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Verso nuovi strumenti di tutela: dalla Corte costituzionale alle Corti europee e dall’offensività alla proporzione

dalle misure di sicurezza patrimoniali, in particolare

9. Verso nuovi strumenti di tutela: dalla Corte costituzionale alle Corti europee e dall’offensività alla proporzione

Quali i possibili rimedi a questo stato di cose? Una cosa è certa: un’opinione piuttosto diffusa e spesso ribadita sottolinea come il nostro sistema stia combat- tendo il terrorismo internazionale senza ricorrere a misure eccezionali e senza ri- nunciare ai principi garantistici. Questo tuttavia non sembra corrispondere al ve- ro, in quanto si è in presenza ormai di una legislazione, peraltro molto frammen- tata, il cui risultato finale è uno e uno solo: anticipare la soglia della punibilità in modo tale da punire comportamenti che alla luce dei canoni classici del diritto penale non assumerebbero rilevanza penale.

D’altra parte, non c’è dubbio che, se si considera il vento che soffia in questo momento in tutta Europa, vi sono pochissimi margini per far valere i principi di garanzia nel contrasto al terrorismo internazionale. Il legislatore, sia esso naziona- le o europeo, e direi quale che sia l’orientamento politico, non se lo sogna nem- meno di porre argini a un diritto penale che sembra ormai aver superato il limite. Muovendosi infatti in una prospettiva di tolleranza zero del rischio attentato, il diritto penale viene impiegato per situazioni rispetto alle quali lo strumento più coerente sarebbe sicuramente quello delle misure di prevenzione: tuttavia la car- cerazione preventiva consente di ottenere una neutralizzazione che altrimenti non si potrebbe raggiungere con misure non custodiali che incidono soltanto sulla li- bertà di circolazione.

L’unico potere che può essere in grado di porre argini è il potere giudiziario. Tuttavia, la stessa giurisprudenza ha finito per farsi portatrice delle istanze gene- ralpreventive forse addirittura più dello stesso legislatore. Lo dimostra per tutti la

circostanza che le nuove fattispecie interrelazionali e monosoggettive hanno tro- vato scarsa applicazione, non tanto per una loro interpretazione restrittiva e cor- rettiva, quanto piuttosto in virtù del corrispondente ampliamento del reato di as- sociazione con finalità di terrorismo: in particolare, è l’idea che sia sufficiente una adesione unilaterale per essere partecipi ad un’associazione a dissolvere il para- digma classico associativo. E una volta dilatata la fattispecie di associazione non ha nemmeno più senso interrogarsi sulla legittimità delle fattispecie connesse al terrorismo (senz’altro fortemente indiziate di illegittimità), queste ultime non tro- vando più applicazione.

Se così stanno le cose, sembra allora realizzarsi il vero obiettivo del terrorismo. È sempre più mia convinzione, infatti, che il terrorismo non sia in grado di ucci- dere direttamente la democrazia, ma che piuttosto sia capace di indurre la demo- crazia al proprio suicidio, facendo scoppiare le contraddizioni che la caratteriz- zano: è la democrazia che a causa del terrorismo può suicidarsi violando quegli stessi valori in nome dei quali contrasta lo contrasta.

La lotta al terrorismo, quindi, non è soltanto la lotta della democrazia contro le organizzazioni criminali e i singoli terroristi, ma è anche, e alla fin fine soprat- tutto, lotta della democrazia contro se stessa, contro i rischi di autodistruggersi per contrastare il terrorismo: come ha affermato un giudice che ha davvero com- battuto il terrorismo a tutela della democrazia, «questo è il destino della demo- crazia, agli occhi della quale non tutti i mezzi sono permessi, e che non ha a di- sposizione tutti i mezzi dei suoi nemici. A volte la democrazia combatte con una mano legata dietro la schiena. Nonostante ciò la democrazia prevale, dal momen- to che preservare il ruolo della legge e riconoscere le libertà individuali costitui- sce un’importante componente della sicurezza di una democrazia. Alla fine, essi rafforzano sia la democrazia che il suo spirito, permettendole di superare le sue

difficoltà»45.

