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L’ingresso di Netflix in Italia

Capitolo 3. I L CASO N ETFLIX IN I TALIA

3.2. L’ingresso di Netflix in Italia

Netflix fa il suo ingresso in Italia il 22 ottobre 2015, la strategia di pricing adottata nel contesto italiano è composta dell’offerta di un mese gratuito di prova, utile a testare anche la velocità di caricamento con le infrastrutture italiane poco sviluppate, e di tre differenti abbonamenti. Le caratteristiche che contraddistinguono i tre piani riguardano in primis la qualità video e successivamente il numero di utenti che contemporaneamente possono accedere ad una sessione di streaming. L’abbonamento basic ha un prezzo di 7,99€ al mese, la qualità video è standard, la velocità è pari a 3Mpbs e consente ad una singola persona per volta di accedere alla piattaforma; l’abbonamento standard ha un prezzo di 9,99€ al mese, offre una qualità video HD con una velocità di 5Mpbs e consente a due utenti di accedere allo streaming contemporaneamente; infine l’ultimo abbonamento detto premium si compone di una qualità video di ultra-alta definizione UHD, con una velocità pari a 25Mpbs e con ben quattro utenti connessi simultaneamente, ad un prezzo di 11,99€ (Marrazzo, 2016). Successivamente, nel paragrafo 3.3 saranno analizzate le alternative offerte dai principali competitor italiani.

Dopo qualche mese dal debutto nel contesto italiano, si sono iniziate a raccogliere le prime stime; se a gennaio 2016 gli abbonati a piattaforme on demand si aggiravano circa su 700mila, 280mila erano coloro che si sono avvicinati a Netflix, di cui 110mila veri e propri abbonati e i restanti fruitori del mese gratuito offerto dalla società di Los Gatos (D’Alessandro, 2016).

3.2.1. Le problematiche del contesto Italiano

Il debutto in Italia della piattaforma di streaming più amata dagli americani è stato posticipato diverse volte, i motivi alla base di tale scelta sono stati molteplici e verranno analizzati in seguito. Prima di evidenziare le principali difficoltà strutturali che hanno caratterizzato per anni il mercato italiano, è opportuno ricordare che l’Italia, a differenza degli altri paesi europei occidentali, è la nazione che tuttora possiede la più ampia offerta di film e fiction in chiaro e offre il più basso costo di abbonamenti a pay tv rispetto alla media europea (Marrazzo, 2016). Le difficoltà che il CEO di Netflix ha riscontrato durante l’ingresso nel mercato italiano sono legate principalmente a tre diverse peculiarità che caratterizzano il

belpaese e il suo mercato televisivo: ragioni infrastrutturali, ragioni demografiche, ed infine ragioni economiche (Marrazzo, 2016).

Dal punto di vista infrastrutturale vi è una scarsa diffusione della banda ultra- larga.

Dai dati del 2015 (Il sole 24ore, 2015), come evidenzia la Figura 3.5, si nota che per quanto riguarda la banda larga base (Adsl, o reti 3G) l’Italia è in linea, o addirittura superiore rispetto alla media europea soprattutto se si parla di diffusione della rete e di copertura delle abitazioni. Per quanto concerne la

popolazione, invece, si registra con un punteggio inferiore di 7 punti percentuali rispetto alla media EU. Ciò che crea un forte dislivello tra Italia ed Europa è la scarsa diffusione della banda ultra-larga, ovvero quella con una velocità superiore ai 30 Mbps.

