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L’insegnamento del valore assoluto nei libri di testo

Nel documento IL VALORE ASSOLUTO (pagine 23-33)

Le utilizzazione più interessanti del concetto di valore assoluto si hanno nella scuola superiore:

1) negli Istituti Tecnici a terzo anno quando si parla di modulo di un numero complesso e a quarto anno se ne fanno cenni quando si introducono i limiti e nello studio delle funzioni;

2) nei Licei Scientifici a quinto anno per formalizzare il concetto di limite e nello studio delle funzioni in vista del proseguimento degli studi all’Università.

Tuttavia anche i ragazzi con le basi migliori e più diligenti sono presi dal panico quando incontrano il simbolo di valore assoluto (persino quando viene applicato ai numeri relativi).

Per accertare i motivi delle difficoltà incontrate dai ragazzi quando si trovano davanti ad una espressione che contiene il valore assoluto, si è ritenuto necessario procedere ad un esame dei libri di testo dove tale concetto viene definito che sono libri del biennio della scuola secondaria. Da quello che ho potuto notare sembra che i primi ad avere difficoltà quando si parla di tale concetto siano proprio gli autori di tali libri. Personalmente ritengo che il “role-taking”, ovvero il mettersi nei panni degli altri, debba essere un dovere sia per l’insegnante che per l’autore di un qualunque libro di testo scolastico. Tuttavia nella lettura di molti libri sembra che nella definizione del valore assoluto l’autore si sia immedesimato così tanto nel ruolo dell’alunno che risulta molto difficile capire se pensi seriamente le definizioni che scrive o lo faccia soltanto per adeguarsi alle conoscenze dei ragazzi.

Il concetto di valore assoluto fa la sua apparizione per la prima volta nei libri di testo durante lo studio dei numeri relativi alla scuola media, ricompare nei libri di testo del superiore del primo anno, e poi viene utilizzato sempre più massicciamente da tali libri negli anni successivi.

Sono riportate nel seguito alcune delle definizioni date di tale concetto. I vari libri sono raggruppati proprio in base alla definizione che danno del valore assoluto. Si noti che le definizioni presenti nei vari libri (che comunque sono riportate in questo lavoro) non sono proprio identiche a quelle date ma comunque vi si possono all’incirca identificare.

5) Si dice valore assoluto, o modulo, di un numero il numero stesso senza il segno (Bovio ed altri, 1991; Benedetti ed altri, 1989; Venè ed altri 1995, 1995bis; Palatini ed altri 1992;

Alvino 1999, 1999bis; Santoboni 1961, 1961bis; Poggi Bianchini ed altri 1995, 1997; Maraschini ed altri 1998, 1998bis).

6) Si dice valore assoluto del numero relativo a e si indica con a la distanza del punto che rappresenta il numero a dall’origine (Castelnuovo, 1973).

7) Si dice valore assoluto del numero a, e si indica con a , il numero stesso se a è positivo o nullo, il suo opposto se a è negativo (Poggi Bianchini 1997; Maraschini ed altri 1998; Zwirner ed altri, 1997, 1997bis).

Esaminiamo a una a una tali definizioni, quali sono i vantaggi e gli svantaggi ad esse connessi, come esse sono date nei libri (e in che contesto) e dove il valore assoluto viene utilizzato.

La 1) definizione

“Si dice valore assoluto, o modulo, di un numero il numero stesso senza il segno”

(Bovio ed altri, 1991; Benedetti ed altri, 1989; Venè ed altri 1995, 1995bis; Palatini ed altri 1992; Alvino 1999, 1999bis; Santoboni 1961, 1961bis; Poggi Bianchini ed altri 1995, 1997; Maraschini ed altri 1998, 1998bis)

La 1) definizione è quella che si ritrova più frequentemente nei libri di testo sia di scuola media che del superiore.

Il Bovio (Bovio ed altri, 1991) è un libro del 3° anno di scuola media. Dopo avere definito i numeri relativi (Q), a pag. 7 si trova la lapidaria definizione: ”Si dice valore assoluto, o modulo, di un numero relativo il numero stesso senza segno”. Subito dopo (sempre a pag.7), il libro utilizza tale concetto per definire l’uguaglianza di due numeri relativi: ”Due numeri relativi si dicono uguali se sono concordi ed hanno ugual valore assoluto”. A pag.8 dice che “Dati due numeri relativi qualunque e disuguali, il maggiore di essi è quello che sulla retta orientata r ha per immagine un punto situato più a destra dell’immagine dell’altro”, però poi si sente in dovere a pag.9 di affermare che “Di due numeri positivi è maggiore quello che ha maggior valore assoluto; di due numeri negativi, il maggiore è quello che ha minore valore assoluto”. Personalmente ritengo che tale precisazione non solo sia necessaria ma anche dannosa perché il ragazzo separa il numero dalla sua visualizzazione sulla retta, fatto che invece è cruciale per il proseguimento dei suoi studi

matematici. Il libro riprende il concetto di valore assoluto a pag.19-20 dove se ne serve per definire la somma algebrica di due numeri relativi con le seguenti regole:

