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L’intervista dialogica

Parte seconda:

CAPITOLO 4: L’APPROCCIO METODOLOGICO

4.1. L’intervista dialogica

L’approccio che ho cercato di praticare nella ricerca è quello dialogico. Per avvicinarmi a questa modalità ho seguito il pensiero e le indicazioni di La Mendola che nel suo testo “Centrato e aperto. Dare vita a interviste dialogiche”, spiega cos’è un’intervista dialogica, evidenziandone le potenzialità ma anche affrontando le difficoltà, gli ostacoli ed i pericoli che si possono incontrare. Di seguito cercherò di descrivere cos’è e quali sono le caratteristiche fondamentali dell’intervista dialogica.

Per prima cosa La Mendola definisce l’intervista dialogica come una particolare forma di relazione d’ascolto, dove l’obiettivo principale è quello di raccogliere rappresentazioni d’esperienze e di relazioni, o meglio di ascoltare le rappresentazioni delle cornici all’interno delle quali determinati elementi, quelli che vogliamo conoscere, acquisiscono senso136. In

questi termini, quindi, l’intervista è un modo per creare conoscenza, non un semplice passaggio di dati e d’informazioni, ma una relazione nella quale entrambi gli interagenti possono apprendere e conoscere, “accorgendosi” di qualcosa che prima ignoravano137. Quello

a cui si deve ambire è di entrare davvero in relazione con l’altro. Per l’autore entrare in relazione è necessariamente trasformativo per entrambi gli interagenti e crea un “materiale vivo” con il quale il ricercatore può ampliare la propria conoscenza138.

Da questo ne consegue che lo scopo di un’intervista non è quello di accertare la verità ma, piuttosto, di raccogliere rappresentazioni d’esperienze, di relazioni, di forme di riflessione per

136 La Mendola S., (2009), Centrato e aperto. Dare vita a interviste dialogiche, De Agostani Scuola Spa,

Novara, p. XIV.

137 Idem, pp. 16-17. 138 Idem, p. 69.

elaborare una plausibile rappresentazione di rappresentazioni, di cui il ricercatore si assumerà la responsabilità139.

È evidente che l’opera del raccontare esperienze passate è, sempre e in ogni caso, un’opera di costruzione-ricostruzione. Ciò che viene costruito-ricostruito sono delle rappresentazioni; non è un’operazione di copiatura di ciò che è presente in memoria140. Tramite l’accorgersi si

attinge a quello che è vero per te qui ed ora. Tuttavia, la verità cui puoi attingere da solo, qui e ora, è soltanto una faccia della verità nel suo complesso141. Anche Edelstein ricorda che:

La narrazione è anche un processo cognitivo attraverso il quale le persone strutturano unità d’esperienza in una dimensione temporale significativa, attribuendo loro un ordine, dei rapporti e dei significati. Attraverso la narrazione, le persone comprendono e rappresentano la realtà attribuendo senso alle proprie esperienze di vita. narrare serve dunque a costruire la realtà. Non c’è un’unica verità: ciò che emerge in un determinato contesto ha senso in quella specifica situazione; in un altro contesto la narrazione sarà diversa, talvolta apparirà tutt’altra. E questo non diventa né contraddizione, né bugia: ha senso in quello specifico momento. Nella narrazione, l’organizzazione di senso avviene fra i partecipanti e lo stesso evento può essere raccontato in diversi modi. È ciò che oggi viene chiamato la punteggiatura nei processi comunicativi ed è legato all’accento che gli individui pongono sulle loro narrazioni e all’interno dei contesti. Poter raccontare una storia in modi diversi, a seconda del contesto, consente di vivere la complessità delle esperienze umane e agevola l’elaborazione dei vissuti. Nessuna storia è più vera dell’altra, ciascuna ha una propria punteggiatura. I vissuti diventano problematici quando la narrazione intorno ad un evento significativo è unica e attribuisce tutta la responsabilità sempre e solo ad un aspetto. È allora che lo sguardo opprime, diventa rigido e stretto142.