Se in media i paesi europei coprono con la rete ultra larga circa il 62% delle proprie abitazioni, l’Italia per ora solo il 21% (AGCOM, 2015). A proposito del consumo, invece, gli utenti che abitualmente utilizzano internet, considerando i dati del 2015, sono poco più del 61% della popolazione totale e per la maggior parte sono giovani dai 14 ai 29 anni (83,9%) e adulti dai 30 ai 44 anni (82,9%) (Zuliani, 2015). Da un’indagine Censis si nota che le principali attività svolte dagli utenti sul web sono, in ordine decrescente, la ricerca di un percorso stradale (60,4% della popolazione), la ricerca di informazioni su aziende e prodotti (56%), lo svolgimento operazioni bancarie (46%), ascoltare la musica (43,9%), effettuare acquisti (43,5) ed infine, solo alla sesta posizione si trova con una percentuale pari al 25,8% la fruizione di film (Zuliani, 2015, p.8). Tale arretratezza delle infrastrutture ha rallentato inevitabilmente la diffusione dello streaming on demand in Italia, l’analisi dell’evoluzione del consumo televisivo in termini complessivi dal 2002-2015 conferma, infatti, che la televisione rimane il media più seguito, anche se negli ultimi anni ha registrato un leggero calo. A seguire la televisione tradizionale vi è la tv satellitare, che recentemente ha visto una diminuzione di 3 punti a favore, invece, delle IPTV/Smart Tv che hanno chiuso con quasi 7 punti percentuali in più rispetto al 2013, la Web Tv ed infine la mobile tv (Tabella 3.2).

Tabella 3-2 L’evoluzione del consumo televisivo italiano. Anni 2002-2015, valori in percentuale

2002 2005 2007 2009 2011 2012 2013 2015 VAR % 2013-2015 Tv Tradizionale 93,1 91,7 94,4 95,0 95,0 94,0 -1,0 Tv Satellitare 27,3 35,4 35,2 36,8 45,5 42,4 -3,1 IPTV / Smart TV 6,1 5,4 2,0 4,1 3,1 10,0 6,9 Web Tv 4,6 15,2 17,8 19,0 22,1 23,7 1,6 Mobile TV 1,0 1,7 0,9 2,5 6,8 11,6 4,8 Televisione in generale 98,5 97,2 96,4 97,8 97,4 98,3 97,4 96,7 -0,70

Come si è potuto notare dalle variazioni percentuali degli ultimi anni circa il consumo televisivo, la televisione tradizionale e satellitare ha subito una leggera perdita a favore delle nuove forme di consumo derivanti dalla convergenza. A piccoli passi e con diverse difficoltà, anche l’Italia si sta trasformando in una “società digitale”, ma quello che realmente risulta fondamentale, affinché tale trasformazione si avveri, è la presenza di una capillare diffusione della banda ultra-larga funzionale e soprattutto la nascita di una “cultura digitale”. Ciò che rallenta l’Italia in questo processo verso la digitalizzazione è la propria struttura demografica, che a causa dell’alto tasso di anzianità non è pronta ad accogliere e a far propria tale “cultura digitale”. Studi svolti a gennaio 2015 stimano che il 21,7% della popolazione totale ha più di 65 anni, e presumono che nel 2065 l’indice aumenti fino a raggiungere il 32,6% (Istat, 2015). Un’età media della popolazione molto alta, caratterizzata da uno scarso utilizzo di internet e da una preferenza smisurata verso i canali tradizionali generalisti, porta una forte chiusura verso i cambiamenti.

Infine, a rallentare l’avanzata della società americana ha inciso la forte crisi economica che si è imbattuta nel territorio italiano e che ha colpito anche il settore dell’intrattenimento.

A prescindere dalle diverse problematiche analizzate fino ad ora, il CEO di Netflix ha deciso di entrate ugualmente nel territorio italiano con il fine di portare avanti il suo unico obiettivo: diventare un’impresa globale. Gli elementi di forza sui quali Netflix punta per entrare nei nuovi paesi sono quattro: la scelta di produrre in prima persona piuttosto che acquistare dall’esterno, l’offerta di un vasto catalogo a prezzi estremamente contenuti, una particolare attenzione verso i propri abbonati ed infine l’utilizzo dei big data per soddisfare e comprendere gli utenti (Marrazzo, 2016).

