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I. Un approccio analitico

2. L’obiettivo dell’inclusione sociale

Un altro modo di analizzare e valutare le diverse politiche criminali nazionali tiene conto della capacità del sistema penale di promuovere l’inclusione sociale e minimizzare l’esclusione sociale dei cittadini destinatari di provvedimenti di ma-

trice penale9. Questa prospettiva ha una portata più ampia di quella appena illu-

strata, poiché influisce sul nucleo stesso degli obiettivi di prevenzione del corri- spondente modello politico-criminale. Non si tratta più, come nell’approccio pre- cedente, di garantire che la strategia preventiva scelta, qualunque essa sia, rimanga entro i margini della moderazione punitiva. La dimensione dell’inclusione/esclusione sociale permette di formulare due diverse declinazioni della strategia preventiva.

8 Si vedano Balvig F., “When law and order returned to Denmark”, Journal of Scandinavian

Studies in Criminology and Crime Prevention. 2004, 5, p. 169; Hinds L., “Crime control”, cit. p. 47-

48; Tonry M., “Determinants”, cit. p. 8-14; Tamarit Sumalla JM., “Sistema de sanciones y política criminal”, Revista electrónica de ciencia penal y criminología. 2007, 09-06, p. 6-27; Lappi-Seppälä T., “Penal Policy in Scandinavia”, in Tonry M., ed. Crime, Punishment and Politics, cit. p. 254-258, 266- 270; Newburn T., “Tough on crime: Penal policy in England and Wales”, Ibídem, p. 435-436, 442- 445; Snacken S., “Penal policy and practice in Belgium”, Ibídem, p. 145-150; Downes D., “Visions of penal control in the Netherlands”, Ibídem, p. 95-96, 97, 99; Levy R., “Pardons and amnesties as policy instruments in contemporary France”, Ibídem; Roché S., “Criminal justice”, cit. p. 502-511, 539-540; Pratt J., “Scandinavian exceptionalism in an era of penal excess”. I British Journal of Criminology. 2008, 48, p. 135; Nelken D., Comparative Criminal Justice. Los Ángeles: Sage Publications. 2010, p. 61-66. Tuttavia, ci sono state argomentazioni rilevanti sulla notevole capacità del tasso di incarcerazio- ne di sussumere in se stesso, in modo significativo, tutti questi altri indicatori dell’uso del carcere. Si vedano Webster CM., Doob A., cit. p. 305-309; Lappi-Seppälä T., “Trust, Welfare”, cit. p. 322-332.

L’alternativa inclusiva mira a garantire che la selezione delle condotte oggetto di sanzione penale sia governata da criteri imparziali, legati al potenziale lesivo che il comportamento può determinare sulla società, senza pregiudizi che discri- minano o strumentalizzano determinati gruppi sociali o comunità. Essa mira inol- tre a garantire che i soggetti indagati di un reato o coloro che sono già giudicati colpevoli si trovino, dopo essere venuti in contatto con le autorità deputate al controllo penale, nelle stesse o migliori condizioni individuali e sociali, affinché possano in modo volontario condurre una vita ossequiosa dei precetti legislativi.

L’alternativa escludente ritiene che la selezione delle condotte penalmente ri- levanti debba andare oltre la mera identificazione e il controllo dei comporta- menti socialmente dannosi, perseguendo piuttosto ulteriori obiettivi di controllo di alcuni gruppi sociali o comunità. Allo stesso tempo, ritiene di dover garantire che il soggetto indagato o il condannato si trovi, dopo il contatto con le autorità preposte a controllo penale, in condizioni individuali e sociali in cui è più difficile

per lui violare la legge o evitare di essere scoperto10.

Come si può notare, mentre oggetto dell’intervento penale nei processi deci- sionali volti a scegliere se sanzionare penalmente una condotta è la popolazione nel suo complesso, i cui vari gruppi e comunità possono o meno ricevere un trat- tamento paritario, al momento del perseguimento delle condotte e dell’esecuzione penale, oggetto dell’intervento penale saranno i singoli soggetti direttamente sottoposti alle autorità di controllo penale nelle rispettive qualità di indagati, condannati e di soggetti con precedenti penali.

L’opzione dell’inclusione sociale, qui difesa, si fonda sull’ipotesi secondo la quale, un diritto penale imparziale nei suoi contenuti di tutela, capace di ottenere o almeno di mantenere un certo livello di inclusione sociale dei soggetti indagati di un reato, dei condannati e dei soggetti con precedenti penali, costituisce una delle più efficaci strategie per la prevenzione a medio e lungo termine del feno- meno della delinquenza.

Vi è poi una ulteriore ipotesi correlata, la quale sostiene che un atteggiamento fazioso nel definire l’oggetto della protezione penale e, parimenti, la decisone o il consolidamento dell’esclusione sociale dei soggetti indagati, dei condannati e dei soggetti con precedenti penali da parte delle istituzioni deputate al controllo pe-

nale, genera un più alto tasso di criminalità sia nel medio che nel lungo termine11.