In particolare, ciò che interessa La Mendola, è come scorre la vita delle persone che s’interpellano, per rispondere alla domanda tipica dell’etnografia: “cosa avviene qui e come?”. Significa lasciare che l’altro racconti di sé guidando il ricercatore, cercando “soltanto” di farsi raccontare casi specifici perché è nel dettaglio delle esperienze che si può cogliere qualche frammento, qualche indizio di retroscena143. Per La Mendola fondamentale, quindi, sono “le condizioni contingenti”. Soltanto se si è a conoscenza dei piccoli particolari di ogni specifica situazione si può accostarsi al senso attribuito dall’attore al proprio agire, sia che lui lo dica esplicitamente o che lo lasci implicito, altrimenti rimarrà tutto oscuro ed il ricercatore proietterà il suo senso, senza essere entrati in contatto con quello del narratore, divenendo facilmente giudicanti. Senza attenzione ai piccoli passi, ai singoli qui ed ora, o lì e

139 La Mendola S., (2009), op. cit., p. 50. 140 Idem, p. 76.

141 Idem, pp. 43-44.

142 Edelstein C., (2007), op. cit., pp. 14-28. 143 La Mendola S., (2009), op. cit., pp. 66-68.

allora, non si può entrare in contatto con l’altro, con il suo agire, perché «le attività sono risposte a situazioni particolari» (Becker, 2007)144.

Per l’autore, altro aspetto fondamentale e centrale da curare, è lo stile dell’interazione durante l’incontro. Occorre che l’intervistatore si chieda: “quale è il senso delle mie mosse comunicative?”. In particolare: “all’intervistato quale self sto proponendo di interpretare? Verso quale direzione lo sto spingendo? Gli sto prescrivendo qualcosa?”145 In una prospettiva

dialogica diventa più adeguato fare un passo indietro per accogliere ciò che l’altro costruisce da sé e sostenerlo in questa fatica d’elaborazione, cercando di assecondarlo senza invaderlo, né rimanendo chiusi in una pretesa neutralità. Per praticare l’intento di valorizzare le differenze mettendole in contatto, l’intervista-attore porrà domande di tipo narrativo- descrittivo, aneddotico-situazionali, con una bassa spinta alla valutatività 146. La scrittura della traccia dell’intervista, pertanto, non va connessa con l’idea di formulare domande per praticare la verifica delle ipotesi, ma si tratta di scrivere “domande cornice” d’esperienze e relazioni. Le domande hanno l’intento di invitare il narratore ad evidenziare alcune “cornici d’esperienza e di relazione” tra le tante del fluire della vita, quelle che ci sembrano tra le possibili da esplorare, sapendo che poi potranno essere altre quelle che effettivamente verranno esplorate. La scrittura è soprattutto un continuo scegliere le parole che riducano il più possibile i condizionamenti posti al modo di raccontarsi147. In sintesi è necessario trovare uno stile non invasivo, si deve far in modo di aprire l’intero ventaglio delle possibilità e non prescrivere in quale modo l’altro debba raccontarsi, gli si deve offrire un’occasione di narrare di sé più aperta possibile. Si deve riuscire a far cadere l’idea che “l’intervista rimanga incentrata sugli argomenti che si hanno in precedenza scelto”148.

Per l’autore, l’intervista è una sfida, una possibilità di costruire con chi ci racconta parti della sua vita, assumendo una visione relazionale, dialogica e non una visione oggettivata dell’altro. È soltanto se si è dis-posti a rinunciare alle proprie posizioni, se ci si accorge di non aver capito e, al con-tempo/con-spazio, ci si rappresenta come Io-Tu e non come Io-esso, che si può evitare sia l’inerzia dogmatica, sia l’oggettivazione dell’altro149.

L’intervista in questo modo diventa occasione di relazione tra intervista-attore e narra-attore e quindi di generazione di consapevolezza di Alter e di messa in comune di tale consapevolezza. Proponendo interviste di stile dialogico s’invita alla creazione di uno

144 La Mendola S., (2009), op. cit, pp. 29-30. 145 Idem, pp. 54-55.

146 Idem, pp. 60-61. 147 Idem, pp. 91-94. 148 Idem, pp. 27-54. 149 Idem, pp. 45-60.

spazio/tempo esplicitamente dedicato ad un doppio ascolto: di sé (centratura) e di Alter (apertura). Chiedendo all’altro di ascoltar-si (centratura) generando consapevolezza e di mettere in comune questo accorgersi (apertura), dichiariamo pragmaticamente all’altro che lo ascoltiamo (apertura) e che ci ascoltiamo (centratura)150. Essere centrato e aperto, durante il rituale il cui intento è l’ascolto, significa quindi entrare in contatto con le rappresentazioni di alter, senza urgenza classificatoria. È un ascolto nel quale mi accorgo delle forme, ma senza attaccarmi ad esse e, soprattutto, senza attaccare ad esse una valutazione, ossia si pratica la consapevolezza delle differenze che vengono in rilievo senza per questo dar vita a distinzioni cui connettere disuguaglianza (Rettore, 2007)151. Generare consapevolezza vuol dire lavorare con le emozioni connesse alla situazione d’esperienza e di relazione152. La relazione del rituale-intervista sarà tanto più adeguata quanto più l’intervista-attore sarà consapevole di ciò che avviene lì, nell’interazione153.

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