Il cinema italiano generò le basi per l’interessamento all’Italia e alla sua cultura in URSS, almeno fino al suo crollo. Le fonti cinematografiche di questo periodo forgiarono immagini e stereotipi che condizionarono l’immaginario russo sull’Italia e sugli italiani fino ai giorni nostri.
Gli anni tra il 1945 e il 1970 furono decisivi dal punto di vista cinematografico per dare vita a uno specifico immaginario sull’Italia, legato appunto ai film di quel
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determinato periodo. Alcuni di questi, tra cui “Roma citta aperta”30 o “Ladri di biciclette”31
determinarono gli stereotipi per cui si associano tuttora gli “italiani” alla famiglia, alla prolificità, alla passionalità e sfortunatamente anche alla disonestà. Inoltre, hanno influito in questo processo anche espressioni quali “dolce vita” o “paparazzi” prese proprio dal cult-movie “La dolce vita”32. Questi film contribuirono a generare così quegli stereotipi che collegano l’italianità alla vitalità, alle passioni amorose, alla passionalità e teatralità. Artisti come Sofia Loren, Anna Magnani e Marcello Mastroianni hanno rappresentato per due generazioni consecutive in Russia il modello “d’italianità”33
. “La piovra”34
invece, un telefilm trasmesso a puntate in URSS determinò addirittura un vero e proprio fanatismo, tant’è che alla morte del protagonista principale, interpretato da Michele Placido (altro simbolo d’italianità nell’immaginario russo), nelle vesti del commissario Cattani, il programma perse lentamente il successo. Oltretutto il fatto che essere italiani si colleghi automaticamente nell’immaginario russo al concetto di “mafia” è stato favorito in particolar modo da questo stesso telefilm.
Come se non bastasse, queste immagini stereotipate in riferimento all’idea di italianità furono riprese dallo stesso cinema sovietico, che confermò nella popolazione sovietica quegli immaginari, i quali si diffusero in maniera capillare fino ai giorni nostri. In particolar modo influirono in questo contesto tre cult-movies a partire dagli anni Settanta fino agli anni Novanta. Si può dire che di riflesso rispetto alla cinematografia italiana, il cinema sovietico trasmise attraverso questi tre film immagini illusorie con riferimento al concetto di italianità. Beninteso, essere italiano equivaleva, secondo questi ideali, a essere una persona passionale, superficiale, disonesta, illegale, ma anche simpatica, rumorosa e gesticolatrice, il tutto sempre velato da una sfumatura di goffaggine e divertimento35.
30 Roma città aperta, reg. Roberto Rossellini, ITALIA, Excelsa Film, 1945
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Ladri di biciclette, reg. Vittorio De Sica, ITALIA, Produzioni De Sica, 1948
32 La dolce vita , reg. Federico Fellini, ITALIA, Riama Film, 1960
33 G. Moracci: Incontri fra Russia e Italia. Lingua, letteratura, cultura, Milano, Led, 2017, p.114
34 La piovra, reg. Damiano Damiani, Florestano Vancini, Luigi Perelli, Giacomo Battiato, ITALIA, UNIVIDEO, 1984
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Il primo film fu Neverojatnye priključenija ital’jancev v Rossii, (in Italia uscito sotto il nome di “Una matta, matta, matta corsa in Russia)36
. Si trattava di una co-produzione italo-sovietica, in cui veniva ripresa l’idea di “italiani dai facili e sporchi guadagni”. Il film ebbe più di 49 milioni di spettatori, influenzando drasticamente l’immaginario russo per cui gli italiani sono considerati “imbroglioncelli”37.
Storicamente l’Unione Sovietica già da qualche tempo non stava vivendo uno dei suoi migliori periodi, infatti entrò negli anni Ottanta con diversi problemi economici, ambientali, politici, i quali davano prova di un certo ritardo rispetto all’Occidente. Ciononostante, durante la presidenza di Gorbačëv iniziò a cambiare qualcosa e anche in ambito culturale iniziarono a verificarsi le prime riforme. A partire dal 1986 andò delineandosi una certa tolleranza per artisti e scrittori dissidenti che in precedenza erano stati a lungo imprigionati o esiliati. Sembrava che andasse aprendosi un periodo nuovo rispetto al passato, o perlomeno questa era l’impressione.