10 Si vedano, inoltre, Cavadino M., Dignan J., “Penal systems”, cit. p. xiii, 28, 338-339; Bro-

deur JP., “Comparative”, cit. p. 54-60, 81-82.

11 In nessun caso intendo formulare ipotesi sugli effetti che un modello politico-criminale in-

clusivo o escludente può avere sulla configurazione di una società più o meno inclusiva, in tutti i suoi aspetti. Non c’è dubbio che il programma politico-criminale che sto delineando avrà un impat- to sulla società nel suo complesso, ma il mio approccio non intende spingersi così lontano. In senso contrario, sul consolidamento di società sempre più esclusive e l’adattamento di modelli politico-

Nondimeno, anche se la massimizzazione di ciascuna delle pretese conduce, in

larga misura, in direzioni opposte12, il programma politico criminale di matrice

inclusiva non preclude determinati contenuti del programma di matrice esclu- dente. Sembra proprio sia stato pensato in modo tale che la combinazione adotta- ta rifletta un livello ottimale di inclusione sociale.

D’altro canto, inclusione/esclusione sociale e moderazione/rigore punitivo non costituiscono dimensioni parallele. Di fatto, gli interessi correlati al conse- guimento dell’inclusione sociale possono rappresentare l’occasione per stabilire misure di intervento penale o scegliere strumenti di reazione al crimine di tenore più afflittivo rispetto a quelli che si sarebbero pretesi se si fosse guidati da un in- tento di esclusione sociale.

Ad ogni modo, sarà normale che inclusione sociale e moderazione punitiva mantengano una stretta e diretta relazione. Succede, infatti, che la dimensione in- clusione/esclusione sociale faccia propria una visione più completa e ricca dei fe- nomeni politico – criminali.

In ogni caso, le due ipotesi illustrate devono ancora essere dimostrate13. E non

è questo l’obiettivo del presente lavoro14.

criminali ad esse, si veda una panoramica in Brandáriz García JA., El gobierno de la penalidad. La

complejidad de la política criminal contemporánea. Madrid: Dykinson. 2014, p. 43-73.

12 È chiaro che, quando si tratta di intervenire su soggetti indagati e condannati, il programma

inclusivo si ispira alle correnti penologiche che danno priorità alla risocializzazione del condannato, mentre il programma di esclusione si ispira a quelle correnti che si concentrano sulla neutralizza- zione del condannato. Ma dobbiamo essere cauti nell’identificare questi modelli politico-criminali con determinati scopi special-preventivi della pena. I rispettivi obiettivi sono più trascendenti: su- perano di gran lunga le conseguenze che possono avere sul singolo condannato, determinando, piuttosto, la configurazione dell’intero sistema di controllo penale. Cosa che appare evidente nelle scelte incriminatrici.

13 In merito si vedano le riflessioni di Uggen C., Manza J., Thompson M., “Citizenship, demo-

cracy and the civic reintegration of criminal offenders”. Annals of the American Academy of Politi-

cal and Social Science, 605, 2006, p. 303-304. Una recente e rilevante ricerca in Savage J., Bennett R.,

Danner M., “Economic assistance and crime: a cross-national investigation”, European journal of

Criminology, vol. 5-2, 2008, con ampi riferimenti agli studi precedenti.

14 Mi permetto solo di ricordare che un programma politico-criminale deve essere valutato

sulla base degli strumenti che offre per prevenire la criminalità entro parametri socialmente accet- tabili. Non è quindi sufficiente che tale programma sia in grado di identificare e ridurre significati- vamente la frequenza e la gravità di comportamenti che danneggiano seriamente la società e che, per questo, motivo sono criminali. Il perseguimento di questi obiettivi entro parametri socialmente accettabili implica, nelle nostre democrazie occidentali, che questo compito di prevenzione sia svol- to nel rispetto dei principi dello stato di diritto e delle garanzie individuali dei cittadini. Si veda Díez Ripollés jl., “La dimensión”, cit. p. 4-5.

Ma saremo in grado di progredire nel confronto empirico delle conseguenze della prevenzione, legate ai modelli inclusivi o escludenti, se riusciremo a identi- ficare le regole e le prassi punitive che generano in modo inequivocabile l’uno o l’altro effetto. Identificazione che non deve realizzarsi su di un piano teorico, quanto piuttosto avendo ben presenti le regole e le prassi punitive diffuse nel mondo occidentale progredito, poiché o esse sono oggetto di una applicazione differenziata, o il loro eventuale utilizzo costituisce parte del contemporaneo di- battito politico criminale.

E questo si che è un compito al quale può offrire il suo contributo questo stu- dio sull’abuso del diritto penale.