Pur potendo sembrare utopistico, occorre pertanto soffermarsi sui possibili rimedi. Ebbene, per quanto riguarda la legislazione nazionale occorre distinguere tra il controllo di legittimità costituzionale nazionale e il controllo – per così dire – europeo.

Sotto il primo profilo si potrebbero attivare addirittura tre diverse tipologie di sindacato. Anzitutto, alcuni delitti potranno essere sindacati non solo in quanto “sbilanciati”, ma anche addirittura in quanto incriminazioni dello stesso esercizio di diritti: si considerino in particolare le fattispecie monosoggettive del finanzia- mento e dell’organizzazione di viaggi, nonché, là dove venisse introdotta, la fatti- specie che incrimina il viaggio stesso. In secondo luogo, nonostante la sua difficile

45 A. BARAK, I diritti umani in tempi di terrorismo. Il punto di vista del giudice, in S. MOCCIA (a

giustiziabilità, si potrebbe far valere il principio di offensività trattandosi di atti preparatori molto anticipati.

In particolare, si potrebbe aggredire la circostanza che si tratta di condotte connesse a una finalità generica e in questa prospettiva potrebbe dubitarsi della legittimità del reclutamento, dell’addestramento e delle altre fattispecie mono- soggettive, inducendo quantomeno a interpretazioni correttive che valorizzino la finalità di commettere uno specifico reato.

Infine, potrebbe essere compiuto un sindacato di razionalità, sia per raffor-

zare attraverso la ragionevolezza un giudizio sull’an/quomodo

dell’incriminazione (si pensi al raffronto tra artt. 302 e 304 c.p. che almeno ri- chiedono una finalità determinata e gli articoli 270-quater e quinquies c.p. che addirittura puniscono il mero soggetto “passivo” discente), sia soprattutto at- traverso la proporzione per incidere sul trattamento sanzionatorio. In particola- re, sotto quest’ultimo aspetto, non si può fare a meno di osservare come da un lato vi siano problemi di trattamento sanzionatorio – per così dire – interni alle fattispecie: si pensi in primis alla differenziazione tra “lato attivo” e “lato passi- vo” nella fattispecie di arruolamento e alla mancata differenziazione sul lato passivo tra addestrato e istruito/auto istruito. Dall’altro lato, sulla base di una comparazione “esterna” tra fattispecie, si deve osservare come condotte prepa- ratorie rispetto alla fattispecie di associazione o ad ulteriori atti preparatori sia- no nella sostanza punite come quelle di partecipazione a un’associazione. Così, l’arruolatore è punito come i vertici di un’associazione, con la reclusione da 7 a 15 anni. L’arruolato è punito con la reclusione da 5 a 8 anni, vale a dire con una pena nel minimo identica a quella del partecipe a un’associazione (punito con la reclusione da 5 a 10 anni). L’addestratore, l’istruttore, l’addestrato, l’istruito e l’auto-istruito sono puniti come il partecipe ad un’associazione, con la reclusio- ne da 5 a 10 anni. L’organizzatore di viaggi è punito come l’arruolato con la re- clusione da 5 a 8 anni, e cioè con una pena nel minimo identica a quella del par- tecipe a un’associazione. Il finanziatore è punito come l’arruolatore con la re- clusione da 7 a 15 anni, e cioè con una pena identica a chi ricopre un ruolo di vertice nell’associazione. Senza considerare che reclutamento e addestramento sono puniti con pene molto più consistenti di quelle comminate per i delitti di cui agli artt. 302 e 305 c.p.

Sotto il secondo profilo, la legislazione nazionale può essere “sindacata” al- la luce del diritto dell’Unione. Non si può dimenticare, infatti, che oggi il principio di proporzione è espressamente enunciato nell’art. 49 della Carta di Nizza e che ha il rango dei Trattati in virtù dell’art. 6 TUE. Nelle materie di “competenza penale” dell’Unione, quindi, la Corte di Lussemburgo può esse- re chiamata a sindacare la proporzione della legislazione nazionale.