1) “La somma di due numeri relativi concordi è il numero che è concorde con i dati e che ha per valore assoluto la somma dei loro valori assoluti”

2) “La somma di due numeri relativi discordi è il numero relativo che ha il segno di quello dei due addendi che ha maggiore valore assoluto, e che ha per valore assoluto la differenza dei loro valori assoluti”

A pag.29 il medesimo libro recita:

“Il prodotto di due numeri relativi, entrambi diversi da zero, è il numero relativo che ha per modulo il prodotto dei loro moduli e che ha per segno il segno positivo se i due fattori sono concordi ed il segno negativo se sono discordi”

e a pag. 37:

“Il quoziente di due numeri relativi è il numero relativo che ha per valore assoluto il quoziente dei valori assoluti dei numeri dati, e per segno il segno + se il dividendo ed il divisore sono concordi, il segno – se sono discordi”

A pag. 46 il libro dice che:

“La radice quadrata di un numero positivo ha due valori che hanno valore assoluto e segni opposti”

Questa è l’ultima volta in cui tale concetto appare nel libro. Quindi, come si evince dall’analisi del testo, il valore assoluto è sempre applicato ai numeri relativi.

Il secondo libro preso in esame è stato il Benedetti (Benedetti ed altri, 1989), un libro per il triennio della scuola media. La definizione di valore assoluto che appare in tale libro è assolutamente deviante. A pag.183, dopo avere introdotto i numeri interi relativi, essa recita:

“Si chiama valore assoluto o modulo di un numero intero relativo il numero naturale che si ottiene togliendo il segno”

A mio parere una definizione simile è molto più pericolosa di quella che parla del valore assoluto come il numero senza segno. Innanzitutto perché limita il raggio d’azione del valore assoluto agli interi relativi. In secondo luogo perché, dietro a una parvenza di rigore, cela errori concettuali molto gravi. Gli utilizzi successivi che nel libro si fanno del valore assoluto sono analoghi a quelli esaminati nel Bovio. Tuttavia il libro non riparla più del valore assoluto riferendolo ai numeri frazionari relativi, che comunque introduce dopo. Per parlare della somma algebrica dei numeri frazionari relativi si limita a dire che si seguono le stesse regole che seguono gli interi relativi (pag.246).

Il Venè (Venè ed altri, 1995, 1995bis) è un libro per il biennio delle scuole superiori. Ritengo che uno studente che aprisse questo libro la prima volta per studiare gli interi relativi potrebbe decidere di non aprirlo più in altre occasioni. Infatti a pag.6 (Venè ed altri, 1995) esordisce con una notazione per lo meno discutibile. Parlando dei numeri interi dice che:

“Si scrivono usando una notazione non standard (per esempio 3-) o una notazione standard (per esempio –3):

3- = -3 3+ = +3 ”

A pag.7 viene definito il valore assoluto “senza parole” cioè:

“Il valore assoluto o modulo di un numero relativo è definito come segue: a+ = a a- = -a = a 0  = 0 Per esempio:

+5 = 5 -5 = 5 ”

Le operazioni fra gli interi sono definite allo stesso modo usando la stessa simbologia senza dare descrizioni utilizzando il valore assoluto ma solo come simbolo non con le parole.

Nel secondo volume (Venè ed altri, 1995bis) a pag.97, il valore assoluto ricompare quando si parla dei radicali aritmetici:

( )

−2 2 =−2 è assurdo, poiché un radicale aritmetico deve essere maggiore o uguale a zero.

( )

2

2

è un numero positivo e non può essere uguale a uno negativo! Per avere una uguaglianza corretta devi scrivere:

( )

−2 2 = −2

Questa osservazione è particolarmente importante quando si lavora con delle variabili:

2

y y =

infatti a y può essere assegnato un qualunque numero reale, positivo, negativo o nullo.”

Successivamente ricompare quando si parla delle proprietà che caratterizzano la parabola per indicare delle distanze in cui compaiono le lettere. Questa è l’ultima volta in cui questo concetto viene trattato nel libro.