Dopo aver fatto il suo ingresso nel territorio italiano, Netflix ha dovuto affrontare un altro grande problema: la lingua. Da una ricerca svolta da Eurobarometer si desume che l’Italia sia il paese europeo meno disposto a guardare film e serie tv in lingua madre, solo il 17% della popolazione italiana intervistata guarda film in inglese o con sottotitoli, percentuale che confrontata rispetto alla media EU pari al 26%, risulta essere piuttosto bassa (Eurobarometer, 2015). Essendo il catalogo Netflix per la maggior parte composto da film e serie tv in inglese, è stata necessaria un’attività di traduzione, anche

mediante sottotitoli, dimodoché tali contenuti possano essere fruiti anche da un pubblico italiano. Tutto questo, inevitabilmente, ha portato ad una riduzione drastica dell’ampiezza della libreria risultando meno attrattiva e meno ampia rispetto alle offerte dei diretti competitor presenti nel contesto italiano, come ad esempio Sky e Mediaset (Marrazzo, 2016). Un altro elemento che ha determinato una notevole restrizione del catalogo multimediale offerto della società di Los Gatos, riguarda la cessione dei diritti; prima del suo ingresso i principali player italiani hanno provveduto ad acquistare i diritti su molteplici contenuti, lasciando un limitatissimo campo di azione a Hastings. Ad esempio, proprio a causa della cessione dei diritti a Sky Italia, qualche anno prima del suo ingresso, una delle serie più amate di produzione Netflix, House of Cards, non sarà disponibile nel catalogo italiano.

3.2.2. Il mercato del Video on demand (Vod) in Italia

La possibilità di vedere un film quando si vuole, dove si vuole e con quale dispositivo si vuole, risulta essere un desiderio sempre più realizzabile, il servizio di Video on demand risponde proprio a questa esigenza e possiede tre diverse declinazioni (Geremia e Piva, 2015):

1. Subscription video on demand (Svod): corrisponde ad un servizio nel quale un soggetto, che sottoscrive un contratto e quindi viene definito abbonato, paga una fee mensile per avere accesso ad un’intera libreria di contenuti, in genere molto vasta. Appartengono a questa classificazione, ad esempio: Netflix, Amazon Prime, Hulu Plus;

2. Transactional video on demand (Tvod): corrisponde invece al modello pay per view, ovvero al classico pagamento per la fruizione di un singolo contenuto; operano con questo modello Itunes, Amazon instant video;

3. Advertised video on demand (Avod): simile ad un modello televisivo commerciale, vengono offerti agli utenti contenuti gratuitamente grazie al finanziamento di inserzionisti. Appartiene a questo modello YouTube.

Secondo le ricerche svolte da IT Media Consulting (2016) il business model on demand vivrà i suoi anni d’oro nel 2016, le stime indicano infatti che rispetto al 2015 i ricavi, in Europa occidentale, subiranno una crescita del 60% raggiungendo nel 2019 quasi 6,5 miliardi di Euro, registrando quindi una crescita media annua pari a 17% (Preta, 2016).

Focalizzandoci sul contesto italiano, il servizio on demand dal 2014 ad oggi ha portato ricavi sempre crescenti, e si prevede che tali tassi crescenti si protrarranno fino al 2020. Considerando esclusivamente il modello Svod e Tvod, dalla figura 3.6 e ancora più nello specifico nella figura 3.7 si può dedurre che la crescita in termini percentuali del servizio di Subscription video on demand prima del 2017 risulta essere si gran lunga superiore rispetto alla Transactional video on demand, per poi notare, successivamente a tale data, un’inversione dei ruoli, caratterizzata da un aumento lievemente superiore dalla Tvod (Statista.com).

Figura 3-7 Tassi di crescita annuale Tvod e Svod in Italia.

Fonte: https://www.statista.com/outlook/206/141/video-streaming--svod-/italy# Figura 3-6 Ricavi in mUSD del servizio on demand in Italia. (2014-2020)

Figura 3-8 Indice di penetrazione dei servizi Video on demand in Italia. (2014-2020)

Fonte: https://www.statista.com/outlook/206/141/video-streaming--svod-/italy#

Gli utenti che usufruiscono di questo servizio guardano film, serie tv e show on demand per quasi 6 ore in media a settimana e sono circa un terzo (36%); indicatore di penetrazione ancora piuttosto basso se confrontato con la media europea (50%) e internazionale (65%), ma come si può ben notare dalla figura 3.8 il trend è comunque in crescita (Nielsen, 2016).