Ed anche in questa prospettiva si potrebbero attivare diverse tipologie di sin- dacato. Anzitutto, possono esservi margini per un sindacato sulla adeguatezza del mezzo allo scopo, per cui si tratterà di capire se la legislazione nazionale sia in grado di perseguire gli scopi che ha di mira oppure risulti in qualche modo di- stonica. In particolare, questo concetto di proporzione come adeguatezza del mezzo allo scopo può essere considerato l’aspetto più innovativo della propor- zione in prospettiva europea, seppure difficile da utilizzare per la sua alta com- ponente valutativa. Si pensi alla fattispecie che incrimina viaggi in uscita, rispetto alla quale può essere realmente punito soltanto il tentativo, determinandosi così una anticipazione della tutela che risulta davvero sproporzionata rispetto allo scopo, soprattutto se poi tale scopo coincide con la finalità terroristica generica e indeterminati di cui all’art. 270-sexies c.p.

Ma la legislazione nazionale potrà essere valutata anche in relazione alla nor- mativa europea, secondo un confronto – per così dire – a due. Esempio di questo sindacato è la sentenza El Dridi che ha deciso sulla compatibilità della disciplina italiana dell’immigrazione irregolare con la direttiva rimpatri. E in questa pro- spettiva si possono fare valere soprattutto le ipotesi in cui la legislazione italiana risulta essere più arretrata di quella europea. Così, ad esempio, per quanto ri- guarda il reclutamento, se l’Italia si orienta nel senso di punire la sollecitazione non accolta, va da sé che non è possibile punire il soggetto “arruolato”, cosa che fa l’Italia mentre non fa l’Europa.

Il vero nodo problematico è però quando la stessa legislazione europea preve- de soglie di punibilità ancora più anticipate di quelle italiane: si pensi alla diretti- va del 2017 che incrimina i viaggi. Ebbene, in queste ipotesi, al netto del possibile ricorso ai controlimiti da parte della Corte costituzionale, vi sarebbe la possibilità di sindacare lo stesso diritto penale europeo attraverso il ricorso in annullamento alla Corte UE per contrasto con fonti primarie UE. Rispetto a questo sindacato si vengono a riprodurre logiche simili a quelle del sindacato della Corte costi- tuzionale, ancorché con difficoltà peculiari derivanti proprio dalla dimensione sovranazionale. In particolare, da un lato, si potrà compiere un sindacato di proporzione, complesso per le ragioni di alta valutatività già viste, concernen- te la razionalità e l’idoneità dei mezzi rispetto allo scopo. Dall’altro lato, si po- tranno far valere i principi e i diritti della Carta di Nizza, meccanismo che verrebbe ulteriormente implementato nel momento in cui l’Unione Europea dovesse aderire alla CEDU. D’altra parte, non si può fare a meno di osservare come questa strada di potenziamento del sindacato della Corte di giustizia sulle normative penali non sia al momento particolarmente realistica, sia per il tenden- ziale self restraint della Corte a sindacare la legittimità delle fonti euro-unitarie, sia

per la tendenza della Corte a scaricare sui giudici a quo nazionali la disapplicazione

delle norme nazionali “illegittime”46.

Tuttavia, è bene ribadirlo, fino a quando non si tornerà ad applicare in mo- do rigoroso la fattispecie di associazione con finalità terroristica, negando rile- vanza all’adesione unilaterale e richiedendo la prova di legami reali tra i soggetti indiziati e l’organizzazione, il sistema non sarà in grado di arginare questa china illiberale.

46 In argomento cfr. la tesi dottorale di F. ROSSI, Il contrasto al terrorismo internazionale nelle

G

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INCENZO

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COME RAGIONANO I GIUDICI: RAZIONALITÀ, EURISTICHE E ILLUSIONI COGNITIVE

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Pensieri lenti e pensieri veloci. – 3. Illusioni cognitive e trappole mentali nel ragionamento giudiziario. – 3.1. Ancore irrilevanti. – 3.2. (S)ragionare con l’incertezza: Linda e Dina. – 3.3. (S)ragionare con l’incertezza: intuizione e statistica. – 4. Una giustizia prevedibilmente irrazionale? – Riferimenti bibliografici.