Il Palatini e Faggioli (Palatini ed altri, 1992) è un libro destinato al biennio dei licei. Tale libro dà delle definizioni di valore assoluto e di numero relativo “falsamente rigorose”. Infatti a pag. 37 afferma che:

“Si dice valore assoluto o modulo o valore aritmetico di un numero relativo il numero stesso privato del segno: per esempio il valore assoluto di +3 è 3; il valore assoluto di

8 5 è 8 5 − ; ecc. …

Dunque ogni numero relativo possiede un segno e un valore assoluto… Due numeri aventi lo stesso valore assoluto e segni contrari si dicono opposti o anche simmetrici, o contrari …”

Sempre nella stessa pagina il libro fa una ulteriore precisazione in cui dà la 2) definizione:

“Come si è fatto per i numeri dell’aritmetica, anche i numeri relativi si rappresentano molto spesso con lettere dell’alfabeto. Si noti bene però che quando si dice, per esempio, “numero a” non si deve intendere che a è un numero positivo perché non è preceduto da alcun segno: si può decidere se a è positivo o negativo solo dopo che, per qualche ragione, venga attribuito ad a un valore numerico e un segno.

Il valore assoluto di a si indicherà come convenuto, con a e si leggerà “valore assoluto di a”. L’opposto del numero a è –a. Quindi avremo che se a è positivo, è a = a; se a è negativo è

a a =− ”.

Successivamente il libro dà le regole per sommare algebricamente, dividere e moltiplicare i numeri relativi utilizzando tale concetto. Tale libro usa il valore assoluto pure per scegliere quale fra due numeri relativi sia il minore trascurando completamente la rappresentazione dei numeri sulla retta reale.

L’Alvino (Alvino, 1999, 1999bis) è un libro per il biennio della scuola superiore. Si serve di esempi numerici per definire la somma, la sottrazione, il prodotto e la divisione dei numeri relativi.

Nel primo volume (Alvino, 1999) non si parla proprio del valore assoluto eccetto che a pag.429 in cui in una piccola nota laterale a fianco di un esercizio è riportato:

“Sai già : Si ricorda che il modulo o valore assoluto di un numero relativo è il numero preso senza segno: -5 = 5”

Nel secondo volume (Alvino, 1999bis) il valore assoluto viene utilizzato senza troppe spiegazioni quando si parla di trasportare fuori radice aritmetica espressioni in cui compaiono lettere. Poi non riappare più.

Il Santoboni (Santoboni, 1961, 1961 bis) è un libro destinato ai ginnasi, ai licei scientifici e gli istituti tecnici. Anche qua il valore assoluto è definito a pag.6:

“I numeri senza segno, che sono quelli usati sin ora in Aritmetica, si dicono numeri assoluti; il numero assoluto che si ottiene da un numero relativo sopprimendone il segno, si chiama valore assoluto del numero stesso.

Così, per esempio, i valori assoluti dei numeri +4, -5, 5 8 4 3 − + , sono ordinatamente 4, 5, 5 8 4 3 , ” Dopo questo infelice esordio tuttavia il libro “si riprende” affermando che:

“Evidentemente i numeri positivi . . . coincidono con i numeri senza segno . . . dai quali eravamo partiti; per questa ragione si usa comunemente identificare ogni numero positivo con il suo valore assoluto. Così un numero positivo, ad esempio +8, si scriverà indifferentemente +8 oppure 8” Nonostante dia questa definizione del valore assoluto personalmente ritengo che tale libro sia comunque apprezzabile perché dal punto di vista tipografico non dà a tale affermazione l’enfasi che dà alle altre definizioni più rigorose presenti nel libro, si fa capire e inoltre afferma chiaramente che il valore assoluto è un numero positivo (e questo non lo fa nessuno degli altri libri in maniera così esplicita).

Tuttavia nel secondo volume (Santoboni, 1961bis) il concetto di valore assoluto non viene più ripreso, neppure nella trattazione dei radicali aritmetici che comunque è molto discutibile e confusa.

Il Poggi Bianchini (Poggi Bianchini 1995, 1997) è un libro per il biennio delle scuole superiori. A pag. 79 nel primo volume, dopo avere introdotto i numeri interi relativi e i frazionari relativi compare la definizione di “valore assoluto, che è il numero preso senza segno”. Anche in questo libro ci si serve del concetto di valore assoluto per definire la somma, la differenza, il prodotto e il rapporto dei numeri relativi analogamente a quanto fatto dal Bovio. Nel secondo volume (Poggi Bianchini, 1997) a pag.36 ricompare il valore assoluto però è riportata velocemente la definizione 3), perché se ne rende necessario l’utilizzo parlando di come portare fuori dal segno di radice le espressioni che contengono lettere quando abbiamo a che fare con radicali aritmetici. A parte questo fugace utilizzo il valore assoluto non viene più usato nel libro.

