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L’istruzione classica nella scuola italiana

Nel documento Intersezioni pedagogiche (pagine 157-163)

«Non si impara il latino e il greco per parlarli, per fare i came- rieri, gli interpreti, i corrispondenti commerciali: si impara per co- noscere direttamente la civiltà di due popoli, presupposto neces- sario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi consapevol- mente», scriveva Antonio Gramsci.

Appare più chiara e intelligibile, dopo il passo di Antonio Gramsci, l’antipatia per la consuetudine di tornare frequentemen- te a discutere sulla validità formativa delle lingue classiche e per il perpetuo affastellarsi di argomentazioni contorte e viziate. In piena era “globalizzata”, ad esempio, ci si ostina a legittimare il ruolo delle lingue moderne, in primis dell’inglese, contrapponendo a esse il “vetusto” latino e il “morto” greco antico e, a periodi di riscoper- ta e di valorizzazione della classicità nella completezza che a ragio- ne le spetta, si sono intervallati estesi archi temporali di oblio, di trasognata nostalgia per un mondo destinato a non tornare o, peg- gio, di rifiuto verso quell’Olimpo lontano e, perciò, non contempo- raneo.

classici” non consiste nel quantificare la dose della loro contem- poraneità, della loro aderenza alla vita moderna: tesi fuorviante in- fatti, scrive Ivano Dionigi, è porre il problema nei termini dell’at- tualità dei classici, poiché «i classici in realtà sono sempre attuali, noi invece no».

È indubbio il peso del loro lascito nella nostra cultura e in larga parte del pensiero occidentale, nei diversi linguaggi scientifici e, non ultimo, nei diversi idiomi locali. In ciò noi, eredi diretti dei romani, possiamo vantare il privilegio di entrare in ogni istante della vita quotidiana in contatto con la tradizione classica, osser- vando monumenti e tipiche strutture edilizie, semplicemente at- traversando una strada o citando una massima. Ed è proprio su quest’ultimo punto che ci si vuole soffermare, riattualizzando il te- ma, peraltro mai sorpassato, della necessità di una educazione lin- guistica che, se nell’Italia unitaria era orientata alla ricerca di una lingua nazionale, nella realtà di oggi investe il compito di aprirsi alle lingue moderne e verte alla definizione del ruolo da tributare alle lingue classiche.

Coscienza linguistica che sia al tempo stesso coscienza storica, fattore di integrazione e di apertura verso tutto quanto ci circon- da. Inoltre l’antico, se osservato nella sua globalità e nella sua complessità, si palesa come insostituibile contributo per la forma- zione della nostra identità culturale europea.

Trasponendo l’attenzione alla dimensione scolastica e tenuta l’opportuna separazione fra insegnamento delle lingue classiche, riservato a quanti popolano il liceo classico, e insegnamento delle culture classiche, dispensato a tutti i discenti degli altri indirizzi, spetta adottare una condotta flessibile sin dalla scelta dei testi e degli argomenti da proporre, convenientemente integrati con lo studio dei moderni.

Il passato rischia costantemente di essere censurato e i classici vivono il tormentato e ingiusto esilio dalla scuola, dalle università e, più in generale, dalla coscienza nazionale. Si è insistito sul con- cetto di classico quale coesivo per riscoprire un’identità culturale e linguistica non solo nazionale, ma anche e soprattutto europea. Obiettivo questo complesso, poiché la tradizione culturale euro- pea è unitaria e insieme multiforme; le generazioni odierne devo- no essere formate alla coscienza della molteplicità, sono figli di un’Italia terra di lacerazioni e di divisioni politiche e culturali, di dominazioni straniere varie e diverse.

La storia ci tramanda i ritratti di una egemonia bizantina, di un predominio longobardo, della sottomissione ai normanni, di scor- rerie saracene, di una dominazione provenzale e di una spagnola: immagini temporali che hanno inciso profondamente nella carat- terizzazione del sostrato culturale del nostro Paese.

Rinnovare la pratica di divulgazione delle lingue classiche, ren- derle familiari, riattualizzare lo statuto epistemologico del latino e del greco sono tutti passi verso un traguardo necessario, sono for- mazione culturale, consapevolezza dell’innegabile apporto del pa- trimonio classico a fondamento delle radici culturali europee.