1. Introduzione

In un ormai famoso studio del 2011, gli autori esaminarono le decisioni di otto giudici israeliani che si avvicendarono su due tribunali lungo un periodo di dieci mesi. Furono raccolti i dati relativi a cinquanta sedute giornaliere, durante le qua- li il giudice doveva decidere a favore o contro la richiesta di libertà condizionale

avanzata dai detenutidi quattro grandi istituti penitenziari (in totale furono regi-

strate 1112 decisioni, il 64% delle quali contro la concessione della libertà condi- zionale). Lo scopo dello studio era registrare la percentuale di decisioni positive (cioè a favore del detenuto) e l’andamento giornaliero di questo numero. A que- sto scopo, ogni giornata fu divisa in tre periodi, separati dalle due pause che il giudice si prendeva per riposare e consumare una merenda o un pranzo (l’orario delle pause era a discrezione del giudice). I risultati furono eclatanti: la percen- tuale di decisioni a favore della libertà condizionale si attestava regolarmente at- torno al 65% all’inizio di ognuno dei tre periodi (quindi all’apertura mattutina della seduta, subito dopo la prima pausa e subito dopo la seconda), per poi scen- dere inesorabilmente quasi a zero (e comunque ampiamente sotto al 20%) verso la fine dello stesso periodo. In altre parole, sembra che un detenuto possa nutrire buon speranze di vedersi concessa la libertà condizionale se il suo caso viene di- scusso da un giudice “fresco”, all’inizio del giorno o dopo una pausa; ma che le sue chance si riducano drasticamente man mano che la seduta procede e siano quasi nulle se si arriva in vista della prossima pausa, quando il giudice è presumi-

bilmente stanco, annoiato e affamato1.

I risultati appena citati sono inquietanti perché mettono in discussione l’idea di una giustizia affidabile, imparziale e soprattutto “oggettiva”. Chiunque ricono- sce, magari malvolentieri, che “anche i giudici sono umani”, come del resto gli avvocati, i medici, i poliziotti, i politici e qualsiasi altra figura che svolga un ruolo particolarmente delicato per le sue ricadute sulla vita delle altre persone. Tutta- via, riesce molto difficile ammettere che decisioni potenzialmente esiziali dipen- dano in modo sistematico da fattori irrilevanti e, in teoria, del tutto estranei al contesto della decisione stessa (come il momento in cui un caso viene discusso e la sua vicinanza alla pausa pranzo). Ma questo è appunto ciò che lo studio sui “giudici affamati” sembra dimostrare.

Il buon funzionamento dell’ordinamento legale e giuridico di un paese dipen- de, in modo significativo, dalla qualità delle decisioni e delle scelte dei suoi pro- tagonisti: giudici, pubblici ministeri, giurati, avvocati, periti, testimoni, investiga- tori e così via. Inoltre, nella misura in cui la legislazione è il prodotto delle scelte e deliberazioni, individuali e collettive, di professionisti del diritto, queste determi- neranno anche la qualità del sistema stesso di norme e leggi che regola le azioni e interazioni delle figure citate. Per questo motivo, lo studio del ragionamento giu- ridico – cioè di come giudici, pubblici ministeri e giurati comprendono e valuta- no le informazioni in loro possesso, ne traggono le dovute conclusioni e, a partire da queste, prendono determinate decisioni – ha attratto l’attenzione non solo de- gli studiosi di diritto, ma anche di filosofi, logici, psicologi, economisti, informa-

tici e in generale di chiunque si interessa allo studio della razionalità umana2. Il

ragionamento giuridico rappresenta infatti solo una delle forme di “ragionamento esperto” – accanto per esempio al ragionamento medico – in cui sono all’opera le facoltà di cognizione, inferenza e decisione proprie degli esseri umani in generale, applicate a un ambito professionale specifico (cfr. Festa 2010, pp. 99-100). Com- prendere il ragionamento giuridico e le sue caratteristiche peculiari serve quindi sia a far luce sulla ragione umana in generale sia a mettere alla prova diverse “teo-

1 Lo studio originale è Danziger, Levav e Avnaim-Pesso (2011, si veda in particolare la figura

1 a p. 6890), ripreso poi da moltissimi altri, compreso Kahneman (2011, pp. 48-9), che ne ha curato la pubblicazione su PNAS (la prestigiosa rivista della National Academy of Science americana). L’interpretazione più comune, suggerita anche dagli autori, è che il deperimento progressivo delle risorse cognitive dei giudici determini una tendenza a scegliere l’opzione “di default”, cioè a favore dello status quo. Commenti critici rilevanti sui dettagli dello studio e soprattutto sulla sua interpre- tazione sono in Weinshall-Margel e Shapard (2011) e Glöckner (2016).