Il Maraschini (Maraschini ed altri, 1998, 1998bis) è un libro destinato al biennio del liceo scientifico sperimentale. Nel primo volume (Maraschini ed altri, 1998) a pag.7 viene definito il valore assoluto dopo avere introdotto i numeri relativi:

“Si dice valore assoluto di un numero relativo a il numero considerato senza il suo segno” Tuttavia sempre a pag.7 in neretto in colonna accanto a tale definizione viene data la 3) definizione.

Sempre nella stessa colonna si evidenzia implicitamente in azzurro il significato geometrico del valore assoluto ( 2) definizione ):

“Due numeri opposti, come per esempio –2 e +2, entrambi con valore assoluto 2, sono disposti sulla retta in modo simmetrico rispetto alla posizione occupata dallo zero e rappresentano, entrambi, segmenti di uguale lunghezza (2 unità)”

A pag.8 dello stesso libro è presente un paragrafo che precisa diffusamente il fatto che “le lettere non rappresentano necessariamente numeri positivi”. Le operazioni fra numeri relativi vengono ritenute in tale libro bagaglio culturale degli alunni per cui non sono definite. A pag. 281 dopo avere parlato delle disequazioni di primo grado viene data la 3) definizione e in seguito sono proposti esercizi sulle equazioni e disequazioni con il valore assoluto.

Il concetto di valore assoluto viene riutilizzato nel secondo volume (Maraschini ed altri, 1998bis) quando parla di estrarre la radice quadrata di espressioni letterali che compaiono sotto segno di “radicale quadratico”.

La definizione 1) presenta l’indubbio vantaggio di essere subito recepita dallo studente, tanto è vero che è la più utilizzata nei libri. Infatti dopo avere definito i numeri “con segno”, il valore assoluto inteso come “numero senza segno” è vissuto dagli studenti come una semplificazione per cui è un concetto subito compreso. Purtroppo tale definizione non è né la più rigorosa (quando non viene specificato altrimenti: che tipo di numero è un numero senza segno?), né la più interessante ai fini del proseguimento degli studi. Non è la più rigorosa perché se l’insegnante non lo specifica bene quando dà all’alunno tale definizione, questi resta convinto che il “numero senza segno” sia un nuovo genere di numero, né positivo, né negativo. Non è la definizione più interessante perché rende il concetto di valore assoluto completamente inservibile per il proseguimento degli studi. A tale proposito ricordo uno studente al 5° anno I.T.I., che quando in una spiegazione di analisi ho parlato della definizione 3) per presentare il concetto di valore assoluto, egli, non comprendendola subito, mi ha subito espresso il suo disappunto perché un concetto così semplice (secondo lui!) io lo avevo reso così complicato. Forse semplificare troppo certi concetti è dannoso per la mente dello studente, sia perché non viene abituato alla logica matematica, sia perché vengono banalizzati concetti che non lo sono affatto, snaturando il significato di ciò che si insegna.

La 2) definizione

“Si dice valore assoluto del numero relativo a e si indica con a la distanza del punto che rappresenta il numero a dall’origine”

(Maraschini ed altri, 1998; Castelnuovo, 1973).

Abbiamo già visto che nel Maraschini (Maraschini ed altri, 1998), sia pure in secondo piano rispetto alle 1) e 3) definizioni si fa cenno a pag.7 al significato geometrico del valore assoluto.

L’altro libro che invece associa in maniera più pregnante tale concetto con quello di distanza è il Castelnuovo (Castelnuovo, 1973). E’ un libro di algebra per la scuola media, molto bello e interessante. Esso dà una grande importanza al linguaggio delle immagini: cerca sempre di esprimere i concetti dell’algebra utilizzando la geometria. Immagino che la Castelnuovo abbia svolto una accurata indagine epistemologica e storica sugli argomenti che espone nel suo libro, infatti a pag. 149 per parlare della somma e differenza dei numeri relativi utilizza i concetti di “entrate” e “uscite” analogamente a quanto fatto storicamente da Bombelli e come lui per rendere più “digeribile” l’ampliamento dei numeri naturali agli interi relativi antepone a qualunque discorso algebrico la visualizzazione dei numeri interi relativi sulla retta reale. Non introduce il concetto di valore assoluto per definire le operazioni fra numeri relativi.

