialogo tra il governo centrale e quello municipale sullo stato di pericolo della centrale nucleare contribuì ad aggravare la situazione. Anche una mancata comunicazione con la popolazione direttamente interessata incentivò un malfunzionamento delle operazioni di evacuazione delle cittadine nei pressi della centrale. Si stimò infatti che solo il 20% dei residenti che ospitavano nella propria città l’impianto nucleare sapessero effettivamente dell’esplosione e dello shut down. I residenti che si trovavano a oltre 10 km di distanza di raggio dalla centrale infatti furono fatti evacuare solamente la mattina del giorno successivo all’incidente297.

295 The National Diet of Japan, Op. cit., p. 17. 296 Ivi, p. 18.

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Vennero evacuate in tutto 150.000 persone, contando inoltre un numero di lavoratori pari a 167 che furono esposti direttamente a radiazioni maggiori di 100 mSv. A livello ambientale le conseguenze non furono da meno: la provincia di Fukushima fu considerata completamente contaminata per un’ampiezza pari a 1.800 km2 di territorio. Il governo non si impegnò per far capire alla popolazione la gravità della situazione e tralasciò inoltre informazioni vitali come il reale problema delle radiazioni nei soggetti più a rischio, tra cui i bambini298.

Alla fine del 2011 fu possibile raccogliere il numero preciso di vittime e di dispersi che il susseguirsi di eventi naturali e non avevano provocato, a differenza dei rifugiati il cui numero ancora non era quantificabile con precisione. Inoltre, i rifugiati dello tsunami si ritrovarono senza un alloggio e allo stesso tempo, coloro che vivevano nei pressi della centrale nucleare di Fukushima, furono costretti ad abbandonare le proprie dimore dopo la creazione della mandatory exclusion zone, ovvero quel territorio che si estendeva per 20 km dalla centrale e che era stato dichiarato contaminato dalle radiazioni. Alla fine del 2011 però il governo giapponese rilasciò una dichiarazione che tranquillizzò la popolazione direttamente coinvolta comunicando che i rifugiati, ad esclusione di coloro che avevano dimora nella zona contaminata, avrebbero potuto riappropriarsi delle loro abitazioni, confermandone la loro sicurezza. Molti inoltre si stabilirono nel villaggio di Iitate, nella prefettura di Fukushima, nonostante fosse stato rilevato un quantitativo di radiazioni nocive per la presenza umana. Una donna racconta la sua esperienza di rifugiata nel medesimo villaggio:

They told us it wasn't safe to dry things outside, but there was no room indoors. My daughter and I would do the wash and then I'd take it home (to Iitate) and hang it in the house there and wait or come back for it later. Now my husband lives in a shelter, so I can hang it inside the apartment here, but my daughter and I have no room to stand up299.

Molti cittadini che si insediarono in queste zone come rifugiati non erano del tutto al sicuro tanto che alcuni studiosi concordarono che le giuste norme di sicurezza dovevano essere estese a ben 80 km di raggio dalla centrale. Questi cittadini

298 The National Diet of Japan, Op. cit., p. 20. 299 Alexis Dudden, Op. cit., p. 347.

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chiamati “volontari temporanei”, furono usati come strumento politico da parte del governo giapponese, in particolar modo a livello nazionale300.

Il 25 giugno 2011, dopo lo stato di emergenza, le autorità rilasciarono un piano di ricostruzione del Giappone denominato Toward The Reconstruction: ‘Hope Beyond the Disaster’ concentrandosi sul futuro del Giappone piuttosto che sulla reale condizione delle vittime301.

Dal punto di vista mediatico, riscontriamo per la prima volta numerose novità rispetto ai casi precedenti. L’uso dei social media, come Twitter e blog di vario tipo, divennero essenziali per un nuovo tipo di consapevolezza che nei casi precedenti non era possibile neanche immaginare, creando una nuova rete di informazione. Per capire al meglio la portata mediatica che stava nascendo intorno al caso di Fukushima, non possiamo non citare un fenomeno che toccò profondamente non solo la società nazionale, ma anche quella internazionale. Il fenomeno può essere spiegato con l’introduzione di questi due termini giapponesi hibaku e hibakusha, che possono essere tradotti con “esposti a radiazioni” e in particolar modo il secondo termine viene usato ancora oggi per riferirsi alle vittime del bombardamento americano di Hiroshima e di Nagasaki nel 1945. L’11 marzo 2011 molti social media furono travolti dal continuo uso di questi due termini da parte della popolazione per spiegare un qualcosa che stava accadendo in tempo reale in Giappone. Questo suscitò grande scalpore a livello internazionale, facendo rivivere nella popolazione giapponese la paura di poter essere nuovamente vittime della potenza dell’atomo e del nucleare302.

C’è da puntualizzare però che, anche se i nuovi mezzi di comunicazione forniti mediante internet fecero in modo di globalizzare l’incidente di Fukushima, d’altro canto anche i media locali contribuirono ad aggiornare la popolazione sulla svolta dell’esplosione della centrale. Si cercò infatti di informare in modo più preciso possibile la popolazione con una serie di dati che servirono per capire l’escalation dell’esplosione e le sue conseguenze303.

300 Alexis Dudden, Op. cit., p. 347. 301 Ivi, p. 348.

302 Ivi, p. 349. 303 Ivi, p. 354.

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Inoltre, fin da subito, iniziarono le prime insurrezioni di matrice anti-nucleare come risposta all’indicente di Fukushima. Un caso davvero eclatante fu il suicidio di un contadino che venne a conoscenza di cosa il reattore nucleare stava diffondendo in tutto il territorio circostante; i familiari di quest’uomo, che utilizzò il suicidio come atto di protesta, dichiararono nell’Asahi Shinbun, un quotidiano nazionale, che egli non si era suicidato, ma era stato “ucciso dall’esplosione nucleare”304.

4.3 Lo scenario anti-nucleare post-Fukushima: la reazione delle

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