A tale presa di coscienza segue la doverosa responsabilità delle istituzioni scolastiche nel garantire una giusta sopravvivenza del mondo classico, principalmente per il fatto che i giovani contempo- ranei possono entrare in contatto e avere familiarità con la cultura antica solo ed esclusivamente tra i banchi di scuola, là dove molto spesso si perpetua e si eterna la catulliana antitesi di odi et amo nei confronti di lingue che, se da una parte appassionano in virtù del contrasto con i barbari della contemporaneità o per la presenza di quell’insieme di topoi che ritornano in ogni tempo e in ogni luogo, dall’altra spaventano e irrigidiscono per la complessità, intrinseca nella loro natura morfo-sintattica, che rende gravoso il loro studio e, di conseguenza, allontana prima ancora di essere conosciute.

Nella pluralità delle idee, delle linee psico-pedagogiche, delle tendenze didattiche e delle direttrici legislative si deve lavorare af- finché si riesca ad attrarre e ad assorbire un’utenza variegata, ap- parentemente demotivata e continuamente attratta da altro. La re- sponsabilità certamente è di largo respiro ma, sotto un profilo elettivamente educativo, ci si soffermerà su quanto le istituzioni formative e gli attori che vi operano hanno compiuto e quanto an- cora debbano adoperarsi alla realizzazione di una didattica rinno- vata e, in primo luogo, valida.

Classico è varietas, è il ritorno di medesimi problemi e di mede- sime tematiche attraverso infinite variazioni; i classici in tal modo

in-sistono, in altre parole “fanno epoca”. In-siste, dunque “fa epo-

ca”, anche il dibattito che dall’Unità d’Italia a oggi investe il ruolo da tributare, nella pratica scolastica, al latino e al greco.

A partire dalla Legge Casati del 1859 il dibattito sulle funzioni delle lingue classiche rincasa nel più generale e complesso proble- ma dell’”educazione linguistica”. A conferma di questo assunto, basta ricordare che nel panorama storico e sociale della neonata

Italia unita le energie venivano impegnate nella definizione di una lingua nazionale e nella lotta all’analfabetismo.

Netta risultava l’opposizione tra scuola umanistica, caratterizzata dalla presenza delle lingue classiche, e scuola tecnica e, nello stesso tempo, saldo appariva il primato della cultura classica quale asse portante e sostegno dell’intero sistema educativo. Tale sarà la posi- zione di Pasquale Villari, il quale si pronuncia in termini chiari sul- l’argomento: «non si tratta già di sapere se la conoscenza del greco sarà, nella pratica della vita, più utile del tedesco o viceversa […]. Dagli 11 ai 19 anni si forma il carattere e si sviluppa l’ingegno».

L’insegnamento del latino era essenzialmente di tipo linguistico e, solo in second’ordine, di tipo storico: nei programmi emanati con R.D. del 16 giugno 1884 per i ginnasi il latino costituisce uno strumento necessario per riflettere sulla lingua italiana. In partico- lare, nelle Istruzioni per l’insegnamento della lingua latina e greca

nel ginnasio dei programmi sopra citati si legge: «Allo studio del

latino, fondamentale nel Ginnasio, deve precedere l’insegnamento della grammatica italiana, coordinata alla grammatica latina […]. Messa per base la lingua italiana s’avanzi, notando via via prima le uguaglianze, poi le differenze tra le due lingue […]. Negli esercizi e nelle traduzioni, o retroversioni, il professore sia parco ma preci- so; e nelle versioni orali o scritte, faccia che l’insegnamento suo di- venga efficacissimo e principalissimo aiuto allo studio della lingua italiana». Per il greco valgono le stesse istruzioni, con maggiore in- sistenza sulla ponderatezza e sulla chiarezza con cui l’insegnante deve procedere. In particolare: «Le norme date per lo studio del latino, rendono quasi superflue quelle per il greco, dovendo essere identici e i mezzi e gli intenti. Che anzi si ha, per l’apprendimento del greco, il vantaggio di una più opportuna preparazione, per lo studio già fatto della grammatica e degli scrittori latini […]. Nella classe quinta non si pretendano troppe traduzioni dal greco; ma di quanto dell’autore scelto si è tradotto, sappia lo scolaro dar minu- tissimo conto, specialmente per quel che concerne la morfologia e i principale elementi costitutivi di ciascuna parola».