Questo le risparmia inutili e astruse definizioni da imparare a memoria. Della somma algebrica dà pure una visualizzazione interessante a pag.153:

“E’ per esempio una somma algebrica l’espressione: 1 11 2 7 3 5− − + − + +

+5 si leggerà: “partire da 0 e spostarsi di 5 verso destra”;

-3 si leggerà:”spostarsi, a partire da +5, di 3 verso sinistra”; si arriva così a +2” e così via. Molto bello è pure il modo in cui cerca di visualizzare la regola dei segni sul piano cartesiano. Tuttavia in tale descrizione si fa scappare la parola “valore assoluto” senza averla definita prima:

“Volendo rappresentare geometricamente il prodotto di due numeri relativi dovremo pensare a un rettangolo le cuin dimensioni siano appunto espresse da questi numeri. Saremo quindi portati a disegnare un piano cartesiano; lavoreremo sui quattro quadranti in cui gli assi coordinati dividono il piano. Prendiamo adesso un rettangolo di cartone, per esempio di dimensioni 2 e 3. Supponiamo che le facce di questo cartone siano di colore diverso: l’una rossa e l’altra nera; il cartone si può presentare dunque o dalla parte rossa o dalla parte nera. Ora noi conveniamo di chiamare positiva l’area della faccia rossa e negativa l’area della faccia nera che è l’opposta.

Se le dimensioni del rettangolo sono 2 e 3, la sua area sarà, in valore assoluto, uguale a 6; da un punto di vista “relativo” noi diremo che l’area è +6 se si presenta dalla faccia rossa, mentre è – 6 se si presenta dalla faccia nera.”

Segue infine una visualizzazione grafica in cui caratterizza i vari quadranti del piano cartesiano con i colori rosso e nero delle facce del rettangolo ribaltandolo quest’ultimo ogni volta che cambia il segno di uno dei fattori.

Il valore assoluto viene definito implicitamente a pag.169 quando la Castelnuovo afferma che il valore y del quadrato di un numero intero relativo x “non dipende dal segno di x ma solo dal

valore assoluto di x che si indica con  x .”

A pag. 170 il discorso continua prendendo una “brutta piega”:

“ Nel nostro caso numerico possiamo dire che y=+25 corrisponde a due valori relativi opposti: +5 e –5; oppure possiamo dire che y=+25 corrisponde al valore assoluto di x:  5 .

Spesso, a proposito di distanze, ci si riferisce, anche se non lo si dice esplicitamente, al valore assoluto anziché al valore relativo: per esempio la distanza dei punti P, Q sulla retta è sempre  4 ”.

Penso che l’idea della Castelnuovo di collegare il valore assoluto con il concetto di distanza sia molto interessante infatti facilita i collegamenti con il significato del valore assoluto in campo complesso e nello studio dei limiti. Tuttavia ritengo che i termini in cui la Castelnuovo formula il suo discorso così persuasivo siano totalmente sbagliati. Se da studente mi trovassi a leggerlo penserei che allora al valore assoluto di un numero, per esempio  5  corrispondono due numeri uguali e opposti +5 e –5 e come è ovvio non è così. La Castelnuovo usa il concetto di radice algebrica per parlare del valore assoluto, invece il fatto che 25 = 5 viene proprio dal fatto che si fa uso del concetto di radice aritmetica.

La 3) definizione

“Si dice valore assoluto del numero a, e si indica con a , il numero stesso se a è positivo o nullo, il suo opposto se a è negativo”

(Poggi Bianchini 1997; Maraschini ed altri 1998; Zwirner ed altri, 1997, 1997bis)

Il secondo volume del Poggi Bianchini (Poggi Bianchini, 1997) riporta la 3) definizione a pag. 36 senza troppe spiegazioni e precisazioni, dicendo:

“( ricordiamo che    < − > = 0 per 0 per a a a a a ) “ . e ne fa alcune applicazioni.

La 3) definizione è presente nello stesso Maraschini in cui compariva la 1) definizione, ma più avanti nel libro, senza troppi commenti, perché viene da lui utilizzata per risolvere le equazioni e le disequazioni con i valori assoluti.

Lo Zwirner (Zwirner ed altri, 1997, 1997bis) è un libro molto famoso scritto per la scuola media superiore. A pag.79, quando parla dei numeri razionali relativi viene definito il valore aritmetico di un numero razionale relativo:

“Il valore aritmetico di un numero relativo è il numero privato del segno”

Nel documento IL VALORE ASSOLUTO (pagine 23-33)

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