Tuttavia, fu dopo il periodo della glasnost’, ovvero della trasparenza – dal 1989 – che si affermò una vera e propria libertà di stampa. Di conseguenza agenzie giornalistiche, trasmissioni televisive e giornali ruppero definitivamente il legame con la censura e l’autocensura sovietica. Pertanto, da quel momento in poi la rivista Novyj Mir iniziò a riscuotere ancora più successo e gli iscritti andavano aumentando sempre di più, anno dopo anno.
Grazie all’apertura degli archivi, per di più, si venne a conoscenza di informazioni che fino ad allora erano state tenute segrete. Infatti, si attribuiscono alla seconda metà del 1991 dati che dimostravano legami finanziari da parte del PCUS con gli altri partiti comunisti occidentali, tra cui in particolar modo il PCI38.
Tuttavia, le riforme attuate dal Presidente non ottennero gli effetti desiderati, anzi, l’economia peggiorava sempre di più, le importazioni furono ridotte e così la popolazione si ritrovava a fare lunghe code per ottenere beni di consumo, davanti a negozi vuoti. Fu così che oltre alla grave situazione economica, tra la popolazione iniziarono a divulgarsi informazioni in riferimento agli standard di vita occidentali, ben
36 Una matta, matta, matta corsa in Russia, reg. Eldar Rjazanov, Franco Prosperi, ITALIA, UNIONE SOVIETICA, Mosfil’m, 1923
37 G. Moracci: Incontri fra Russia e Italia. Lingua, letteratura, cultura, Milano, Led, 2017, p.115
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N. V. Riasanovsky: Storia della Russia. Dalle origini ai giorni nostri, Milano, Bompiani, 2015, p.583-628
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lontani da quelli sovietici, alimentate, come è evidente, da mezzi di comunicazione quali film, canzoni, ecc. Questi ultimi ebbero non poca influenza, poiché per la prima volta l’Unione Sovietica poteva paragonarsi a un modello di vita differente dal proprio. È chiaro che, di conseguenza, iniziò ad aumentare il malcontento per la politica di Gorbačëv da parte della popolazione39
.
Malgrado ciò, la produzione filmografica perseguiva la sua linea e un altro film ebbe altrettanta importanza in URSS. Si trattava di un’opera prodotta in pseudo-italiano, in cui era presente una canzone che divenne virale “My bandito gangsterito”. In questo caso si trattava più esattamente di un cartone animato Priključenija kapitana Vrungelja (Le avventure del capitano Vrungel’)40
. Il cartone era composto da 13 puntate che furono realizzate tra il 1976 e il 1979 ma trasmesse soltanto nel 1980. L’opera faceva riferimento al racconto umoristico di Andrej Nekrasov41, mentre il cartone, nato a Kiev, faceva diretti riferimenti parodici a Stalin, così come a James Bond. Due dei protagonisti erano proprio due italiani mafiosi con i rispettivi nomi di Džuliko Banditto e De Lja Voro Gangsteritto. I nomi come si può notare richiamano le parole žulik (truffatore) e vor (ladro) adattate alla pseudo – morfo – fonologia italiana. La canzone ebbe un’influenza senza eguali sul popolo russo fino ai tempi più recenti.
I cartoni sono davvero un potente strumento di condizionamento della psiche, soprattutto infantile […] il verso della canzoncina [delle Avventure del capitano Vrungel’] “Comunque la chiamerete, con quel nome la barca salperà” è diventato un modo di dire del russo. E con la canzone “Money, money” la gente ci imparava l’inglese. Per non dire che la storia “commuovente” di “bandito-gangsterito” la conosceva già ogni scolaro42.
Le parole della canzone, inoltre, hanno radici russe o comunque “europee” (bandit,
ganster, bank, ecc…), mentre i suffissi riprendono l’italiano maccheronico, tant’è che la
“o” si ritrova in tutte le parole russe o inventate (bandito, pistoleto, banko, ecc…). La canzone ha avuto un peso così influente nella cultura russa che addirittura alcuni versi sono entrati a far parte degli idiomi della lingua russa stessa. Altri versi come “Tutto il dì beviam Cinzano, tutto il dì sazio-bevuto” hanno rinforzato lo stereotipo della “bella vita” italiana.
39 G. Cigliano: La Russia contemporanea. Un profilo storico, Roma, Carocci, 2016 p.241-267
40 Priključenija kapitana Vrungelja, reg. David Čerkasskij, UNIONE SOVIETICA, Kievnaučfil’m , 1980
41 A. Nekrasov: Priključenija kapitana Vrungelja,Detskaja literatura, 1937
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V. Grinevski 2014 citato in G. Moracci, Incontri fra Russia e Italia. Lingua, letteratura, cultura, Milano, Led, 2017, p. 116
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È interessante notare come la censura non sia in alcun modo intervenuta in questo caso, testimonianza del fatto che la canzone aveva rapito proprio tutti. Oltretutto la canzone è entrata nel repertorio fisso dei programmi dei cartoni animati e in alcuni casi dei concerti dell’infanzia di capodanno.