Già in questi anni si aprono i portali di quella che sarà una lun- ga e costante controversia, il dibattito sulla istituzione della scuola media unica con o senza presenza del latino, emblema demarcato- re dell’opposizione tra scuola popolare e ginnasio.

La prima proposta di legge risale, nel 1867, all’allora ministro della Pubblica Istruzione Michele Coppino, ma saranno due De-

creti Ministeriali, il D.M. n. 5417 del 27 maggio 1888 e il D.M. n. 7361 del 21 novembre 1890, a segnare la realizzazione di più anti- chi progetti.

Prendeva corpo il processo di valorizzazione della lingua italia- na, che proseguirà nell’impostare i programmi scolastici sull’inse- gnamento e sullo studio dei classici della letteratura italiana, al fi- ne di portare a compimento l’unificazione linguistica di un Paese unito da meno di un trentennio. La cultura classica continuava a rappresentare il riferimento naturale e obbligato, altrettanto preci- pua era considerata la conoscenza della lingua e della civiltà greca e latina, intese sia e non solo come matrici storiche della lingua na- zionale ma anche e soprattutto come mezzi per accedere alla cul- tura classica, come “esperienza” di un sistema di valori da cui in- negabilmente si riconosceva l’origine della cultura italiana. E an- cora, l’istruzione classica viene solennemente riconosciuta come veicolo di trasmissione di «cultura nazionale di base».

Attraverso i due decreti poc’anzi ricordati il ministro Paolo Bo- selli creava la scuola media unica con programmi identici per il ginnasio, in cui compariva inserito l’insegnamento del latino, e la scuola tecnica. Si susseguono interventi e provvedimenti normati- vi: si ricordino nel 1893 la proposta del ministro Martino e nel 1901 quella del ministro Gallo di un ginnasio propedeutico sia al liceo sia all’istituto tecnico, in cui l’esame di latino era richiesto ef- fettivamente solo per accedere al liceo.

Una regressione nel mantenimento e nella difesa della lingua la- tina nel ginnasio si verifica nel 1905 nel progetto della Commissio-

ne Reale e, nel discorso di insediamento, il ministro Bianchi si pro-

nunziava in termini rigidi nei riguardi delle lingue classiche, defi- nendo addirittura «un errore psicologico e pedagogico, una colpa legislativa» lo studio della lingua latina nei primi anni della scuola secondaria e ritenendo sufficiente a definire la personalità dei gio- vani e a fissare in essi «i caratteri precipui della nazionalità» la co-

noscenza del nostro idioma, della nostra storia e del nostro paese.

Ispirata alla filosofia idealista, la riforma Gentile del 1923 po- neva al centro del percorso formative il latino, il greco e la filoso- fia, discipline qualificate e qualificanti, capaci di guidare il giovane alla conquista dell’autocoscienza. In virtù di ciò, le materie classi- che comparivano in tutte le scuole secondarie inferiori, in tutte le scuole secondarie superiori, fatta eccezione per gli istituti tecnici e per quelli di avviamento al lavoro; dal loro studio il giovane avreb-

be acquisito un marcato senso storico e una spiccata capacità lin- guistica ed espressiva.

Nei programmi gentiliani le ore destinate all’insegnamento del latino aumentano e nel metodo d’insegnamento prevale l’aspetto culturale, guardando al mondo classico come a un paradigma di perfezione. All’idea di una scuola formatrice di talenti e fortemen- te selezionante, nel cui circuito d’azione e per la cui vocazione si cura l’educazione linguistica delle giovani generazioni, si alterna nel periodo fascista una formazione glottologica extrascolastica, vale a dire che l’educazione linguistica avviene al di fuori della realtà scolastica e, soprattutto, attraverso l’opera demagogica del Duce, mediante trasmissioni radiofoniche e cinematografiche.

