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4.6 Prove di laboratorio

4.6.4 L’influenza della malta sulla resistenza delle murature

Il ruolo della malta

Il ruolo della malta cambia sostanzialmente con il tipo di muratura, infatti nel caso di murature a blocchi squadrati (laterizi, blocchi in calcestruzzo vibrato leggero, pietra squadrata ecc.) la malta regolarizza i piani di contatto evitando pericolosi picchi di tensione per azione diretta fra materiali rugosi e fragili, consentendo così agli sforzi di fluire più agevolmente fra i blocchi.

Prescindendo dalla capacità di realizzare deboli incollaggi, che comunque viene meno in presenza di vibrazioni e altri fenomeni, le azioni tangenziali che la muratura è in grado di contenere dipendono dall’attrito che si esplica fra i blocchi attraverso la malta per effetto delle pressioni di contatto originate dagli sforzi normali. In questo ruolo la malta svolge un’azione sfavorevole alla trasmissione delle forze orizzontali fra i blocchi quando ha resistenza inferiore a quella dei blocchi e, in ogni caso, non migliora l’attrito perché elimina l’ingranamento diretto generato dalla rugosità delle superfici. Facendo riferimento al caso, prevalente nella pratica del consolidamento, in cui la resistenza della malta è inferiore a quella dei blocchi, si può osservare che la millenaria regola empirica di far giunti sottili per ottenere buone resistenze non si giustifica oggi soltanto con l’evidente opportunità di ridurre in quantità il componente più debole del composito, ma anche per meglio confinare la malta migliorandone lo stato di tensione rispetto a quello verificabile in giunti analoghi, ma di consistente spessore. Per individuare il ruolo della malta nel caso di murature di pietrame da frantumazione, occorre una distinzione fra tessitura capace di funzionare come muro a secco e tessitura casuale. Questa distinzione è suggerita dall’osservazione che i muri a secco realizzati, ad esempio, per terrazzamenti o murature storiche da operatori ancora memori delle antiche regole, rimangono saldi per lunghissimo tempo, mentre l’utilizzazione dello stesso materiale da parte di mano d’opera odierna richiede l’uso di malta, pena il precoce crollo. Questa osservazione può indirizzare verso una diversificazione del ruolo della malta nell’ambito delle murature di pietrame in rapporto alla geometria delle pietre e alla tessitura del muro, spaziando dal muro di pietrame capace di funzionare anche a secco a quello di pillole di fiume realizzabile soltanto grazie alla malta. In ogni caso il ruolo della malta nella muratura di pietrame è del tutto diverso e molto più importante rispetto al caso dei blocchi squadrati, ciò in termini di funzionamento statico e quindi di contributo alla resistenza del muro. La malta costituisce in questo caso il connettivo di un composito bifase costituito da due componenti di cui il primo (il pietrame) è molto più rigido e resistente del secondo (la malta). Schematizzando, si può dire che la malta può svolgere una funzione di “allettamento” delle pietre o di vera e propria “connessione”. Il primo funzionamento attiene ai muri ben organizzati capaci di funzionare anche a secco e ha analogie con quello svolto dalla malta nel caso di blocchi squadrati, mentre il secondo impegna la malta come vero e proprio materiale resistente che connette le pietre assumendone la forma e riempiendo i vuoti, consentendo dunque il flusso

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degli sforzi, ma ancor più mantenendo le pietre in posizione in modo che si possano scambiare le azioni, laddove queste sono quasi in contatto. L’osservazione di cui sopra ha per conseguenza che pietre e malta di ugual resistenza possono originare murature con resistenze assai diverse, così come pure diversa può risultare l’incidenza della qualità della malta su quella della muratura. I numerosi studi sperimentali che hanno porto formule empiriche non possono quindi ammettere generalizzazioni nel senso che le conclusioni valgono solo per muri conformati come quelli provati; si spiega così la varietà delle formule e la sottovalutazione del ruolo della malta conseguente al fatto che i muri provati in laboratorio sono generalmente ben costruiti. Per individuare il peso che la resistenza della malta ha sulla qualità della muratura si può tentare una classificazione parametrica delle murature che potrebbe mettere in conto variabili quali il rapporto in volume fra pietrame e malta, la natura delle pietre (frantumazione o fluviali), i rapporti dimensionali medi fra i lati dei parallelepipedi in cui le pietre sono inscrivibili, l’orientamento medio delle pietre (quando queste hanno due dimensioni prevalenti sulla terza), la tessitura (rincalzi ecc.), l’esistenza di ricorsi di mattoni. Persino la risposta alle sollecitazioni microsismiche proprie dei metodi geofisici può originare parametri significativi.

La misura della resistenza della malta in situ

La resistenza della malta dipende, come quella dei calcestruzzi, dalla composizione dell’impasto e dalle condizioni di maturazione. In particolare, per la malta sono importanti lo stato di compressione durante la maturazione, la capacità di assorbimento idrico dei blocchi e la distanza fra le superfici assorbenti, cioè lo spessore dei giunti. Una misura diretta della resistenza propria dei giunti per mezzo di provini non è possibile. È invece possibile dedurre una correlazione fra una caratteristica meccanica connessa con la resistenza della malta e la sua resistenza caratteristica dedotta da prove standard (es. UNI) effettuate sull’impasto. La caratteristica meccanica misurabile più opportuna risulta l’energia spesa per la realizzazione di una cava nel giunto mediante una punta rotante i cui effetti sono analoghi a quelli prodotti sul materiale dalla rottura a compressione. In ambedue i casi si possono verificare due modalità di collasso: per scioglimento dei legami fra i grani di sabbia oppure per rottura dei grani insieme al connettivo; il confine fra le due modalità di rottura è legato alla resistenza propria della roccia da cui proviene la sabbia in rapporto a quella del legante. Nelle figure seguenti sono raffigurati i residui di perforazione visti al microscopio nei due casi in cui il legante abbia una bassa resistenza o un’alta resistenza. Ed è proprio nella modalità di collasso per scioglimento dei legami fra i grani che l’analogia fra il collasso per compressione e quello per penetrazione della punta rotante è molto stretta. In tal caso, infatti, il meccanismo di rottura è semplice e non coinvolge né le caratteristiche di resistenza della sabbia né la sua granulometria. Per i casi più diffusi in Italia, la resistenza a compressione al di sotto della quale si verifica tale modalità di collasso risulta dell’ordine di 4 N/mm2, valore al di sopra del quale i casi di interesse pratico sono pochi.

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Figura 112 - Residui di perforazione: legante debole

Figura 113 - Residui di perforazione: legante forte

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