Analogamente a queste fonti, anche il cult-movie sovietico influì in maniera decisiva sull’immaginario russo. Formula ljubvi (La formula [magica] dell’amore)43
ne è un esempio, in cui i due protagonisti sono due truffatori travestiti da italiani. Nel film la canzone “Uno momento” cantata in italiano, ma con accento russo, ha avuto un successo tale che un’intera catena di pizzerie della Russia post-sovietica ha scelto questo nome come simbolo di “italianità”.
La canzone è formata dalle parole più conosciute dai russi, ma senza una reale corrispondenza o una vera logica nel senso delle frasi, sfruttando il Leitmotiv – mento aggiunto come suffisso ad alcune parole ad esempio: “uno momento, uno sentimento, uno complimento, uno sacramento”. Questo serve per dare l’impressione, ancora una volta, di “italianità” autentica. Nel cantare la canzone, i due protagonisti rinforzano gli stereotipi sugli italiani in quanto, secondo il punto di vista del film, “artisti”, “cantanti” “affascinanti seduttori” e infine “manipolatori”44
. Anche a questo proposito è stata aperta una catena di pizzerie in Russia che porta il nome di “pizzamento”. La parola “pizza”, associata al suffisso “mento”, nell’immaginario russo viene accostata all’originalità italiana.
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Formula ljubvi, reg. Mark Anatol’evič Zacharov, UNIONE SOVIETICA, Mosfil’m, 1984
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Figura 9: Pizzeria Pizzamento a Mosca
Inoltre “Moskovskie kanikuly”45 (Vacanze moscovite) è un film del 1995 in cui
appare lo stereotipo della “donna italiana”, ovvero colei che è chiassosa e stravagante ma al contempo seduttiva e capricciosa. In questo film la protagonista è Luciana, una donna italiana, la cui nonna però è russa. Il messaggio trasmesso in questo caso è l’idea che la donna italiana è il simbolo della donna emancipata, indipendente, ricca e consapevolmente fiera della sua “italianità”. Luciana, infatti, tenta di nascondere il cane defunto in Russia e quando il commissario la indaga chiedendole perché è rimasta in silenzio lei risponde: “Zitta io? Nessuno mi aveva mai offeso così…”46
.
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Moskovskie kanikuly reg. Alla Surikova, RUSSIA, Mosfil’m, 1995
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Beninteso, la popolazione sovietica a partire dagli anni Sessanta iniziò a relazionarsi con un mondo “nuovo” che veniva rappresentato sia dalla musica che dal cinema italiano. Questi ultimi si tramutarono propriamente in una finestra sull’Europa. I mezzi di comunicazione in quanto produttori di cultura diedero vita appunto a una cultura trasversale, ovvero sia a un tipo di cultura costruita propriamente dai mass media e lontana dalla complessità del vero.
La situazione andò peggiorando a partire dagli anni Ottanta quando la popolazione conobbe un periodo stagnante all’interno del Paese, mentre all’esterno l’Occidente perseguiva un life-style ben distante dalla crisi globale che stava vivendo l’Unione Sovietica, la quale si trovò a dover fare i conti con la realtà o in altre parole, con la povertà e la fame. Era come se in un certo senso la popolazione sovietica, dopo aver vissuto in un Paese isolato dal resto del mondo, fosse uscita allo scoperto, venendo a conoscenza dell’esistenza di una realtà diversa dalla propria e di conseguenza ritorcendo la delusione sul proprio Paese.
Inoltre, è interessante notare come la figura dell’italiano in ogni contesto acquisisse carattere benevolo. Sebbene il fatto di collegare l’italianità alla mafia non sia positivo, questo concetto nei film presi in considerazione non acquista mai un tono drammatico o negativo, bensì la figura dell’italiano viene descritta attraverso un vezzeggiativo. Il popolo italiano è “imbroglioncello”, ma non imbroglione, è “ladruncolo”, ma non ladro. Questo sembra in un qualche modo dare l’impressione di benevolenza e accettazione malgrado tutto, nei confronti della cultura italiana. Come a voler dire, con una certa vena d’ironia e anche di superbia che “il popolo italiano è fatto così e bisogna accettarlo per com’è”.