La riforma fascista della scuola fu opera del ministro Giovanni Bottai nel 1943: il latino si caratterizza come strumento selettivo, tanto che la sua presenza fin dalla prima media, tra le materie sco- lastiche, trova giustificazione nel valore che al latino si attribuisce, di «salutare scoraggiamento per i non dotati e di impegno di tena- cità, a ogni costo, per coloro che solo le cime del difficile tenta- no», come soleva ribadire il ministro Bottai.

L’opposizione tra scuola classica e scuola tecnica si cristallizza, si susseguono polemiche e nel 1977 si approda alla soppressione del latino nella scuola media di primo grado. La polemica riguar- dava principalmente l’istituzione della scuola media unica, tema dibattuto a partire dalla seconda metà dell’Ottocento e proseguito per tutto l’arco del Novecento, anche dopo l’approvazione della legge n. 1859 del 31 dicembre 1962. Tale legge è l’atto di nascita della scuola media unica, aperta a tutti, gratuita, con obbligo sco- lastico fino ai quattordici anni, nella quale il latino compariva co- me materia autonoma solo nella terza classe, era facoltativo, il su- peramento del cui esame restava, però, obbligatorio per l’accesso al ginnasio. Passata alla storia, la polemica Banfi-Marchese segna la divergenza di posizione fra il filosofo Antonio Banfi, fermo so- stenitore di una scuola media senza latino, di una scuola «reali- sta», legata alla professionalizzazione e fondata sull’insegnamento delle lingue moderne, e il latinista Concetto Marchesi, fautore di una scuola media con il latino per tutti. «Non vogliamo -afferma Marchesi- che nel mondo degli uomini ci siano moltitudini con- dannate a ignorare le battaglie dell’anima e a conoscere soltanto quelle per il pane». Ovviamente, considerate le arie politiche del momento, quest’ultima posizione sarà destinata a fallire.

Si comprende a chiare lettere che le ragioni della crisi del latino e, soprattutto, del greco sono da ricercarsi, più che nella incapa- cità di un’adeguata politica scolastica, nella inabile azione di ride- finire i metodi d’insegnamento, nella apatia di ridisegnare il qua- dro degli obiettivi educativi; in altri termini, nella debolezza di proposte efficaci tali da convincere sul valore formativo delle lin- gue classiche.

La riscoperta del patrimonio antico in ambito di educazione scolastica conosce un respiro nuovo a partire dagli anni Ottanta, allorquando incomincia a farsi strada la convinzione della necessità per i giovani che si affacciano all’università di una cultura generale, intesa quale strumento che abbraccia tutto ciò che è umano, che diffonda una valida metodologia di studio, dunque di una cultura umanistica che costituisca un mezzo per la conoscenza dei più di- versi linguaggi. In questi stessi anni è attiva la Commissione presie- duta dal sottosegretario alla Pubblica Istruzione Beniamino Broc- ca. I programmi tracciati insistono sul rapporto fra esigenza di una didattica rinnovata delle discipline classiche e il contesto socio-cul- turale della scuola italiana: è, dunque, l’attualità dei messaggi che va rintracciata e, a tal fine, il latino viene inserito in quattro indiriz- zi, classico, scientifico, linguistico e psicopedagogico, in cui fina- lità, obiettivi, metodologie e contenuti sono diversificati.

Alla cultura classica si assegna una funzione specialistica, come verrà ribadito più chiaramente nel Progetto di riforma dei cicli e nei documenti della Commissione dei saggi, in cui il mondo antico continua ancora, anzi ancor di più, a incarnare la via maestra nella formazione dei giovani del terzo millennio, a patto che a esso si connetta il fattore puramente professionalizzante. Prende vigore l’idea di una scuola che debba essere formatrice e che rappresenti per i giovani il luogo di preparazione al mondo del lavoro: gli stu-

dia humanitatis indossano la veste di studi professionalizzanti, ca-

paci cioè di dotare il giovane delle abilità interpretative e cognitive da sfruttare in tutti i possibili livelli.

3.2. Scuola e lingue classiche.

Nel documento Intersezioni pedagogiche (pagine 157-163)