2 Della vasta letteratura sull’argomento, ci limitiamo a citare alcuni utili contributi recenti in ita-

liano, in cui il lettore potrà trovare numerosi riferimenti agli studi originali: si vedano in particolare Canale (2013) e Tuzet (2010) per il ragionamento giuridico in generale, Gulotta (2011) per la psicolo- gia forense e investigativa e Festa (2010) e Garbolino (2014) per una prospettiva epistemologica.

rie della razionalità” in un settore particolare.

Nel corso degli ultimi decenni, gli studiosi del ragionamento (soprattutto psi- cologi ed economisti) hanno accumulato un’impressionante mole di dati sul fun- zionamento del nostro cervello e sulle caratteristiche dei processi mentali che usiamo per ragionare e prendere la miriade di decisioni, grandi e piccole, neces- sarie a condurre le nostre attività quotidiane. Queste ricerche stanno rapidamente crescendo per numero e importanza, come testimoniato dal premio Nobel asse- gnato lo scorso anno a Richard Thaler, un economista comportamentale ameri- cano dell’università di Chicago, “per avere gettato un ponte fra l’analisi economi- ca e quella psicologica delle decisioni individuali” (cfr. Sunstein e Thaler 2008). Il premio si aggiunge al Nobel per l’economia già assegnato nel 2002 allo psicologo israeliano Daniel Kahneman, un pioniere di questo campo di studi (assieme al suo storico collaboratore Amos Tversky, morto prima di poter ricevere il premio) col quale lo stesso Thaler collaborava da anni (cfr. Kahneman 2011).

I risultati ottenuti da questi studiosi fanno luce sui meccanismi che stanno alla base dei nostri ragionamenti e delle nostre decisioni; ma documentano, so- prattutto, le deviazioni sistematiche e prevedibili del pensiero umano dalle re- gole della teoria del ragionamento corretto (in particolare la logica e la teoria della probabilità). Il fatto che tutti noi, compresi esperti, professori e professio- nisti, utilizziamo strategie di ragionamento che deviano regolarmente da quelle prescritte dalla teoria ha naturalmente implicazioni di notevole rilevanza prati- ca. Non a caso, ha attirato l’attenzione di molti professionisti in diversi ambiti; per esempio, i medici hanno cominciato a studiare le proprie modalità di ragio- namento e diagnosi alla luce degli studi psicologici, nel tentativo di correggerle

e migliorarle3. Nel presente saggio, ci concentriamo invece sul ragionamento

giudiziario, con lo scopo di offrire una breve rassegna della letteratura sui pro- cessi decisionali e sulle loro distorsioni in ambito legale. Anche se circoscritta, tale letteratura è già sufficientemente ampia da non permettere un trattamento completo in questa sede; ci limiteremo quindi ad alcuni temi ed esempi che crediamo più interessanti per un lettore professionista di diritto penale. Nel prossimo paragrafo 2, descriviamo rapidamente i principali risultati della psico- logia cognitiva e dell’economia comportamentale relativi al ragionamento e alla decisione individuale. Nel paragrafo 3, consideriamo più nel dettaglio alcuni esempi di distorsione cognitiva nel ragionamento giudiziario. Infine, nel para- grafo 4 suggeriamo alcune conclusioni, alcune connessioni con altre aree di

3 Per una introduzione all’ormai ampia letteratura sullo studio empirico del ragionamento e

delle decisioni in ambito clinico rimandiamo a Motterlini e Crupi (2005, 2006); una selezione di contributi fondamentali sull’argomento sono raccolti in Crupi, Gensini e Motterlini (2006). Motter- lini (2008) è un’accessibile rassegna in italiano.

studio e alcune idee per successive direzioni di ricerca.